Una città - anno III - n. 27 - novembre 1993

Sarajevo e noi I I L'Europa a çui stiamo rinunciando: quella della città come luogo di commerci, di incontri, di mediazione, di convivenza, anche forzata. Di quella promiscuità che non dà spazio al moralismo. Gli insegnamenti da trarre dalla sconfitta in Bosnia. Intervista a Wlodek Goldkorn. Già nell'intervista sulla Palestina sostenevi che la convivenza fra popoli è possibile. Ma la "soluzione" che si prospetta per la Bosnia ... Immaginiamoci che mezzo secolo fa fosse stato accettato l'ordine nazista in Europa, un ordine che sarebbe stato totalitario, con la pretesa di gestire la vita di vari popoli, etnie, razze. Oggi non siamo a questo livello, ma in Bosnia si è dato ragione a chi sostiene che le varie etnie e religioni non possono convivere. Mentre israeliani e palestinesi si stanno avviando a vivere insieme, mentre storici conflitti fuori dall'Europa si stanno risolvendo -Nelson Mandela chiede il ritiro delle sanzioni contro il Sudafrica- ·e si pi:ocede verso società multirazziali, multietniche, plurireligiose, nel cuore dell'Europa, con il pieno appoggio e grande sollievo dei governi, si sta procedendo verso una soluzione che dà ragione a tutti coloro che sostengono il contrario. E quindi si sta dando ragione ali' integralismo islamico. Dopo aver lasciato i mussulmani soli e deliberato che non potevano vivere con gli altri, dopo aver lasciato che fossero ammazzati dai fascisti serbi e croati, è evidente che lo Stato bosniaco sarà in mano agli integralisti islamici. Gliela abbiamo consegnata, dopo aver consegnato la Croazia ai fascisti croati, cioè a Tudjiman, e la Serbia ai fascisti serbi, cioè a Milosevic. Tutto ciò mi sembra diametralmente contrario ali' idea che sta alla base dell'Europa, cioè a quel la cultura borghese, nel senso di cittadina, dove la città è di per sé luogo di scambio, di promiscuità, di traffici, di apertura, di commerci, di tolleranza. nella promiscuità non si diventa mai moralisti In Europa la città è per eccellenza il luogo dell'incontro, l'esalto opposto dell'integralismo. E' il luogo dove la gente è costretta a vivere assieme in un piccolo spazio, dove ognuno deve convivere con l'altro, coi suoi rumori, le sue puzze, le sue cattive maniere, dove non ci si può ammazzare e ci si deve tollerare a vicenda. Lo spazio fisico è limitato, una volta addirittura cinto dalle mura, perché il mondo fuori era '" ostile, mentre dentro il mondo era favorevole e non perché tutti si amassero, ma perché tutti imparavano le regole della convivenza. Era il luogo del commercio mentre fuori c'era il brigantaggio e l'esazione dei pedaggi, che era più o meno simile al brigantaggio, e dove, per comprare, dovevi negoziare la merce, per trattare dovevi mediare e capire cosa stava nel cervello dell'altro, dove era anche molto difficile mantenere il monopolio del commercio; dunque un luogo di libero scambio a patto che la gente stesse nelle regole. In città, a differenza della campagna, la divisione per caste è molto meno accentuata, perché la natura stessa dei contalti umani rende la città promiscua e nella promiscuità è diflìcile diventare moralisti, perché il quotidiano ti rende propenso ad accettare anche la debolezza degli altri e le cose sgradevoli. Se riuscissimo a recuperare questo concetto forse potremmo cominciare ad elaborare la nostra sconfitta ulla Jugoslavia. E dalla riflesr' sione sulla resistenza di Sarajevo, ultimo bastione della convivenza plurietnica e religiosa, potremmo forse cominciare a pensare a come uscirne. Non a caso Bossi si richiama a una simbologia medievale e cavalleresca: Alberto da Giussano è proprio il contrario della città; così come andare a quei raduni grotteschi, travestiti da cavalieri, è il contrario del borghese, del cittadino, dell'uomo tollerante. La simbologia di Bossi è l'antitesi della città, della borghesia, è il mito medievale,· che peraltro assomiglia molto-ai ·miti nazisti. Ma, oltre a Sarajevo, altre città hanno una storia di rapporti interetnici e plurireligiosi... Altri esempi sono Vilnius e Leopoli. Nella prima vivevano polacchi cattolici, russi ortodossi, ebrei, e, fino alla seconda guerra mondiale, pochissimi lituani: come sono riusciti questi tre gruppi principali a convivere fra loro e anche con greci, armeni, e zingari? La spiegazione storica è che nel regno di Polonia e di Lituania fino all'inizio del '700, ma anche dopo, esisteva la tolleranza per tutte le confessioni, perché il potere reale era debole, la nobiltà era molto numerosa e di fatto deteneva il potere, le correnti di riforma erano molto forti, c'era bisogno degli ebrei per costruire le città e formare il ceto intermedio fra nobiltà e contado, per cui non c'erano persecuzioni religiose e guerre. A Vilnius, con la modernità nasce il nazionalismo polacco, nasce la poesia romantica patriottica polacca, nasce il socialismo polacco un po' nazionalista di Pilsutskj, nasce la politica moderna degli ebrei, il loro partito socialista -il primo partito socialista dell'impero zarista è ebraico- e nasce anche la prima accademia delle scienze. Si parlava il russo, il polacco, lo yiddish, ognuno era bilingue otrilingue e sapeva più o meno quali erano gli usi e i costumi dell'altra religione ... Quando Napoleone Bonaparte conquistò Vilnius disse "Questa è la Gerusalemme del nord", perché c'erano 100 sinagoghe e altrettante chiese cattoliche e ortodosse. Per i Russi non era una città molto significativa, era piuttosto una colonia, ma per i Lituani era la capitale, anche se non ci sono mai stati. Forse non convivevano del tutto pacificamente, ma certo, non si sgozzavano, non bruciavano le case degli uni e degli altri, non facevano pulizie etniche, che è il concetto più obbrobrioso, nazista, che esista al mondo, come se l'etnia fosse sporcizia. il frutto dell'idea che ad una etnia spetti uno stato E qui torniamo al discorso delle città come luogo d'incontro, come luogo dove, per sopravvivere, sei costretto a tollerare l'altro, il che non vuol dire cattolicamente amare l'altro. A me, per esempio, non piace il mio vicino di casa che è cacciatore, urla, tiene alto il volume del televisore, si dice che picchi la moglie, è comunista; io farei molto volentieri a meno di lui e se domani andasse via da questa casa, che per altro io vorrei comprare per allargare la mia, starei benissimo, ma questo non mi autorizza minimamente a sgozzarlo, a violentare sua moglie, a prendermi la casa e quando lo incontro per le scale lo devo salutare e devo pagare insicCQ me a lui le spese condominiali ... Questo è il concetto della città, a differenza del concetto guerresco della campagna ... Leopoli ha una storia molto simile, con polacchi, ucraini, ebrei. E' stata polacca, poi austro-ungarica, poi è tornata alla Polonia, poi nell' Unione Sovietica e oggi è Ucraina. A Vilnius c'è uno strato architettonico medievale, poi un po' di Rinascimento, poi un barocco non molto dissimile da quello romano, poi il neoclassico dei palazzi dell'aristocrazia polacca e quello della borghesia ebraica, poi lo strato sovietico moderno, manca quello lituano perché loro sono venuti solo 50 anni fa. Leopoli assomiglia a Cracovia, a Budapest e a Vienna e ho elencato quattro città che, pur essendo in quattro paesi differenti, sono quasi identiche. Credo che l'Europa sia questo e che se rinunciamo a questo ... Per certi versi Sarajevo o Zagabria assomigliano a quelle città, a Cracovia o Leopoli. Leopoli ha una storia più feroce di Vilnius ed è stata teatro di un pogrom nel I 919: dopo la fine della prima guerra mondiale era contesa fra la Polonia e l'Ucraina, ma gli ebrei ne dichiararono la neutralità perché volevano costituire lo Stato ebraico a Leopoli e caddero viltime dei vincitori, che per caso erano polacchi. Altre cose feroci ci sono state nel '41, quando i tedeschi entrarono e gli ucraini si misero a impiccare i polacchi e gli ebrei per festeggiare la liberazione dall'Unione sovietica, che nel '39 l'aveva occupata. Queste cose però -e va sottolineato ogni volta~ non sono frutto dell'odio etnico, ma dell'idea che ad un'etnia spetti uno Stato. E' la Rivoluzione Francese a introdurre il concetto dello "Stato nazionale", della nazione che diventa Stato, e venendo meno il principio di legittimità monarchica, dinastica, ereditaria, lo Stato diventa espressione della sovranità della nazione e quindi dei cittadini. Questo funziona benissimo in una Francia più o meno omogenea, ma non altrettanto bene altrove. Nell'Europa ccntrorientale il concetto di Stato nazionale viene trasposto alla fine della prima guerra mondiale. Da un lato da Lenin, che voleva usare l'indipendentismo polacco per indebolire l'impero dello zar - in realtà non gliene fregava niente dell'autodeterminazione dei popoli, come dimostrò appena preso il potere- dall'altro lato dagli Stati Uniti, col presidente Wilson, al quale, per giustificare un intervento americano in Europa fino ad allora inconcepibile, tornò buono il principio ultrademocratico del I' autodeterminazione dei popoli. Ma che ne sapevano gli americani nel 1916 di che cosa fosse Leopoi i? Basta pensare che quando a Versailles si discuteva della Galizia molti ministri dcgl i esteri del le grandi potenze pensavano si trattasse della Galizia cliSpagna. Allora avvenne una serie cli cose atroci: si decise di smembrare l'impero austro-ungarico, dopodiché Masaryck e Benes inventarono la nazione cecoslovacca, che fino ad allora non esisteva -la Boemia faceva parte dcli' Austria e la Slovacchia delr Ungheria, avevano due storie diverse, Praga era una cillà lull'altro che boema e metà della popolazione parlava il tedesco-. e venne inventata la Jugoslavia. Anche questa fu una strana cosa: il regno di serbi, croati e sloveni venne creato perché la Francia doveva avere un suo punto d'appoggio da quelle parti ... Il tutto, paradossalmente, in contraddizione con l'autodeterminazione dei popoli. La realtà è che è possibile applicare il concetto dell'autodeterminazione dei popoli a territori che sono a pelle di leopardo, dove tulli vivono assieme, solo al prezzo che precisamente si sta pagando in Jugoslavia. C'è stato uno strano indebolirsi del concetto, che da autodeterminazione dei popoli è diventato autodeterminazione delle etnie, e se ogni etnia deve vivere per suo conlo allora non resta altro da fare che la pulizia etnica, cioè espellere chi non fa parte della propria etnia ... Qui c'entra anche la filosofia di Fichteedi Hegel, per cui la nazione è un'entità metastorica e quasi metafisica. che non corrisponde allo Stato. ma è un prodotto di cultura, di radici comuni che risalgono al medioevo e che hanno una vita propria al di là dell'esistenza dello Stato. Ma tulio questo va bene finché resta nel mondo dei miti. dei grandi riscalli e della poesia romantica, non quando diventa programma politico da a11uare domani. Havcl parla sempre dell'enorme colpa che i cechi hanno per aver espulso i tedeschi, magari anche colpevoli di collaborazionismo, dalla Boemia. nel 1945. Del resto se si applica coerentemente il principio clipulizia etnica -e qui torniamo al perché oggi ci comportiamo in Bosnia come Chambcrlain nel '38 con la Ceco~lovacchia-, allora aveva ragione Hitler a chiedere i Sudcti e Chambcrlain a conccclcrglicli, avevano ragione a scorporare la Slovacchia dalla Boemia. Quello che stiamo facendo oggi in Bosnia è esattamente lo stesso, per cui tutti si autodeterminano come gli pare e chi non rientra viene cspubo. E' una politica che non può che portare alla barbarie più tremenda. Il segnale che dà l'Europa è terribile, ora si possono moltiplicare i focolai di guerra. Questo dipende molto da come andranno le cose: ci sono tanti altri luoghi dove questo può succedere, per esempio la Slovacchia, dove esiste una minoranza ungherese ... Il problema è che in Europa centroorientale e nei Balcani non esistono luoghi definibili. Prendi Bratislava, capitale della Slovacchia: è una cillà che ha tre nomi: Bratislava per gli Slovacchi, Pressburg per gli Austriaci e Poszony per gli ungheresi; era la capitale dell'Ungheria, lì venivano incoronati gli imperatori. Voglio dire che ci sono luoghi che non appartengono e non sono mai appartenuti ad un'etnia soltanto, luoghi di interscambio che appartenevano a imperi multinazionali. Oggi si sta cercando di rifare in qualche modo la storia di questi luoghi, stabilendo chi c'era prima e chi è arrivato dopo; questo di per sé non porta alla guerra. però ... In Slovacchia agli ungheresi oggi viene impedito cli usare i propri cognomi perché li si vuole slovacchizzare, cosa abbastanza assurda anche dal punto cli vista grammaticale; viene loro negato il diritto di chiamare i loro paesi con nomi ungheresi, viene negato il bilinguismo. in Jugoslavia non è mai esistito un problema etnico Questo può portare a una certa reazione ... Lo stesso avviene in Romania. che in Transilvania ha una grande popolazione ungherese. Il fatto è che l'Ungheria, negli accordi di Trianon ciel ·21. è stata privata di 2/3 del territorio. Naturalmente il rcvansci~mo storico. il desiderio di reimpadronin,i di questi luoghi è forte. Se il principio che deve governare è quello di stati etnici non si può che andare vcr~o guerre e barbarie, è evidente. Ma non è così automatico, tutto dipende da quali forze prevarranno in questi paesi. E nella ex Jugoslavia? Problemi etnici, di potere o cos'altro? Non ho dubbi che alla base del disastro ci siano problemi politici e di potere e non etnici e religiosi. Il problema è che è troppo tardi. Non si è voluti intervenire e a questo punto la cosa è risolta; l'unica cosa che si può ancora fare è il tribunale internazionale per i crimini di guerra. Ma non credo che si farà perché non c'è nessun interesse a farlo. E' evidente che non è mai esistito un vero problema etnico in Jugoslavia, lo ribadisco, ne sono sempre stato perfellamente convinto, tant'è vero che la gente viveva assieme ... Mi si può obiettare che, visto che si scannano, un problema ci deve essere e ognuno rimarrà con la sua convinzione. Posso solo obiellare che la mia convinzione è eticamente più valida, perché io auspico un mondo migliore. La genesi del connillo in Jugoslavia non è etnica, è politica: in Serbia sono arrivate al potere forze nazionaliste totalitarie -il vecchio -l'>, 'l... r .,.. apparato comunista che dopo la morte di Tito ha cercato di mantenersi al potere- assieme all'esercito, molto forte e in gran parte serbo. Mi losevic ha cercato di sfruttare un sentimento dei Serbi, abbastanza diffuso anche fra gli intellettuali, per cui i Serbi si sarebbero sacrificati per il bene comune della Jugoslavia. D'altra parte gli Sloveni erano convinti che si sacrificavano per il Sud, i Croati di essersi sacrificati peri Serbi: ognuno aveva l'impressione di essersi sacrificato per la sopravvivenza della Jugoslavia. Con un simile sentimento si può convivere mollo a lungo, ma è stato sf ru11a10q, uasi scientificamente. da chi propugnava la "grande Serbia'', un po· per convinzione nazionalistica, un po· per mantenere al potere questi grandi apparati che non volevano cedere, a cominciare dalI' csercito che diventava assolutamente inutile con il crollo del comunismo. Nello stesso tempo questo ha per-

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