Una città - anno III - n. 22 - maggio 1993

Un giorno Piotr ha annunciato alla madre che se ne veniva in Italia, per lavorare. Unico maschio con due sorelle e un nipotino da mantenere con la sola pensione della madre, Piotr voleva assumersi la responsabilità della famiglia. Ma tutto è andato male. Da poco tempo faceva il lavavetri a Roma quando, per una banale rissa con italiani in cui i polacchi hanno avuto la meglio, è stato arrestato. Condannato severamente -il suo compagno di sventura ha commentato "lo capisco, in Polonia sarebbero stati incolpati e condannati gli italiani"- è entrato in carcere senza sapere _ancorauna parola di italiano. Dopo venti giorni, senza aver fatto sapere nulla a casa, senza aver parlato con nessuno e senza che nessuno avesse cercato di parlare con lui, s'è tolto la vita. Le sorelle sono venute al funerale con il solo biglietto d'andata, al ritorno hanno provveduto i detenuti del carcere. La madre non si è data pace per alcuni mesi poi è morta di crepacuore. Bernard non aveva mai avuto voglia di studiare, aveva cambiato tutte le scuole, era uno "scansafatiche" che non si era mai interessato di altro che di macchine. Ma ora ha scritto da Sarajevo che "sta benissimo" perché "ha dato un senso alla sua vita: aiuta gli altri". Ha dipinto sul tetto della sua R4 un enorme stella di David e, approfittando del fatto che gli ebrei per ora non vengono toccati, passa ogni posto di blocco, corre in soccorso di chiunque abbia bisogno. E insieme al padre, in una casa anch'essa segnata da una vistosa stella, ha organizzato un piccolo centro di soccorso. Bernard ha da fare. Bi In quest'Europa smarrita in cui insicurezza, paure, malessere, semprepiù spesso si tramutano in rancore, in odii a cui poi si cerca di dare bersagli, in quest'Europa governata da ignavi e corrotti, vogliamo ricordare i nomi di due giovani coraggiosi. Il giovane capofamiglia polacco che non ce l'ha fatta si chiama Piotr Marczewski. L"'infermieredi prima linea" di Sarajevo si chiama Bernard Kamhi. Onore a loro. io digiuno Continua, in tutta Italia, il digiuno di solidarietà con levittime della guerra nella ex-Jugoslavia. La redazione di questo giornale ha aderito. Chi volesse informazioni può rivolgersi in redazione, telefono 0543/21422. ABBONATEVI A UNA CITTA' 1O numeri 30000 lire Conto Corrente Postale N.12405478 intestato a Cooperativa Una Città a.r.l. SCRIVETECI il nostro indirizzo è P.za Dante 21, 47100 Forlì Telefono e fax: 0543/21422 ' :,,,....,..%00 . ·:.~,.,,!."..Nl lilJ.~1 ,~---~ii; .:.: :'L!JM: ... Agli incroci sotto tiro la gente non si affretta più. Nelle campagne paesi deserti le cui case sono state minate dall'interno. La pulizia etnica è fatta e non si tornerà più indietro. Una guerra purtroppo "popolare". Intervista a Toni Capuozzo. Toni Capuozza. già intervistato nell'ultimo numero del nostro giornale, è appena tornato da un altro viaggio nella ex-Jugoslavia. Gli abbiamo chiesto di raccontarci le ultime impressioni sulla situazione. Dove sei stato in questo ultimo viaggio? Sono stato a Tuzia, nel nord est della Bosnia che è il capolinea dei profughi che arrivano da Srebrenica. Srebrenica, prima della guerra, era un paesotto di montagna di 10000 abitanti, sconosciuto. E' diventata nota, l'estate scorsa, per la guerra, perché è stata la prima città occupata dai serbi e poi liberata dai mussulmani. E' un posto dove si sono concentrati 60000 profughi che venivano dai paesi vicini. Quando si vedevano le immagini in televisione di tutte quelle persone che si stringevano nei camion fuggendo verso Tuzia, si trattava in realtà di persone che erano già fuggite da altri paesi e che erano già profughi lì. Persone che stanno facendo un'esperienza di esodo prolungato, senza fine. Perché anche Tuzia è praticamente assediata, se non fosse per un sottile corridoio che la collega al resto del mondo. L'esperienza di questa gente che fuggiva da Srebrenica è allucinante: persone che da un anno stanno fuggendo di posto in posto. Un esodo ripetuto e continuato nel tempo. Poi sono tornato a Sarajevo. La situazione, da un punto di vista materiale, è lievemente migliorata: la distribuzione del cibo, anche se quello a cui ciascuno ha diritto è molto poco, funziona in qualche modo. In realtà mancano tante piccole cose e inoltre viene distribuita farina, pasta, olio, ma mancano da un anno carne e verdura. I medici sostengono che è molto probabile che una generazione intera di bambini, abituati a una dieta come la nostra, sia segnata nello sviluppo da questa improvvisa e prolungata carestia. molte infiltrazioni! anche pericoloLa situazione invece è peggiorata se. dal punto di vista psicologico. Il Da certi punti di vista complessivaprotrarsi di questa situazione di mente la situazione sta peggioranassedio, di difficoltà a capire anche do di giorno in giorno. quello che sta succedendo fuori, Ho anche visitato un brefotrofio. E per una persona normale è una con- avevo lasciato l'Italia proprio mendizione insopportabile dal punto di tre c'era in corso un dibattito molto vista psicologico. E lo si comincia forte e che sembrava anche alto nei a vedere. Ad esempio si può notare toni della morale, sul problema che, a differenza che in· passato, dello stupro etnico, anche se c'era agli incroci sotto tiro dei cecchini unelementofastidioso,perchésemsono sempre più numerose le per- bravasidiscutessecomeconsigliasone che non corrono più. Cammi- re queste donne. nano e questo è segno evidente di rassegnazione, di abitudine a considerare il pericolo, e anche la morte, come una eventualità quotidiana. Da un certo punto di vista l'atmosfera "eroica" dei primi mesi dell'assedio lentamente si sta sfilacciando, anche nei rapporti interpersonali. La gente è provata da questa lotta quotidiana per la sopravvivenza. giardini desolati, tutti gli alberi sono stati tagliati Una cosa impressionante da vedere in una Sarajevo che era una città molto alberata, sono questi giardini oggi completamente spogli e desolati, senza più alberi. Anche per chi non ci fosse mai stato prima della guerra, è una cosa che si coglie subito, si capisce subito che tutti gli alberi sono stati tagliati. Però con l'arrivo del caldo e la fine del problema del riscaldamento, già si pone il problema dell'acqua. L'acquedotto, prima della guerra, aveva una gestione fortemente centralizzata, e aveva un numero di addetti molto alto, circa 400, e credo che ?.O siano stati uccisi nel corso della guerra mentre riparavano l'acquedotto o si recavano al lavoro. Oggi il numero degli addetti è drasticamente ridotto e hanno continuato a lavorare rattoppando di volta in volta. Ma adesso la situazione è tale che non c'è più neanche modo di rattoppare: ci sono bimbi abbandonati senza nome Comunque lì a Sarajevo in un orfanotrofio, in condizioni immaginabili di forte mancanza di cibo, di cose d'uso quotidiano, pannolini ad esempio, ci sono cinque o sei di questi bambini nati dagli stupri, che in Italia sono stati chiamati "figli dell'odio". Una delle cose che colpisce molto è che non so bene per quale legge jugoslava precedente alla guerra, questi bambini portano il cognome delle madri che li hanno abbandonati, che non se la sentivano di tenerli con sé, però non gli è stato dato un nome. In Italia quando è capitato di trovare una bambina abbandonata in un cassonetto, la prima cosa è stata dargli un nome che in qualche modo contribuisce a dare una personalità, a sancire un'esistenza. Lì non hanno dato i nomi, sono veramente bambini senza nome. E mi ha colpito che nel frattempo il dibattito in Italia sia stato completamente archiviato, la qual cosa dimostra che un po' era fatto anche ad uso interno, quasi per contare le forze, le posizioni pro o contro l'aborto. Se ci fosse stato davvero tanto interesse al diritto alla vita credo che non succederebbe con così tanta facilità che questi bambini, che sono nati comunque senza consigli o raccomandazioni o inviti, restino abbandonati a se stessi in un orfanotrofio di Sarajevo. Questi qui ci sono e mi sembra che ci si preoccupi molto poco del loro diritto alla vita. Resistono gruppi e situazioni interetniche? Ci sono gruppi di resistenza? E' sempre più difficile. Esistono delle ragnatele di rapporti personali. Teniamo presente che a Sarajevo all'ultimo censimento 50000 persone si sono dichiarate jugoslave, con il padre di un'etnia, la madre di un'altra e che comunque non si riconoscevano per intero né nell'una né nell'altra. Questo prima ancora del conflitto. E' ovvio che mano a mano che la guerra va avanti -e in questo senso, per chi ha a cuore i principi della convivenza multietnica, è una guerra già perduta- ha radicalizzato odi i, incomprensioni, contrapposizioni, e tutti i gruppi evidentemente richiedono di schierarsi a chi sta nel mezzo, a chi potrebbe essere ponte fra un gruppo e un altro. Quando non ci si schiera la cosa è vista con sospetto. Ci sono meccanismi psicologici strani: i serbi che sono rimasti a Sarajevo si trovano psicologicamente costretti a proclamare in ogni momento la loro fedeltà al governo mussulmano della città. una guerra entrata nei cortili delle case D'altra parte c'è da notare che comunque a Sarajevo non si parla mai di assedio serbo, usano sempre il termine cetnico con riferimento a queste milizie serbe. E dicono cetnici non per dispregio, ma per rivendicare in qualche modo che la lotta non è contro i serbi in generale, ma contro quelli tra i serbi che hanno rotto la convivenza. Direi che è un'idea che è assediata e che a mio avviso è già stata sconfitta. Sarà molto difficile che tomino a vivere assieme. Si dice che gli assedianti siano molto pochi. Ma allora non si doveva intervenire?

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==