L'Unità - anno VIII - n.26 - 28 giugno 1919

138 Piccole verità Alcune modeste verità sui combattenti, che non siano inni nè generici \'anti; dei quali, anche se giustificatissimi, siamo sazi ormai. 1. Il fante è meraviglioso - come tutti lo dicono: cosi chi lo sa, veramente, intima– mente, per esperienza propria, come chi lo ha sentito dire e, più o meno consapevole, lo ri– pete. Ma è «divino» come la natura: è una spontaneità meravigliosa. Quelli che parlan sem– pre della razza, della civilt,l millenanO, della stirpe ,'la/ica, ecc. ecc., hanno qui buon gioco, hanno anche ragione: hanno trovato qui quel che fa al caso loro. Erede di una serie incom– parabile di esperienze storiche, frutto ultimo di una lunga filiazione di civiltà, il nostro popolo porta nel sangue, sugge nel latte ma– terno, assimila per gli occhi, indubitabilmente, qualcosa di indefinibile (si chiami eredità, am– biente, clima storico, o comunque si voglia ancora), che fa del contadino nostro un esper– to, un maturo, di fronte ali' ingenuo, ali' in– fantile anglosassone. Questo è un fatto per me fuori discussione. Ma è un tesoro nascosto, ignoto a colui stesso che lo possiede ; poichè invero non gi;\ lo possede, ma è esso medesimo questo te– soro, questo prodotto scelto di raffinamento, di elaborazione storica; è un centro di capa– cità, di energie in potenza. Rove.scio della medaglia : come spesso l'individuo felicemente dotato, è interiormente poco disciplinato. La sua ricchezza di capacità, che lo fa versatile e vario, che ne espande al di fuori l'energia in una spontaneità di attività diverse, poca ne concentra nella sfera dell'at– tività interiore. Il popolo nostro è di una bontà semplice, ricco di gusto e cl' intelligenza. adattabile, versatile ; è cap ;ce di devozione illimitata, di ignara grandezza ; - ma tutto ciò è in lui come un dono, gli nasce dentro non sai come - nè egli sa come - ; è già un frutto in lui di remote sementi, non è una ricchezza della quale egli sappia servirsi, non un seme ch'egli sappia in sè sviluppare. Il popolo - verità banale, che tutti ripe• tono - "è fanciullo. (E che cosa costituisce l'incanto della fanciullezza? Quell'offrire ap– punto tanti accenni, quasi bocci, gemme di tutti i fiori e frutti che potranno sorgere un giorno da questi. pianta gio\'inetta ; quell'es– sere un ingenuo microcosmo umano; tutte le possibilità, tutte le capacità - nessuna ma– turata realizzazione). DaUa storia della nazione nostra, infatti, è ::issente il tormento religioso. La sua reli– gione è la cattolica, quella cioè che ammette, ,ul volgo dei fedeli, la minima compartecipa– zione intima. Altre forme, forse idealmente più povere, ma storicamente indice e frutto di un maggior fervore d'intima religiosità, di una più attiva religùnu indi 1 iduale (la formula di Calvino!), son cjucl\c delle nazioni setten– trionali, storicamente tanto più giovanii psico– logicamente tanto più barbare, ingenue. Perchè fanciullo, questo popolo nostro ha bisogno d'una disciplina, ha bisogno di guide. Ma le sue guide, con tutta la sua sapienza riposta (quella sapienza ingenua del linguaggio e dei proverbi), egli non tanto le elegge per una ragionata valutazione, quanto per impul– so, per simpatia, per devozione semplice; in– tuitivo, (emminile, perchè sente la bontà, la fede luminos.1i dona esso la sua fiducia, e si dona - senza chiedere spiegazir.ni , senza di– scutere, nè ad alta voce nè in cuor suo. (Chi ha avuto comando di uomini nel nostro eser– cito di guerra, lo S.'\). Vive alla giornata, non mira lontano: sa trovar tanto, nel poco! - Ma chi, fuor delle vicende dell'ora e del luogo - della guerra o della lega 1 delle parrocchie o dell'officina - ma chi, nella con– tinuità della vita nazionale, gli sarà guida e gli darà disciplina? - llf'edi'ct, cura te ipsmn! 2. I figli della legge dirigente, cioè suppergiù gli ufficiali inferiori improvvisatii oggi reduci. come sono stati queste guide nella guerra, cosi saranno ora nella pace. Ma saranno degne, saranno capaci guide? , Le prove indiscutibili di valore e di fede fomite nel lungo e tremendo cimento - ci hanno rivelata una preparazione ed una ma– turità ? lo credo piuttosto che ci abbiano ri– velata o confermata una capacità, una poten- L'UNITA zi'a/ità mirabile - precisamente come quel popolo minuto, dal quale fatalmente la classe dirigente nostra non si distacca se non per quell'un gradino pùì su, dove si trova per la ven– tura della sua posizione economica e sociale, dovuta per lo più nient'altro che alla nascita. Sicchè, è inutile illuderci o gonfiarci troppo. Non s'improvvisa una capacità politica. Que– sta non può germogliar robusta, come invece la capacità guerresca che molti sepp..;ro crear– sii per un generoso ardore del buon sangue e deWanimo retto. La trincea, che ci ha rivelato il popolo nostro, a noi classe dirigente (tale per voca• zionc, per sentimento di dovere, o per un 1 ap• plicazione personale òella famosa cosi detta .... fatalità storica), ha rivelata pure la capacità nostra, la nostra forza. Essa è grande; essa manca di disciplina. Andiamo adagio, dunque, a par– lare - Dio mi perdoni! - di 1n·11cerocra31fl I A quale altra aristocrazia voo:ete d~----– delegare, o da quale attingere codesta disèr.:. plina ? In quale ricercare le guide? In nessuna. (Cmz'ul per Cra:'ul 1 di già co– stituite e riconosciute 1 del resto, ali' infuori di quella che prende nome dalla trincea, nes– sun' altra ne conosco, se non quella che - non senza scherno - prende nome dalla vec– chiaja: la gerontocrazia!). Quella disciplina interiore, quella consi– stenza unitaria della coscienza e dcli' intel– letto, della quale sembra noi andiamo in cerca, non si trova in nessun luogo, se non in noi stessi. Ciascuno, armato della lanterna di Dio– gene, non per disperata ironia fuori vagando, in cerca di uomini 1 la vada agitando; ma, dentro concentrandone la fiamma, la tenga ben ferma in sè stesso rivolta, a suscitarvi l'uomo: sicuro, volmdo, di trovarcelo. 3. Rinnovamento I (E siamo sempre li I) Rinnovamento, riforma che muove dall'intimo, che fuori si s,•olgerà e si affermerà nelle ope• re, ma sempre alle intime radici dell'animo volgendosi e facendo ritorno. Non abbiamo dunque - ahimè! - alcuna nuova ricetta, alcun fatato elixir da offrire, novelli Dulcamara, agli assetati di bene. Tri– ste e miserabile cosa agli occhi dei fccondis– c;l:ni farmacisti di tutte le teosofie e i~d_icins morali, sociali 1 politiche! Discreta, modesta lezione, che noi 1Jmilinente pregiamo nella nostra evangelica povert!l di spirito. Che cosa dovremo dunque fare? Svolgere ciò che in noi è potenziale, acqui– stare quel che non possediamo. Ciascuno per Ja sua via : non ci souo programmi, non ci sono vie segnate, non acces~i predisposti al regno della maturità. Abbiamo molto ve-luto, voluto, sofferto. Una grande esperienza fu dischiusa ai ben disposti. La presenza del dolore e della morte ha fatto riflettere ciascuno. Una grande espe– rienza è stata fatta. Questo svolgimento delle capacità che ab– biamo, questo acquisto della ricchez~a che non abbiamo, si chiama - con una vecchia parola, screditata dal pseudo-sinonimo col N. tanto usato per parodia in questi anni di guerra anche tra le parole - cultura. Ciò che abbiamo detto sopra basterà, spe– riamo, per risparmiarci il sospetto d'a,·er con ciò ,·oluta offrire la nostra ricetta, il nostro specifico. Non è uno specifico, è piuttosto un.... generico rimedio, cd anzi è una guari– gione, anzi è in germe la salute stessa. Cultura è per noi serietà e ricchezza di vita <iplrittt "l.le, ne è l'alimento ed il frutt9 ad un tempo: è sapere ed è ,·olontà. Non chiacchierare, non esser impressiona– bili nè faciloni; conoscere, studiare i problemi e non risolverli a colpi di formule sonore per la lor vacuità; precisarei es.::erconcreti, affron– tare le questioni concrete e non volatilizzare in eccelse metafisicherie, non fare gli esteti, non avere il culto del bel gesto - oh, ma c'è proprio bisogno, a dirla, di tante parole? Essere gente seria, essere esigenti \'Crso sè stessi, essere sinceri, essere coerenti : tutto sta qui. l\ta non come enunciazione di propositi, sibbene come a~i'one, come opera d 1 ogni giorno e d'ogni ora, ciascuno nel suo piccolo mondo. La cultura è questo: freno, disciplina in– terna, e in pari tempo concreta elaborazione, affermazione, esplicazione di \'Olontà coerente nell'opera, sia essa conoscenza od azione. LUIGI EMERY. Il Governo burocratico La Camera di commercio di Genova ha pubblicato in opuscolo il resoconto della di• scu'isione avvenuta nel Consiglio camerale del 31 gennaio 1919 sulle questioni ferroviarie. Uno degli oratori, Bagnara, trattando del disservizio ferroviario, ha lanciato contro la direzione generale delle Ferrovie dello Stato una valanga di accuse gravissime, a cui i pa– dreterni della direzione si sono guardati ..bene finora dal rispondere. Dunque le accuse sono vere. E noi possiamo riprodurle senza pericolo di essere ingiusti verso i nostri padroni. Secondo il Bagnara, dunque, le Ferrovie dello Stato 11011 voglioM utilizzare il loro ma'– teriale. Secondo il Bagnara, l'affermazione fatta dal direttore generale alla Commissione d'inchiesta sulle Ferrovie, che cioè t: tutti gli industriali che avevano contratti per la ripa– razione di veicoli ferroviari, allettati dai lavori bellici di maggior rendimento, si resero ina– dempienti » - qucll'affcnnazione è falsa. Il di– rettore generale è stato male informato dal competente Servizio Veicoli, il quale sapeva invece che alcuni stabilimenti, non solo non avevano mancato ali' adempimento del con– tratto di riparazione, ma, durante il maggior fervore dei lavori bellici, ave\•ano insistito presso il Servizio Veicoli medesimo per otte– nere di potere eseguire riparazioni in maggiore quantità, anche senza aumenti di prezzi, solo perchè in certi momenti i lavori di riparazione di veicoli ferroviari costituiscono un riempi– tivo che l'industriale ha interesse di adottare, anche senza profitti, per trattenere le mae– stranze tra una ordinazione e Jlaltra di lavori nuovi. li capo di quel Servizio, che ha sede nella quieta Firenze, dove pare non arrivas• sero le proteste del commercio e dcli' industria, nonchè degli stessi servizi bellici che si dibat– tevano nelle strettezze dei mezzi ferro.viari di trasporto, si era impuntato nel non volere au– mentare, nnzi nel volere diminuire le ripara– ;doni dei veicoli ferroviari, dichiarando che la quantità dei riparandi diminuiva e che bi– sognava se li tenesse ben cari per distribuirli alle d~versc oll1cine dello Stato, ali~ quali pa– reva egli temesse mancass:, il lavoro. E faceva .disegnare un diagramma del quantitativo di veicoli ferroviari riparandi, al quale nessuno aveva mai creduto, lui compreso, che l'aveva fatto disegnare. Nel giugno 1917 il Servizio Veicoli, rinnovando i contratti di riparazione con diverse officine private, ne stava trattando uno di molto rilievo con uno stabilimento di Pistoia; e poichè quello stabilimento non volle subire l'ingiusto trattamento di avere un prezzo inferiore a certi concorrenti costituitisi in grup– po, non concluse il contratto. Allora qualche altro stabilimento si offerse per fare una parte del quantitativo di riparazioni, che avrebbero costituito l'oggetto del contratto con lo sta– bilimento di Pistoia; ma il capo servizio si ri– fiutò, dichiarando di essere ben lieto che quello stabilimento non avesse concluso, perchè di ri– parazioni non aveva bisogno. E la mania - non potendosi altrimenti chiamare - arrivò a tal segno che, avendo ri– partito in ogni officina il lavoro per quote mensili, talvolta gli ingegneri addetti al col– laudo, dkhiaraodo di avere ordini preci::,idal Capo-Servizio, facevano trattenere i carri in stabilimento piuttosto che oltrepassare di una lira - di una sola lira - la quota mensile. Quando un certo momento, durante la guer– ra, il Comando Supremo ordinò lo sgombro <lei carri riparandi che erano disseminati nella zona di gtl:erra, il Servizio Veicoli di Firenze, il quale della guerra forse aveva un'idea vaga e non ne era forse ben sicuro, come Don Ferrante, della peste, pur essendo assillato dalle richieste di lavoro di alcuni stabilimenti dell'Alta Italia che eseguivàno riparazioni di vagoni, pensò bene di mettersi quel tesoro in serboi ben lontano dalle cupidigie industriali, e lo imbo• scò nelle più remote regioni, quali Foggia, Torre Annunziata, Tenda e in quel cul-de-sac che è la Stazione di S. Dalmazzo di Tenda, alla quale uon si arriva che per una linea dif– ficilissima in forte pendio, rhe percorre di– verse gallerie elicoidali, prodigio di capa– cità tecnica dei nostri ingegneri, ma lungo la quale si consuma una quantità rilevante di car- bone per la trazione. li Scrviz:o Veicoli aveva anche scoperto un nido indisturbato dove po– tere nascondere i suoi carri riparandi nella nuova stazione, non ancora in esercizio, della linea Mondovi-Fos.sano 1 dove esiste un bellis– simo fascio di binari, e là un giorno il Ba– gnara trovò imboscati ben 422 carri. Questa rilevante quantità di carri inutiliz– zati è composta per buona parte di unità, che possono integrarsi a vicenda senza. notevole lavoro, perchè taluna è mancante di un respin– gente, taPaltra di un tenditore, tal'altra di uno zoccolo del freno; e, poichè sono tutti pezzi intercambiabili, si può in pochi giorni mettere in circolazione una quantità notevole di quei vagoni medinnte l'opera di pochi operai vo– lenterosi e ben diretti, che si recassero sul po– sto, senza bisogno di portare i carri in offi– cina. Ma tutto questo non è nelle viste dell'alta burocrazia. Que~to errato sistema di condurre le ripa• razioni dei veicoli fem,viari ha mantenuta l'I– talia con una media non certamente minore di dodicimila carri ferroviari inutilizzabili, la• sciati per di più a deperire in remOte stazioni, dove il \'andalismo e il ladroneccio avevano buon gioco. Se si calcola che di 12.000 carri per lo meno 7.000 potevano essere tenuti continua– mente in piena efficienza, facendo il calcolo dei quattro anni di guerra durante i quali si sono avuti tali 7.000 carri inutilizzati, si arriva a delle conseguenze sbalorditive, che ci fanno domandare a noi stessi come sia stato possi• bile che ciò potesse essere tollerato. Parla un contadino . 11 contadino è delle vicinanze di Firenze .. E analfabeta, di classe anziana, to;nato di recente dal fronte. - Quando crede lei che la pace si firmi? - mi chiede. - Non lo so - gli rispondo. - E non si firmerà - riprende lui - glielo dico io che non si firmerà. Questa guerra è stata 1>ostata male. C1 hanno detto: si combatte per la libertà. Che cosa è la li• bertà? Libertà di fare ciascuno quello che vuole. Ed ecco che ciascun popolo (popolo pel contadtno toscano corrisponde a par'=' rocchia) si mette in mente di far quel che ~uole : e il popolo di Strada vuole una coaa, e quello di anta Cristina ne vuole un'altra, e quello di. Grassina una terza. Ed ecco che ci sono tante ruote che girano ciascuna per loro conto: come fanno ad andare assieme? Sa, glielo dico io! Siamo una banda sconcer• tata. Ciascuno $uona per proprio conto, e non ne vien fuori nessuna musica. La gente è come le api. Ha mai visto le api quando sciamano? Van via tutte assieme: volano, volano in una direzione ; ad un tratto uno picchia due casseruole, e lo sciame si ferma e cambia strada. Così sono gli uomini: la pensano in un modo e fanno a quel modo; a un tratto sentono parlare un partito (i par– titi sono per lui i conferenzieri); si fermano a sentire; e qualunque cosa dica, sono di quel parere, e cambiano strada. Poi trovano per la strada un altro partito, e loro tornano a fer– marsi come le api a sentir le casseruole, e cambiano un 1 altra volta. E bugie dicono i partiti : bugie che non le so dire. Han cominciato a parlare a Grassina: dicono che se si protesta, se ci si lega, fra un anno abbiamo carne e grano come prima. Ma lo sa lei quanto ci vuole perchè una vacca faccia un vitellino? Nove mesi; e altri nove perchè il vi– tellino abbia il mosso, e sia buono da mangiare. Son diciotto mesi. Dunque se tutto andasse bene, fra un anno e mez1.onoi potremmo a"ere il doppio dei vitelli delle \'accine che abbiamo oggi. l\la le bestie, che mancano a tornar come prima, sono dieci volte tanto. K non sempre le mucche restano pregne. E non sempre il vitello nasce. E poi crede che si resterà due anni senza uccidere nè una vaccina uè un vitello ? Glielo dico io: non si può cal– colare che su una met\ dei vitelli che nasc;e– ranno. Dunque, come vuole che in due anni ci sia tanta abbondanza come prima ? E lo stesso quando dicono che si potrà avere tutto a più buon mercato senza lavo– r~re. Se io non lavoro il mio campo, se i fa– g1uolinon li semino, i partiti hanno un be! dire: ma fagiuoli non cc ne nascono. E così è dell'altra roba. Dicono adesso, lo dicono i partiti, che tutta la merce deve rinvilire, e che tutti si devono far pagare di più. Ma come possono le due cose anelare d'accordo? Se io ho venti raga~ze, cl~e mi ~anno la treccia, e le pago \'enti soldi al giorno per otto ore, io ven– der~ a un prezzo. Se io queste ragazze le faccio lavorare. la ~età e le pago il doppio; la-stessa treccia m1 verrà a cost:,e quattro volte tanto, e allora io dovrò vendere la treccia quattro volte tanto E così la calce, i mattoni il concime costa il doppio, perchè tutti fann~ pagare il doppio. E la roba non rinvilirà mai più. Gli è una confusione generale. Un'amica dell' UNITA.

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