Sara evo e no, Mimmo Pinto è presidente dell'Arei-Solidarietà, e coordina l'impegno dell'associazione nella solidarietà alle popolazioni della ex-Jugoslavia. E' stato a Sarajevo più volte. Andare a Sarajevo, o meglio tornare dopo aver visto Sarajevo, cosa significa? E' difficile da raccontare. Ho avuto varie impressioni. La prima è che la tragedia di Sarajevo è una tragedia incredibile per poter continuare ad essere vissuta, per lo meno in Italia, ancora senza quella partecipazione di cui si sente il bisogno. Ci sono fermenti, momenti della società civile che stanno promuovendo iniziative, aiuti, anche la settimana dal 28 marzo al 2 aprile è una ulteriore testimonianza di questo, ma c'è una disattenzione incredibile da parte delle forze politiche in generale e da parte del governo italiano. Mi rendo conto che il parlamento è attraversato da questioni importanti, però la questione morale non è tutto. Se ci deve essere un dibattito sulla rivisitazione della politica, del sistema dei partiti, non può essere solo sul "rubare o non rubare", che è fondamentale, un atto dovuto, però c'è una serie di questioni -che significa oggi vivere i nostri tempi, che significa per una forza politica oggi vivere, fare politica, "progettare" in Italia rispetto ad una situazione che sembra più mondiale- che dovrebbero essere affrontate. Anche per la stessa gente bisognerebbe avere la capacità di lanciare proposte, idee, attenzione, sulle vicende della ex Jugoslavia, altrimenti c'è solo l'opinione pubblica che fa il tifo, giustamente incazzata, che non ne può più di un sistema che si è rivelato corrotto e corruttore, però tutta una serie di altre questioni non vengono più nemmeno affrontate, neanche attraverso i mezzi di informazione, sulla stampa, nella televisione. E' una tragedia incredibile vedere un popolo, una città, tutti i giorni bombardata. Passare, attraversare la strada, non sapendo se c'è appostato un cecchino. Personalmente io ed altri miei amici ci siamo trovati improvvisamente con colpi che rimbalzavano da tutte le parti sulla strada e doverci buttare sotto le macchine, fare le capriole per raggiungere un muro che ci potesse coprire. Persone che con il freddo che avanzava -20 gradi sotto zero- si aggiravano come fantasmi nella città. Anziani alla ricerca di un po' di acqua. Stanno usando gli ultimi alberi che sono rimasti in città, però, nonostante tutto, in modo discreto: c'erano ancora alberi in piedi in città, ma la gente stava lì con picconi, con pezzi di ferro, a cercare di tirare fuori anche le radici dell'albero che avevano tagliato prima di farne morire un altro. C'era quasi un uso parsimonioso, mistico in questo gesto di prendersi fino all'ultima radice prima di tagliare un altro albero. Il dramma incredibile è quello dei bambini. E' stata la cosa che più mi ha sconvolto. Ci siamo più volte fermati nel quartiere mussulmano dove si faceva la fila per prendere l' acqua ed in genere per la maggior parte erano bambini, o vicino a un genitore o essi stessi, i più grandi, in fila. E lì diventava quasi un momento di gioco e poi vieni a sapere una settimana dopo che lì è scoppiata una granata. Ti muoiono le persone in fila, sono sensazioni tremende. L'altra questione che mi ha colpito particolarmente era una disponibilità, comunque, anche al sorriso. Mi sembrava quasi che a volte fossero loro a dover dare una parola di conforto a noi, la fiducia di farcela. E poi tutto quel sistema di solidarietà che scatta fra le persone a cui noi non eravamo più abituati: chi ha un po' di farina, chi ha il forno, chi ha la legna, per fare un po' di pane anche per le altre famiglie. Perlomeno non si registrava una chiusura classica e tradizionale dei tempi di guerra, di chi arriva prima. Quindi questa disponibilità comunque alla serenità, che io all'inizio non riuscivo a capire. Non riuscivo a capire la forza che ci poteva essere dietro a questo atteggiamento, poi capisci che è l'istinto di conservazione, la speranza che prima o poi tutto cessi. Un'altra sensazione importante, parlando con le persone, è ilono ~CRLZRrud Tutta Ulscelta, chevuoi Vialedell'Appennino1,63 -Forlì I I come emergesse chiaro e ovvio che c'è odio e rancore, perché ormai quando i morti non si contano più in ogni famiglia, tra amici e parenti, è difficile tornare indietro, però nel lo stesso tempo esiste la consapevolezza che la causa di lutto è legata ai signori della guerra, al potere non chiaramente definito. Molti di loro dicevano che stavano bene con l'altro, che non c'erano grandi tensioni. Poi è ovvio che man mano che si è andati avanti sono venuti i vecchi ricordi di quello che ha significato l'ex Jugoslavia al momento della resistenza, della confederazione, delle forzature che ci sono potute essere. Era diventato quasi un interrogativo ossessivo il perché stava succedendo tutto questo, poi scatta il meccanismo, ognuno cerca un'arma, un modo per difendersi o per attaccare, però nel contempo emergeva in molte famiglie questa solidarietà. Poi un'altra cosa che non mi aspettavo, per esempio a Sarajevo nella stesLe luci tremolanti delle candele clte la fanno somigliare a un cimitero. Eppureancora la disponibilità al sorriso, all'incontro. Cosa aspeffare ancora per soccorrere la ciffà martire? Il fallimento tragico dell'Europa. Intervista a Mimmo Pinto. sa area mussulmana, verificata da quelli del nostro gruppo che sono andati in delegazione, ospiti nelle case a dormire: in molte case c'era la foto di Tito, ed un atteggiamento non ostile nei suoi confronti, continuavano a definirlo una brava persona. Non è stato demonizzato, per lo meno non ho avuto questa sensazione. non era visto in modo negativo. La vita civile della città esiste ancora o è una vita ormai solo di quartieri? Ormai non è più nemmeno di quartieri. Per esempio esiste un grande stacco fra il giorno e la notte, la notte è ancora di più una città fantasma, una città morta. Provate ad immaginare una città senza energia elettrica, senza luci, solo qualche candela dietro qualche finestra, queste luci tremolanti. Mi sembrava un grande cimitero. Poca vita insomma, perché ognuno esce per poter fare qualcosa, per poter sopravvivere. E' tutto saltato, per esempio se devi andare a procurarti l'acqua a piedi dall'altro lato della città, perché è l'unico posto rimasto, ne devi fare di strada, non sai se torni, a volte ci metti mezz'ora solo per attraversare la strada, attraversi quando hai la sicurezza che dalle montagne non sparino più. lo non ho visto luoghi di aggregazione, non ho mai visto gruppi di persone ferme a parlare, ma una, due tre persone che camminano con uno scopo. Poi è ovvio che si passano delle serate riunendosi in case dello stesso pianerottolo; c'è chi continua ancora ad abitare ai piani alti, nonostante crepe nei muri, nonostanle la mancanza di vetri, nonostante iI rischio di ulteriori cannoneggiamenti. Scattano certo questi momenti, però una vita sociale vera e propria come normalmente si intende non c'è, perché chi è impegnato a stare di turno sulla strada con il mitra non ha tempo. I vecchi ed i bambini hanno più tempo, sono loro che vanno in giro. ma i maschi di una certa età, a partire dai 17 anni fino alla età matura, stanno lì a fare il turno. a presidiare un angolo, un posto. Non è che ci siano scontri nelle strade, però una vigilanza contro qualsiasi infiltrazione o attacco. E' l'attesa del nemico, sei sempre lì pronto a difendere i metri quadrati della tua strada. In altre città sembrava che la guerra non ci fosse, a Spalato per esempio non c'è un clima di guerra, ristoranti di lusso aperti, città piena di luci. Molta distanza. Mentre man mano ti sposti verso le zone più coinvolte capisci che la guerra è passata, le case distrutte, città, quartieri senza più nessuna presenza. Ad alcuni posti di blocco, dove il capitano ci ha fatto aspettare alcune ore, una mezza giornata, con richieste di documenti, Coop. Cento Fiori LAB. ART. fITOPREPARAZIONI Via Val Dastico, 4 - Forlì Tel. 0543/702661 - Estratti idroalcolici in diluizione l: 10 da pianta fresca spontanea o coltivata senza l'utilizzo di prodotti di sintesi. - Macerati di gemme. - Opercoli di piante singole e formulazioni con materia prima biologica o selezionata. - Produzioni su ordinazione di spiegazioni, parlando con i livelli più bassi dei militari serbi, ragazzi giovani, abbiamo trovato un rammarico incredibile, anche fra di loro. Ragazzi che non avevano più casa, più famiglia, ragazzi che dicevano che ormai la loro casa era quel blocco, quella caserma, quella piccola postazione. Con tutte le scene atroci e di dolcezza che una guerra può fare emergere. E oltre Sarajevo? Il mio gruppo era diretto proprio a Sarajevo, però altri sono andati in altre città. Sono state scelte mirate. Qualcuno è andato anche a Zagabria: il nostroera un tentativo di dialogare con tutti, innanzitutto anche con quei movimenti pacifisti, quei gruppi della società ci vile serba impegnati su posizioni non di guerra. Purtroppo oggi ti rendi conto che anche se non ti senti di pronunciarti su chi sono, di chi sono le responsabilità, comunque c'è un ruolo dei serbi che è molto più determinato, non foss'altro per le città che tengono in ostaggio. E questo non si può consentire. Gli stupri? Era una delle cose di cui tutti già parlavano, anche se non ne ho avuto testimonianze dirette a Sarajevo. E secondo me ali 'ordine del giorno oggi deve esserci questa domanda: non è abbastanza? Che altra notizia terribile dobbiamo aspettare? Noi, dico come forze pacifiste, noi facciamo la nostra parte, di aiuti, di disponibilità, di solidarietà auiva, ma rispetto a quello che succede, che cambia? Anche loro. là a Sarajevo, sono riconoscenti, acceuano gli aiuti, ma dicono anche che tutto questo ormai li aiuta solo a sopravvivere, non a vivere. Allora, che tipo di intervento. che tipo di ingerenza possiamo attuare? Il dramma personale con cui io me ne sono andato dalla ex Jugoslavia è questo. Si dovrebbe aprire un grande dibattito su questo. E poi anche nel prevenire: io sentivo Emma Bonino stamattina sulla Macedonia e consideravamo che ci troveremo fra tre mesi o quattro a dover fare iniziative perché la Macedonia sarà come la Bosnia. Quindi cosa possiamo fare per prevenire? Cosa possiamo fare per aiutare la gente che non vuole la guerra? Per fermare la guerra, comunque. Dovrebbe essere la sinistra a sostenere l'intervento armato? lo penso che se la sinistra interviene in tempo su queste questioni e non le subisce, le può condizionare, può aiutare a far sì che si evitino dei rischi di generalizzazione del conflitto. o di quella mentalità del1'invasione. Se ci affidiamo ad un ministro o ad accordi internazionali, non ci siamo, non serve. Ci dobbiamo pronunciare su queste cose, almeno rifletterci sopra. Non possiamo far finta di niente sentendoci di aver fatto la nostra parte rispello a tutta una serie di iniziative pacifiste, di aiuto, di solidarietà, di volontariato. In che termini non lo so, però vorrei che senza paura ci fossero delle sedi in cui discutere. Bisogna correre dei rischi. Dobbiamo tentare fino in fondo di fare la nostra parte, tentare a tulli i costi, sia lì che qui. E questo non sta avvenendo, se non per fermenti o per momenti separati, clandestini, sotterranei; ci sono decine, centinaia di esempi di solidarietà e di gente che si attiva su questo, però noi non abbiamo avuto la forL.acome soggetti, come gente della sinistra, progressisti, di fare emergere questo come "la" questione, o almeno come "una delle" questioni. Riuscire, in questo dibattito che attraversa il sistema politico, a far venire fuori, in modo non tradizionale e vecchio, che qualcosa di più grosso è in discussione. Non sono solo i ladri di regime, la mobilitazione contro i tagli. E' tutto vero, tutto giusto, ma anche un po' tradizionale. Dovremmo avere la capacità di produne movimenti, di produrre attenzione su questi problemi. Perché non riusciamo a portare, a primavera o all'inizio dell'estate. 500.000 persone in Jugoslavia? Non I000 o 2000 come abbiamo fatto a Capodanno. Perché non diciamo 5 giorni, una settimana in Jugoslavia, con tutti i rischi che comporta? E far capire che c'è una parte di popolo che va lì. Vorrei che qualsiasi scelta di intervento possa essere presa, venga presa perché è giusta e non perché non ce l'abbiamo fatta, o perché non abbiamo tentato di fare tutto quello che era possibile fare. Ese non c'è un movimento in questo senso, anche un intervento militare "non controllato'·, non con un referente fra i cittadini, può essere una brutta avventura. E la Jugoslavia non è solo vicina geograficamente. Nel Nord c'è un clima per cui non è impensabile che si creino delle situazioni simili .. Sono profondamente convinto di questo. Quando vedo cosa sta crescendo come alternati va al vecchio, lachiusurachec'è ... E allora bisogna volare in alto, far capire che oggi è necessaria la memoria del villaggio. ritrovare se stessi. Perché, cadute le ideologie, i grandi sistemi, si ha il dovere di partire da se stessi, dalla propria cultura, dalle proprie origini. Ma questo deve significare ridurre le distanze, partire da te. ritrovaGRUPPO ~~©(Ll) [illCORRIERE ESPRESSO SERVIZIO NAZIONALE E INTERNAZIONALE 70 SEDI IN ITALIA FORLI' - P.zza del Lavoro, 30/31 Tel. 0543/31363 - FAX 34858 RIMINI - Via Coriano 58 - Box 32/C - GROS Tel. 0541/392167 - Fax 392734 re te, per renderti più disponibi le agi i altri. Invece sta emergendo il fenomeno inverso: la ricerca di te stesso è la chiusura verso gli altri. E anche su questo siamo assenti. E' su questo che si rifà uno schieramento di idee, di valori. E sto pensando a questa idea di una presenza, di una andata in massa in Jugoslavia, oppure una settimana di lutto in tutta Italia, tutti vestiti a lutto o con la fascia nera al braccio, nelle scuole, negli uffici, perché se emerge questa parte qui tu hai la capacità di far sì che l'uso dell'intervento militare non sia perché la via militare è l'unica strada che ti può consentire di intervenire su queste cose o di creare attenzione. Dicevi prima che a Sarajevo hai verificato una disponibilità alla serenità, una apertura in qualche modo, ma questo da cosa nasce? Dal non voler ragionare solo in termini di guerra e di scontro, dal voler pensare anche ad altro. E' anche la convinzione che prima o dopo dovrà finire, per qualsiasi ragione deve finire, perché nessuna comunità così vasta come quella di Sarajevo può pensare di essere decimata lentamente: dieci. venti, trenta. cento, mille, duemila, fino a che l'ultimo non è stato ucciso. La mia esperienza in Jugoslavia è stata la più tragica che abbia mai vissuto dal punto di vista umano. Il fatto di non avere acqua. di non avere un medicinale per curarti, di non poter avere cibo, di non potere avere legna per riscaldarti ... Tutti si stanno interrogando sul fatto se esistano o no i lager e aspettano di vedere le foto del lager. ma Sarajevo è un lager. Non c'è bisogno di andarli a cercare: Sarajevo è un grande lager in cui non possono più entrare e da cui non possono uscire. In cui sono negati bisogni elementari: i bambini non vanno più a scuola, gli operai non lavorano più. Certo non c'è chi decide i dieci da fucilare quella sera, però se esci di casa non sai se ritorni. Questo è il grande lager. Quali e quanti altri lager occorrono? Non basta pensare ad una città sotto il fuoco tutti i giorni. 24 ore ogni giorno, per settimane, mesi, anni? Abbiamo ogni giorno bisogno di cercare l'orrore sempre più orrore per far scattare una sensazione in noi? O c'è già un dato così freddo, chiaro, che è sotto gli occhi di tutti? Non c'è più una casa in piedi, non puoi uscire, non ti puoi riscaldare, non puoi mangiare, non puoi giocare ... Nel mondo da epoche lontanissime non si ricorda una città martoriata come questa, nell'indifferenza, nell'impossibilitàanchedi difendersi, di uscire dallo scontro. Io non so cosa si deve aspettare ancora. E poi tutti si sono riempiti la bocca con l'Europa dei cittadini, delle regioni, delle comunità da contrapporre all'Europa degli stati, degli affari. E uno dei pochi esempi di un grande intreccio di culture. di etnie, che era Sarajevo, viene fatta liquidare in questo modo. Allora io non ci credo più, nemmeno a me stesso, quando parIiamo di Europa. Se fosse vero, non si consentirebbe che una esperienza già esistente di questo tipo, di intrecci, di presenze. di diversità a stretto contatto, venga liquidata. -
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