Una città - anno IV - n. 30 - marzo 1994

,narzo IL SALONE DELLA PALLACORDA. E' lì, secondo Aldo Bonomi, ricercatore sociale, e non alla Bastiglia, che si giocano i veri cambiamenti. Quello che è avvenuto in questi anni nella composizione sociale, nella rappresentanza degli interessi, nel modo di rivendicare i diritti. In seconda e terza. Insieme a RUTELLIE IL GIORNO DEL SIGNORE di Stefano Borselli e a BERLUSCONI, CIOE' LA DEMOCRAZIA di Rocco Ronchi. ITALIANI. Paolo Flores D'Arcais e Vincenzo Buglioni la pensano diversamente sulle cause del nostro "marasma". La mancata rivoluzione liberale o il disprezzo per il popolo che animava chi fondò lo stato italiano? E i magistrati sono buoni o cattivi? E cosa si fa coi contrabbandieri napoletani? E, alla fine, cattolici o protestanti? In quarta e quinta. PERBOSSI Ml BUTTEREINEL TICINO. Lo dice Marco Vitti, della Lega di Pavia. INSTRUMENTUM REGNI, di Giovanni Tassoni, è la ricostruzione, ormai a posteriori, degli ultimi anni di vita dello scudo crociato. In sesta e settima con ORTI DI GUERRA di Edoardo A/binati. HANDS OFF CAIN, cioè "giù le mani da Caino", è il nome della campagna per /'abolizione della pena di morte entro il 2000 che vede impegnate associazioni di 36 paesi. Aderiamo e ospitiamo tre dei tanti racconti scritti per /'occasione. BOIA di Sandro Onofri, Il PERDONO di Claudio Piersanti, LA PROVA GENERALE di Giorgio Van Straten. In ottava e nona. LA TOMBA E' LI', a Barbiana, ed è quella di don Mi/ani. Per Giannozzo Pucci è il segno della sua scelta di spendersi in quel luogo, in quel popolo, in quei mestieri di maestro e sindacalista. In decima e undicesima. Con ELOGIO DELL'ATTENZIONE di Michele Colafato. AL DI LA' DI TUTTI GLI DEI è l'intervista a Giangiorgio Pasqua/otto sul buddismo, su/l'incontro fra occidente e oriente che non vuol dire solo coca cola. RELIGIONI DI FINE SECOLO è l'intervento di don Sergio Sala e PERDERE, "per stazioni", quello di Antonella Anedda. In dodicesima e tredicesima. IL DISTRIBUTORE DI CONOSCENZA è /'intervista, sulla televisione di cui tanto si parla, a Piero Dorf/es. In quattordicesima e quindicesima. L'ORTO IN UNA SCATOLA DA SCARPE è quello che fanno a Sarajevo coi pochi semi che ancora si riescono a trovare. Due amiche, Lena, serba, e Dzenana, ,nussulmana, raccontano come si vive quotidianamente in un inferno. In ultima. Bianco

un mese di un anno Il passaggio da una società verticale, dove dalla periferia si accedeva al centro, a una orizzontale dove dai ghetti non si esce più. La via giudiziaria ai diritti e la grande rappresentazione del dolore. La Lega come nuovo contenitore e l'ars associandi come compito di una sinistra dedita al sociale. Intervista a Aldo Bonomi. Aldo Bonomi è ricercatore sociale e direttore dell'A.A.S. TER, Associazione Agenti per lo Sviluppo del Territorio, di Milano. Tu fai di professione il ricercatore sociale. Cosa puoi dirci di quello che sta succedendo? Devo dire che osservando le dinamiche di trasformazione della società-dal basso,per fenomeni come quello, ad esempio, dell'immigrazione, o dall'alto, quando mi occupo dell'impatto della tecnic_asui mutamenti della composizione so-· ciale- mi ritrovo ogni volta assolu-· tamente non entusiasta di questo processo di modernizzazione e di cambiamento accelerato. E succede anche che quando rimango nel campo dell'osservazione sociale trovo soggetti con cui posso parlare di questo, dei miei dubbi, delle mie perplessità, ma quando poi si va sul terreno della politica provo un senso di frustrazione e di angoscia perché trovo tutti entusiasti essenzialmente di due parole chiave: "nuovo" e "rivoluzione". Parole che io non uso, perché al posto del termine "nuovo" preferisco dire "la contingenza che ci sopravvanza", e non uso il J termine rivoluzione perché, pur avendola desiderata un tempo, ritengo che in questo paesenon si sia ancora fatta una riflessione seria su cosaè stato un processo di cambiamento radicale. Ho la sensazione che tutti quanti siano molto attenti alla punta della piramide, a quello che avviene dal punto di vista delle riforme istituzionali e dal punto di vista della riforma della politica, e invece totalmente disinteressati a quello che invece secondo me è il vero processodi mutamento in atto: il mutamento avvenuto nella composizione sociale e nella rappresentanza degli interessi. Usando una metafora storica mi chiedo, ad esempio, se il vero cambiamento sia avvenuto nel salone della Pallacorda o nella Piazza della Bastiglia. Tutti sono molto attenti a quello che avviene nella Piazza della Bastiglia ma io credo che il grande cambiamento sia avvenuto nel salone della Pallacorda. "nuovo" e "rivoluzione" parole magiche La mia convinzione profonda èche il vero mutamento, avvenuto nel ciclo degli anni '70 e '80, è quello che èavvenuto nella composizione sociale e nelle forme di convivenza, da cui poi discende il resto. Che cosa è avvenuto nella composizione sociale? In primo luogo un passaggio da una società verticale a una società orizzontale. La società verticale era quella basata sulla centralità del lavoro industriale -il fordismo, avrebbe detto la cultura di parte operaista- che si basava su appartenenzecertee identità di classe, che aveva rappresentanze formali e sostanziali che collegavano il centro alla periferia. La società orizzontale invece è il risultato proprio del grande mutamento che è avvenuto sul terreno del lavoro: passaggio dal lavoro ai lavori, l'esplosione del lavoro autonomo, che ha introdotto una logica di ricerca del massimo di opportunità possibile, con la conseguente caduta dei meccanismi di solidarietà collettivi. E soprattutto nella società orizzontale emergono bisogni ed interessi che fanno riferimento al genere, al territorio, a specificità, a particolarità. E ovviamente non sempre i gruppi, le associazioni, gli interessi che si formano hanno l'interesse generale come razionalità del proprio scopo. Emergono rappresentanze che si esauriscono nello spazio di un sabato sera, cioè appena raggiunto il loro scopo. Dentro il meccanismo della orizzontalità sociale viene meno il riferimento delle categorie sociali di prima e appare il concetto di moltitudine, termine che esprime bene il disagio di un ricercatore sociale nel definire le cose. Dentro la moltitudine quali sono i processi? Dentro la moltitudine ci stanno i comitati dei cittadini che incorporano valori della società solidale -un comitato di cittadini quello che lotta per la qualità ambientale del proprio territorio- ma anche quelli che incorporano valori non solidali, come, ad esempio, quello che lotta per non avere gli immigrati nel suo territorio. Sono tutti e due comitati di cittadini, ma certamente, fra i due, c'è una profonda differenza. Essenzialmente ritengo che la categoria fondamentale con cui noi facciamo i conti oggi sia quella dello spaesamento. Più che una certezza di grande cambiamento abbiamo lo spaesamentodi soggetti che hanno perso un quadro di riferimento, che non sanno bene qual è il processo del futuro. Se prima la città aveva un suo centro e, organizzata per cicli concentrici, aveva una periferia, anche stando nella periferia, se tu avevi un bisogno, riconoscevi quello che aveva un bisogno uguale al tuo, ti organizzavi con lui, sviluppavi il conflitto, potevi pensare di essere incluso. Tant'è vero che la società italiana di oggi è il risultato di un grande processo di inclusione, ovviamente, e il welfare era poi il meccanismo che ratificava questo meccanismo di inclusione. Quindi la periferia non era una condizione irreversibile. O attraverso il conflitto o attraverso il patto sociale o attraverso la mediazione o attraverso la raccomandazione o attraverso il consociativismo, si poteva cambiare. Perché il meccanismo sociale della società verticale andava dal basso verso l'alto. Nella orizzontalità sociale, invece, appare che chi ha denaro, lavoro, casa - e va bene- ma aggiungi anche inRUl'E111 E IL GIORNO DEL SIGNORE L'iniziativa di Rutelli per l'apertura dei negozi la Domenica, più precisamente per l'abolizione dell'obbligo del riposo settimanale, ha trovato opposizione, com'era prevedibile, solo da parte del Papa e di qualche commerciante. Ha taciuto il vasto fronte che pochi giorni prima, giustamente, si era stracciato le vesti per la coincidenza della data delle elezioni con la Pasqua ebraica. Hanno taciuto i sindacati. Ritenendo, per contro, la questione estremamente importante, e semplice, cercherò di presentare degli spunti di riflessione sul tema, approfittandone per consigliare due buoni libri, purtroppo di non facile reperimento. La prima osservazione è di Lewis Mumford ed è tratta da Il mito della macchina. Mumford in questo interessantissimo testo trova nelle antiche civiltà mesopotamiche le origini della "megamacchina" con la quale: "la minoranza dominante creerà una struttura uniforme, onnicomprensiva e superplanetaria, in condizione di operare autonomamente. Anziché funzionare attivamente come personalità autonoma, l'uomo diverrà un animale passivo, privo di scopi e condizionato dalla macchina, le cui funzioni, secondo la visione attuale dei tecnici, saranno assorbite dalla macchina o altrimenti severamente limitate e controllate a beneficio di organismi collettivi spersonalizzati." Mumford svela quindi come le"grandi piramidi egizie" non siano altro che "un preciso equivalente statico dei nostri razzi spaziali. Due meccanismi per assicurare, a un costo esorbitante, il viaggio al cielo di pochi privilegiati." Ed aggiunge: "Questi aborti colossali di una cultura disumanizzata insozzano con monotonia le pagine della storia, dal saccheggio di Sumer alla distruzione di Varsavia e di Rotterdam, di Tokio e di Hiroshima ..". Ma se vi interessa dovrete leggerlo per intero. Mumford parla del Sabato nel p ragrafo Freni alla meg , . A~ macchina: "Poiché le principali trasformazioni istituzionali che precedettero la costruzione della megamacchina furono magiche e religiose, non dovrebbe sorprendere scoprire che le reazioni più efficaci contro di essa partirono dalle stesse potentissime fonti. Una di queste possibili reazioni mi è stata suggerita da due persone che mi hanno scritto: l'istituzione del sabato fu in effetti un modo per costringere periodicamente all'immobilità la megamacchina, sottraendole il suo materiale umano. Una volta alla settimana essa era sostituita dalla piccola e intima unità fondamentale, la famiglia e la sinagoga, che riaffermava in pratica quelle componenti umane che la grande struttura del potere reprimeva. A differenza delle altre feste religiose, il sabato si diffuse da Babilonia a tutto il mondo, soprattutto per merito di tre religioni, l'ebraica, la cristiana e l'islamica. Ma aveva un'origine locale circoscritta, e le ragioni igieniche addotte da Karl Sudhoff per giustificarla, pur essendo fisiologicamente solide, non ne spiegano l'esistenza. (...) Soltanto il sabato, le classi inferiori della comunità godevano di una libertà, di una tranquillità e di una dignità che gli altri giorni erano riservate alla minoranza degli eletti. Questo freno, questa sfida non derivavano owiamente da una consapevole valutazione critica del sistema, ma devono essere scaturiti da fonti collettive assai più oscure e profonde, forse dal bisogno di controllare la vita interiore con un ordinato rituale oltre che col lavoro obbligatorio. Ma gli ebrei che idearono il sabato e lo trasmisero agli altri popoli erano stati certamente più di una volta vittime della megamacchina che li aveva ridotti in schiavitù, e durante l'esilio babilonese associarono al sabato un altro sottoprodotto dello stesso episodio, l'istituzione della sinagoga." Per arricchire e completare il punto di vista di Mumford, varrebbe la pena di leggeFe un altro librcò zioso: Il Sabato-I/ suo significato per l'uomo moderno di Abraham Joshua Heschel, filosofo e teologo ebreo. Ecco quella che per Heschel è la vera essenza del sabato: "L'ebraismo è una religione de/tempo che mira alla santificazione del tempo. A differenza dell'uomo, la cui mente è dominata dallo spazio, per cui il tempo è invariato, iterativo, omogeneo, per cui le ore sono uguali, senza qualità, gusci vuoti, la Bibbia sente il carattere diversificato del tempo; non vi sono due ore uguali; ciascuna ora è l'unica, la sola concessa in quel momento, esclusiva e infinitamente preziosa. L'ebraismo ci insegna a sentirci legati alla santità nel tempo, ad essere legati ad eventi sacri, a consacrare i santuari che emergono dal grandioso corso di un anno. I Sabati sono le nostre grandi cattedrali; e il nostro Santo dei Santi è un santuario che né i Romani né i tedeschi sono riusciti a bruciare, un santuario che neppure l'apostasia può facilmente distruggere: il Giorno dell'Espiazione. (..) Il rituale ebraico può essere caratterizzato come l'arte delle forme significative nel tempo, come architettura del tempo. La maggior parte delle sue osservanze -il Sabato, la Luna Nuova, le feste, l'anno sabbatico e l'anno del giubileo-sono connesse a una certa ora del giorno o a una stagione dell'anno." Heschel sottolinea inoltre come col Sabato gli oppressi, i lavoratori, riescano ad andare oltre la necessità, accettata anche dai dominatori, di una fisiologica ricostituzione delle forze: "... secondo Aristotele (...): «Noi abbiamo bisogno di rilassarci, perché non possiamo lavorare di continuo. Il riposo, dunque, non è un fine»; esso è dato «in vista dell'attività», allo scopo di acquistare energia per nuovi sforzi. Nello spirito biblico, invece, la fatica è un mezzo per il fine, e il Sabato in quanto giorno di riposo dal lavoro non è stato creato per far recuperare le energie perdute e renderci idonei alla successiva fatica: esso è stato creato per amore della vita. L'uomo non è una bestia da soma, e il Sabato non serve ad accrescere la sua efficienza sul lavoro. (...) Il Sabato non è a servizio dei giorni feriali: sono invece i giorni feriali che esistono in funzione del Sabato. Esso non è un interludio, ma il culmine del vivere." "Dal fondo dei giorni in cui lottiamo e della cui bruttezza soffriamo, noi guardiamo al Sabato come alla nostra patria, come alla nostra sorgente e al nostro punto d'arrivo. In questo giorno lasciamo da parte le occupazioni volgari per ritrovare la nostra condizione autentica, in questo giorno possiamo essere partecipi di una benedizione che ci fa essere ciò che siamo, indipendentemente dalla nostra istruzione, dal nostro successo nella carriera: il Sabato è un giorno di indipendenza dalle condizioni sociali." Voglio aggiungere solo qualche parola sull'inscindibile legame tra la natura del riposo settimanale e la sua obbligatorietà. Se si abolisce, come vuole Rutelli, questo aspetto coercitivo, il riposo settimanale diventa mobile, flessibile, individuale: si riduce quindi al recupero fisiologico. Ma c'è di più, e questo di più spiega perché oggi le idee (o meglio le non idee) di Rutelli si affermino: nel capitalismo maturo, o come meglio lo definiva il vecchio Marx "entro il dominio reale del capitale sul lavoro" (ma ormai chi lo legge più?), anche il giorno festivo, privato del suo carattere comunitario, ridotto a tempo libero, diventa produttivo, cioè mercificato; è il tempo delle agenzie di viaggio e della società dello spettacolo. Ancora una volta la coercizione imposta dalla comunità, che rende liberi, si oppone alla liberalizzazione rivendicata dal denaro, che rende schiavi. Non stupisca quindi che di fronte a questo sconcio (per Marx la parola per questo "sterminato accumulo di merci" era "osceno") un laico si trovi incondizionatamente d'accordo col Papa, contro Rutelli. Stefano Borselli formazione e conoscenza, sta al centro della società ed è in grado di competere, chi non ha queste risorse -le prime tre sono risorse fondamentali, le seconde sono le risorse degli anni del grande cambiamento, la tecnica- si ritrova nel ghetto, si ritrova out. La società orizzontale è divisa tra chi sta dentro e chi sta fuori. "chi denuncio", ma anche "a chi lo racconto" E per la prima volta nella nostra società appare la forma del ghetto dove stanno quelli che sono senza diritti: gli immigrati, i tossicodipendenti, i devianti, gli omosessuali, chi non ha casa, lavoro, chi non ha denaro, chi non ha informazione e competenza tecnico-scienti fica, cioè chi non è in grado di sviluppare competizione. Ma attenzione: la forma del ghetto non deve rimandare ali' immagine della metropoli americana perché, in questo caso, il ghetto è una forma pervasiva. Facciamo un esempio: quando due anni fa i pakistani hanno occupato piazza Vetra e dormivano lì quella era una forma di ghetto, ma piazza Vetra è a 150metri da piazza Duomo a Milano. Il ghetto, cioè, si forma ovunque ci siano delle persone senza diritti. Ed è allora che compaiono conflitti tra comunità perimetrale di cittadini che non vogliono il ghetto: comitati di cittadini contro gli immigrati, contro i tossicodipendenti, per l'ordine pubblico. Abbiamo cioè una forma di conflittualità sociale che non sempre va nella direzione della società solidale. Allora il mio non entusiasmo deriva da questo: che osservando le dinamiche sociali, non mi pare che siano piene di questi grandi contenuti della trasformazione del nuovo e della rivoluzione. Avverto invece un profondo rancore diffuso che al nord prende categoria politica con la forma, ad esempio, della Lega lombarda. O abbiamo quello che è successoa Genova ad agosto con gli immigrati, quando, per la prima volta, c'è stato lo scontro a causa della paura del ghetto. Ma attenzione, la forma pervasiva del ghetto è mobile. ma diventa irreversibile. Dal ghetto non si esce, dalla periferia si poteva uscire, nel ghetto stanno quelli senza diritti. L ·altra cosa che mi lascia perplesso riguarda il mutamento intervenuto nei processi per 1·ottenimento dei diritti. Se tu prima avevi un diritto negato che cosa facevi? Vedevi chi aveva il diritto negatouguale al tuo, ti mettevi con lui, sviluppavi il conflitto e aspettavi la risposta politica. Oggi invece sono apparsi in maniera molto forte due modi di ottenere i diritti. Il primo è quello che potremmo chiamare via giudiziaria ai diritti, complicato ulteriormente dal ruolo supplente che la magistratura sviluppa rispetto al problema della peste dei partiti politici. Anche il movimento ambientalista molto spessoha avuto sensodi sénon per la battaglia sociale dispiegata ma perché c'era i I pretore democratico che gli dava ragione. Il secondo modo è quello della grande rappresentazione del dolore. Quindi non solo "chi denuncio'' ma "a chi lo dico''. Lo dico al TG3, lo dico a Gad Lcrner, lo dico a Ferrara, lo dico a Lubrano, lo dico a Costanzo, lo dico aFunari ... Cioè si tende sempre più a spettacolarizzare il proprio diritto negato come se rappresentarlo fosse risolverlo. E questagrande rappresentazione del dolore si lega alla patologia dell'ignobile, perché più è ignobile il fatto aJlora più vale la pena che venga rappresentato. Riassumendo: un grande cambiamento nella composizione sociale, nel modo di ottenere i diritti e nella rappresentanza degli interessi. Mi pare che questo sia il salone della Pallacorda da osservare. Hai parlato di un ruolo della magistratura nella società che va crescendo. Non lo vedo come un dato positivo perché, al di là del ruolo che la magistratura ha sviluppato rispetto a "mani pulite" su cui non ho nulla da dire, il problema è che la via giudiziaria ai diritti significa introdurre un meccanismo di delega ali' esterno che io preferirei mantenere dentro un meccanismo di crescita sociale e di capacità sociale di ottenimento dei diritti. Nello stesso tempo sono perplesso quando si crea un polo a cui si delega il meccanismo di tenuta della società. lo credo che la società debba riscoprire meccanismi suoi di selezione e di espulsione di ciò che è bene e di ciò che èmale. Dopodiché la magistratura esiste in quanto esercita il diritto, ma questo è un altro discorso. Mi pare che oggi il ruolo supplente della magistratura siaun ruolo estremamente ampio e vasto che delegittima in parte anche la voce del sociale. I giovani? Mentre prima avevamo a che fare con identità certe nel sensodell 'appartenenza e del riconoscersi nei bisogni, oggi come oggi il vero problema è l'esplosione dell'individualismo e quindi il venir meno di punti di riferimento edi aggregazione. Dopodiché resta il desiderio per ognuno di trovare delle comunità. Allora la questione giovanile come si pone? Cosa è avvenuto? Mentre prima c'erano i movimenti collettivi oggi c'è l'associazionismo, ci sono i centri sociali, che sono la ricerca di una comunità perimetrata in cui fare autoproduzione. autoconsumo dal punto di vista culturale, in cui difendersi, a volte anche nella forma del ghetto in cui darsi cura, solidarietà perché sei fuori, non hai possibilità. la lega di spaesati, stressati, redditieri, neocompetitivi Il passaggio dalla società verticale alla società orizzontale ti porta anche qui a comunità perimetrale. Si è passati dal macro al micro. Sono, come dicevo all'inizio, mutamenti che sono avvenuti anche in maniera più vasta sul territorio. Sei passato dal concetto di cittadinanza e di percepirti città acercarti la tua identità nel quartiere, dal quartiere al condominio, dal condominio al sottoscala, perimetrando sempre più lo spazio. E la Lega che novità esprime da questo punto di vista? La Lega è una forma moderna di questo mutamento della scomposizione sociale. E' una forma di movimento politico contenitore estremamente interessante da questo punto di vista. Rappresenta essenzialmente secondo me 5 categorie sociali. In primo luogo rappresenta gli spa-

r, I J l i ! i J .. ! ' i ; B esati, nel suo senso letterale di "senza paese". Sono quei soggetti delle aree interne o delle aree deboli che avevano come riferimento minuto il maresciallo dei carabinieri, il prete, il farmacista, eccetera, ai quali è cambiato il mondo. I processi di omologazione, che sono stati estr~ mamente pervasivi, hanno fatto perdere loro la comunità di riferimento. Così hanno cominciato a riandare ai fondamenti e a reinventare la comunità lombarda che è una comunità che non è mai esistita. In secondo luogo, non c'è dubbio che, fra gli spaesati che votano Lega, c'è anche una parte di classe operaia. Non tutti, infatti, per reazione al la scomparsa della comunità operaia, hanno fatto prevalere il senso della nostalgia andando in Rifondazione Comunista. Molti hanno reinventato la comunità locale come punto di riferimento. Berlusconiha capito che il gioco è sugli interessi In terzo luogo, oltre agli spaesati composti da questi due soggetti deboli, c'è una parte che io chiamo stressati, che sono gli operatori delle piccole e medie imprese. Questi, di fronte ai grandi cambiamenti degli anni '80 che hanno significato soprattutto mondializzazione dell'economia,competizione, innovazione del ciclo per cui, per essere un imprenditore, non era più sufficiente l'auto-sfruttamento ed essere un buon lavoratore, un buon risparmiatore. Per essere un imprenditore bisognava avere anche conoscenze, innovazione di prodotti, innovazione di processo, marketing e competizione globale. Gli stressati sono questo tessuto intermedio della piccola e media impresa basata soprattutto sul ciclo della famiglia, il famoso sommerso del Censis, che non ce l'ha fatta e quindi si è incazzato e se l'è presa con lo stato imprenditore. Perché giustamente hanno detto "il primo problema non era la nostra incapacità di fare innovazione, sono state le tasse, perché ovviamente le tasse hanno bloccato il ciclo". Fin quando nella Lega c'erano spaesati e stressati era un movimento politico che andava al 10% di voti e aveva come parola d'ordine l'individuazione del nemico: essenzialmente il meridionale o l' immigrato. Se si pensa all'evoluzione della Lega la prima fase era "dagli all'immigrato, dagli al meridionale", perché erano individuati come i competitori che stanno sul tuo stesso terreno di scarsità. Il salto la Lega ha incominciato a farlo quando si è collegata a quello che io chiamo il motore immobile del benessere, che è il partito della rendita. Sono quei signori che in questi anni sono cresciuti con due operazioni: investendo in Bot e investendo in case, che erano fonti di rendita garantiti da extrafiscalità, al riparo dal rischio imprenditoriale. A un certo punto questi signori hanno capito che data la crisi fiscale dello stato questa rendita cominciava a venire meno. Ecco allora che la Lega nel momento in cui si collega con il partito della rendita, mentre prima era un movimento che stava nelle periferie -le aree deboli e le periferie sociali- ha cominciato a penetrare nelle città. Mail verosaltoqualitativoecheha suscitato un grande interrogativo sul suo futuro, la Lega lo fa quando agli spaesati, agli stressati, al motore immobile del benessere, si aggrega quella che si potrebbe chiamare la neoborghesia del competere. Perché il grande passaggio segnato dalla fine del fordismo ha significato essenzialmente che oggi come oggi si produce per competere, con un rapporto tra produttore e consumatore invertito: prima si produceva dando come automatica l'esistenza del consumatore, ora si produce in funzione del consumo, quindi si produce per competere per i mercati. Questo ha fatto sì che crescessero una serie di figure professionali, di lavoro autonomo, nuove: quelli che sanno fare marketing, quelli che sanno fare innovazione di processo dei prodotti, quelli che sanno fare comunicazione. l'impossibilitàdi inventarsi comunità simulanti Fra l'altro, in una società in cui la comunicazione sociale scompare, cresce il bisogno, quasi, di sacerdoti della comunicazione, che diano il senso dello spappolamento avvenuto, che diano le connessioni a gente che ormai vede solo segmenti. Non è un caso che siamo tutti lì a guardare Milano Italia, perché lì si vedono gli scazzi, i controscazzi, la guerra di tutti contro tutti ... In ogni città ci sono queste nuove figure professionali. E non pensiamo che siano figure di lavativi, di bastardi, anzi. E, fra l'altro, la maggior parte della sinistra si è riciclata lì. Questa neo borghesia del competere vuole essenzialmente, a questo punto, anche una modernizzazione, e qui è tutto da vedere come e dove si giocherà la cosa. Allora, facendo questi passaggi la Lega è cresciuta, ma è cresciuta essendo un partito contenitore. Quello che nessuno ha capito, se non Berlusconi, è che, o si fa la battaglia politica partendo dagli interessi e allora la Lega si spacca perché tra gli spaesati e i neo-competitivi ci sono interessi diametralmente opposti, che non puoi tenere assieme tutto questo rifacendo una democrazia cristiana dei tempi moderni. Tant'è vero che appena è sceso in campo Berlusconi, che certamente parla agli stressati e parla ai neocompetitivi, la Lega ha subito stemperato le sue dichiarazioni politiche, proprio perché Berlusconi e Forza Italia le fanno concorrenza sul terreno degli interessi. Quasi nessuno ha capito che bisogna tornare alla rappresentazione vera degli interessi e non star dentro a questa grande rappresentazione calda della politica in cui tutto è spettacolo. E la sinistra? lo vedo tre percorsi di ricostruzione di una sinistra. Il primo percorso è che bisogna cominciare a dire che in questa grande voglia di perirnetrazione e di ricerca di comunità l'altra cosa di cui io sono profondamente convinto è che lo spaesamento va assunto come categoria del moderno e non sarà possibile ritornare a invenzioni di comunità. Però in questo desiderio dell'essere in comune e di ricostruire la comunità c'è una prima discriminante fra chi ha un desiderio di comunità in un confronto con l'altro da sé e chi vuole solo confrontarsi con l'uguale a sé. lo credo che chi sta a sinistra è uno disponibile a confrontarsi con l'altro da sé, capisce che lo spaesamento significa il confronto con gli immigrati, il confronto con le diversità, non significa la riterritorializzazione perimetrata reinventando l'etnia, l 'appartenenza micro o andando a recuperare o a reinventare comunità simulanti. Questa è la prima discriminante. La seconda è quella tra comunità\ perimetrale che prendono l'altro da sé come nemico -i comitati dei cittadini rancorosi- e chi invece cerca di trovare una nuova forma di comunità in cui si costruiscono i comitati dei cittadini per una nuova partecipazione, per determinare le cose, anche qui territorialmente date, perché non è che vai più nel mondo, però per creare una nuova partecipazione ai problemi di sanità, ambiente, eccetera. Se tu li vedi da Funari, in questa grande spettacolarizzazione e rappresentazione del dolore, sembrano tutti uguali ma non è vero, ci sono comitati che vanno in una direzione e comitati che vanno nell'altra. chi vuol solo competere e chi ha un progetto di vita La terza discriminante riguarda il riposizionamento degli interessi rispetto al problema degli ultimi e al probl~ma del welfare. Attualmente si rischia di buttar via il bambino con l'acqua sporca perché è vero che noi avevamo l'assistenzialismo, lo scambio politico, le bustarelle eccetera, però si sta rischiando di buttar via, con questo, anche il welfare che è un sistema di protezione sociale. Il problema vero, semmai, sarebbe quello di cercare di recuperare un meccanismo di protezione sociale degli interessi degli ultimi che eviti la forma del ghetto. Quarto ed ultimo punto: le forme di spaccatura che avvengono dentro il lavoro autonomo. Tra chi vuole semplicemente un meccanismo di pura competizione e un lavoro autonomo che, venendo spesso anche da una cultura di sinistra, ha invece un progetto di vita e che si pone un problema di sol idari età, di cambiamento, di ridisegnare la propria città, di ridisegnare il proprio luogo, gli spazi. Ci si sta muovendo in questa direzione secondo te? Credo che ormai siamo dentro questo percorso di transizione. Quella dal partito di massa al partito di opinione è avvenuta, sta avvenendo la ridefinizione della collocazione degli interessi, sta emergendo una composizione sociale nuova, credo che a questo punto la cosa principale, per la ricostruzione di una sinistra, sia muoversi nei meccanismi di connessione sociale. Se tutto è orizzontale la sinistra deve ripartire da una politica come ars associandi, come capacità di associare e raggruppare. Se mi chiedi se questo problema sia al centro sul tavolo dei progressisti francamente non mi pare. Questo mi pare un raggruppamento ancora molto dentro alla categoria dell'autonomia del politico. lo privilegerei una categoria di prevalenza sociale. - ------------~ ABBONATEVI A UNA CITTA' ABBONAMENTO a 1 O numeri: 30000 lire. Sostenitore: 50000 lire. C. C. P. N. 12405478 intestato a Coop. Una Città a r.l. Redazione: p.za Dante 21, 47100 Forlì - Tel. e fax: 0543/21422. La redazione è aperta tutti i giorni, certamente dalle 17 alle 19. Una citrà si può trovare nelle librerie: a Bologna: "Feltrinelli", "Tempi moderni", e Libreria Delle Moline; a Cesena: "Dedalus", "Betrini" "Minerva"; a Faenza: "Moby Dick"; a Pesaro: "Pesaro Libri"; a Milano: nelle tre "Feltrinelli", alla "Utopia", alle librerie della Statale, "CUEM" di Via Festa del Perdono e "CUESP" di Via Conservatorio. eca~1no Bianco BERLUSCONI, CIOE' I.A DEMOCRAZIA E' ingenuo vedere in Berlusconi e nel suo gelatinoso movimento una minaccia per lademocrazia. Equesto non perché non si debba indulgere al catastrofismo -è veramente difficile, infatti, immaginare per il nostro futuro prossimo qualcosa di più disgustoso di una società plasmata sui valori propugnati dal cavaliere di Arcore e dai suoi seguaci-, ma per una ragione semplicissima, che spiega, al contempo, anche la probabilissima sconfitta della sinistra alle prossime elezioni. «Berlusconi» -nome-cifra del sospirato «nuovo» che ci attende al v_arco-è la democrazia, r)e è la sua compiuta ·manifestazione. No'nsi sobbalzi sulla s'èdia,denunciando la violazione sistematica della legalità, la manipolazione delle coscienze, il ricorso alle tecniche della disinformazione che caratterizzano la campagna elettorale del biscione. Non è certo la difesa di questi valori del liberalismo classico a qualificare il carattere profondamente «democratico» dell'esperimento berlusconiano, tant'è che questi ideali, non senza una certa ironia della storia, sono sbandierati proprio dallo schieramento awerso a quello che ama definirsi "liberal-democratico". Con Forza Italia si mira infatti all'essenza della democrazia, a ciò che fa di essa qualcosa di più di un sistema di astratte regole atte a garantire la libertà formale del cittadino, qualcosa che, invece di attardarsi in incomprensibili astrazioni (separazione dei poteri, autonomia del momento economico da quello politico, pluralità dei soggetti nell'informazione ecc.), parla direttamente al cuore dell'uomo-massa, lo seduce e lo incanta. La democrazia, con il karaoke e il linciaggio mediologico, si fa finalmente contenuto, dismettendo la sua arcaica, ottocentesca, veste formale e puramente metodologica. Non si deve eccedere nella sottovalutazione dell'intelligenza dell'elettore del biscione. Egli vede in modo sufficientemente chiaro ciò che gli awersari del cavaliere non si stancano di denunciare, ma col cuore sente che la posta in gioco è troppo importante -e direi troppo per lui gratificante- per essere sacrificata a questioni di dettaglio. E la libertà della coscienza, lo spirito critico, il rispetto delle forme, sono questioni di dettaglio quando la democrazia, appoggiandosi alla moderna tecnologia delle comunicazioni di massa, può finalmente dar corpo -un corpo immaginario senza sangue né lacrime- al proprio mito fondatore: la dittatura dell'opinione pubblica, l'universalizzazione dello spirito gregario, l'eliminazione, in ultima analisi, di qualsiasi gerarchia che abbia il proprio fondamento in qualcosa di diverso dal consenso rancoroso della maggioranza. La demagogia, infine. Un filosofo tedesco, assai contestato, lo aveva scritto più di sessant'anni fa: il mito della democrazia compiuta è il dominio dell'anonimo, del "si" impersonale, la sostituzione della·chiacchera universale aHaresponsabilità della parola. E, a ben guardare, se il tanto vituperato Berlusconi si sottrae al «confronto» per rintanarsi nel monologo vuoto e ossessivo, ciò accade perché ben sa che la sua parola, indipendentemente dal messaggio, è speculare al quotidiano mormorare del suo pubblico. E' questa sovranità immaginaria, questa possibilità di protagonismo offerta, senza canone, all'ultimo degli uomini -dopotutto basta rispondere ad un sondaggio o dire la propria opinione in una trasmissione televisiva-, e non la libertà, l'uguaglianza, la fraternità, a parlare al cuore dell'uomo-massa, di colui cioè che non è individuo se non nella idiosincrasia dei suoi inconfessabili vizi, ma che, quando pensa, pensa come «si pensa» e, soprattutto, si indigna come «ci si indigna». E' evidente che ben poco può fare contro tutto questo il semplice appello alla ragione. La sinistra legalitaria e liberale, illuministicamente, confida ancora nella maturità dell'elettore. Pensa umanisticamente al consenso come a qualCO$a,che si raggiµ_ngeal termine di un processo di formazione, nel diafogo e attraverso il dialogo. Se non alza la voce e si mostra béne educata è perché crede che sia l'evidenza a parlare per lei. Ma le evidenze della ragione franano sempre di fronte a ciò che è evidente al cuore, il quale, anche nel male, ha comunque una ragione in più. Rocco Ronchi I ILI CORRIERE ESPRESSO [IDX~© GROUP INTERNATIONAL FORLI' - P.zza del Lavoro, 30/31 - Tel. 0543/31363 - Fax 34858 RIMINI - Via Coriano 58 - Blocco 32/C - Gros Rimini Tel. 0541/392167 - Fax 392734 . . SERVIZIO NAZIONALE E INTERNAZIONALE 70 SEDI IN ITALIA Aut. Mln. n. 6/1758 del 2/10/93 UNA CITTA' 3

di storia italiana Qual è il nostro peccato originale? Una mancata riforma, o rivoluzione, liberale o uno stato imposto con le cannonate da una minoranza illuministica a un popolo che disprezzava? Detto altrimenti, cosa si fa coi contrabbandieri napoletani? Un dialogo fra Paolo Flores D'Arcais e Vincenzo Buglianie A poche settimane da una scadenza elettorale che giunge dopo due anni di "grande scombussolamento", volevamo interrogarci, anche alla luce della storia recente del nostro paese, sulla situazione attuale, sulle proproste e i modi di essere della sinistra, sugli umori che corrono fra la gente. Per farlo abbiamo invitato a discuterne Paolo Flores D'Arcais e Vincenzo Bugliani, che sapevamo avere punti di vista diversi. P.F. Certamente stanno muovendosi umori diversi e con alcuni di essi la sinistra, se · rimane fedele a se stessa, non può entrare in dialogo. Dimentichiamo troppo spesso che questo paese ha in maggioranza votato per Andreotti e Craxi e che quella che, troppo precipitosamente e ottimisticamente, è stata definita la "rivoluzione italiana" in realtà non ha visto nessuna partecipazione popolare. Una parte consistente di cittadini italiani si trovava largamente a suo agio in un sistema fatto di rapporti premoderni -clientelismo, illegalità diffusa, evasione fiscale spettacolare o, in altre zone, l'altra forma di evasione fiscale rappresentata dal contrabbando-. Natural mente poi, quando è venuto fuori il marcio di cui Craxi e Andreotti erano responsabili, questa parte non li ha difesi, ma non per questo il paese ha fatto una rivoluzione nei modi di pensare, nei costumi e nelle abitudini, ha solo trovato una bandiera in apparenza moderna e nuova di quel vecchio sistema e questo è parso, a questa parte del paese, un'ancora di salvezza. Questo è l'aspetto con cui la sinistra non può dialogare. La sinistra deve solo combattere contro questa mentalità e questi interessi che si traducono in tendenze ad un populismo illiberale, a forme soft di peronismo. Naturalmente a queste cose premoderne si mescolano spinte e umori in apparenza iper-moderni e, cioè, la stanchezza per quelle garanzie che finivano per essere paralizzanti, che non valorizzavano il rischio e la responsabilità individuale. la polemica contro l"'individuo" un brutto retaggio di sinistra E la sinistra ha certamente grandi responsabilità nel non aver saputo cogliere questo tipo di umore, nel non aver saputo assumerli e incentivarli come potenzialità positive. La polemica contro tutto ciò che è "individuo" è certamente uno dei retaggi negativi che la sinistra italiana si è portata dietro e che la spinge, frettolosamente, a passare all'eccesso opposto, a parlare di ,privatizzazione in ogni caso e quindi a contribuire ad un clima che facilita chi, come Berlusconi, può abusivamente presentarsi come alfiere del privato. Quindi, più che parlare di umori in generale, è necessario distinguere. In gran parte del paese c'è un intreccio di spinte contraddittorie, alcune delle quali dipendono dal fatto che questo paese non ha avuto né la riforma né la rivoluzione, mentre altre esprimono proprio un bisogno di modernizzazione. Il fatto che la sinistra non abbia saputo dare risposte positive in tempo e ora si affanni per recuperare, con una credibilità parziale e, spesso, con uomini non ali' altezza, consente a chi gioca su entrambi gli aspetti di capitalizzare tutti gli umori. Non so se tutto questo sembri campato in aria ... V.B. No, non lo è, ma mi pare che sia un punto di vista, come dire, ·'nemico della patria". Cioè un punto di vista denigratorio nei confronti dell'Italia che è antico nella nostra classe dirigente. L'Italia moderna è nata da intellettuali che aspiravano ad essere protestanti, a rappresentare un ideale esterno al paese, e che hanno fatto il paese in realtà odiandolo, disprezzandolo, giudicando i suoi abitanti plebaglia arretrata, primitiva. clientelare, disposta ad andare dielro a chiunque. Credo che nel le sue parole rieccheggi questa .ascendenza, che è nobile intendiamoci, ma che ha imposto al paese un modello astratto, ideale, e lo ha violentato obbligandolo a rincorrere modelli esterni. "gli italiani sono un popolo di cani" disse Parri da vecchio Ricordo che una volta, in una intervista, Ferruccio Parri, ormai anziano, disse "gli italiani sono un popolo di cani". Un padre della patria quale era, ormai vecchio, inacidito, che odiava l'Italia così come era uscita dal dopoguerra, finalmente si sfogava e arrivava a dire quel che pensava da sempre. Implicita in quel disprezzo l'idea che quello che ci voleva per l'Italia era un gruppo di intellettuali illuminati, moderni, europei, non cattolici ma tendenzialmente protestanti. Certo tutto questo rivela anche una specie di nobiltà severa, una moralità austera, laica, kantiana, che però è estranea al paese. E se lei guarda tutti i grandi della classe dirigente che, dalla fine del '700 in poi, ha fatto il paese nota che c'è, costantemente, una specie di "divaricazione dello sguardo": da una parte lo sguardo schifato verso il meridione, verso le nostre campagne, e dall'altra l'aspirazione ad essere portatori, in questo paese, dello "spirito della storia", con una filosofia della storia potente, forte, niente affatto volgare, nobile, ripeto. Un po' lo stesso sguardo, certo in termini più volgari, con cui spesso le classi dirigenti del Terzo Mondo, formatesi, per lo più malamente, nelle nostre metropoli, hanno considerato, dopo il colonialismo, i loro popoli disgraziati, imponendogli un modello di governo per lo più spietato, per lo più lacerato fra la scimmiottatura delle classi dirigenti europee e la violenza al proprio popolo. A me pare che dalle sue parole emerga un atteggiamento in seria coerenza con quello che è stato il rapporto fra questo paese e le sue classi dirigenti. Non contesto lo slancio morale, l'idealità potente, di chi intendeva portare un po' hegelianamente, questo paese dentro la storia, io ancora mi ritengo discepolo di Croce e sono uno che ammira Gentile, ma questi sono gli estremi più nobili di chi, interpretando lo spirito della storia, poi va a fare i conti con un paesaggio che a loro appariva orrendo, da cannoneggiare se ce ne fosse stato bisogno. li sud ha conosciuto l'unità italiana mediante il cannone, i plebisciti falsificati. la cooptazione della vecchia classe dirigente in quella nuova. Secondo me qui sta un po' la questione e pensavo che questa crisi, che qualcuno chiama "rivoluzione", potesse aprire finalmente un varco ad una specie di autocoscienza nazionale che salvasse questo paese. lo mi ritengo molto patriottico -amo il mio paese, ne conosco i difetti, ma lo sento mio e anche i difetti non voglio scaricarli altrove o pensare che li abbia introdotti un virus esterno- e pensavo che questa crisi potesse essere un momento di grande verità. Invece mi pare che ci sia una falsificazione, come se fino a ieri il paese fosse stato una vergogna indicibile, mentre in realtà è stato molto libero e, nonostante i ladroni. discretamente benestante. Nel loro rapporto tra il competitivo e il collaborativo DC e PCI hanno fatto un paese che non è miserabile, né brutto, né i li iberale. Questo paese ha conosciuto il fascismo e la guerra e dal fascismo ha anche ereditato tranquillamente, senza tanti tremori dicoscienza, molti strumenti di potere e di governo, però bisognerebbe anche intendere come questo intreccio abbia prodotto un paese che per molti versi non è peggiore di quelli europei. A meno che, appunto, non si assuma un punto di vista di rigorismo protestante e ci si immagini di essere portatori di un model lo di società, di Stato, di vita civile, che si deve in qualche modo imporre a questo popolo. Un popolo che certo ha un sacco di difetti, ma i difetti, come lei sa, sono anch'essi un portato storico e la classe dirigente che ha fatto questo paese ha in realtà favorito la viltà popolare, l'opportunismo, il parassitismo, cose che già ben sapevano Gramsci, Gobetti o altri, che erano più protestanti di quanto non sia io. Il nostro popolo è stato in qualche modo costretto ad essere corrotto da uno Stato imposto dalr alto per vie diplomatiche, per avventurismo politico e per demagogia, mazziniana o garibaldina che fosse ... P.F. Ha messo tantissima carne al fuoco e mi sembra che •in quel che dice ci siano alcune cose contraddittorie. Io non ho nessun culto per il risorgimento e non sono affatto uno storicista, né hegeliano, né crociano, né, meno che mai, gentiliano. anche i lazzaroni che impiccavano i giacobini erano popolo Poi non capisco come si possa sostenere che un potere esterno, di stampo "illuministico kantiano", abbia imposto la sua volontà a questo paese. Mi piacerebbe se fosse stato così, ma mi sembra non sia avvenuto nulla di tutto questo; non mi sembra che i Savoia o i loro ministri possano essere presentati come portatori di uno spirito illuministico, di un rigore kantiano, di una specie di giacobinismo in ritardo. Invece a me sembra che nel modo in cui è stata fatta, se vogliamo anche imposta, l'unità d'Italia tutte le stratificazioni storiche siano state accolte, che nulla sia stato imposto e il processo sia stato quello di un costante trasformismo. Questi sono i cromosomi negativi che ci portiamo dietro e quindi mi sembra molto forzata l'idea di un illuminismo imposto al nostro paese. Certi dirigenti tutto erano fuorché eredi dell'illuminismo e hanno fatto tutti i possibili compromessi con tutti i ceti dirigenti esistenti in questo paese, borbonici compresi. Certo si può dire che questo riguarda i ceti dirigenti, ma non contrapporrei a questi ceti dirigenti una bontà originaria delle popolazioni italiane. Purtroppo mi pare che in lei ci sia un elemento populistico che pensa che la cosa giusta stia ovunque un popolo si muove. Ma il popolo che si muove sono anche i lazzaroni napoletani che impiccano i giacobini o le truppe del Cardinal Ruffo. Nella storia ci sono stati vari movimenti di popolo profondamente reazionari, ma ci eravamo illusi che, a partire dalla nascita del movimento operaio moderno, socialista, questo non potesse più avvenire e che ogni movimento di popolo sarebbe stato egemonizzato dal movimento operaio, finendo per acquisire una sicura caratura progressista. Invece non è così, è una delle illusioni in cui ci siamo cullati, anche se non penso che la crisi e i vizi attuali siano il portato della mentalità del popolo italiano. Lei stesso ha sostenuto che ad incentivare alcuni clamorosi difetti di questo paese sono stati i comportamenti dei ceti dirigenti, ma il segno di questi non era l'illuminismo, non era lo spirito di legalità di matrice kantiana. Era il trasformismo, era un atteggiamento opposto a questi valori e cioè: leggi draconiane, ma con l'implicito riconoscimento che tanto, nell'applicazione, poi ci si metteva d'accordo, che chi aveva santi in paradiso era esentato dall'obbedire e così via ... Anch'io ho creduto che questi due anni di crisi e di "mani pulite" potessero segnare la svolta, l'avvio di una rivoluzione della legalità, dello stato di diritto, dell'assunzione della responsabilità e dello spirito pubblico da parte di ciascuno. Cioè, esattamente, quel retaggio dell'illuminismo, del kantismo, che in Italia non ha mai messo radici né nei ceti dominanti. né nei ceti popolari. E' ovvio che eravamo in presenza di un circolo vizioso ed era vero quanto dicevano molti sostenitori del vecchio regime, che gli italiani avevano il governo che si meritavano. Ma tino a che gli italiani non diventeranno dei cittadini intransigenti, nel duplice senso dei diritti e dei doveri, non potranno pretendere dei governanti alla loro altezza. Naturalmente si può rovesciare il ragionamento: ogni classe dirigente ha il popolo che si merita e quindi, fino a che si continua c.:onil malgoverno, la corruzione, il clientelismo, non si avrà mai una maggioranza di cittadini responsabili. Noi ci trovavamo in un paese che non ha mai avuto uno Stato, nel senso vero e moderno del la parola, che non ha mai avuto un ordinamento giuridico sentito come vincolante per tutti e non ha mai avuto un'opinione pubblica che, comportandosi secondo i suoi doveri, si sentisse in diritto di controllare rigorosamente i poteri pubblici e di pretendere da essi coerenza con le leggi. A un certo punto ci siamo trovati alla fine del comunismo, quindi dell'anticomunismo, con una crisi economica che ha mostrato i limiti della politica delle clientele e della corruzione, ed abbiamo visto che un pezzo di Stato moderno, addirittura più moderno che negli altri paesi europei, in Italia c'era: una parte della magistratura e la sua possibilità di reale indipendenza. Ed è sembrato che questo frammento di Stato moderno potesse innescare un circolo virtuoso per cui i cittadini cominciassero a comprendere che potevano avere interesse a comportarsi da cittadini, pagando ovviamente anche il prezzo, il rischio, la responsabilità, che comporta essere dei cittadini e non dei clienti o dei sudditi. Purtroppo mi sembra che questa scintilla sia rimasta tale, che la maggioranza del popolo italiano sia quasi spaventata per il peso che avrebbe significato diventare cittadino e preferisca un nuovo "salvatore della patria", un salvatore catodico invece che un ·'uomo della provvidenza". il cemento populistico illiberale dell'alleanza Berlusconi-Bossi-Fini lo comunque non contrappongo, genericamente, il popolo alle classi dirigenti e non ho affatto disprezzo per questo paese: vedo gli elementi contraddittori che vi sono, anche a livello popolare. E quando vediamo le manifestazioni dei contrabbandieri di sigarette è bene sapere che, se si vuole una economia basata sulla legalità, non si riuscirà dall'oggi al domani a trasformare dei contrabbandieri in occupati normali, anche perché, checché ne dica certa retorica, i guadagni che si fanno col lavoro da operaio non sono all'altezza di quelli che si fanno con il contrabbando, anche con quello minuto. • Disinfestazioni • Derattizzazioni • Disinfezioni • Allontanamento colombi da edifici • monumenti • Disinfestazioni di parchi e giardini DIFFUSIONE SPECIALISTARTICOLIDABAMBINO CASSARURALEDARTIGIAN-AFORLI' • Indagini naturallstlche 47/00 Forfi • viaMeucci,24 (ZonaIndustria/e) Te/.(0543)722062 Telefax (0543)722083 CENTROCOMMERCIALE«ILGIGANTE» BABYCROSS · GIGANTE ViaCampodeiFiori 47100Forlì Tel.0543/721023Fax0543/724797 BABYCROSS · RIMINI ViaNuovaCirconvallazion2e1, 47037Rimini(FO) Tel.0543/777552 NEL CUORE DELLA CITTA'

Così come vedo nell'alleanza BerlusconiBossi- Fini una realtà cementata da umori populistici illiberali, dalla paura di dover prendere la legalità e la democrazia sul serio, con tutte le responsabilità e le fatiche che essere individui comporta. Per me la speranza che nascesse qualcosa da "mani pulite'· era quella che in via pacifica si potessero immettere i cromosomi di una storia che l'Italia non ha avuto -la riforma protestante e le grandi rivoluzioni politiche come quella inglese, americana, francese- e potesse nascere un paese europeo, non certo questa commistione straordinaria di pre-modemo e post-moderno rappresentato dall'incontro Ber! usconi-BossiFini. E comunque, lo ripeto, non capisco quale sarebbe l'atteggiamento antipopolare in una posizione come la mia e quale la politica popolare da seguire. Poi, e qui ritorniamo al problema DC-PCI, io penso che la democrazia non possa essere solo consenso, ma che il consenso vada ricercato all'interno di un sistema di regole che mettano tutti su un piano paritario. La democrazia non è solo consenso, perché abbiamo avuto consenso nel fascismo, nello stalinismo, nel nazismo, nel peronismo, nell'Irpinia che si ribella per De Mita, ma a me questo tipo di consenso non piace, mi spaventa anche se è popolare. Anzi, quanto più è popolare tanto più mi spaventa. li si mette tutti in galera? Alla fame? Si fa Bava Beccaris? V.B. Concordo con molte delle cose che ha detto, sono sacrosante, tuttavia non sono convinto di altre. Lei ha messo bene l'accento sul trasformismo della classe dirigente, però anche questo non è un apriori: bisogna cercare di capire come questa classe dirigente abbia usato la tecnica del trasformismo equi si può partire dall'esempio dei contrabbandieri, con cui alla fine in qualche modo dovremo fare un compromesso ... P.F. No, io penso che non si debbano fare compromessi, non è accettabile ... V.B. E allora cosa fa? Li mette tutti in galera? Li mette alla fame? Quante volte sarà stato inevitabile, e lo sarà ancora, venire a patti con situazioni che hanno una sedimentazione vecchia, per cui, pur essendo sgradevole e da spingere verso nella condizione di plebe. V.B. Una sinistra così lei non l'avrà mai e sarà sempre scontento. La sinistra è anch'essa un partito di massa che. responsabilmente, deve fare mille aggiustamenti e compromessi, perché chi sta al governo deve in qualche modo garantire una governabilità che non sia un rigorismo astratto. E' certo sgradevole che un paese acconsenta e lasci, magari guardandola in modo obliquo, una zona di illegalità, però, facendo quel che dice lei, avremo in piazza le manifestazioni dei disoccupati. E allora cosa faremo? I Bava Beccaris? lo mi chiedo cosa farebbe Bassolino se fosse al governo, cosa farebbe una sinistra come la nostra, che affronta le cose esaltando i diritti. Lei prima ha parlato di doveri, ed io condivido questo richiamo, ma la sinistra i doveri non li ha mai sentiti nominare. La sinistra -quella operaia, popolare, cui si riferiva lei, che ha nobili tradizioni di costumi e di dignità moraleha fatto propri tutti i rivendicazionismi, anche quelli piccolo borghesi. P.F. Tornando alla questione dei contrabbandieri, la sua mi sembra una logica anaIoga a quella di chi dice che, se i giudici continuano a colpire la corruzione, le imprese, gli appalti si fermano e ci saranno dei disoccupati. lo trovo che questa sia una demagogia a cui non si deve concedere nulla; il populismo consiste proprio in questo giustificare la corruzione perché garantisce posti di lavoro ... Questa è la logica che ha portato, addirittura dopo che erano stati uccisi dei giudici, ai cartelli con scritto "la mafia è lavoro" ... V.B. Lei sa, però, che la legalità non è mai assoluta e si orienta politicamente. I magistrati, poi, non sono la "quota moderna" del paese, come ha detto lei, ma sono un ceto di potere con una struttura compatta di interessi corporativi. In questi due anni in cui hanno preteso di curare il paese dalla corruzione hanno commesso illegalità orribili, insopportabili, mettendo a repentaglio proprio i principi del diritto, le garanzie su cui il diritto si basa. Inoltre può un paese rigenerarsi se uno dei poteri esorbita dalle sue competenze e delegittima non i partiti, ma la politica in sé per sé, la politica come luogo in cui si fanno le mediazioni? questi magistrati hanno diseducato, hanno fatto strame del diritto l'estinzione, ci sarà pure modo di fare Questa, mi pare, sia la cosa grave ed è mezzo e mezzo: intanto riconoscere il fat- veramente demagogico dire che il moralito, la sua esistenza... smo è il principio fondamentale della poliP.F. Di fronte ad un dato problema I' atteg- tica, che la politica dovrebbe essere traspagiamento solito è stato di non fare tutto il rente, pura. Sono cose fuori dalla grazia di possibile per risolverlo in modo rigoroso, dio! Ci vorrebbe un po' di Machiavelli pur con gli ammortizzatori sociali possibi- inteso seriamente, non alla Miglio! Non è li. Cosicché riconoscere un problema di- un 'operazione bella ingannare un'altra volventava un alibi per lasciarlo a se stesso. ta il paese col moralismo per cui tutto Fra il ministro delle finanze che dice ai sarebbe dipeso dai ladri! Ma che teoria è contrabbandieri "vi trovo un posto di lavo- questa qua? Da dove vengono questi ladri, ro" e Bassolino, uomo di sinistra, che dice come si sono prodotti, che rapporto hanno "qui si applica la legge" io sto totalmente col paese? dalla parte di Sassolino. Naturalmente un La magistratura, per esempio, ha ulteriorcontrabbandiere disoccupato è un disoc- mente diseducato il popolo italiano e ha cupato, come gli altri che non hanno fatto permesso la demagogia di alcuni partiti icontrabbandieri,elaconclusionenonpuò che speravano di trarre vantaggio da una che essere quella di cercare delle soluzioni crisi della politica che invece colpisce tutper tutti i disoccupati. Ma quello che non è ti, perché il discredito contro la classe accettabile è il privilegio dell'illegalità. In politica è tale che nessuno, se non per un questo sto completamente dalla parte di breve momento, può trarne vantaggio. Basso lino e penso che solo con una sinistra Questi magistrati, arretrando a prima di così si possa cambiare seriamente il paese Beccaria e deformando gli elementari prin- Bef Blie ol ecaopGtrno oipi deJ dir~incòo la carcerazione come strumento di pressione sugli inquisiti, hanno violato sistematicamente il segreto d'ufficio, hanno consentito che si desse per condannato, per colpevole, chi è inquisito o è vicino all'avviso di garanzia. E la gente ha partecipato, lo sa bene anche lei, in uno stato '·gladiatorio", col piacere maligno di vedere colpiti i potenti ai quali, magari fino al giorno prima, ci si è umiliati per avere un vantaggio, per avere raccomandazioni. E' successo un po' come il 25 luglio, che non fu un risanamento del popolo antifascista, ma che, insomma, alla fin fine fu una vigliaccata. E quanti giovani, per malinteso rigore morale, si buttarono nella repubblica di Salò perché disgustati dal trasformismo e dai voltagabbana? E' chiaro che la magistratura deve fare il suo dovere e deve mandare in galera i ladroni, però il paese ha condannato I' intera classe politica senza che ancora sia avvenuto un processo; non c'è ancora una sentenza definitiva e già il paese ha deciso che sono tutti ladri. Queste cose qua, anche dal suo punto di vista, non sono belle, sono radicalmente contraddittorie. Lei sa, come lo so io, che i principi del diritto sono talmente delicati che o li salva la classe dirigente o il popolo non li salva mai. La gente la tortura la vorrebbe sicuramente, vorrebbe anche la pena di morte qualche volta. In questo senso è grave dare ascolto al popolo; guai a fare dei referendum su queste cose ... La massificazione totalitaria dei rapporti tra classe dirigente e masse, poi, non è solo la destra ad averla voluta o teorizzata, la sinistra in queste cose cammina tranquilla come gli altri. E' chiaro che la gente oggi è presa in mezzo a delle dinamiche forti, che non domina, ma che qualcuno ha illuso potesse dominare. In questo do la colpa alla classe dirigente anche se non immagino un popolo sano. Immagino però un popolo che ha diritto, non so su quale base, ad avere dei buoni governanti e che fa la sua parte. Su questo concordo con lei: abbiamo avuto una classe dirigente che è stata tale solo in parte, che si è tirata indietro, che è stata incapace di essere coerente, che è ricorsa a mezzucci, ma non credo che ci sia un modo dal basso che produce il bene, per cui non è questione di essere per il popolo o contro il popolo, ma di capire come sono le dinamiche fra chi dirige, o chi si impone come dirigente, e il resto della società. Questo è il momento che in Italia ha funzionato male e sarà un linguaggio un po' religioso, sarà una sorta di mania, ma io credo si debba tornare un po' al ·'peccato originale" di una unità d'Italia fatta da una minoranza esigua, fortemente motivata moralmente, sicuramente nobile, di alto livello, maestranea al suo paese, che gli si è imposta in tutti i modi, che ha imposto lo Stato con le cannonate. P.F. Certo non gli ha imposto l'illuminismo ... V.B. Gli ha imposto comunque un posto nella storia, e questo è illuminismo, lo chiami come vuole. Gli ha imposto un posto nella storia andando contro quello che questo popolo era e ovviamente per fare questo aveva bisogno della centralizzazione politica. E' anche per questo che io credo che sia ora di cominciare a capire che converrebbe far proprio una specie di programma federalista ... P.F. Innanzitutto non sono assolutamente d'accordo sul suo giudizio sulla magistratura. Non credo che ci sia questa magistratura così compatta. Essa, anzi, è profondamente divisa, ci sono sempre state maggioranze e minoranze, sono state fatte cose ottime e cose pessime. lo sono da sempre un estremista del garantismo, ma le leggi sul segreto istruttorio, sulla carcerazione preventiva, le hanno fatte i parlamentari, non i giudici, e non mi sembra che le diverse operazioni di "mani pulite" si segnalino per scarso garantismo. il presunto "mostro" di Firenze preso a calci anche dai fotografi lo do il giudizio opposto: rispetto alla media dell'andamento processuale italiano il tasso di garantismo nei confronti degli imputati politici è abissalmente più alto di quello che viene realizzato nei confronti dei cittadini comuni. Pigliamo proprio l'uso della carcerazione preventiva. Insomma, non c'è paragone fra l'uso, limitatissimo, che ne è stato fatto per i personaggi politici e il modo in cui viene utilizzata per i cittadini che non hanno potere politico. I giudici di ··mani pulite" sono stati degli iper-garantisti nell'applicazione delle leggi vigenti ed i politici hanno scoperto di aver fatto delle leggi immonde sulla carcerazione preventiva solo quando sono stati loro i colpiti. Ricordo ancora quando il portavoce di Forlani, Carra, fu presentato in manette al tribunale: la stampa fu indignata, il parlamento insorse, il ministro della giustizia si stracciò le vesti, si disse che un fatto del genere non sarebbe più avvenuto. Bene, qualche settimana fa il cosiddetto "mostro di Firenze" circolava ammanettato tra una marea di fotografi che lo pigliavano a calci, lo spintonavano e così via. Ma anche quello è un cittadino in attesa di giudizio,- con la stessa presunzione di innocenza d~i . politici e contro cui, se la vogliamo di~e tutta, ci sono degli elementi labilissimi rispetto agli elementi che ci sono su Craxi, Andreotti, Cirino Pomicino. Eppure non mi risulta che il parlamento abbia fatto una seduta speciale, che i telegiornali abbiano aperto con questa infamia delle manette, che il ministro della giustizia si sia stracciato le vesti ... tra Beccaria e Bossi una totale incompatibilità Non è vero che i politici siano stati trattati peggio, è che hanno sempre fatto delle leggi anti garantiste. A me, francamente, sembra che la carcerazione preventiva sia stata quasi sempre applicata quando era necessaria. Sicuramente ci sono stati degli errori, e anche un solo errore giudiziario è una cosa terribile perché ciascuno di noi è un individuo e non una cifra in una statistica, però le possibilità di sbagliare ci sono anche per i giudici più scrupolosi e, su circa tremila imputazioni per "mani pulite", i casi di errore sono quattro o cinque, cioè cifre che non si vede come evitare anche con le persone più attente. Lei dice che in questo modo si è diseducato, che il cittadino ha imparato che il giudice deve sostituire il politico, ma a me sembra che questa diseducazione sia il portato del comportamento dei politici che ha infangato la politica. Naturalmente anche l'opposizione ha le sue colpe e, da un certo punto di vista, il corrotto all'opposizione è peggio del corrotto al governo perché tradisce il suo ruolo, la sua funzione di alternativa e di speranza, però non c'è alcun rapporto fra il marcio che è venuto fuori nei partiti di governo e le colpe che pure sono venute fuori nei partiti d'opposizione. Lei diceva poi che si sono giudicati i politici prima che ci fossero le sentenze, ma io credo che, dal punto di vista politico, non sia necessario aspettare una sentenza definitiva per giudicare corrotto un politico. In molti casi non dobbiamo aspettare nemmeno l'incriminazione perché abbiamo strumenti come l'inchiesta giornalistica o l'uso del la logica che ci permettono di riconoscere i politici che non fanno il loro dovere, che sono corrotti, che vivono nella illeceità. Veniamo però alla terapia. Lei dice che se ne esce col federalismo, ma bisogna capire cosa si intende quando se ne parla perché tra Cattaneo e Bossi ovviamente c'è una totale incompatibilità, e naturalmente Cattaneo va benissimo anche a me ... V.B. E' chiaro che il federai ismo può significare tutto e la scimmiottatura di tutto, ma se è vero che il guaio nasce dal come una minoranza intellettuale ha imposto ad un paese uno Stato che ha violentato la gente, che è stato conosciuto per il servizio militare, per le tasse oppressive, per le macellerie belliche e via di seguito, allora è possibile provare a fare una specie di storia dei difetti nostri, è possibile che si possano ristabilire le condizioni di partenza. Bisogna che il paese si guardi un po' allo specchio e si veda con tutto il buono e con tutti gli errori fatti insieme. Con le sofferenze che abbiamo vissuto, con le guerre mondiali che ci hanno insanguinato e che fanno un paese: anch'esse sono un patrimonio che ci appartiene e su cui non va sputato, visto che abbiamo pagato noi. E da questo si parta per prendersi ognuno le sue responsabilità. In questo senso "federalismo" vuole innanzitutto dire che ognuno impari a governarsi almeno nell'ambito delle sue competenze territoriali. In questo caso è chiaro che comincerebbero a smontarsi la dipendenza, la delega eccessiva, le attese, quindi il clientelismo, e anche lo sbandamento dall'eccesso di fiducia all'eccesso di sfiducia, dalla ovazione popolare al tradimento popolare. Il 25 luglio è esemplare. Ma è esemplare anche Tangentopoli, perché il popolo italiano ha vissuto con i ladroni e in qualche modo ne ha beneficiato; tutti quanti siamo passati col rosso, di pensioni false in Italia ce ne sono non so quanti milioni e in qualche modo, sicuramente distorto, hanno dato reddito. Tutto questo si risana con altre nobili aspirazioni di nobili anime - destinate ad essere sempre deluse, amareggiate e che poi, magari, si arrabbiano con la gente- o non è invece, pur rispettando i tempi, il caso di ricondurre tutto a delle condizioni politiche più vicine alla nostra storia e che non scarichino di più sulla gente le responsabilità? le nobili aspirazioni di delusi che poi si arrabbiano col popolo Questo io intendo come un quadro federalista, in cui può rinascere il senso civico, il senso pubblico, il senso dello Stato, anche riel senso del piccolo Stato locale... lo credo che, se questa Italia si può salvare, è "allentandola" un pochino. Diversamente temo che si vada a un disorientamento che nessuno governerebbe più.Non voglio fare l'analogia con la Yugoslavia, tocchiamo ferro centomila volte, però certe minacce secessioniste della Lega a me fanno anche paura. E' chiaro che si parla in astratto, perché chissà poi dalle elezioni cosa verrà fuori, però perché non pensare che ancora c'è un difetto di fondo nel pensare la politica? Perché non la pensiamo un po' alla Cattaneo? Pensarla in quel modo da una parte valorizzerebbe le qualità locali, gli ethos regionali, le specifiche possibilità economiche, culturali, ambientali, e dal1' altro obbligherebbe ciascuno ad essere cittadino e anche, in qualche misura, a saper governare. P.F. P.,. questo tipo di federalismo sono certamente favorevole, purché si tenga conto di alcune cose che il federalismo americano sottolinea e cioè che si possono valorizzare le differenze locali, quindi dar luogo anche a differenze istituzionali, a differenze su questioni di grande peso, a patto che ci siano elementi fortemente unitari e uguali per tutti. Devono essere uguali per tutti le leggi che riguardano i diritti e i doveri dei singoli, i rapporti tra singoli e comunità, le garanzie giuridiche che vanno applicate ovunque, soprattutto quanto più ci si apre alle differenze, le si istituzionalizza e gli si dà spazio anche nella vita economica. Quindi, quanto più si è federalisti tanto più, su alcune questioni, si deve volere un potere centrale forte. • UNA CITTA' 5

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