Una città - anno IV - n. 33 - giugno 1994

J • giugno Ancora su Berlusconi e soci e su una possibile sinistra. Carlo Galli ci parla di un liberalismo antistatale, di un Berlusconi extraparlamentare e di una sinistra con la testa nei sogni. In seconda e terza. IN RWANDA ALIBI ETNICO? L'insieme dei fattori politici, ancor più di quelli etnici, che, secondo Françoise Kalinke e Shadrac Musoni, ha provocato la tragedia del Rwanda. Con "orti di guerra" di Edoardo A/binati. LA SOCIETA'. Aldo Bonomi ci la l'analisi impietosa dell'incapacità a sinistra di capire la nuova e selvaggia composizione sociale della società, in cui è centrale il lavoro autonomo. In quarta e quinta. L'ALIBI ANTIFASCISTA è l'intervento di Rocco Ronchi. SENZA RECIPROCITA' NULLA FUNZIONA è il motto di Cesare Moreno, maestro elementare in uno dei quartieri napoletani dove usa devastare scuole, minacciare maestri, e dove i bambini si disperdono lontano dalle scuole. Al CAMPI FLEGREISENZA TV è il racconto dell'impegno degli alpinisti napoletani a fianco di ragazzini a rischio. In quinta e sesta. COSTI E COSTUMI sono quelli che in tutto il mondo condizionano la natalità e i comportamenti della coppia. Come influenzarli per far sì che ci siano meno figli nei paesi in via di sviluppo e, casomai, qualcuno in più da noi? La conferenza del Cairo e la polemica del papa. Intervista a Massimo Livi Bocci, grande esperto di demografia. In ottava e nona. UN SOLO ORIZZONTE. Fulvio Papi ci parla di un futuro oscuro ma in cui anche le potenzialità del soggetto restano incognite. In decima e undicesima. Con SAVONAROLA E LA LIBERTA' di Giannozzo Pucci e UTUVAR di Michele Co/alato. SHIVA, BUDDHA E TOMMASO DIDIMO è il diario di viaggio di Giovanni Tassoni, lungo la via segnata in India da Thomas Merton e Sede Grilliths. I FIGLI DI UN DIO MINORE è l'intervento di don Sergio Sala. In dodicesima e tredicesima. L'ULTIMO PALLIATIVO. Giuseppe Fattori ci spiega l'importanza della cura domiciliare e di come tecnologie e farmacologia stiano contrastando con successo quel dolore senza speranza che isola e distrugge. In dodicesima e tredicesima. Insieme a LA VOCE DEI SOPRAVVISSUTI di Antonella Annedda e a IL BUCO DELLOZONO di Vincenzo Buglioni. RICORDARE INSIEME Al NIPOTI è il racconto di Laura Bonaparte, una delle madri di plaza de Mayo, che nei lontani anni 70 perse tutti i suoi cari. In ultima. Bianco

un inese di un anno In questo numero. Di fronte al Rwanda che dire? Quando la tragedia assume simili proporzioni sembra calamità naturale contro cui nulla si può. E ci si rassicura. Ma i due giovani tutsi che abbiamo intervistato ci hanno detto che se ora non si può fare più nulla prima si poteva fare tutto. Che forse sarebbe bastato quel banale governo di transizione, già concordato da tutti, garantito dall'Onu e rimandato continuamente, perché gli eventi si incatenassero diversamente. Cosa è vero? Chissà se all'Onu dei rapporti sono passati di mano in mano con noncuranza, se delle riunioni si sono concluse con dei nulla di fatto. Chissà se è per non aver ascoltato l'allarme di un qualche africanista che la faccia della terra è cambiata per sempre. Il nuovo liberalismo che vede solo corruzione nello stato. La fine della mediazione e la distruzione, forse irreversibile, del parlamento ad opera dei vecchi partiti. Un Berlusconi extraparlamentare, la sterminata platea piccoloborghese e la piazza televisiva. Intervista a Carlo Galli. La storia si fa con i se. Più che mai oggi che sappiamo che non c'è alcuna strada maestra. E se l'idea rassicura meno, in compenso obbliga alla speranza. E alla responsabilità. Cesare Moreno che fa il maestro a Napoli ci ha raccontato di quanto sia delicato il momento in cui un ragazzino arriva a scuola dopo che gli hanno arrestato il padre, di quando, per mettere in difficoltà chi pesta i bambini, si è autodenunciato al tribunale dei minori per uno schiaffo dato a un bambino che si stava facendo del male. Ci ha raccontato della lotta perché i bambini restino a scuola. Di come, per questo, la sua scuola sia stata demolita e lui, coi suoi colleghi, minacciato. Cesare Moreno, che fu dirigente del 68 e ha 50 anni, sul problema dell'evasione scolastica avrebbe delle idee. Ora il ministro, dopo averlo s~n~ito a Milano Italia, l'ha assunto. Auguri a Moreno che vuol fare qualcosa per i bambini di Napoli e anche, sincf!ri, al ministro di un governo che detestiamo. Il fatto è che noi crediamo che in caso di vittoria i progressisti non l'avrebbero chiamato, Cesare Moreno. E chissà se almeno hanno capito che questa non è l'ultima, delle ragioni della sconfitta. Giuseppe Fattori, giovane primario di anestesia, dopo anni passati a discutere, con altri amici medici, "di filosofia, di politica, dei grandi principi" s'è stancato e ha deciso di far qualcosa. E anche se lenire senza poter guarire non può gratificare molto un medico, ha scelto di fare assistenza a malati terminali. E ora, chiamato dalla regione, sta tentando un 'esperienza di cura domiciliare all'avanguardia in Italia. Ci ha detto, fra l'altro, che l'uso delle tecniche più sofisticate dell'odierna tecnologia potrebbe invertire una delle tendenze più avanzate e odiose dei nostri tempi: l'ospedalizzazione del moribondo. Dipenderà anche dai fondi che un ministro penserà giusto concedere "al palliativo", purtroppo così poco prestigioso. Così chissà come si morirà col governo Berlusconi. Bisognerà poi che alla fine decidiamo se quello là ha vinto per la televisione o no, perché cambia un po'. Bonomi ci ha ripetuto di no, che con Berlusconi s'è schierata gente che pensa, che ragiona sui propri interessi, che vuol cambiare, che vuol contare, che semmai è il partito Publitalia che ha vinto, non quello Fininvest, che era la sinistra a starsene di fronte alla televisione a guardare le piazze di Santoro piene di "gente" a fare il karaoke della politica, che erano i progressisti ad aver perso ogni senso della realtà sociale ... E allora? Allora viva la politica. Carlo Galli i11seg11astoria delle dollrine politiche ali' Universilà di Bologna ed è redailo re delle riviste "Filosofia politica" e" li Mulino". I partiti che hanno vinto le elezioni sono veramente di destra? E di quale tipo? Sicuramente sono delle destre, al plurale, anche a prescindere dalla decisione sul significato del termine "destra''. lo credo che questo termine abbia un significato, che ci siano ancora delle linee di frallura che separano la destra dal la sinistra anche se, probabilmente, sono diverse da quelle tradizionali. In Italia, oggi, c'è una pluralità di destre, così come c'è una pluralità di "non destre", ed il discorso va necessariamente scomposto perché, ad esempio, c'è la Lega che nega di essere di destra e che possiamo definire tale soltanto in un'ottica piullosto vecchia. Credo tullavia che la questione intorno alla quale si sono divisi gli italiani sia quella dello Stato: su questo si sono formati due schieramenti, uno dei quali comprende tulli coloro che hanno un rapporto positivo con lo Stato democratico e con le istituzioni, mentre nell'altro ci sono coloro che hanno un rapporto di contestazione del lo stato democratico e del le istituzioni democratiche. Ma qui bisogna chiarire, perché non sto dicendo che sono illegittimi quelli che stanno a destra, sto dicendo che sono portatori di una legittimità parzialmente diversa. Mi spiego: questa curiosa sinistra statualistaistituzionale in che cosa è "sinistra"? Lo è sia nel difendere l'idea astratta, generale, che la convivenza politica sia inevitabilmente mediata da istituzioni pubbliche, sia nel la consapevolezza storica che le istituzioni pubbliche sono queste istituzioni. E' da qui che nasce I' insistenza sull'antifascismo (e non credo che sia nata come un'insistenza faziosa e settaria, perché se fosse stata concepita così sarebbe stata una catastrofe) come invito a riconoscere che ciò che vi è di comune è ciò che nasce da un conflitto, che la vera pacificazione è il riconoscere che l'origine delle nostre istituzioni politiche è un conflitto, perché non solo la politica passa attraverso istituzioni pubbliche, ma queste nascono da un conflitto e sono legittime in quanto di quel conflitto sono il superamento ma non l'oblio. Questa consapevolezza, come anche la consapevolezza che in ogni caso la politica si dà solo allraverso le istituzioni, è una cosa che nella sinistra non era molto di casa, perché la sinistra era spesso una sinistra sociale, dunque -almeno storicamente, penso agli anarchici- nemica delle istituzioni. Ecco, questa acquisita consapevolezza era il motivo per cui questa volta le sinistre si presentavano con Spaventa, con Visentini, cioè con i grandi borghesi consapevoli del fallo che le istituzioni concrete, storiche, sono le istituzioni borghesi nel senso del la borghesia come classe universale. Quei pochi borghesi che sono stati capaci di pensare alla borghesia come classe universale sono stati con la sinistra e la sinistra è stata con questi, scegliendo come terreno minimo di determinazione e di autodefinizione la lealtà verso le istituzioni. Tutto questo è stato elettoralmente catastrofico, perché l'ha falla percepire come pedagogica e come vecchia, cioè legata alle istituzioni corrolle, mentre immagino che la sinistra volesse invece far passare un messaggio di riqualificazione democratica delle istituzioni. Dall'altra parte c'erano i portatori di un pensiero politico complesso e variegato. Alleanza Nazionale certamente è statualista, come lo è la gran parte delle culture della destra tradizionale (anche se vi sono delle culture politiche di destra non statualiste, ma sono quelle estremiste, eredi di una tradizione di critica alla politica moderna e alla sua forma, cioè allo Stato) che hanno sempre fatto un discorso di Stato autoritario, ed il punto è che questo è uno statualismo che non riconosce legittimità allo Stato democratico. Delle due condizioni che devono coesistere (la politica passa attraverso le istituzioni pubbliche e queste sono quelle storicamente date) la prima era accettata, ma non era accettata la seconda. Nel cartello elettorale vincente c'è poi un'altra destra, quella di Berlusconi, che è erede di un pensiero politico che dà un'interpretazione del liberalismo in senso non statualistico. Noi siamo abituati a pensare al liberalismo come alla cultura politica grazie alla quale la borghesia come classe universale ha costruito lo Stato -Cavour era un liberale e ha fatto lo stato italiano, Croce si definiva liberale ed era un pensatore dello stato-, ma nel secondo dopoguerra è emersa una tradizione di liberalismo non statualista, il liberalismo anglosassone, che fonda la politica come male minore, come swto minimo, cioè come coesistenza che non passa allraven,o le istituzioni pubbliche, ma attraverso la libera interpretazione dei singoli. In questa concezione le istituzioni pubbliche sono qualche cosa di residuale e la convivenza passa attraverso la intrinseca, quasi organica, capacità di produrre configurazioni ordinative che starebbe nel livello individuale e sociale della produzione, della acquisizione. Per questa corrente politica, cioè, esiste la possibilità di produrre ordine per adattamento storico. In fondo è una traduzione moderna delle concezioni di Hume o Adam Smith, se vogliamo è la fede in un ordine spontaneo ed evolutivo, non in un ordine razionalisticamente imposto alla società. Questa concezione è frutto della storia dei paesi anglosassoni, del loro maturarsi attraverso rivoluzioni che non hanno prodotto la forma della rappresentanza assoluta, come invece è accaduto in continente. Questa concezione liberale ha, di fatto, una debole valutazione del momento pubblico statuale ed una sopravalutazione dell'iniziativa privata, la sua critica non è soltanto "il pubblico è corrotto", ma si tende a dire che il pubblico non può non corrompersi, che non esiste un pubblico non corrotto se non quando viene drasticamente ridotto nella sua capacità di intervento. L'ultima componente significativa dell'alleanza governati va è la Lega, che per definizione è nemica dello Stato. Non a caso si affidava a un pensatore politico come Miglio, che ha interpretato Schmitt proprio come superatore dello Stato e che lo ha criticato in quanto non abbastanza radicale. In questo contesto è stato fondamentale anche il fatto che la sinistra non abbia più una cultura politica precisa. Di sicuro non ha più una cultura politica marxista -anzi, l'unica cosa di cui siamo certi è che il marxismo, in ogni sua variante, non fa parte né degli strumenti analitici dei singoli intellettuali della sinistra, né di un piano, di un progetto, di un programma di sinistra- •ma l'abbandono di uno strumento così potente ha certamente dei costi, anche se era uno strumento pregiudicato dall'inefficienza sposata alla dittatura. Di fatto, comunque, l'assenza di una cultura politica determinata, specifica, qualificata, si è sentita e nella sua formulazione migliore la sinistra ha prodotto un progetto di austerità liberal, ma con una componente di liberalismo non anglosassone, perché almeno da questo punto di vista la sinistra è interna alla tradizione italiana. Quello della sinistra è un liberalismo allento ai diritti finché si vuole, ma questi diritti li traduce in istituzioni o, come dicono loro, in servizi, anche se la sinistra più volentieri che dirilli dice solidarietà. Detto tutto questo non abbiamo detto niente, cioè non abbiamo detto perché le destre hanno vinto. Perché hanno vinto? Hanno vinto per merito di Berlusconi. Lui ha realizzato la condizione topologica della vittoria, cioè ha consentito che non si ripetesse quello che per lui è stato il disastro di novembre, è riuscito a far stare insieme Lega e Anche, prima, insieme non sarebbero mai stati e ci è riuscito non perché se li è comprati, ma perché ha allinto a un livello di legittimità diverso da quello delle istituzioni. Prima di tutto Berlusconi ha visto che oggi il vero livello della legittimità non è quello delle ideologie -cioè ha visto che la politica non passa più attraverso Je istituzioni, che le istituzioni non spiegano più niente- e poi ha avuto un'intuizione geniale capendo che oggi la politica funziona in un altro modo - cioè funziona attraverso la televisione, che a sua volta vuole dire che la politica è oggi, per la prima volta, veramente ridotta ad immaginee su questo altro modo lui è portatore di una potenza decisiva. Ma se la percezione della legittimità della politica non passa più né attraverso la semplice esistenza delle istituzioni, né attraverso una specifica qualificazione storico-politica di quelle istituzioni, penso si possa dire che quello che i cittadini italiani hanno voluto, anche senza saperlo bene, è stato il superamento della politica. E l'hanno voluto perché la prima repubblica ci ha lasciato, fra gli altri regali, anche il disgusto per la mediazione politica. "Mediazione" è stato sempre adoperato come il far stare insieme a tutti i costi quello che non può stare insieme e questo ha fatto passare alla gente la voglia di essere mediati dall'alto. La gente, in sostanza, ha detto: "Se mediazione deve esserci, almeno avvenga con minor spesa, non c •è bisogno che ci paghiamo un ceto politico per fare questo". La società che si vuole autogestire politicamente, contro la vecchia politica ... è questo che ha capito Berlusconi. Tutto questo è la fine della politica intesa sia come rappresentanIN RWANDA ALIBI ETNICO? vano come il presidente venivano chiamati "tutsi", ma molti confondono e pensano che la guerriglia sia solo dei tutsi. Non è solo dei tutsi, anche se i tutsi erano già contro il presidente. I giornali devono dire che sono hutu e tutsi insieme, che insieme vogliono il Rwanda vivibile, migliore. Come è possibile che fra due etnie che parlano la stessa lingua, professano la stessa religione, vestono e mangiano allo stesso modo, si arrivi al genocidio? Scontro etnico o anche, e soprattutto, politico? Intervista a Françoise Kalinke e Shadrac Musoni, tutsi. " Ci si chiede cosa stia succedendo realmente in Rwanda, da dove venga una cosa del genere ... Shadrac. Il fatto di non sapere autorizza spesso a fare delle semplificazioni, liquidando la situazione con la spiegazione che fatti spaventosi come quelli del Rwanda succedono perché ci sono due etnie che si scannano, per cui, quando avranno finito, si penserà ad aiutare chi avrà preso il sopravvento. Ci si chiede cosa è successo, come mai sia avvenuta una cosa del genere, ma quel che succede non è troppo sorprendente: quando un insieme di fattori che possono determinare una situazione esplosi va si trovano tutti assieme una situazione del genere può scoppiare dovunque, la Jugoslavia è qui vicino, basta semplicemente che qualcuno che vuole pescare nel torbido accenda la miccia: è quello che è accaduto da noi. II problema ruandese non è nato il 6 aprile, quando è stato ucciso, in un attentato, il presidente in carica: il grosso problema di quasi due milioni di fuoriusciti, per esempio, c'era già: erano cittadini ruandesi cui si impediva di accedere al proprio territorio perché una fazione si era appropriata del paese. E' una cosa inaccettabile, inconcepibile, eppure è accaduta per trent'anni. Françoise. II presidente, adagio adagio, aveva messo tutto il paese sotto il controllo della sua famiglia, della sua gente, e chiunque poteva vedere questa ingiustizia. Nella scuola, poi, uno non riusciva a studiare perché era intelligente, ma perché veniva dalla famiglia o dalla regione del presidente. All'interno e all'esterno, quindi, B1bl" A . c'era una situazione esplosiva, che spingeva a reagire. La reazione è stata che i ruandesi di fuori si sono organizzati e hanno chiesto, passando dall'Onu, di rientrare, ma il presidente ha rifiutato, mentre all'interno ammazzava o metteva in galera chi si rivoltava. Allora quelli fuori dal Rwanda si sono organizzati e quelli dell'interno sono riusciti a scappare per raggiungerli: i "ribelli" sono solo persone che vogliono giustizia. E' così che la guerra, nel 90, è scoppiata e per reagire a questa guerra il presidente ha cominciato una politica molto dura, finendo per confondere il paese con il suo bene, col potere che non voleva dividere. S. Capisci che quando, dall'alto della sua potenza, un individuo si comporta in questo modo e trova udienza ovunque -andava in giro a fare discorsi del genere: "Il paese è piccolo, non c'è posto per tutti, voi che siete fuori cercate di trovarvi una sistemazione così risolviamo il problema" e nessuno gli diceva nulla, anzi, gli è stato dato un aiuto consistente pensando che ormai il paese fosse di sua proprietà- è difficile non reagire. Il disastro che è stato fatto è una responsabilità ruandese, nessuno lo mette in dubbio. ma ci sono stati degli aiuti, delle agevolazioni, degli atteggiamenti che non sono certo meno condannabili. E' certo un aspetto del razzismo che si pensi che certi atteggiamenti "da quelle parti". in quei paesi incivili, si possano tollerare, che non succeda nulla. F. Sulla carta d"identità ruandese c'era scritto il nome dell'etnia -hutu, tutsi o twa- e sono stati questi nomi quelli che hanno permesso alla gente di ammazzare subito. Il fatto che ci fosse scritta l'etnia sulla carta d'identità -anche se nel passato ci sono stati matrimoni misti e talvolta non potevi nemmeno distinguere uno dall'altro- in Sud Africa sottolineava l'apartheid, mentre in Rwanda succedeva la stessa cosa e nessuno diceva niente. S. La pazienza ha un limite, la gente si è organizzata e, dopo aver tentato un ribaltamento politico della situazione, è stata costretta a ricorrere alla forza. E' così che l'opposizione, da politica, è diventata una opposizione armata che ha invaso il paese e, come nella maggior parte dei casi quando una guerriglia armata è ben preparata e motivata, ha preso il sopravvento. Il governo, infatti, è stato costretto a venire a patti e ad intavolare delle trattative serie per risolvere il problema. F. Volevo sottolineare una cosa: quando è cominciata questa guerra il presidente ha cominciato a dire che i guerriglieri erano ugandesi, ma alla fine ha dovuto accettare il fatto che chi lo attaccava era ruandese. Ha dovuto rendersi conto che in Rwanda aveva creato una situazione invivibile, in cui i giovani non avevano un avvenire. Mio fratello, per esempio. ha 17 anni e doveva studiare. ma la scuola non gli permetteva di studiare ed è dovuto andare nella guerriglia. Dicono che i guerriglieri sono tutti tutsi: no, non sono solo tutsi, sono di tutte e due le etnie. Anche gli hutu moderati. come l'ex primo ministro. andavano con i tutsi. Tutti quelli che non la pensaMa quanto, storicamente e attualmente, è rilevante la questione etnica? S. La questione etnica viene strumentalizzata, anche storicamente. Le differenze esistono, questo è vero, ma è anche vero che, quando sulle differenze si vuole imbastire qualcosa, le differenze si trovano sempre. Ultimamente il presidente, che promuoveva questa politica etnocentrica, aveva trovato una ulteriore divisione: visto che le risorse non erano più sufficienti neanche a coprire le esigenze di tutta la base hutu, è accaduto che in seno al raggruppamento degli hutu si è creata una nuova suddivisione fra quelli del sud e quelli del nord (il presidente era del nord) e quelli del sud sono stati emarginati. Mano a mano che si assottigliavano le risorse, poi, la cerchia si è ristretta alla collina, alla famiglia, del presidente, tant'è vero che anche molti hutu del nord sono fuoriusciti, sono diventati profughi e ora fanno parte del fronte patriottico. dei cosiddetti ribelli. Tutto questo dimostra che quello in atto in Rwanda non è uno scontro etnico: anche gli hutu sono vittime dei massacri. F. Il fatto etnico, poi, è stato sottolineato in modo sbagliato. C'è un grosso disequilibrio numerico -i tutsi sono il 15-20%, gli hutu 1'80-85%- e questo fa sì che un politico, invece di proporre un programma democratico. vada a fare la sua campagna sull'etnia, così è sicuro di aver subito una maggioranza del 90% . Se tutsi e hutu fossero 50 e 50 queste cose non accadrebbero perché questa questione della razza non funzionerebbe più; anche se le differenze esistono, si vedono, ma al mondo le differenze esistono. La nostra storia ci parla di una convivenza pacifica, non è mai successo prima quello

! za che come rappresentazione ... Certamente. Il punto è che noi siamo ancora a chiederci che senso ha Alleanza Nazionale nel governo, ma non ha nessun senso perché non deve più aver senso. Non ha senso An, non ha senso il federalismo, non ha senso questa cosa che viene chiamata liberalismo: ha senso il fatto che c'è r auto-trasformazione di un blocco storico di interessi in politica; un blocco storico composto dal grande capitale, dalla borghesia media dell'imprenditoria e delle professioni e dalla sterminata platea dei piccolo borghesi. Questo blocco storico, che era grosso modo il blocco democristiano, adesso esiste senza bisogno di essere messo in forma dalla rappresentanza politica, da un'ideologia, dal sistema dei partiti, dalla mediazione della Chiesa, adesso basta la televisione. Berlusconi ha capito che il desiderio di liberarci dalla politica corrotta produceva dei voti che non erano ideologici e che ci si voleva liberare non tanto della politica corrotta quanto della politica tout court. Berlusconi ha capito che la politica, nella sua forma tradizionale, è sempre più residuale, le istituzioni sono sempre più residuali ... Con la perfetta saldatura fra rappresentanza e società Berlusconi potrebbe diventare invincibile ... Berlusconi al momento è invincibile per almeno tre motivi. Primo, perché è topologicamente indispensabile a far sì che questa coalizione di forze si esprima elettoralmente, lui è il mediatore, il padrone dei media; in secondo luogo è invincibile perché è lo snodo fra l'alta finanza, la grande industria e la borghesia italiana; terzo, è invincibile perché ha intercettato e anticipato la fine della politica. Quando Michele Serra, riferendosi a Berlusconi. dice che tutti i dittatori adoperano il calcio si sbaglia: un dittatore normale, come il nostro Mussolini, faceva politica e poi politicizzava il calcio, mentre Berlusconi fa il calcio e poi spende in politica la legittimazione così acquisita. In Berlusconi c'è un elemento poderoso di continuità col passato, il blocco storico egemone è assolutamente lo stesso, ma c'è anche una rivoluzione nella forma e rivoluzione della forma vuol dire rivoluzione della tradizionale messa in forma del sociale e questa messa in forma erano, ahimè, le istituzioni. Berlusconi non è un eversore delle istituzioni, semplicemente sta facendo politica al di fuori delle istituzioni, ma non è un extraparlamentare nel senso classico del termine: sta facendo quello che gli italiani vogliono ... Temo che la distruzione del Parlamento, operata dalla prima repubblica, dai partiti, sia irreversibile e nobile e patetico, nel senso buono del termine, è chi dice che questo non è... Tutto questo può favorire uno sviluppo di tipo autoritario? Berlusconi è portatore di un'aura che non è carismatica -anche questa è una categoria vecchia- ma è un'aura mediatica, che realizza quel che i vecchi carismatici realizzavano una volta con la parola, cioè di far sognare le folle. Ogni carismatico è questo, Hitler, Martin Luther King erano questo: "Io sono colui che vi fa sognare il vostro sogno", ma in realtà ci fa sognare il suo, che, guarda caso, è costruito in modo da esprimere ciò che dalla gente proviene: "Io sono voi, voi siete me. Io sono il modello che voi avete già dentro". Berlusconi fa questo con la tv, non soltanto veicolando in via subliminale l'idea che il mondo è il mondo della tv, ma, appunto, anche come gestore e proprietario dei media che in essi si dissolve. Da questo punto di vista ha un '·carisma" invincibile, perché lui non si serve della mediazione: è lui stesso la mediazione in atto. Nel momento in cui è entrato in politica aveva già vinto, perché l'Italia era già diventata un teatro televisivo, la legittimità nella forma tradizionale non c'era più. Certo nel risultato elettorale ha giocato anche il fatto che gli italiani sono un popolo più anticomunista che antifascista, forse proprio perché il fascismo 1·abbiamo prodotto noi, lo conosciamo bene, sappiamo che in quella forma non torna più. Non credo ci siano pericoli di svolte autoritarie, perlomeno non nella forma tradizionale. Perché mai distruggere, in forma visibile, la libertà politica e perdere anche del tempo a teorizzare che è giusto distruggerla? Il fascismo era questo: distruggeva la libertà politica e ci costruiva sopra un'ideologia. Ma perché fare tutto questo quando l'obsolescenza delle istituzioni può essere tranquillamente aggirata attraverso altre forme di legittimazione? E' chiaro che adesso c'è maggiore visibilità, maggiore spazio, per coloro che in vario modo non hanno un'attitudine antifascista -si definiscano poi fascisti, postfascisti, a-fascisti, chiaramente non sono antifascisti-; ma i politici di Anche sono diventati ministri non faranno niente di diverso da quello che farebbe un normale ministro democristiano doroteo; io proprio non sento che ci sia alcun pericolo imminente o remoto. Semplicemente è successo che la legittimazione antifascista delle istituzioni non c'è più: adesso può governare un fascista, un antifascista, un afascista, un post fascista, che non importa più niente a nessuno, perché nessuno ripropone né il fasciche sta succedendo oggi. Tutto è cominciato con la repubblica. perché ci voleva un presidente e allora: un presidente tutsi o hutu? Lì è cominciata questa storia di massacrare gli uni e gli altri. Prima, quando c'era la monarchia, prima della colonizzazione belga e anche dopo, prima dell'indipendenza, queste cose non sono mai successe. Potete andare a cercare in tutta la storia del Rwanda o del Burundi, perché sono due paesi con gli stessi problemi: vi sfido a trovare dei massacri; mai sano, ci vuole una certa organizzazione. F. Alla radio e alla tv ruandese c'è sempre l'incitamento a massacrare gli altri: massacrate!, massacrate!, ma non si può responsabilizzare un intero popolo, perché gli assassini li conosciamo e non si deve permettere che questa gente se la cavi. Basterebbe una complicità internazionale -cioè fare le trattative che i ribelli hanno rifiutato perché avevano già firmato un accordo, fare qualcosa che assomigli alla pacificazione- perché i colpevoli rimangano al potere e senza essere puniti. Dopo la morte del presidente, infatti, hanno preso il potere, non hanno fatto un governo di transizione, e hanno approfittato di questo potere. successo. Ma c'era una aristocrazia tutsi dominante? F. Ce n'erano due, anzi tre, perché tutti parlano di due etnie, ma ci sono anche i pigmei, che erano originari del paese. Poi, per via delle migrazioni, arrivò il popolo bantu, quelli che adesso chiamano hutu, e poi i tutsi, che erano pastori e soprattutto cacciatori. Ovviamente bisognava difendere il territorio e chi aveva il coraggio di difenderlo? Chi era più disposto a dare battaglia? Erano i tutsi, perché erano guerrieri, e gli altri li lasciavano governare. Il re da noi non era come un re occidentale, che aveva una casa bellissima mentre gli altri 1·avevano povera, da noi il re viveva in modo quasi uguale agli altri, aveva sempre quella capanna, non c'erano differenze economiche. Era un'aristocrazia molto diversa da quella cieli' Europa. Sono stati i belgi che hanno cambiato tutto. S. Bisogna, però riconoscere che questa aristocrazia è esistita e si è lasciata strumentalizzare. Per controllare il Rwanda i belgi si sono basati su questa aristocrazia tutsi, anzi sull'oligarchia che c'era fra i tutsi. Nonostante i massacri vengano indirizzati contro i tutsi, sarebbe però ingiusto dire che sono gli hutu quelli che stanno massacrando: ci sono dei manovali del crimine, aizzati da una oligarchia hutu che sa quello che fa e che è la responsabile di quello che sta succedendo. E' per que~to che insistiamo a chiedere un tribunale di guerra, una Norimberga, che indaghi e valuti le responsabilità, che condanni quelli che hanno programmato questi eccidi. Perché queste cose, al livello in cui stanno accadendo, non si improvviUn intervento internazionale potrebbe servire? F. L'intervento internazionale potrebbe, al massimo, risolvere il problema nel modo più sbagliato. Infatti favorirebbe il governo ufficiale. da tutti considerato il responsabile della situazione. L'intervento dell'Onu ci andrebbe a genio per aiutare la gente, per aiutare i feriti e i rifugiati. Quello che ci vorrebbe è da mangiare, ma una soluzione politica sarebbe sbagliata. E se l'intervento ci fosse stato prima? F. L'Onu aveva tutte le carte in mano: c'era un accordo -che tutti applaudivano. "Finalmente qualcosa è stato fatto"'- che il presidente e l'opposizione avevano firmato in agosto dell'anno scorso e che prevedeva un governo di transizione composto da tutti i partiti politici. compresa l'opposizione che avrebbe avuto tre o quattro ministri. 11presidente convocava queste frazioni, però poi rimandava sempre la formazione del governo al giorno dopo. fino a quando è mono (e tutti sanno che ad ucciderlo è stata la sua gente. proprio per non cedere il governo), ha sempre fatto così. L'Onu era lì, ma non è riuscita a fare niente; se il presidente non fosse mono sarebbe intervenuta? Il presidente in quel momento cercava un modo per eliminare i ribelli e continuare come prima, faceva vedere in tutti i modi che non voleva collaborare, ma tutti -Mitterand, tutti gli altri-lo aiutavano, lo lasciavano lì, a B1oliotecaGino Bianco smo né l'antifascismo. perché nessuno pensa più le istituzioni democratiche a partire dalla loro origine di conOitto. Chi ha votato questa maggioranza di fatto afferma, e questo è il punto, che la democrazia -intendendo per democrazia la rivalità di partiti, la pluralità di opzioni praticabili a prescindere dalla loro reale efficacia- non è un problema: come c'è una pluralità di merci così c'è, già data. una pluralità di idee; noi siamo nati dentro la democrazia come dentro il benessere. La maggior parte degli italiani dà per scontata l'esistenza della democrazia -come un ragazzino dà per scontalo il fatto che il mondo è pieno di supermercati pieni di merci comperabili- e che, se c'è un pericolo, questo sono i comunisti che, dove sono stati al governo, hanno massacrato, distrutto economie, paesi, culture e hanno ancora la pretesa di volerci insegnare qualche cosa ... Berlusconi ha capito al volo che gli italiani hanno paura di perdere quello che hanno. Del fascismo nessuno ha paura, perché in fondo l'abbiamo fatto noi dunque ... l'abbiamo fatto una volta e non lo rifaremo più, mentre il comunismo viene ancora percepito come una entità estranea, oscura, che può sempre entrare in casa se non stiamo attenti e allora spranghiamo le porte e le finestre e accendiamo la tv. Questo è quello che è successo. Si dà per scontato che la democrazia è un dato naturale, che non ha alcuna radice e che se ha un nemico quello viene dall'esterno, è l'antinatura, checché ne dicano questi seccantissimi professori che ci fanno la lezione. Gli intellettuali ci metterannocent'anni a riprendere un po' del prestigio sociale che avevano prima di queste elezioni che sono state il rifiuto della tradizione, delle radici, delle istituzioni e della cultura "pedagogica", cioè della funzione del l'intellettuale. Per questo tutti gli intellettuali sono antiberlusconiani: Berlusconi li ha sconfitti in modo clamoroso ... Può la sinistra combattere Berlusconi su questo suo terreno? Non a caso Cacci ari ha spazio solo oggi, se ce l'ha. Ha sempre detto che la politica è gestione tecnica della potenza: adesso questo si vede e spiazza tutti, particolarmente coloro che della cultura politica fanno l'essenza del loro agire politico, per cui la politica è tradurre nella prassi una cultura, cioè la sinistra. Grazie a Dio non spetta a me risolvere il problema perché io non riesco a pensare ad altro che alla riproposizione, un po' professorale, della necessità di non lasciare che il reale si dissolva nel virtuale. Il punto è che, come ho già detto, bisogna sempre tenere conto che c'è una continuità sostanziale e una assolutamente rivoluzionaria discontinuità formale: la produzione continua ad esistere, gli interessi continuano ad esistere anche se vengono percepiti, e gestiti, in modo diverso. Il sogno si spezzerà solo quando ci sarà una forte discrasia fra questi due aspetti, see quando si romperà l'icona. Anche i tedeschi si sono svegliati dal loro sogno con Hitler, l'ultimo giorno di guerra hanno scoperto che forse si erano sbagliati. Berlusconi non è Hitler, sia chiaro -lui è un carismatico di nuovo tipo ed i contenuti che veicola sono assolutamente rassicuranti- ed in questa situazione credo che la sinistra, prima di tutto, debba fare un discorso sulla propria cultura politica, anche perché io non credo alla opposizione sociale: non lo credo per cultura e non lo credo perché, se viene intercettata la ripresa economica, con la opposizione sociale non si conclude niente. Certamente la sinistra deve essere infinitamente più spregiudicata di quanto sia stata fino ad ora, deve purgarsi degli errori del passato, dei consociativismi, delle facilonerie; deve essere, contemporaneamente, rigorosa e fantasiosa, che è come dire che non so che cosa debba fare. Rigorosa, comunque, deve esserlo perché altrimenti sembra veramente che solo Berlusconi possa far funzionare le cose e fantasiosa deve esserlo perché non può più affidarsi soltanto alle splendide figure di professori alto borghesi che insegnano agli italiani che bisogna cominciare a fare le persone per bene, essere parchi, probi, lavoratori, pagare le tasse. Queste sono figure che fanno onore alla nostra cultura e alla nostra cultura politica, però sono assolutamente perdenti. La sinistra, che è sempre stata portatrice del pensiero radicale, cioè che si afferra alle radici, non afferrava più niente. Anche se ha abiurato formalmente il marxismo, il punto è che la sinistra continuava a credere che in Italia esistessero due cose che non ci sono più: la borghesia italiana come classe uni versale e il ceto operaio come classe universale. La prima repubblica era costruita sull'esistenza di ORl'I queste due entità, debole l'una, ma la debolezza della borghesia era surrogata della potenza della chiesa e poi dai partiti, e forte l'altra. La nostra Costituzione è fatta sulla base cieli' esistenza di due universali che devono coesistere, ma adesso di universale ce n'è uno, mediatico, che non ha alcun bisogno di avere un supporto di classe, non ci sono più le classi e non c'è più l'uni versale che passa attraverso le classi. L'universale è l'essere senza forma che non ha alcun bisogno di definire un confine, non ha alcun bisogno di dire "tu stai qua, l'altro di là"; il sogno di Berlusconi è che alla fine tutti votino per lui. La vittoria di Berlusconi, è interpretabile come una americanizzazione della scena italiana? Attenzione alla americanizzazione, gli americani sono un popolo serio. Non sto dicendo che noi non siamo seri, ma loro non rinnegano per nulla le loro radici di conOitto, se le tengono ben care e quando è ora vengono fuori. Noi siamo molto impressionati da certe consuetudini elettorali americane, quindi da certi modi di condurre la lotta politica, ma queste nascono dal fatto che loro non hanno tradizioni, sono un paese essenzialmente ex contadino, dove non c'è stata differenza tra cultura alta e cultura bassa, per cui ciascuno si sente legittimato a essere ciò che è senza vergognarsi. Gli americani non sono un popolo stupido, sono diversi dagli europei perché hanno una cultura politica diversa, delle istituzioni politiche diverse. L'attenzione alla politica come universale gli americani non ce l'hanno, però hanno ben chiaro che esistono soltanto alcuni, pochi, modi per far coesistere i particolari e uno di questi l'hanno imbroccato e lo difendono, anzi, pensano vada allargato. Tutte le tematiche sul multiculturalismo sono, in realtà, l'antidoto alla "waspizzazione", come dicono loro, dell'America. L'America deve essere il luogo, lo spazio politico, in cui si danno le pluralità in conflitto, non deve diventare uno Stato-nazione. I liberal che producono l'ideologia del "politicamente corretto", che pare un'ideologia dell'uniformità, in realtà vogliono invece lasciare essere le differenze, solo che le vogliono lasciare essere in modo che siano tutte sullo stesso piano, che ciascun gruppo sia quello che vuol essere, al di là di chi ha ragione e di chi ha torto. Lì c'è ancora una vitalità politica perché c'è una radice, che chiamano democrazia, che però, nel loro caso, è una democrazia che consiste nel dare spazio a tutti -a tutti come singoli e a tutti come cultura- per essere ciò che ciascuno è, senza nessuna dominanza e la libertà non dominata loro se la vogliono tenere. Il presidente degli Stati Uniti non è eletto da un popolo di cretini, neanche Berlusconi è stato eletto da un popolo di cretini, non voglio che si dica che gli italiani sono un popolo di cretini, è solo successa una cosa a cui nessuno, tranne lui, aveva pensato. - continuare. L'Onu prima ha mancato all'appuntamento politico di spingere il presidente a dimettersi e poi -dopo che il presidente è morto, dopo che sono cominciati i massacri e la maggior parte della popolazione si è rifugiata dove c'era l'Onu perché avevano pensato che l'Onu avrebbe almeno impedito i massacri- se ne è andato. Se torna adesso, cosa può fare? DI GUERRA F. E' troppo tardi. Le persone che dovevano morire, e' erano le liste, sono già morte. Adesso è solo tempo che questi criminali li prenda l'opposizione, li giustizi, e poi ci saranno le elezioni, ci sarà la democrazia. Si dice che i ribelli sono in maggioranza tutsi, ma se fosse veramente così non avrebbero neanche la speranza di governare attraverso le elezioni perché i tutsi. in Rwanda, non esistono più, li hanno ammazzati quasi tutti. Coi ribelli ci sono anche gli hutu moderati e, se si faranno le elezioni, una volta che l'opposizione avrà vinto, anche se i tutsi non possono sperare di andare al governo, almeno avranno portato la democrazia. Tanti giovani che stanno combattendo. che arrivano a casa loro e trovano i cadaveri della madre, del padre, devono continuare, almeno per giustificare questi morti. Hanno perso i genitori, tutto, e se sci l'unico della tua famiglia a sopravvivere devi continuare perché almeno quelli che hanno ammazzato i tuoi non vincano così facilmente. E soprattutto non continuino ad ingannare tutti. S. Si dice che i morti siano più di 500.000. ma sicuramente sono almeno 800.000 o un milione: tutsi e hutu civili e quelli che stanno morendo per la fame e le epidemie. Sono bilanci che non vogliamo neanche dirci perché ci spaventano. Avrà ancora senso parlare di democrazia? F. E' la cosa sperata. Dopo che, come speriamo, i IFronte di Liberazione Ruandese avrà vinto. speriamo che I'opinione pubblica internazionale si renda conto che in questa vittoria. in un discorso di democrazia che non escluda nessuno, c'è il futuro del paese, di tutti quanti. - Delicato come una canzone dei Kinks, ironico come una nuvola, Robespierre vegetariano, avevo deciso di filare a letto appena terminate le fucilazioni in televisione, ma ecco che tutti i geni uscirono dalle lampade cominciando a fare miracoli e imitazioni di personaggi difficili da indovinare se uno non ha presente quel racconto che cominciava più o meno così: "Vorrei scrivere una storia facile secondo lo schema ragazzo-incontraragazza, dove tutti i geni escono da tutte le lampade senza una ragione e le foto si mettono a fuoco sul bordo del cestino ... L'inizio dell'amore è tanto strano che spesso non si capisce e può finire «subito» così, da un minuto all'altro, con un colore di lenti che non è giusto e scherma la luce, ma anche tutto ciò che viene illuminato". La copertina non mi piaceva e non l'avevo comprato per evitare altre scuse: eppure so che quella storia mi sarebbe piaciuta, mi avrebbe commosso, mi avrebbe fatto addormentare facilmente nel letto riempito a metà. O forse si trattava di un libro prestato. lo ora vivo coi fantasmi della televisione, non mi abbandonano mai, come i corpi buttati nel fiume cento chilometri più in su passano solo adesso che la guerra è finita da un pezzo. Edoardo Albinati UNA ClffA' 3

di politica e altro La corrispondenza fra paese reale e paese rappresentato. La vittoria delle seconde schiere e la nuova centralità del lavoro autonomo. I campi retorici del federalismo di Bossi, del "fai da te" berlusconiano e dell'antifascismo della sinistra. Lo stereotipo del "grazie alla televisione". Fra localismo e cosmopolitismo un esodo attivo attraverso i grandi cambiamenti della modernizzazione. Intervista a Aldo Bonomi. Aldo Bonomi, ricercatore sociale, è responsabile dell'AAster. La precedente intervista, sulle elezioni, è stata pubblicata nel n. 30. C'eravamo visti prima delle elezioni, volevamo sentire le tue valutazioni ora, a un mese e mezzo da un risultato così sconvolgente, anche se prevedibile e, da alcuni, previsto. Il risultato elettorale credo che oltre a confermare tutte le perplessità su questo nuovismo dilagante, rivelatosi o pura demagogia o puro giustizialismo -e non si è mai visto che il giustizialismo desse risultati positivi a sinistra- ha confermato anche altre due valutazioni: l'incapacità della sinistra di leggere i mutamenti della composizione sociale avvenuti inquesta fase di transizione e la possibilità che esplodesse la crisi della Lega dentro la contraddizione degli interessi. Ragionando oggi che cosa devo dire? Se le elezioni sono andate malissimo per la mia visione del mondo, sono andate benissimo da un altro canto: perché per la prima volta abbiamo una corrispondenza tra paese reale e paese rappresentato. Intendo dire che le elezioni in maniera pesante ci costringono a interrogarci sulla composizione sociale degli italiani che è una composizione un po' strana. A sud, finito l'intervento straordinario -la logica, cioè, per cui gli interessi si regolavano attraverso il meccanismo della politica- abbiamo avuto uno spaesamento che per un po' ha retto sulla mobilitazione radicale della società civile producendo fenomeni come la primavera di Palermo, la Rete, ma siccome poi solo di denuncia non si campa, a un certo punto sono ritornati pesantemente in gioco gli interessi. E allora è chiaro che il linguaggio della protesta, del disappunto, a parte la Calabria, è stato in parte canalizzato dalla destra, dalla nuova destra. Secondo dato: queste elezioni hanno fatto emergere quella che chiamo una composizione del sociale selvaggia -il mio amico De Rita dice che siamo di fronte a una vittoria delle seconde schiere rispetto alle prime- fatta di lavoro autonomo, segnata dalla flessibilità, dalle dinamiche territoriali, fatta di cultura del fai da te, della competizione, del raggiungimento del massimo di opportunità possibili. anche a sinistra una seconda schiera E tutto questo fa emergere una grande dinamica di conflitto che non sarà il conflitto nei termini in cui noi lo abbiamo sempre pensato, il conflitto sociale dispiegato, ma quello tra capitalismo di prima schiera, delle grandi famiglie, dell'oligarchia, il capitalismo finanziario, e un capitalismo di seconda schiera, dei piccoli e medi imprenditori. E fra i Cuccia, da una parte, e il piccolo imprenditore veneto e lombardo, gli interessi deboli erano quelli della piccola e media impresa, ma non c'è dubbio che a difenderli non era certamente la sinistra. La sinistra ha proposto invece come alternativa il governo Ciampi che era il massimo dell'oligarchia possibile. Qui c'è una grande e profonda contraddizione: non si possono vincere le elezioni rappresentando solo ed esclusivamente un comparto oligarchico. Ma non solo, andrei oltre: queste elezioni hanno eviden- B ziato Ghe ancÌe nell'altro camp~ c'era una sinistra di prima schiera e una di seconda schiera. In embrione tutto quel mondo che sta asinistra e che si chiama associazionismo, volontariato, movimenti vari, è un mondo di seconda schiera che non è né rappresentato né visibile. Ma, da quel che mi risulta, nelle poche aree dove questi signori hanno avuto la possibilità di candidarsi, sono stati tutti eletti. E basta citare il presidente del Movi nazionale, Lumia, che è stato eletto nientemeno che a Corleone. Una sinistra dei diritti, legata al territorio che è tutt'altra cosa dalla sinistra degli apparati dei partiti. Anche lì, quindi, una prima e una seconda schiera ... Ci sono questioni come il federalismo che ormai, apparentemente, accomunano tutti ... Credo prioritario svelare tre campi retorici ormai dominanti. Il primo è appunto la retorica del federalismo. Oggi come oggi nessuna comunicazione politica avviene senza prendere in considerazione la problematica del federalismo. E questo è anche inevitabile se è vero che le due grandi parole chiave sulle quali si sta sviluppando il processo di modernizzazione sono da una parte territorio e dal1'altra competizione nel sistemamondo dell'economia. E bisogna dare atto alla Lega di avere posto questo problema come problema centrale. Ma dentro questo dibattito se vogliamo uscire dal campo retorico, dobbiamo decodificare a mio parere tre modelli: un federalismo di identità, un federalismo economico o di interessi e un federalismo sociale. Il federalismo di identità è quello che rimanda alla problematica del neo-etnico e quindi alla problematica delle appartenenze, dell'identità, quello che fa dire a Miglio che esistono i popoli italiani. Il secondo federalismo, economico o di interessi, è quello in base al quale emergono le regioni che sono in grado di competere nella geo-economia e le regioni che sono in deficit di competizione. Oggi come oggi in Italia emergono due grandi aree: un'area dove si produce per competere, l'area del nord ovest e del nord est -ma soprattutto del nord est del nostro paese- e un'area dove si compete per sopravvivere, che è l'area del sud. Le logiche del federalismo degli interessi ridisegnano la geografia e la geo-economia del paese, con l'ipotesi o delle tre macroregioni di Miglio che però è innanzitutto un federalismo di identità, o quella delle macroregioni della Fondazione Agnelli, che ridisegna il territorio in base ai parametri delle infrastrutturazioni e della competitività. Il terzo è il federalismo sociale. Un federalismo che conosciamo benissimo, perché significa problematiche antiche come la democrazia diretta, come i meccanismi di partecipazione e di solidarietà locale, inuna territorializzazione delle rappresentanze, dei bisogni e del1'agire territoriale. Facendovi una provocazione, anche voi siete un pezzo di federalismo sociale. Altrimenti che senso avrebbe un giornale che ruotando intorno a una città come Forlì, partendo da una rete micro in cui si ridisegnano forme di democrazia diretta, di partecipazione, di localismo ma di localismo intelligente, non di localismo economico, becero, si propone di comunicare col mondo? Avete riperimetrato una vostra dimensione di comunità e vi muovete nel mondo. Il secondo c o retorico di queQ sta grande fase di passaggio è quello, tipico del berlusconismo, del fai da te e del lavoro autonomo. E' indubbio che abbiamo assistito al passaggio dalla centralità del lavoro operaio, della grande fabbrica fordista, come forma che modellava la società e fondava le appartenenze, dal sindacato, dal partito che davano identità ideologica, alla centralità del lavoro autonomo che rimanda al territorio. Se i valori oggi si giocano sul territorio e sull'identità non è perché vincono la Lega o i fascisti o la destra, ma perché il territorio è la forma dove si dispiega la nuova forma del lavoro. Self emploiment, lavoro autonomo, piccola e media impresa, flessibilità, deindustrializzazione, fabbrica diffusa, hanno il territorio come loro oggetto, e anche le attività dei nuovi lavori hanno il loro luogo nel territorio. Ed ecco allora i nuovi problemi dell'appartenenza, dell'interrogarsi su qual è l'identità del soggetto, qual è l'identità dell'essere in comune, della comunità. E' su questo poi che il berlusconismo ha fatto leva. Quando ha detto "vi prometto un milione di posti di lavoro", il milione di posti di lavori li ha promessi dentro questo modello, dentro un passaggio che vede già il lavoro in affitto, la diffusione del lavoro autonomo, la riforma del mercato del lavoro, la centralità della piccola e media impresa, il fai da te, il self emploiment. Berlusconi si è candidato come quello che avrebbe governato queste cose. in televisione abbiamo cominciato noi Il problema è che mutano ànche le forme dell'alienazione, dello sfruttamento, del comando. Il lavoro autonomo non è solo autorealizzazione, non è solo business story, non è solo fai da te, far quattrini, dentro il lavoro autonomo c'è anche il meccanismo del governo, del comando e dello sfruttamento. Faccio un esempio: se noi pensiamo al progetto qualità totale della Fiat, ci rendiamo conto che non ha solo significato restringere il cuore del1'occupazione, a Mirafiori e a Melfi, ma anche costringere tutto il ciclo della fabbrica diffusa dei fornitori Fiat a stare sui cicli della ristrutturazione. Questo ha voluto dire pagamenti nei tempi e nei modi stabiliti dall'unità di centro, tutta una serie di piccoli e medi imprenditori che sono pagati a 90 o a 160 giorni, e poi ritmi, qualità del prodotto e qualità del processo imposti. Lo sfruttamento e l'alienazione, dalla fabbrica centrale, si sono diffusi sul territorio. Il lavoro autonomo, poi, molto spesso è storia di autosfruttamento, di tensione, di tempo di lavoro sempre più esteso. Il lavoro autonomo non è solo autorealizzazione del fai da te, come dice il cavalier Berlusconi. Ma dopo tutto ciò arriviamo, terzo campo retorico, alla grande risposta che la sinistra ha dato: I' antifascismo. Se mi è permesso, è una retorica piuttosto debole a fronte di questi cambiamenti. Lungi da me l'idea di dire che il fascismo vada sottovalutato, bisogna stare molto attenti, però ritengo insufficiente come risposta la retorica dell'antifascismo. Lasciamo poi perdere se diventa retorica dell'antifascismo militante, abbiamo già dato da questo punto di vista ... Non vedi un rischio di regime? Io parlo malvolentieri di queste cose, non perché non le pensi, ho dei dubbi in questa direzione, ma non voglio alimentare oggi la retorica dell'antifascismo. Intendo dire che non è che io non sia preoccupato, sono molto preoccupato, molto amareggiato, ho l'impressione di essere nella merda, però comunque mi sforzo di fare un ragionamento freddo, perché la cosa peggiore che potremmo fare in questo momento è un ragionamento caldo che ci conduce a degli stereotipi, come infatti sta avvenendo. Ne circolano essenzialmente quattro. Primo stereotipo: siamo stati battuti dalla televisione ... No, non siamo stati battuti dalla televisione, siamo stati battuti da un mutamento della composizione sociale che non abbiamo capito, che non abbiamo interpretato, né accompagnato. C'è una corsa a dire che siamo stati battuti perché Berlusconi aveva questo e quell'altro. Ma noi che cosa avevamo? In realtà abbiamo cominciato noi, di questo sono assolutamente certo, perché il modello della demagogia televisiva l'ha inventato Santoro. E finché la televisione andava per noi, il linciaggio lo facevamo noi, andava bene, eccome, e tutti quanti dicevano "abbiamo vinto". Secondo stereotipo: siamo di fronte a un partito, quello di Berlusconi, massmediato. No, siamo di fronte a un partito-impresa, che probabilmente è la forma adeguata al cambiamento che dicevo prima. Un partito-impresa che non è la Fiat, ma un partito che sta dentro il tessuto del fai da te, dentro il tessuto della pubblicità, il partito del prosciutto. Quando dico il partito del prosciutto è perché è il partito dei tanti piccoli Rovagnati che stanno dentro questo tessuto ... E' la seconda schiera che si rende visibile, prima erano dei parvenu e oggi danno interviste a Sette, come quella di Luigino De Rossi, calzaturiere, di questa mattina. Sta a fianco a quella di Cacciari e con tutto il rispetto si .capisce più dalla sua cosa è successo in questo paese. Ma noi continuiamo a dire: "come parlano male, come sono ignoranti, imbecilli", ecc. ecc .. Fatto sta che i loro interessi li capiscono e li sanno fare. E' il tessuto del fai da te, del lavoro autonomo che ha innervato Forza Italia. Terzo stereotipo: siamo di fronte a movimenti che non hanno strategie ~ ' tfì . ~~ 0KJl!0.w61t Erboristeria - Prodotti naturali - Shiatzu FABBRI Dr. Enrico Forlì - via Albicini, 30 (ang. via S. Anna, 2) Tel. 0543/35236 e futuro, Berlusconi è nato sul momento, si impianterà e finirà fra due giorni. Ma tutte le forme del moderno sono forme destinate a vivere lo spazio di un sabato sera, oppure, come dice Rodotà, sono movimenti a un colpo solo: raggiunto l'obiettivo possono anche scomparire per poi, casomai, ricrearsi per raggiungere un altro obiettivo. Quarto stereotipo: oggi come oggi siamo di fronte a un movimento autoritario e di destra. Siamo di fronte, per la prima volta, al fatto che vengono quotati al mercato della politica non solo quelli che per la nostra retorica erano i buoni sentimenti, ma anche i cattivi sentimenti. Non ce ne siamo resi conto ma questa era una società rancorosa, cattiva, incazzata. Allora noi pensavamo che fosse cattiva, incazzata, e che volesse la rivoluzione, aiutare i neri, aiutare i bambini, essere progressista, essere femminista ... il comitato buono solo se contro la discarica Io vi inviterei a riflettere sui comitati dei cittadini che abbiamo visto spuntare come funghi e che noi, nella nostra imbecillità, abbiamo catalogato con il vecchio linguaggio dell'appartenenza: allora, se eri un comitato di cittadini contro la discarica, eri ambientalista e buono, se eri contro i gay e contro le puttane, eri fascista e di destra. Non ci siamo resi conto che queste erano le nuove forme di rappresentanza e di riperimetrazione del proprio territorio. Tutte queste nuove forme sono andate a finire a dare un consenso a questa nuova forma della politica. Allora io dico: prima di tutto disveliamo gli stereotipi, perché lavorare sugli stereotipi significa capire anche quelli che sono gli obiettivi su cui noi dobbiamo lavorare. Quindi, punto primo: se non ci ha fottuto la televisione ma se ci ha fottuto non aver capito una nuova composizione sociale, bisognerà cominciare a lavorare su una nuova composizione sociale, il discorso dei giovani, il lavoro, ecc ... Secondo punto, secondo stereotipo, secondo modello: se non era un partito massmediato, ma un partito sviluppatosi sulla forma del lavoro autonomo, anche noi dobbiamo capire come si fa a organizzare nuove forme di associazione e di organizzazione adatte alla politica e che stiano sul territorio. Così come Berlusconi ha usato la sua rete d' impresa, bisognerà capire qual è la nostra. Io credo che dentro la sinistra di seconda schiera, in modelli come la costituente della strada, ci sia in nuce un segnale di questo genere. Terzo stereotipo, movimenti che durano lo spazio di un sabato sera. Bisogna abituarsi al fatto che le rappresentanze dei bisogni non esprimono più automaticamente continuità. Quarta ed ultima cosa: bisognerà incominciare a parlare anche ai rancori e alle paure che stanno dentro a questa società, non solo ai grandi desideri dispiegati di futuro. Questi sono quattro programmi minimi su cui, a mio parere, bisogna incominciare a lavorare. Quindi ti lasciano perplesso anche le preoccupazioni europee? Certo, perché stigmatizzano quello che sta succedendo in Italia in base alla vecchia retorica. Ho l'impressione, invece, che l'Italia sia un laboratorio, che quello che sta succedendo in Italia anticipagli scenari a cui dovremo abituarci in Europa. E qui non sto dicendo che avremo cinque Berlusconi, ma che questo modello della flessibilità e della nuova composizione sociale sarà un modello che attraverserà tutta l'Europa. E anche qui, anche da questo punto di vista sono preoccupato, ovviamente, perché se poi le risposte sono solo quelle dell'antifascismo non vedo come si possa recuperare un'idea di futuro e un'idea di progresso, di cambiamento, di attenzione agli ultimi, perché le dinamiche del cambiamento vengono lasciate solo ed esclusivamente al liberismo e alla nuova destra, che significa esclusione di quelli che non hanno diritti. Questo è il vero problema aperto, il quadro è questo. Tu insisti molto sulla necessità di concentrarsi sulla questione del lavoro e su quella del welfare, ma anche sui rischi di una posizione di pura difesa dell'esistente che non raccolga le novità. La questione del lavoro è centrale senza dubbio, soprattutto la questione del lavoro per i giovani, per coloro che si affacciano al mondo del lavoro per la prima volta. Credo che anche qui ci sia un grande spaesamento perché non ci sono più certezze. dalla cultura del posto a quella dei lavori Stiamo passando da una cultura del posto di lavoro a una cultura dei lavori ed è un grande mutamento epocale, antropologico per le famiglie italiane che hanno sempre sperato per il proprio figlio un impiego pubblico, che significava l'impiego a vita, o un impiego alla Sip, o in banca, o all'Enel, perché assomigliava all'impiego pubblico. Ormai tutti quanti cominciano a capire che è finita l'epoca del posto e è iniziata quella delle opportunità rispetto alle quali si deve cogliere l'attimo. E quindi cambiare professione, aggiornarsi ecc. Si sta parlando di terziario, di alta qualificazione, di televisione, di giornali. A mio avviso, la grande questione del lavoro che si pone è quella di introdurre in questa cultura della corsa che produce l'infarto, una cammi- (« CoffdaeRi ifparmdiFi orlì s.pA. F D CONTO, ldfl, da O a 10 anni da 11 a 19 anni Perloroil rnigtiofruturopossibile Aut. Min. n. 6/1758 del 2/10/93 •l

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