L'Unità - anno I - n.13 - 9 marzo 1912

50 L'UNITÀ bastanza chiaro. Perchè le idee in esse riassunte le abbiam o seUimana 1:>ersettimana S\·iluppate , dimostrat e , chiarit e , doc umentate, smontando 1a falsificazione del carteggi o Rohlfs-Crispi-Campe• rio, spiegando la fatuità cer\'ellotica delle notiiic sulle ricchezze del tempo romano , richiaman• do ci continuamente alle cond izion i rea li e ai bisogni della m:ulre patria, illustra ndo la inuti– lità e i pericoli e i d:rnni di una imm e,Jiata pe– netr:u:ione militare ali' interno, ecc. ecc . E ci proponiamo di con tinu are ancorn. Pcrchò da lcllere- e da nrtico li, che ricevia mo di qua e di là, \'ed iarno che per par ecchi amici il nostro « progra mm a • non è ancora abbas tanza ch iaro, e il nostro atteggia mento sembra ad alcun·i fi– nanche contradittorio ! Se nel • programma • cieli' U11il<i a\'essimo voluto espo rre le nostre coti\·inzioni tripoline, in modo che tutti le vedessero fino dal primo momento ben concrete, ben complete e ben chiare e dimostrate - non de\' 'essere questo l' ufficio del « programma • ? - ci sarebbe stato neces sario per la sola ques tione tripolina ado– perare un intero .... volume. E J>Cr ogni altra questione sarebbe stato necessario un altro \'O– lume. li e progrnmma • sarebbe di\'entato una biblioteca. E non sarebbe 'stato allora pitì op– portun o fare uscire il ~;fornaie. Chi vuol conoscere, dunque, il nostro « pro– gramma•, bisoKna che si adatti ad aspettarlo finchè vivr;\ il Kiornale. Quando non avremo più nulla da proporre di fronte ai singoli proble mi della vita italia na, quando cioè non avremo pil) « programma •• il giornale morirà. E i letto ri, per defini re il nostro • programma • • dovranno fore la sintesi di tutta la nostra opera pass.·ua. L'UotU. l uo ctoroale • lodlpeodeote? • Cosl rngionarnmo, allorchè demmo la \·ita al– i' U11il,1. Ma via facendo, ci siamo avvisti che la man – canza di un e progmnuna • porta con sè note– \'oli incon\'enienti. Il più grave dei quali è che ci perviene ogni giorno un gran numero di ma– noscritti, i cui nutori ci dicono: « L' Unità è cer– tamente un giornale libero, indipendente, aperto nd ogni opinion e sincerame nte t: seria mente espressn: eccovi quest'arti colo. L' U11Uà è il solo giorna le, su cui credia mo di potere libera– ment e scrivere quel che pensiamo: aflidiamo a voi le nostre opinion i : pubblicatele ». Ora <1uesti scritt i, se presi uno per uno sono ottimi.. . dal loro punto di vista, - mesSi insie– me, forma no una congerie caotica di opinioni pol itiche, sociali, filosofiche, religiose, dispara– tissime. E se noi dovessimo o \'Olessimo pub– blicare tutto ciò che ci arriva dai quattro punti dell'or izzonte, l' Unild diventerebbe senz'altro la Torre di Babele. E mentre uno dei fini, anzi il fine fondamen– tale della nl)stra opera è proprio questo : aiu– tare, in questo periodo di disorie ntamento, me– diante la esposizio ne e la propaganda di idee chiar e e concrete, tutt i gli sperd uti uel buio ad nnaliz.zare sè stessi ed a trovare la loro strada, nttrlie contro d; 11oi, - noi con la pubbl icazione di tanti scritti contraditt ori, non faremmo se non aumentare la babilonia universa le. Perciò , anche a cos to di seminarn intorno a noi qualche delusione, noi sentiamo il dovere di di– chiarare che il nostro giorna le non è • indip en– dente • e e libero • nel senso che non abb ia un metodo di pensiero e di ai ione, ben de ter– minato e preciso , da diffondere e da far pre– valere. E il nost ro amico Carabellese ha avuto perfettamente ragione, quando ha affermato nel passato num ero dell 'Unild che il nostro giomalc sa rebbe perfettamente inutile, se non \'Olesse fare altro che discutere i singoli problemi, fram• mentariamente , alla cicca , senza un punto di vista il quale classificasse i prob lemi in ordine di urgenza, senu. una gerarc hia proconcetta di valori che diriges se la ricerca delle soluzion i, senza, insonuna, un siste ma di idee. E questo sistema di idee noi lo abbiamo. E I' Um'/d. è « di– pendente» e • scrvn » di esso. E sulo esso ha diritt o di cittadin :un-a nell'Unità. Non per niente il nostro giorna le si chianrn 1 ' U11Ud, e non puta– caso I. 'Anarrldn o I. 'Albci)ro tlel libero .rrambio. Con que sto non diciamo che escludiamo dal giorna le ogni opi nione, che non coincida mate– matic~miente con le nostre . Scritti , che contra– stino anche aspram ente col nostro modo di pen– sare, sarann o scm1>re i ben\'enuti , se ci sembre– ranno se riamente concepiti e utili a pubblicare. Ma li pubblich eremo , per trarne occasione ad af– fermar e contro essi il nostro • sistema di idee•· Sal\'O, beninte so, che i nostri contraditt ori ci con• vincano del nostro torto: nel c1u.,Icaso I' t ·11;/d si far:\ un dovere di lealtà di riconoscere giusta la tesi prim:l a\•,·ers;ita, e di passare a combattere per questa . Ma c1ues10 non \' UOI dire che un sis tema idee e un criterio fondamentale non debb ano domina re il giornale e 110n lo dominino di fatto. Qual e sistema d' idee? Quale criterio fonda· mentale? Ripr enderemo nel prossimo num ero la discus- sione. L'U !--IT,\. La festa della pace. Il mini st ro Credaro ha avuto il buon se nso di non :.ccoglierc il des iderio talpot:o bizzarro dei pacifisti nostraH, che avrebb er voluto che anrh t quest'a nno fosse celebrn ta nelle no5tre scu ole, come per benigna c<'ncessionc non so se dcli' on. Orlando o dell' on. Ra\ ·a da qualche anno si pratic a\':1, la cosidd etta festa mondiale della pace. E, in ver ità, sarebb e Stata una cosa goffa e grottesca e un oltrog gio alla coscienza e ali' intelligenza dei nostri ra~azzi e dei nostri giovani, i qu.tli hanno una sensibilità morale e logica più acllt:a e dt:licata di quel che molte volte noi non mostriamo di supporre , se, mtn– trc la guerra dura, le aule scolastiche avesser accolto insegn,mli e dis cepoli per sentir l' esa l– taz ione, su rime obbligate, dcli' idealità pacifista. t.. sarebb e stata una dura sor te e l' est rema ver– gogna anche per quetttu ideali là. La quale, a fu. ria di ummissioni e di rise rve, è di,,enuta qual– cosn di cosi elastico e flaccido da non meritare ncandt e pili il rispetto che meritano le utopie profess ate in buona fede , Ta le essa si sarebbe scrlrnw, se i pacifisti italiani si fossero messi a viso aper'lo contro la gu crru che orn· si comba tte . Ma sch iernrs i tra i faulo ri di questa e in par i tempo continuare, com' essi han fatto , a profes – sarsi militi pugnaci Jella loro fede, e anzi ca• vi IJJsamen te adoperarsi di adonesta r teorica– mente la loro insanabile t·ontrnddizione con porre l' 11 eccezione • della presente guerra co– lonial e accanto ali' 11 e~cezione • de1le guerre per la libertà e I' indipendenia, è tale offesa a! senso comune che non pare possibi le che uo– mini d'indubbia sincerità vi si sien lasciati im– pigliare cosi grossamente . Ma, per tornare nll' annuale celebrazio ne sco• lastica dt:lla pace, è da sperare che, pur a guerra finita, non se ne faccia più nulla; e che sia risparmiata ugli inseg nanti italiani l'umilia – zione di dove r riprendere e rip etere, a ogni 22 febbrnio, il ritor nello consue to. E ciò, dico, in– dipendentcmcnté cl.tlla miser in intrin seca, ora più manife stn che 11111i 1 del pacifis moi ma per la liber tà dell' inseg nam ento, e però anche dei professori. Fra questi c' erano e ci sono, pur troppo, dei pacifisti e degli Imperialis ti; ce n'è di quelli, come il sottoscri tto, che odia no la guerra pur non essendo inscritti nei libri della • Società internazi onale per la pace • i ce n' è altri ancora che ritengono la guerra una triste necessità anche del nostro tempo, pur odiando cordialmente e l' imperia lismo e il nazionalismo; ce n'è finalmente degli altri che non hanno nes – suna idea in torno a tutte ques te belle e brutte cose e non si capaci tano che altri vi si possa appassionare. Ora in nome di qual diritto pre– ten deva e pretende quel gentiluomo galantuomo che, nonostant e il pacifismo, è E. T. Moneta, che tutta questa gen te fosse e sia costretta - ufficialmente cos tretta - a farsi bandi tric e del verbo della Vita iulernacr'onale? Era ed è una vera ~ propria forma <l' intollerante cat tolicismo, uua violenza ali' auto nomia ideale e alla laicità della scuo la. Tutte le volte che mi toccò, per debi to d'ufficio, di fare, pur con tutte le consi– derazioni e gli arg omen ti che la mia dignità lo• gica richiedeva, la chiacchieratina pacifista, io mi sen tii um iliato, e sentii di non esse re un buo n educatore . E una volta spe cialme nte: quan– do, ave ndo app~na comincia to a discorrere sul non gradi to argoment o, fui interrotto da un mio car o discc1>olo, il quale mi chiese se dovevano, lui e i suoi compagni, tener buona nota di ciò che io ero per dir loro qu el giorn o o della cir– colare che la settima na prima il pres ide a\'eva lett o nelle cl:is1;i per I' instituzione, caldamente ra ccomanda ta <lui Ministero, dei batta glioni sco– last ici. lo feci, manco a dirlo, lacere qud /o;co se• clict:nne e rip resi più fiaccamente il mio dir e. (1) \'1 TT ORI O Osrn o. (I) Xon i 1oli paci fiu l han no pr ete10 di far e decl'i nieJtnanl i, per men o di una d ,colar e minitt erìale. i ra ppre 1en1an1i obbli- 1•t i delle loro mahncon ••• l.'aa no scon o, anche i nuio naliui andar ono in comraiu ione dal Mini1tro Credaro II chiedere che l'i1uetn•mer1to dell a Jtf!Otn fia fot te d1re1to a •c:opo di eui o– n111i11110 E al tempo di Nu ì, Xathu fece in1rod urr e nelle su ole I 0,. ,,- ,' J,1U ,.,,,,,,Nl di "11u i11i. E poc:hi 1i rend ono c:0110 dell• IC:Ollll'e11ieriu di q11e1te iapo1 i1io11i 11Ricial i. Pochi comprend ono che la co1c:l.-nH dea\' in.e1 naoli n rispeuua e lai c1ata 111,er a . l'oc:lli tent on o la con 1r1di1ione fra il wolere l'in 1e1n.ante tch ,n o • 111ar1oeet1• dell• opinio•i dei ll i•ì1tri e delle commiu iooi e de&li lndill'Mlui amici dei M1ni1tri , e il wolere ne llo •teoo tempo cb• l'in1e1nante ti• educalore di c•rall eri forti e libe ri. 5111110 tan i in fondo al c:oore, un po' pret i. E i pret i più pret i non te mpre sono i pre1i... Tntt '•hr o ! N. d D. Il u1an(Q LE SCUOLE SERALI NEL MEZZOGIORNO I mae,trl, All'aprirsi delle scuole ser ali del Mezzogiorno , nella stagi one autunnale o in\'ernal e, un fatto degno di nota e che si ripete ogni :1nno, è l'af– nuenza dei contadini, enorme ci:w\ ·ero, eia co– st ringer e a sdoppiar~, a trip licare le scuole, per la poca ampiezza delle aule, e per non agg ra– var e di tropp;-1 fatica l'in segnante. E per i primi ~;iorni, le cose vanno bene : puntua le il maestro, puntu ali gli alunni, che sacrificano \'Olcnticri il loro riposo alla fatica di adattare alle incallit e mani la p,enna. Ma ben prest o comincian gli inconveni enti. Una sera il maestro \'iene con grand e ritardo, quando già par ecchi, dopo aver gridato e pro– test ato vanamente, hanno pref erito andar \•ia, e a tutti sono passati tre c1uarti nlrneno di buo– na \'olontà . Un'altra se ra piove a dirott o, e il maestro si fa att endere invano. Ora la freddo, e il maestro preferi sce star e al caldu ccio, pres– so il focolar e dome stico. Ora nevica, e non c'è verso di farlo uscire . Ora è raffred dato, e mel– ter fuori il naso di sera, sar ebbe un esp orsi ad• diri tt unt ad una polmonite o bronc hite , Dio sa con quali consegut:nze. Orn è indispos ta la sua sign ora , e lasciarla sola sarebbe non uver cuo– re... Non diciamo che sin questo il caso di tutti i nrnes tri : sarebbe ingiustiz ia somma : non man– cano maes tri volenterosi, e perfino eroici. Ma in molti casi qutil che noi scriv iamo è la pura veri tà. Venendo meno il maestrn, quei cafoni, che ave\ •ano tanta voglia <l'apprendere , quanta il maestr o cli non fare il propr io dovere, sulle prime pnzienlano, e rimettono al domani quel che avrebber o potuto fare stnscra; ma poi, a poco a poco, cominciano ad annoiars i, a morm~ rare, a prot estare , a schiamazzare. Gente che ha il senso della praticità molto sviluppato, ben presto s'accorgono che incomodarsi ad anda re ogni sera, a quella determinat a ora , per aver poi il gusto di attendere, il pili delle volte, invano , è proprio tempo perduto. GU orari, E poi l'orario cosi fisso e rigido, se, sulle pri– me, in cui l'entusiasmo e l'int eresse d'appren– dere vincono ogni ost.tcolo, si soppo rta, diventa, a lungo anJare, un tormento adtlirittura. In una stagione i contadi ni rincasa no tardi , e, sfiniti come sono dal lavoro giornalie ro, hanno biso– gno di prendere un po' di cibo prima d'andare a scuola. Certe sere sono fradici di pioggia, ed hanno bisogno di asciugarsi ad una fiammata, e finisce frattanto la lezione, e non v'è più spe– ranza per quella sera. In altre stagioni sono disoccupati e hanno molte ore libere nella gior- · nata; e invece si debbono contentare di fare un'oretta soltanto di lezione, a tarda sera, o a fame a meno addirittura, perchè .... al maestro cosi piace. Sì convi ncono a poco a poco, che la scuola pubblicA scrnle , con quell'ora rio semp re fisso e rigido, non fa per loro. E pian piano, natur almente, se ne disafl"ezionano, finiscono col lasciarla. Le acuole private . E pref eriscono andare alle scuo le a pagamer. to, presso gente certo mr.no istru ita, presso la quale trova no, se pure, appena una sedia per seders i, dove si contentano di leggere o di scribacchiare per un'ora, una mezz'ora, un quar to d'ora, dove vanno quand o hanno tempo , do\'e hanno sem – pre da apprendere, anche ascoltando la lezione del compagno di lavoro, dove trovano I' inse– gnante, che, alla sua volta, è un operaio anche lui, Sempr e pront o, sempre affabile, sempre a loro disposizione, prrd, t I pagalo ;,, proporsione della utilità reale che produce. Ed è questo .appunt o il segre to della riuscita di queste scuole libere. E la conoscenza di que• sto segr eto deve indicarci la via per rende re davvero produttiv e le scuo le serali pubbliche. L' impr oduttivit:\ della scuola pubblica non dipende già dalla nrnnca nza (sì lamen ta, anzi, il contrario ) o dalla cretineria clegli alunni: dipende , invece, dal ness un interesse persona le del maestro n far andar bene la scuola, dalla convinzione che il maestro ha di per cep ire, a tempo debito, le sa cros, mte 250 lire annu e, la• vori o no, frequ cntm o o non frequentin o gli alunn i, traggano o non trag gano profitto dal suo lavoro. Il paca.meato a collimo. Si guada gnereb be moltissimo in solerzia e in moralit.i., se, in, ·ece d i da re indistintamente a tutti i maestri una somma annun fissa, ricom– pensa che sar.\ se m1>re troppo generosa per i poltron i, e insuftìcient c per chi h1vora, si ridu- cess e a lire 100 annu e lo stipendio fisso, e si dessero al maestr o, a tit?lo di premio, 10 lire per ogni alunno, che, prepara to da lui, superasse la prova fin:.1le. Ecco in qual modo questa proposta può es– sere praticament e attuata. L'anno scors o si fece Il censimento della po• polazion e, e ciascun o dichia1ò se era o no anal– fabe ta. Si pr enda notn de lla dichiarnzione di alfabetismo o una lfabeti smo sullo sta to civile di alcun c:ttadino , come si prend e nota dello stato di celibe, di amm ogliat o o di vedovo. Quando il maestro dichiari di avere non meno di 1c analfabet i da presentare agli esami, tre ispettori scolas tici vanno nel Comune o fra. zione Ji Comune in cui risielle l'insegnan te ; verificano dai certificali rilasciat i dallo sta to ci\·ile se i candid.:ui siano realment e analfabeti; fanno gli esam i ; rilasciano al maestro una di• chiarazione di credito di 10 lire per ciascun can• didato approvato; e comunicano allo stato civile i nomi dei prom ossi, affinchè si pr enda nota del• l'avvenuto cambiamento nei registri, e non sia possibile a chi sa già legc:ere e scrivere di anda re in giro di qua e di là a dare esami per tutt o l'anno, facendo la proft:ssionc dell'analfabeta . La spesa si µuò mette re insieme col fondo dell' emigrazio ne, che il go\'Cmo ha il dovtre di ut ilizza re per gli emigranti 111eridionali , e che non si potrebbe impìegure meglio che clistrug• gendo l'analfabetismo degli emigranti medesimi; con gli avanzi della legge de l Mezzogiorno, che il Ministero dcli' istruzione non sa come im• piegare; e col risparmio sugli stipendi fissi per le scuole sernli, che sono stati aumentati k L 250 annue secondo la legge sulla II istruzione elementare e popolare • del 4 giugno 19n. Una legge siffat ta accrescerebbe lena ai diii• genti, e scote rel,bc anche i più ostina ti pol– troni. Quando, a conti fatti, il maestro capirà che, facendo sul ser io lezione a una trent ina o una quarantina di alunni, a 10 lire annue ciascuno, trov erà alla fine dell'unno, oltre lo stipendio fisso, un'altra bella sommetta, andrà egli stesso in cer ca degli alunni, cioè non li cercherà nep– pur e i quest i andra nno a lui: busta ch'egli non li rimandi ind ietro , non li tra tti mole, non fac. eia loro perder e la pazienza; bas ta che s"ac– cordi con essi per l'orario, rimandi o anticipi la lez ione secondo le conveni enze, secondo le sta • giooi, secondo gli usi del paese, che si accordi con loro mese per mese, e nella più disperata delle ipotesi, settimana per se ttimana. li mae– str o non baderà se abbia fatto quel dato nu– mero di lezioni richiesto dai regolamenti, che ora se mai, compie straccamentc , distrattamen te, negli gen temente . Ne farà di meno o di pili; ma le farà con più energh1 con pili amo re. Adatterà il metodo ali' intelligenza dell a sco la– resca. Seguirà magari gli alunni in campagna . Farà ciò che /an,,o ora g/; ins,g, ,anti pn·vali. Dat a questa riforma, i regolamenti scolastici dovr ebbero cessare di essere inutile ostacolo alla buona volontà, allo zelo e ali' interesse, in q1..1csto caso, di tutt i. Do\'reb bcro lasciar li• b~ro il maestro nell'esplicare la propria mis• sione, come e quando gli piaccia ; dovrebbe ro lasciar fare al maes tro, che vive ndo la vita del paese in cui insegna, stando in continuo con• tatto col popolo, ne conosce le necessi tà e i bi– sogni molto meglio di chi filosoficamente e di lontano ha compilato i regola:nenti scolastici. In questo regime di libertà, i maestri buoni guadagnerebbero di più; gli incrti,stimola ti dalla speranza di maggior guadagno, farebbero essi pure qualche cosa , e compirebbero alla men peg– gio il loro dovere. I poltroni incorreggibili non avrebbero alunni, e rimarrebbero senza quat– trini . La scuo la, per un verso o per l'altro, gua– dagne rebbe in utilità e moralità . R . C1.ASCA. La Libr eria della Voce, (Piazza Da– vanzati , Fir enze), ha pubblicato nei Qua– derni della Voce: G. SALVE1nNr, Le Me– morie di un candidato ( La elezione di AI/Ja110 Laziale). Un volume <Ji pag . 105 L. 1,25 . Si accettano commissioni dal- 1' Amministrazione dell ' Unit(i,, Si pregano vivamente quei signo ri, che ricevono I' UNITA e che non intendono abbonarsi, a voler respinge re il a-iornale senza staccare la fasutt a per evitare un la– voro inutile a questa Ammini straiione .

RkJQdWJsaXNoZXIy