L'Unità - anno VI - n.44 - 1 novembre 1917

290 ogni cost..o,a passo a pusso, avendo fede in– crollabile nell'esito finale, ncordando sempre elle la vittoria - quella decisiva - arride non a chi occupa più t,crra, ma a chi ~a rimanere più a lungo nella bai taglia. l'Unità. Uno scambio di articoli La dicitur 0 , " protezione dell'industria 11aziona– le » è abile. Gl'indust1·iaJli hanno l'al'ia, qualche volla, di prendei"Bela cogli avvocati, ma quando proclamano elle si deve difendere l'indust.l'ia na– zionale essi. ricorrono a, un'astuzia curialcS;ct,. Qua,I cilt.adino vo1~·à n,ai oppol'si al fiorire dell'in– dust,l'ia nazionale? Quei visional'i di economisti teorici ~arebbero dtmque a tal punto inn1ghitl della felicità w1ive11Sale, da rinnegare la pat.l'in per l'umanità e da volere la rovina dell'industria paesana'? La frns• va un pc,' cnml•iala I pl'Otrzionisli nnn chiedono la prnleziunc dcil'ind-ustria nazionale, ossia del cQntplesso urltlr ll.llivilà l)rQdutlive della nazione, ma la protezione cli nna industl'ia nazio– nale: la loro. Le i.ndust.1·ie da prolegge,·e vnric– •·anno di volta in volta, ma ognuno che gl'ida e invoca protezione. pel' l'inclusi.ria na-Lionale vuole in reallà arricchire non 11recisamenle tntta la na– zione, ma se stesso in prima linea e poi, e nella minor misura possi,bile, i suoi cooperatori e for· nitori. Mentre daUa 1>rolezione qualcuno è favo1·ilo, qua1Icùn altro è danneggi!1lo. Chi è? Forse lo stro– niero? Dello straniero non mi curo, solo mi pre– mono, e mollo, le sorti del connazionale. Ora il dazio che rialza, nel!'intern.o della nao'ione, il p11ezw della merce A, e avvantaggia i produltod (non lutti, del resto) di' A, nuoce direltamenle a tutti gli aoquirent.i cli A, i11 quru1t.o non siano a loro volta protetti, e siccome t11tli non possono es– ser protett'i, un danno eflellivo ger un certo nu– mero di connazionali è ine\"ilabile. La merce A è w, prodotto di consumo? E allora il cons,,matore deve rifare i suoi calcoli, comprar a1eno di A, probal>ilme-11le meno anche di qual· elle a1tra cosa, certo deve ridurre la somma dei g,odimenli, che a parità cli 1·eddito monetar·io ei p1•ocuravasi. Oppure la merce A è un bene sll'llmentale .ossia uno :li quei beni i quaJi, anzichè concedere immediato godimento al consumato.re , concorrono alla. produzione di un bene di corrsumo? E allorn l'industriale, che pa:ga a più aJlo prezzo A, vedT't aumentare il suo costo di p.roduzione e dovrà: o ccrescere il prezzo di vendita del µrodot.lo, inri– endo in ultima anal'isi sul consumatore; o ab'bas– ìre iU i!)l'eZZQ del lavoro o di altri servizi produt i, a scapito dei comproduttori: o falciare il p<C' tto prop,rio; o infine, se non potrà adottare alcuno i tali rimedi, fallirà. E meno male se il vantaggio degli uni compe1, sasse il pregiudizio degli altri. 11 guaio si è cft.. la protezione attrae i servizi produttivi in dire– zioni artificiose, costringe la nazione a uno sfo,zo maggiore Per ottenere u·n medesimo risultato. Il lavoro e l'attesa, che si ostinano a r>rodu,rre A indigeno, avrebbero, lasciati liberi, messo ,al mon,l<' tanta merce B, da. scambiarla con una quanltt~ di A forestiero 6Uperiore a que!La che si sareh··e creata nell'interno del pioose protetto. Dunque proteggere l'induslrila nazionale s1g,1i– ftca in reallà: trasferire ricche;za d.a alcun; ari sltri connazionali, con impoverim1mto genP.l·ali' della nazione. E' naturnle che i gn1ppi favo. 't.i gridino di voler proteggere l'indust,ria nazional(·, è pure naturale che gli economisti, imr>arziali tu– tori del benessere nazionalle, combattano la pro– tezione. Attenti! Umberto Ricci, (da /.a. \lita llaliana, settembre 1917) L'UNITÀ ITALIAE FRANCIA L'Unitù 11a pubblicalo nel numero ciel 2 ago– sto 1917 un al'licolo sui l'apporti italo-francesi, suJ quale domando il permesso cli aggiungere qualGbe osservazione. Sono cli 01tigine francese, ho fallo la mia prima educazione in Francia, proprio nel pc· riodo dei 1:ieggiori contrasti italo-francesi, negli anni di C1·ispi; dal 1900 in poi, ho vissuto quasi tutta la mia vita in Italia, pur tornando spesso in Francia; ho appreso wsì a conoscere (cl ~mal'e l'.ltalia, dlvenula mia seconda patria, senza perdere il contatto con la mia patria d'ori– gine, CredQ, pel'tanto, di conoscere aljbaslanzn bene e Ja Francia e l'Italia. ' Sì, è vero: in· Franc'ia, nei:-li anni della mia prima giovinezza, fra ril 1880 (' il 1895, c'era uno stato d'animo d'inquietudine ostile verso l'Italia, che anche cggi non è del tutto dissi'J)ato m certi veccl~i ambienli burocratici e conservatori, in cui più tenace è la fo:rza della t.radlzione. Un senti– mento ui questo genere, invee~ non c'è mai stato iu .Lughillerro vt>rso l'Italia. Ma non basi.a pren– dere al tlJ del fenomeno, come ha fallo l' Unitd, come di un tcrto della Francia verso l'Italia, sen– za cercare cli comprenderlo uella Francia. L'Inghilterra non è stai.a mai sospettosa o ge– !osa dell'l t:alia, perchè l'Italia et"a sua fedele ,unica contro la Frnncia nel ~1edilerrn'neo. Ci sarebbe mancato altJ'o che fosse sk1.ta gelosa o sospettosa! Ben di versa era la condizione della Francia, che incontrava ovunque l'Halfa alleata della (',erma· nia e dell'Inghilterra, e perciò non poteva non con– siderare ogni aumento di potenza terrestre o na– vale dell'Italia come un danno per la Francia. F. io devo confessare il i non essere ma,i riesci I.a a comprendere bene quegl'italiani che considera– vano semp<re la Triplice 3.lleanza e l'Lntesa. medi– terranea coll'Ing>llilti;rra come una necessità <vjlale permanente deU'llalia contro la Fra,ncia, e nE.'llo stesso leTTliJ)o si lamentavano perchè la Francia fosse sospett.osa ed ostile verso l'Italia, e le crea.s– se dinì.collà·aovunque. O si è amici, o si è nemici. Non s:i può essere nemici, e 1rretendere che l'altra parte si comporti con voi come se d'oste suoi amici. Amor con amor si paga. Questo stato d'al)inlo di so.~pello ostile si esa– sperò al teMpo di Crispi, perch:è noi in Francia eravamo tutti convinti che l'Italia volesse, d'ac· cordo colla Germania, spinge.rei a una guerra, in cui ci saremmo trovato sulle spalle la Germania, l'Inghilterra--e l'Italia, mentre non eravamo ancora alleati con Russia:. E qual'è stata la mia meravi· glia, quando, vivendo in It.alia, ho senlito ripetere da persone a!:llai bene info.nnale e di perfetta buo– na fede, che viceversa in Italia si temeva, proprio allora, un'aggressione della Francia! Ci fu in que– @'li .amni davvero un maJiinteso innesto fifa i nostri due µaesi, c·he ha pesato a lungo, e pesa forse tut· tora su alcuni spiriti. Al senti.mento di sospettosa ostilità si mescola– va, in noi francesi, nei rigua,·di deN'Italia un sen– timento di s~periorilà, di quella che l'Unità ha definito «arroganza». Questo sentimento non ha nulla. da vedere con la ,, gelosia u. La Francia, in quegli anni di inimicizia, Tton era gelosa dell'Italia, Lrritata perchè trovava anche l'Italia nel novero dei suoi nemici, si.. Ostile ad ogni ini– ziativa italian~ per spirito di rappresaglia, si. Ma gelosa, no. Maga,ri fosse stata gelosa : Que– sto avrebbe voluto di,re che la Francia si rendeva conto del lento, ma conli.nuo, crescere dell'Itali.a. Il vero e massi.mo errore di noi francesi, invece, queJlo che più ha contribuito ad alienare da noi lo spirito italiano, è stato il non avere saputo per lungo tempo apprezzare l'lt.alia al suo giusto va– lore. iPer ia F~ancia, per malto tempo, l'Italia, è stato seinpre un pae.se debole, incapace di V!itapro– pria, che non avrebbe potuto ·costituirsi. a unità nazionale senza !'a.iulo francese, e che dopo ave– re su:bito l'influenza fra~1cese, s'era acca&:iato sot– to l'influema tedesca. Perciò certe aspirazioni del– l'Italia a una m'a,ggiore considerazione nel conses– so delle Potenze sembravano ingiustificate; l'atLl– tudine dell'Italia sembrava non corrispondere al suo valore reale . ..\lenire gl'italiani accusavano i f.rancesi di arroganza, i francesi trovavano elle ar– rogante era viceversa l'ltalia! Era l'at.leggiamenlo della sorella maggfore ve\-so Ja minore. .\1.a col t.cmpo cambia il valore relativo degli anni. Quando le sorelle, che avevano 10 e 20 anni, hanno rag– giunto i 40 e i 50, i rapporti debbono cambi.a.re . Quella che I Unitn chiama la « perma.losi.t.à" ùell'Jtalia verso la Fra.ncia, è nata appunto da questa sottova.Juta.zione inconsiderata, che la Frall· eia, 1per lungo tempo, ha fatto dell'Italia. Ma. se si vuole essere giusti, bisogna riconosceire che gli italiani ha.nno avulo la loro parte di responsabi– lità in questo nostro errore. !\'egli sforzi non fort.u– nati, che faceva'no fra il 1870 e il 1900 pe1· parere più di quan,o non lossoro, dava.no l'impressio~ di una immatudtà e di una debolezza maggiore di quella. l'eal~. Allora l'Italia non poteva preiendere a un,1 « conò;zione rii parità » con la Francia. Po– chi italiani si a·endono conto del t)J·ogresso enorme, ohe ha fatto l'Italia, fra il 1896 e il 1915, e del di– slivello che c'è fra l'Italia ciel 1870 e del 1880, e l'Ilalia del 1910-1915. Sono dtie paesi d;versi. Questa gl/erra è a rivelazione dell'ltalia. L'Italia era considerai.a una volta - e non so– lamenle in Francia, ma anche e sopratutl-0 in Germania! - come materia passiva della. politica t.edesca, e in generale di quella influenza esterna, che meglio riescisse a farsi sentire colla minaccia o colla lusir.ga : Ilo sentito dire io, nel 1912, dal direttore di un grande quotidiano di Berli.no, che l'Italia era « une fille "· Quest.a guerra ha 111ivelato l'Italia come una forza attiva autonoma, capace di una persistente volontà propria. Il gesto dell'I· talia hia cancellalo la Triplice. E oggi non si tro,·a– no ror,ie due francesi - qualche \"ecchio gruppo di croslt.aceà, burocra•ticl,, clericali, naziona,1ist.i, non conta, vero? - che r.onserw.no nel cuore ~n ve– stLgio dei di56idi passai.i. In llalia, invece, è l'irnasta la u perma.losHà 11, è rimasto in molti uno st.rascico di rnncol'i inquieli. .\'lolle volte mi avviene, in questa mia seconda pa· tria, di sentirmi domandare: « E cosi? che dite ora. voi francesi, di noi?" - Che diciamo? E' sempli– cissimo. Abbiamo perfeLtamente dimenticato il passai.o, co::ne se non fosse mai esfstito, e accoglia– mo a cuore aperto il p1·esente; è ci meravigliamo che in Italia e, siano ancora delle persone ohe pen– sano a: confrontare quel che diciamo ora con quel che dicevamQ tre anni fa, che~ quanto dire tremila anni fa! Perchè riwrdare questo passato così... passato? In ifondo, per nQi francesi, riesce incomprensibile questa diffidenza, con cui gl'italiani ritorna.no sem,pre sul passato: ci sembra del ra,ncore, che non al:Jbia, nessuna ragione giustificala ; e dorb– .biamo lare uno sfor,,o grande !per rintracciarne le cause in una storia, che durava ancora, nien– temeno, tre anni la. Come pure noi stentiamo a. comr>rendere per– ohè mai certi nostri erroo-i pas.sat.i debbano pesar tanto ancora nel sentimento di molti italiani, mentre le grossolanità e le brutalità della poli– tica tedesca e a.ustriaca, rivela.lesi spesso anche nel periodo della !più intima alleanza, hanno tro– valo quasi sempre in Italia facile dimenticanoo.. In questa sensibilità sempre pronta a scatta.re qu.a,ndo si tratta di noi, e così ottusa quando 11i trattava della Germania e dell'Austria, noi ve– diamo una pr&disposizione di malevolen,,a e di in– giusti.zia, che ci sorprende e ci addolora. Pe.r spie– gare questo S(p.lilibrio di sensfbilità qualche fran– cese, e molti -italiani, ricorrono alla sistematica p:ro'[)~anda tedesca, la quale per cinquant'anni ha servilo puntua.Jmente gui giornali ìtaliani (Jlla– lunque, anche minimo, accenno di ostilità, o di sospetto, o di motteggio, che venisse pul>blicato in Francia da qualunque r>ubblioista, magari par gato a questo SCOI>O, dalla Germania. E cinquan· l'anni di questo genere di stillicidio non potranno non produrre i loro effetti. Ma non è, a mio parere, questa una spieg,azione su~ficiente. C'è stato qual– cos'altro. C'è stata nello sr>irito itaJia-no anche la delusione e l'ir·ritazione, elle nasce dal 'vedersi in-

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