Una città - anno III - n. 21 - aprile 1993

aprile SARAJEVO E NOI. In un dibattito sulla situazione nella ex Jugoslavia, Daniel Coltn• Bendit, Alex langer e Adriano Sofri discutono del perché l'Europa non interviene per fermare il massacro e del perché Sarajevo non è affaffo lontana dal resto dell'Europa. In seconda e in terza. In "inferno alle porte di casa", Toni Capuozzo ci racconta di quando è uscito da Sarajevo con un bimbo di undici mesi, elle, nello scoppio di una granata, aveva perso la madre e una gamba. E di questa città multiculturale, un tempo bellissima, oggi agonizzante per un assedio senza precedenti nella storia dell'ultimo mezzo secolo. In quarta e quinta. "E' questa l'Europa?" sono le amare considerazioni di Mimmo Pinfo, anclte lui di ritorno da una città spettrale. In sesta. Se intervenire militarmente o no è fa domanda elle abbiamo rivolto a due pacifisti, molto impegnati nella solidarietà alle popolazioni martoriate della exJugosfavia: Alberto Salvato e Alex langer. In settima. Dove pubblichiamo anche l'appello lanciato da un gruppo di persone per un digiuno collettivo per testimoniare la propria solidarietà alle vittime e protestare contro l'inerzia dei governi europei. IL PUNTO è sulla poesia oggi. Gianni D'Elia ci parla dell'intreccio fra vita, realtà e letteratura, della sua esperienza politica e di scriffura, della straordinaria lezione di Pasolini. In ottava e nona. DI VIAGGI. libero Casamurafa ci racconta fa sua disavventura di "trelclcing al R.uwenzori ". E poi lettere da lontano: da Macallé, di Rodolfo Galeotti, dalla Cambogia di Saralt Wilson, dalle Hawai, di Ilaria Bafdini. In decima e undicesima. DI POLITICA. "la triste scienza del disincanto" è l'intervista a Carlo Galli sulla crisi del sistema italiano e sulle idee elle fa sinistra deve abbandonare. In dodicesima e tredicesima. Insieme agli interventi di Ivan %attini, di Nico Berti e di Michele Cofafato. PROBLEMI DI CONFINE. In "Quando si usava morire due volte" Francesco Campione ci parla dei cambiamenti radicali elle nel tempo ltanno subito il "modo di morire" e il culto dei morti. "Un fatto di dignità" è l'intervento di don Sergio Sala. In quattordicesima e quindicesima. STORIE. Midlteta Bazdafic, mussulmana di Banja lulca, da anni in Italia, con i parenti a Tuzia, ci racconta di città dove le feste degli altri erano festa per tuffi. In ultima. Bianco

La domanda di cui si discute qui accanto ci tocca direttamente. Perché sulla ex Jugoslavia non abbiamo discusso, perché non ci siamo mossi? Ora ci accorgiamo che le notizie dei massacri, degli stupri, dell'agonia di Sarajevo e Sebrenica ci sono sembrate venire da un altro pianeta. E in tanti di noi, anche lo sdegno, di fronte a tanta sofferenza procurata freddamente, è stato freddo, razionale. Per coloro che si sono sempre sentiti solidali con altre popolazioni che soffrivano un motivo in più per riflettere. Un ragazzo con la kefia ha detto: "difficile appassionarsi per la Jugoslavia, perché non c'è la 'causa"'. Forse uno dei problemi è qui: non è facile abituarsi a fare a meno delle "cause" e imparare ad arrabattarsi, a districarsi, a impegnarsi solo nelle conseguenze. Dobbiamo essere grati a chi ha sentito il bisogno di andare. I loro racconti cominciano a commuoverci, a farci capire, e anche, a farci riflettere su di noi. Forse a smuoverci. L'indifferenza verso il dolore altrui non lascia mai le cose come erano prima, lavora. Cohn-Bendit ci dice che è stato questo a dar sicurezza ai malfattori. Ma lavora anche dentro di noi, crea precedenti, ci cambia. E forse, in questo caso, tradisce anche la rimozione di una verità intuita, ma che non vogliamo sapere, che non vogliamo pensare: forse Sarajevo è fin troppo vicina. E quelli che tornano e ci dicono "questo sta succedendo in città come le nostre, a gente uguale a noi che fino a ieri faceva una vita normale come la nostra", fanno ripensare a quei fuggitivi dai campi che tornavano nei ghetti a dire "credetemi, sta succedendo". E che non furono creduti. E se ancora riesce difficile pensare che Sarajevo sia la "prova generale" di qualcosa, mai come in momenti simili si vede come sentimenti e risentimenti si traducano "in politica" carica di futuro. Cosa si può fare? La proposta, fatta da un gruppo di persone, di un digiuno collettivo -la pubblichiamo nell'interno- non sarà gran cosa per chi là sta soffrendo e morendo, ma certamente è qualcosa. Sicuramente per noi, per curare quell'indifferenza che lentamente ci debilita. Cli Via M. F. Bandini Buti, 15 4 7100 FORL/' Te/. 0543/780767 - Fax 0543/780065 Via Parini, 36 4 7023 CESENA 17-ancy Te!. 0547/611044 - Fax 0547/611144 P.zza Tre Martiri, 24 47037 RIMINI Te/. 0541/53294 - Fax 0541/54464 Il validosupportoallapromozione dellaVs.attività Produzione •i Vendita ~ -- Orologida paretee da tavolo, oggettisticadascrivaniaa, rticolipromoziona"liadhoc'. Oggettisticapromozionale: penne,agende,articolidaufficio, calendarip, ortachiavi, pelletteriavaria,magliette, camicie tuteda lavoro,valigettee, cc. 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Partecipavano fra gli altri, Daniel Cohn-Bendit, uno dei leader del Maggio Francese oggi assessore alle politiche multiculturali di Francoforte, Alex Langer, europarlamentare verde e Adriano Sofri. Riportiamo stralci dei loro interventi. Adriano Sofri. E' di oggi la notizia che anche gli ultimi resistenti, fra i mussulmani bosniaci, hanno dovuto accettare la proposta della spartizione etnica della Bosnia, cioè della distruzione della Bosnia, della consegna alla Serbia di una gran parte della Bosnia. Li hanno costretti a farlo e realisticamente lo hanno fatto. Forse si è compiuto l'ultimo passo nella cancellazione fisica dell'ultimo frantume di realtà multinazionale, multietnica che restava: la città di Tuzia cede le armi. Allora: secondo me sarebbe importante riuscire finalmente a discutere come mai in Italia non si sia discusso di niente riguardo la Jugoslavia. E dalle poche cose che ho capito, direi che la discussione non è andata molto avanti neanche in Germania. Bisogna chiedersi, cioè, come mai, sul tema della Jugoslavia, non si è ottenuto di ripetere nemmeno la discussione. a mio parere disastrosa, che avvenne per la guerra nel Golfo. E perché allora ci fu una discussione che arrivò a spaccare le famiglie, a far sì che gli amici non salutassero più gli amici, in Italia, in Germania, in tutta Europa? Perché c'era stato l'intervento. Oggi non c'è stata nemmeno la discussione più idiota che è quella tra interventisti e non interventisti. lo, dopo mesi che mi mangiavo il fegato e le mani, ho pubblicato un articolo su L'Unirà nel quale mi pronunciavo sulla questione della Jugoslavia in termini che mi sembravano provocatori oltre che stupidi. Dicevo: sono favorevole all'intervento in Bosnia e, per costringerli a fermare l'attenzione su questo brano del mio articolo, fornivo alcune indicazioni -mi ero consultato con CO persone che conoscevano bene la situazione- sui posti precisi da bombardare. Una cosa da pazzi, da Napoleone, e immaginavo che qualcuno mi dicesse: ma come si permette questo scemo! Ma quell'articolo è passato senza una riga che notasse che io avevo detto quelle cose. Poi l'Italia ha una ragione ulteriore di non porsi il problema della Jugoslavia, perché l'Italia, l'Italia pubblica, è oggi totalmente ostaggio di quel panico da carcere a cui alludeva Daniel. Daniel parlava del l' assessorato alle politiche multiculturali, in Italia ormai non c'è assessorato che non richiami immediatamente l'idea di carcere ... Ma il fatto è che tutto questo fa pensare agli italiani e ai partiti italiani che della Jugoslavia non ci si debba occupare. Si conosce un partito italiano che abbia una posizione sulla Jugoslavia? E magari i partiti non avessero delle posizioni su alcun problema, ma su altri problemi hanno delle posizioni. Ora stanno fingendo che sia una questione di vita o di morte il sì o il no al referendum e stanno creando una spaccatura morale sulla questione della riforma elettorale, una spaccatura di tipo manicheo, fra buoni e cattivi come per la guerra nel Golfo. Ma sulla Jugoslavia non conosco posizioni dei partiti, non hanno avuto il tempo di occuparsene;eguardate che sulla situazione jugoslava è avvenuto potenzialmente, anche se non esplicitamente, il più grande mutamento di coscienze che ricordi da quando mi occupo di politica: il potenziale superamento della distinzione fra pacifisti e non pacifisti e cioè di uno dei più grandi equivoci del dopoguerra. Questo è avvenuto. E' avvenuto che dei pacifisti, magari continuando a pagare lo scotto del loro rapporto col movimento pacifista, parlano, se non di intervento militare, di intervento di polizia; si pongono il problema. E' avvenuto che pacifisti molto seri e responsabili, di ritorno dalla Bosnia, hanno detto: non cambiamo niente delle nostre convinzioni di principio, ma lì è necessario fare qualcosa. Morillon è il • campione di cui essere fieri Dopodiché ci troviamo al punto di passare le giornate a invidiare il Generale Morillon e ho scoperto, parlando con Daniel, che il generale francese-a priori l'idea di un generale francese evoca l'idea di un coglione- è il campione di cui entrambi andiamo fieri: uno che è stato mandato a fare il buffone alla testa di un compartimento delle Nazioni Unite, che si lascia ammazzare la gente nelle proprie mani o che tutt'al più si lascia fermare i convogli coi medicinali e si lascia svaligiare e che a un certo punto, forse perché l'hanno preso in ostaggio dei disperati, forse perché ha desiderato essere preso in ostaggio, diventa il titolare in proprio, personalmente, della salvezza di una popolazione, di trattative diplomatiche, ecc ... Daniel Cohn-Bendit. Nella storia, per uno di sinistra, il punto di riferimento è la Spagna, la guerra di Spagna e lo scandalo del mondo occidentale che non intervenne. Ma la Spagna di oggi è la Bosnia e non è nessun punto di riferimento, non se ne parla. "qui tuffo va bene, non è problema nostro" Voglio dire due cose: la prima è che la società multietnica è molto difficile da stabilizzare. Finché non c'è una pratica di vita comune -20, 30,40 annicroati, serbi e anche bosniaci e mussulmani vivono in una situazione molto complicata e da un momento all'altro possono diventare nemici mortali. E' molto duro per noi da accettare, ma la definizione etnica non è solo frutto di immaginazione, è anche una realtà molto forte e molto pericolosa che non è affatto semplice da far sparire nel mondo. Questa è la prima cosa significativa della Jugoslavia. La seconda cosa, che mi rende molto scoraggiato, è constatare che tutti i sentimenti di solidarietà internazionale -per vietnamiti, palestinesi, eccetera eccetera-, funzionano quando non c'è un pericolo per noi. Ci può essere iIproblema di scontrarsi con la polizia, ma quello, alla fine, è un gioco. Quando invece c'è una situazione come la Jugoslavia dove, se noi diciamo sì a un intervento, entriamo dentro un meccanismo molto difficile, allora noi reagiamo alla Jugoslavia esattamente come Bossi chiede ali' Italia di reagire al Meridione: non guardare, noi siamo qua, siamo a Milano, siamo a Firenze, siamo a Francoforte, qui tutto va bene e quello non è un nostro problema. E la follia è che se oggi non facciamo niente sulla Bosnia, domani abbiamo 3 milioni di profughi e fra 5 anni ci saranno manifestazioni sul diritto di autodeterminazione del popolo bosniaco per il loro territorio, come per i palestinesi, per gli armeni e allora, per la guerra di liberazione dei bosniaci per il loro territorio, tutta la sinistra, tutta la sinistra del mondo intero, sarà per l'autodeterminazione dei bosniaci. Ma nessuno vuole pensarci orachec'èquesta Bosnia. Nessuna reazione. Subentra la paura e la paura si può capire. Ma quando c'è stata la discussione in America sull'intervento nel '41-'42 contro la Germania, la maggioranza degli americani erano contrari a mandare soldati americani a morire in Europa contro Hitler. E allora il Generale Eisenhower sarà stato un coglione ancora più grande di Morillon, ma è stato necessario, insieme a Montgomery e a tutti gli altri stupidi generai i, per battere i tedeschi. Oggi siamo paralizzati da un'ideologia pacifista che ha momenti morali molto forti, ma che è incapace di rispondere davanti ad un atto di distruzione di centinaia di migliaia di persone. rispeHo al Golfo: meno tifoserie e più gemellaggi Nella mia vita non avrei mai pensato di trovarmi a vivere in una situazione come davanti alla Spagna o davanti a Monaco, quando Hitler prese la Cecoslovacchia, e invece oggi io vivo questa situazione. Noi la viviamo. Ed è molto facile, basta non guardare. Posso continuare a vivere a Firenze o a Francoforte senza problemi, come nel '36 si poteva continuare a vivere a Parigi, di fronte alla Spagna, senza problemi. Il solo problema -e questa è la sola vera differenza- sarebbe quello di fermare la televisione. Ecco, il problema è che la televisione è un problema. Guardare ogni giorno la gente morire a Sarajevo in diretta è molto difficile. A questo punto siamo esattamente nella situazione degli Stati Uniti durante la guerra del Vietnam. La mobilitazione contro la guerra la fece la televisione americana. Perché vedere ogni giorno iImassacro in televisione spinse una parte della gioventLIamericana a dire no. Siamo in questa situazione. Non possiamo continuare a guardare senza fare qualcosa, no, non è possibile. Alex Langer. Io sono d'accordo fino a un certo punto con Adriano quando dice che sul Golfo la gente almeno si schierò nella discussione, mentre sulla Jugoslavia pare non si discuta nemmeno. Però a me sembra che ci sia un salto di qualità. Sul Golfo il tipo di discussione era ancora fra tifoserie: da una -

parte i tifosi del pacifismo. e in alcuni casi anche dcli' Irak, dairaltra i tifosi dcll"intcrvento, del diritto internazionale, eccetera. Però più che discutere -intervento sì intervento nonon si poteva fare, al massimo si poteva partecipare a una manifestazione. Nel caso del la Jugoslavia vedo invece un gran numero di persone che fanno, e che forse per questo non amano discutere. E poi vedo che fra queste persone che fanno sono anche compresenti le varie posizioni. Ho fatto un piccolo censimento e ho calcolato in circa 6000 le persone che dall'Italia, nel corso degli ultimi dodici mesi, sono state in Jugoslavia per fare qualcosa. A me pare che da questo punto di vistaci sia qualcosa di nuovo. Meno tifoserie e molto più gemellaggi, impegni costanti. E' vero poi che questa cosa, che ci sia tanta solidarietà, non riesce a tradursi in decisione politica. Voi avete parlato del gen. Morillon. Domenica scorsa ali' assemblea nazionale dei Verdi una donna ha attaccato un cartello con su scritto "Morillon merci". Ci ho pensato anch'io, per quello che ne so, credo che Morillon non meriti né questo merci né la vostra invidia. Morillon è stato bravo, nella situazione in cui si è trovato, e credo anche si sia commosso e abbia capito qualcosa, ma subito dopo Mori llon ha fatto un accordo che dice "noi tiriamo fuori un po' di mussulmani da Srebrenica. li portiamo a Tuzia" e la popolazione di Tuzia, che è ancora unita, oggi viene incitata a mandare via i serbi, per fare posto ai mussulmani, perché Tuzia è prevista mussulmana. se fossero in pericolo sololOOOO ebrei ... rn questo senso la critica che la gente di Sarajevo fa a Morillon, di essere uno messo lì per "osservare", che non può intervenire e che finisce per coprire le peggiori nefandezze. sia giusta. ro invece vorrei per Morillon un mandato più ampio ... Daniel Cohn-Bendit. Ma tu sei d'accordo di dargli il mandato di sparare? Alex Langer. Certo. Certo. E all'assemblea nazionale dei Verdi è passata una risoluzione in cui, fra l'altro, si chiede l'uso della forza per far arrivare gli aiuti umanitari, per mettere sotto controllo e neutralizzare gli armamenti pesanti e per impedire i bombardamenti aerei e aprire i campi. E su questo punto, sul quale è stata chiesta una votazione, solo il 15% ha votato contro. Certo, lo voglio dire, è vero che l'assemblea si è scaldata, si è veramente appassionata sui referendum e non sulla Jugoslavia. L'altro esempio che volevo fare è quello del Parlamento europeo dove, da quasi tutti i socia1isti io sono definito un "mangiatore di serbi", cosa che è falsissima, chiunque mi conosca lo può testimoniare. Ma mi sembra significativo il fatto che la maggioranza della tradizionale sinistra europea consideri antiserbo solo il fatto di chiedere l'allargamento del mandato dell 'Onu, e quanto sia faci le appropriarsi di un marchio pacifista da parte di coloro che, nel caso del Golfo, viceversa, erano in grandissima maggioranza per l'intervento. Daniel Cohn Bendit. Volevo dire solo questo. L'aiuto umanitario è giusto. Solo a Francoforte abbiamo I0000 profughi bosniaci. Ma ogni profugo è una vittoria degli altri,dell'epurazione. r serbi pagherebbero per i profughi, perché per loro va bene così, tre milioni di profughi per loro va bene. E che noi aiutiamo i profughi, ad avere una vita decente in Germania o in Italia, a loro va ancora meglio, ti direbbero: "bene, facciamolo subito". Questa è la situaLionc nuova. L'aiuto umanitario ai profughi. diciamolo chiaramente, è lacontinuazionedcll"epurazione etnica. E questo succede perché noi non vogliamo la guerra. Ed è una situazione terribile. • per no, pensare la guerra è difficile ... La mia verità sulla Jugoslavia: io sono sicuro che se non si interviene è perché si tratta di mussulmani. In una riunione con 150giovani bosniaci. mussulmani, serbi e croati, mi hanno detto: se a Sarajevo fossero stati in pericolo 10000 ebrei, sicuramente il mondo civilizzato non avrebbe permesso che venissero massacrati. Credo che siamo ad un punto, e la guerra di Bosnia gioca molto, ad un punto molto pericoloso, nelle relazioni fra le etnie. I mussulmani di Bosnia sono i mussulmani dei paesi civilizzati, cioè i mussulmani come li vorremmo tutti, hanno la moschea, ma sono uguali a noi e non hanno nessuno dietro di loro. I croati hanno i cattolici, i serbi gli ortodossi e la Russia. ma i mussulmani all'inizio non avevano nessuno e solo nel momento in cui diventano vittime trovano un alleato nel1' integralismo islamico, che usa la situazione per conquistare questi tre milioni di persone. La Turchia, eccetera ... Allora in Bosnia si sta decidendo veramente la questione dei diritti umani, di quei diritti che avevamo detto che non erano divisibili, che erano uguali per tutti. In Bosnia stiamo lentamente scoprendo che questo non è vero. Che i diritti umani, per la maggior parte della gente che vive nei paesi civilizzati dell'Europa, hanno una dimensione etnica. Che una parte del mondo non ha diritto a questo diritto. Questa è la posta in gioco in Bosnia. Certo, si è discusso tanto, di andare là, di una grande mobilitazione pacifica per andare a dire che noi vogliamo vivere insieme, ma io credo che la situazione in Jugoslavia non si risolva così, perché è una situazione complicata e semplice allo stesso tempo. Credo che la prima cosa di cui abbiamo bisogno è che si dica ai cetnici, per non dire serbi: basta in questo momento, basta oggi, non domani, tu rimani dove sei, punto. E per fare questo l'unico strumento è un intervento armato di polizia. Quando c'è un attacco di briganti bisogna prima rispondere al brigante. Dopo, il secondo passo può essere quello di ricreare un'atmosfera di convivenza. Ma il primo passo è la dimostrazione di forza per convincerli a finire. E perché i cetnici possono vincere? Perché sono sicuri che nessuno è disposto a fare la guerra. E questa è la sconfitta del nostro pacifismo. Per fare la pace noi dobbiamo pensare che è inevitabile un momento di conflitto armato. E per noi questo è difficile perché abbiamo fatto tutta la lotta contro la guerra fredda dicendo che bisognava trovare un'altra maniera al confronto con la Russia e ora ci troviamo a dover usare le stesse parole di quelli che difendevano la guerra fredda e che dicevano: "noi dobbiamo mostrare alla Russia che siamo capaci, come democrazie non deboli, di pensare la guerra". E per noi questo - pensare alla guerra- è la sconfessione di un modo di pensare la politica di trent'anni. E non è facile questo. Adriano Sofri. Vorrei chiarire alcuni punti. Per distrazione vengono dette frasi del tipo: insomma, le cose pacifiste vanno anche bene, ecc ... ecc ... Le cose pacifiste, quelle a cui ci riferiamo, sono per me mirabili; ho un'enorme ammirazione, in qualche caso una vera venerazione, per cose bellissimeche sono state fatte. compresa la marcia dei "Beati i costruttori di pace·•. che non trovo affatto discutibile. La trovavo discutibi le, perché temevo potesse finire in una specie di macello. di crociata dei fanciulli. Credo che chi l'ha fatta l'avesse messo nel conto e che l'abbia fatta lo stesso fa solo crescere la mia ammirazione. Così come pensare di porsi il problema di un intervento militare in una situazione pregiudicata come quella jugoslava, non toglie niente alla mia persuasione, non ipocrita ma reale, che il pacifismo di principio sia incomparabilmente superiore a qualunque altra posizione. Intendo quel pacifismo di principio che rifiuta di confrontarsi con qualunque condizione singolare, con qualunque circostanza contingente, che non si lascia smuovere. insomma, da nessuna vista di donne stuprate, di città bombardate, eccetera. una cosa è la Croce Rossa, altra la fine di una guerra E' una condizione ammirevole di santità alla quale semplicemente mi dispiace di non potermi adeguare. Ma quando io lo trovo vivente, non in movimenti -il pacifismo di principio non può essere né di movimenti né di partiti né di gruppi- ma in persone, naturalmente io venero quelle persone. Se tornasse oggi una persona come Gandhi, che rifacesse gli errori tragici che ha fatto Gandhi, per esempio quello di pensare che il nazismo si poteva combattere opponendogli la non violenza, continuerei ad ammirarlo come un grande santo. Dopodiché, a mio parere, di questi santi ce ne sono pochi, ci sono molti che usurpano il nome della santità e, in particolare, c · è un problema pratico che mi pare nessuno possa rifiutare di considerare quando una situazione è incancrenita. Ed è che una cosa è la Croce Rossa, un'altra cosa è la fine di una guerra. Le cose che a voi sembrano così nuove a me non sembrano, per fortuna, tanto nuove. Il volontariato civile che si sta esprimendo formidabilmente con la situazione jugoslava -le migliaia di persone che agiscono in vario modo, che viaggiano, che raccolgono soldi, indumenti, che vanno nei campi profughi, che aspirano a prendere persone in casa propria, che pagano per adottare a distanza altre persone- fanno un'opera della quale si può avere soltanto il più alto concetto, così, come da sempre, noi abbiamo come modelli ideali Antigone, cioè le donne che ai bordi dei campi di battaglia vanno a seppellire i cadaveri. che restituiscono a loro l'onore. Ma non sono disposto ad andare molto al di là del riconoscimento che questo è diventato una grande e straordinaria Croce Rossa civile ... Alex Langer. Parlo di quelli che si stanno adoperando per rial lacci are i contatti fra coloro i cui contatti sono stati spezzati, non solo di quelli che portano indumenti ... è già un'altra cosa ... Adriano Sofri. D'accordo. Quando mi si spiega la centralità della questione dei telefoni satellitari oggi in Jugoslavia, ne capisco bene l'importanza. Così come quando Cuore pubblica le registrazioni delle telefonate dopo 5 giorni di fila, per poter parlare col proprio marito, la propria mogi ie, la propria madre, il proprio padre, capisco bene cosa vuole dire. Però oggi ci sono i bombardamenti. Non si tratta di decidere se noi siamo o no favorevoli a bombardare, si tratta di parlare di una situazione in cui ci sono quotidianamente dei bombardamenti. Lo stesso stupro etnico, ai miei occhi, è stato un elemento di enorme arretramento della reale attenzione nei confronti B1 l1otecaGino Bianco · Sara1evo e no, della Jugoslavia. Ai miei occhi ha avuto due grandissimi difetti. e parlo di cose delicatissime rispetto alle quali so bene che è facile dire stupidaggini. Il primo è che si è elaborato un concetto che considero odioso e anestct ico, perché qucst' idea che si stupri non per stuprare ma per produrre risultati di pulizia etnica, ha tramutato, secondo me. l'orribilità della violenza dello stupro di ciascuna donna in un dato statisticoeclinico. Quandosi nomina la formula ·'stupro etnico". si nomina una cosa in qualche modo liberata della sua violenza, della sua sopraffazione, della sua prepotenza. Il secondo difetto è che lo stupro etnico è diventata l'unica notizia della Jugoslavia, il punto centrale attorno a cui girano tutti i dibattiti, che mette tutti d'accordo, compresi, casomai, gli stupratori privati che si aggirano in ogni mondo pacifico ... A me pare che il problema da molto tempo sia un altro: come intervenire in una situazione così pregiudicata, dove la questione non è identificare il nemico, ma la chiarezza del fatto che ci sono delle vittime che non stanno offrendo nessuna prospettiva positiva, delle vittime nelle quali non riconosciamo nessun futuro che ci possa dare un nuovo orizzonte, una nuova bandiera, ecc ... stupro etnico: conceffo odioso e anestetico Allora io penso che la questione del carattere mussulmano della Bosnia è molto importante. C'è bisogno che noi ce ne rendiamo conto, sono completamente d'accordo con Daniel, i mussulmani bosniaci sono veramente il nostro ideale di mussulmano perché sono slavi, sono, cioè, uguali a tutti gli altri e solo di religione sono mussulmani. Mentre noi poi abbiamo i mussulmani che sono diversi da tutti gli altri. E negli stessi giorni in cui ci poniamo il problema dei mussulmani bosniaci massacrati. stuprati. e della Turchia che. in parte per ragioni condivisibili, in parte per la strumentalizzazione di cui si parlava prima, fa la voce grossa in un'area in cui tende a diventare egemone in un modo subimperialistico, negli stessi giorni quello che noi riusciamo a fare rispetto alla delicatezza di questa situazione. èdi ammazzare qualche bambina turca ad Amburgo. Questa è la linea dell'Europa nei confronti del problema dell'islamismo fondamentalista! Dunque è uno di quei problemi in cui si vede molto chiaramente la cecità suicida del1'Europa. Quando dico suicida dico una cosa che spiega perché, a mio parere, la questione di intervenire contro la guerra, contro i massacri in Bosnia e nella ex Jugoslavia, è questione contemporaneamente altruistica ed egoistica. Primo: io penso che l'altruismo sia una delle molle più materialmente efficaci delle azioni umane, e che tutte le volte che noi -in nome anche di una giusta esigenza, per non reinventare ideologie, schemi, mascherature, eccetera- pensiamo che l'altruismo non sia una sufficiente motivazione, ci disarmiamo, e poi non ci spieghiamo più perché la gente si salta al collo e si scanna per ragioni che non hanno nessuna motivazione economica. strutturale, nessuna convenienza, se non il gusto di saltarsi al collo e scannarsi. Anche quella è una forma di altruismo sublimato, straordinario. Credo che l'altruismo sia una formidabile molla alla quale bisogna fare ricorso, in particolare in società e in tempi come i nostri. Secondo: credo contemporaneamente che il fatto che in Bosnia fallisca in questo modo brutale il governo del mondo, sia una minaccia che pende sabato, 24 aP.rife, ore I 6 Osteria Micltdeffa via fanfagu:ui 26, Cesena PRESENTAZIONE DELGIORNALE UNA ClffA' direttamente su di noi. E' il mondo che è messo in pericolo in Bosnia. non semplicemente la Bosnia, la ex Jugoslavia e l'Europa. In questo senso penso che sia modernissimo quello che sta succedendo in Bosnia. E anche qui c'è una falsa contrapposizione: cose che noi consideriamo ataviche, primordial i, -per esempio gli uomini che stuprano le donne- e che pensiamo che tornino come una speciedi passatorimosso,censurato, represso, sono invece cose contemporaneamente primordiali e modernissime. L'uomo che stupra una donna è un frutto della modernità nei punti più avanzati dello schieramento civile di oggi, in forme naturalmente diverse da quelle in cui si espone lì. la ferocia "etologica" della • convivenza Ed in particolare io penso che nel mondo di oggi, la caduta dei muri e dei sistemi, di tutti i sistemi, compresi quelli che permettevano agli alfrì di definirsi in contrapposizione a quei sistemi, sta mostrando un dato che credo generale, e chè noi abbiamo vissuto al l'epoca della seconda guerra mondiale e dello stalinismo: il dato che, non tanto la democrazia che è la forma meno peggiore che sia stata inventata fino ad oggi, ma che l'educazione, la civiltà, le buone maniere -sto parlando proprio di cose spicciole- sono una pellicina molto superficiale sulla brutalità e la ferocia del nostro modo clistare al mondo. Una pellicola veramente vulnerabile che, strappata in più punti, rischia di scomparire e di fare costantemente riemergere la brutalità e la ferocia del nostro modo di stare al mondo, di tutti noi. E la modernità sta nel fatto che alcune delle pellicole che noi abbiamo usato nel dopoguerra per tenere a bada questa ferocia della convivenza umana-la ferocia etologica, per così dire, della convivenza umana- sono andate in pezzi. Una di queste pellicole era il sistema del socialismo reale, era il totalitarismo comunista, che in forme dispotiche e certamente anche con una fortissima capacità di adesione e di identificazione ideologica, teneva ferme le cose. Il fatto che questa copertura sia andata via non significa che lì tornino le cose come erano prima che arrivasse il comunismo, ma significa che lì si esprimono più rapidamente tendenze che sono del nostro tempo nell'intero pianeta. Il saltarsi alla gola e lo sgozzarsi è un frutto della estrema modernità, è un frutto della demografia del mondo, è un frutto della minaccia ecologica sul mondo. Allora io credo che l'Italia non è solo il paese geograficamente più vicino alla Jugoslavia, ma è il paese che assomiglia di più a quelli del socialismo reale, che sta attraversando una precipitazione di regime e di mentalità, di comportamenti civili, di sentimenti cordiali, che fanno sentire scricchiolii sinistramente vicini a quello che succede là. Se noi pensiamo questo, possiamo superare l'alternativa altruismo e egoismo e capire che se riusciamo a intervenire decentemente in Jugoslavia, in qualche modo firmiamo una assicurazione che vale contro rischi sanguinosi che riguardano tutti noi. Per concludere, con tutta I' ammirazione più sincera per tutte le persone che fanno cose concrete -sincera perché penso che al mondo non ci sono cose più preziose che le infermiere e in subordine gli infermieri- tuttavia penso sia molto importante per noi riuscire a forzare la mano a quelli che dispongono di mezzi adeguati -i governi, cioè le associazioni internazionali, in particolare le Nazioni Unite, l'Europa, la Nato- perché impongano la pace o comunque il ridimensionamento delle azioni belliche, del brigantaggio, del massacro e degli stupri nella ex Jugoslavia. Ho fatto una proposta nei giorni scorsi, ma quando l'ho fatta naturalmente avevo già deciso per quanto mi riguardava perché non sono quelle proposte che si fanno per vedere come risponde la gente. E' la proposta di fare un digiuno collettivo sul tema delle guerre e della guerra nella ex Jugoslavia. Credo che questa cosa intanto sarebbe molto buona per chi la fa. In secondo luogo avrebbe un grande effetto per quelli che non la fanno e che assistono a questa cosa. In terzo luogo perché è l'unico modo che vedo per quelli che non sono professionalmente "infermieri" -lo dico in senso migliore- per far pagare cara ai potenti della nostra parte del mondo l'inerzia, la complicità e l'impotenza nei confronti della ex Jugoslavia. • Cucina tradizionale e regionale italiana Scelta di piatti vegetariani e integrali Dolci fatti in casa Cortiletto interno •••••••••••• ALLEGRO CON GUSTO osteria MICHILETTA via Fantaguzzi, 26 tel. (0547)24691 CESENA (Fo) chiuso la Domenica UNA CITTA' 3

I Il racconto di un ritorno da Saraievo con un l,iml,o di undici mesi. Una città stupenda in cui era un piacere vedere la convivenza di tante culture. Un assedio tremendo che è vergogna per un 'Europa inerte e anche segnale sinistro per tuffi noi. la necessità, anche se è tardi, di un massiccio contingente di pace. Intervista a foni Capuozzo. Toni Capuozzo, vive e lavora a Milano, è giornalista del Tg 4. Il! più occasioni è stato in Jugoslavia come inviato. Puoi raccontare questa storia che ti è successa in Jugoslavia? E' una storia un po' strana per me, perché sono abituato a raccontare io le cose e non a fare delle cose che vengano poi raccontate da altri. Sono anche in imbarazzo a parlai-ne, è una storia molto personale, che si è costruita anche con degli affetti: questo bambino vive con me, è in affido e c'è anche un bel rapporto. E' una storia personale ma che ha anche una sua utilità pubblica, fa riflettere, nel senso che il fatto di portare via questo bambino di nascosto ci ricorda che Sarajevo è una città assediata, da dove i cittadini non possono uscire, gli unici che passano sono le forze dell'ONU e i giornalisti. E' una storia con delle preoccupazioni, sta affrontando adesso il problema di camminare, si regge già in piedi su una prima protesi provvisoria e sto facendo le carte per farne una seconda; sono tutte provvisorie, dovrà cambiarne una ogni sei mesi, proprio perché sono gli anni di crescita impetuosa. Che età ha il bambino? Ha quattordici mesi. E' un bambino molto piccolo. La storia sua è presto detta. Il problema principale riguarda il padre, che è rimasto a Sarajevo, col quale i rapporti sono piuttosto difficili, se non impossibili; le ultime notizie che noi abbiamo di lui e che lui ha di noi risalgono a Natale. Lì non ci sono i telefoni naturalmente, non c'è un servizio di posta. Le poche notizie che si hanno di storie individuali sono in genere affidate alle poche persone che riescono a venirne fuori in un modo o nell'altro o a colleghi giornalisti che vanno giù e che quindi possono portare una lettera, una fotografia e riportare le notizie. Comunque noi da Natale non abbiamo più notizie del padre di questo bambino. E' un ragazzo di 24 anni, non è un combattente, è un ex-operaio saldatore. lavorava nella fabbrica più grossa che c'era a Sarajevo. Ho conosciuto questo bambino in giugno, lui allora aveva 5/6 mesi. A maggio una granata era scoppiata di fronte a casa sua, nella periferia est di Sarajevo, in una di quelle case non in campagna, ma dove la città non è ancora cominciata ed è vicina alla prima linea. A mezzogiorno sparavano verso casa sua, la madre spaventata ha attraversato la strada, cercando di correre dai vicini, la granata è caduta a pochi metri da loro, la madre è morta sul colpo e il bambino ha B perso la gamba. lo l'ho conosciuto in ospedale, stavo facendo un servizio sui bambini e la guerra. Allora non se ne parlava molto, cioè si parlava della guerra di Sarajevo, ma non che si stava distruggendo un mondo, bello o brutto che fosse, e si stava segnando per sempre una generazione che sta crescendo. • una generazione che sta crescendo segnata per sempre Si può ben immaginare cosa vuol dire che tutte le classi scolastiche di Sarajevo quest'anno hanno dovuto imparare come si sopravvive ad un assedio. In questa seconda metà del secolo una città con quasi 400.000 civili che sono ostaggi è una cosa senza precedenti. lo credo che un domani ci sarà del lavoro da fare per gli psicologi, per studiare una generazione di bambini che ha vissuto la scomparsa di amici coetanei morti. lo stavo facendo appunto un servizio su questo e mi sono recato in un reparto dell'ospedale principale di Sarajevo. Stavo finendo il servizio quando mi hanno tirato per la giacca e portato in una stanza dove c'era questo bambino. Sul primo momento non mi ero neppure reso conto che il bambino avesse perso la gamba perché era tutto infagottato. Mi aveva colpito molto iI fatto che fosse allegro, che sorridesse. Sono poi ritornato a Sarajevo una volta successiva per fare altri servizi e una seconda volta, a novembre, sono ritornato in ospedale per rivedere il bambino che aveva colpito me come gli operatori, che sono sloveni. li bambino era già stato dimesso ed io ingenuamente pensavo che avesse già una protesi. Ho chiesto l'indirizzo di casa per andarlo a trovare, volevo portargli della cioccolata. Mi avevano sconsigliato di andare perché il posto era molto pericoloso, la casa infatti era in prima linea. Mi ero insospettito perché immaginavo che non potesse recarsi in ospedale per fare fisio-terapia se iI posto dove abitava era tanto rischioso. Quando ho raggiunto la casa vi ho trovato suo padre che era disperato perché passavano i mesi e questo bambino era costretto a restare chiuso in casa, una casa che sembrava un bunker perché avevano murato le porte e le finestre che davano sul lato dove i cecchini potevano sparare. li bambino era impossibilitato a ricevere una protesi proprio nel momento in cui avrebbe avuto voglia e bisogno di camminare. allora infatti si avvicinava CO agli undici mesi. Se non avesse avuto la possibilità di camminare, almeno così io pensavo. si sarebbe rassegnato a gattonare. si sarebbe abituato con naturalezza a una condizione handicappata. C'era quindi anche un problema di urgenza. Bisognava tentare il tutto per tutto, bisognava provare a portarlo fuori di nascosto, con il consenso del padre naturalmente, anche col rischio che succedesse qualcosa. Purtroppo none·era altra via, non c'erano convogli di profughi. E' stata una cosa un po' avventurosa e fortunata perché nei dieci chilometri di terra di nessuno, la fascia d'assedio serba, non ci è successo niente, quando abbiamo passato i controlli non sono stati rigorosi forse perché era un giorno di pioggia. Eri da solo? No. ero con una collega giornalista italiana. Anna Cataldi, che mi ha aiutato a tenere il bambino che fortunatamente dormiva. La nonna l'aveva, apposta, tenuto sveglio tutta la notte per paura che piangesse durante il viaggio. li bambino era nascosto e naturalmente avevamo già deciso che se ci avessero fermato avremmo tentato di corrompere qualcuno. Avevo delle banconote pronte nel taschino e comunque non l'avremmo mai consegnato, piuttosto avremmo cercato di creare un incidente internazionale. eravamo felici per il faffo di aver faffo qualcosa A volte mi sono chiesto, al di là dell' intollerabilità di un bambino in quelle condizioni per cui era quasi un dovere aiutarlo nel momento in cui non c'erano altre possibilità, perché l'ho fatto e perché altri mi hanno aiutato a farlo, rischiando e andando fuori dal loro vero compito. Questa troupe slovena che lavora con me era pagata per rischiare, ma non per portare fuori dei bambini. non è compito loro. L'unica risposta che riuscissi a darmi era che c·era anche una sensazione di impotenza, rispetto alla situazione che uno vedeva perpetuarsi nei mesi: c ·era l'idea che in definitiva servisse poi a poco continuare a mostrare queste immagini che denunciavano quello che stava succedendo a Sarajevo. oltre che nel resto della Bosnia. Capire che serviva a poco trovare sempre della gente che ti guarda chiedendoti aiuto e a volte che Liguarda con quell'espressione di accusa perché a loro, ed è difficile elargii torto. sembra incredibile che a poche centinaia di chilometri tutto continui come prima. Molti dicono: in Somalia è stato fatto, nel Golfo è stato fatto e noi invece non contiamo niente. C'è un atto d'accusa e di richiesta di aiuto, che va oltre l'invio di coperte, di viveri, di medicinali. A volte ti spiegano il loro essere mussulmani e si chiedono se questo non comporti, nell'immagine che l'opinione pubblica in Europa si costruisce di loro, un senso di distanza che fa sì che non li si ritenga europei. Con questo sentimento di impotenza, il fatto di portare via il bambino è stato come una liberazione da questa stasi. Infatti dopo eravamo felici, non solo perché eravamo riusciti a fare questa cosa precisa, ma per il fatto di avere fatto qualcosa. Ci siamo ribellati anche alla deontologia del nostro mestiere. Potremmo dire a noi stessi che siamo andati oltre le righe. Di tutta questa vicenda si è parlato anche per raccogliere solidarietà per questo bambino, una sottoscrizione in una Banca che servirà a crescerlo con maggiore serenità, a pagare queste protesi. Ognuno ne ha parlato, c'è chi ha messo in televisione il dolore, c'è chi ha preso le distanze. Tutto questo era comunque per me molto secondario, da questo punto di vista è una faccenda chiusa. Piuttosto c'è una considerazione: da parte mia, ma posso dire anche nostra, considerando gli operatori. c'è più che altro un atto di bontà. Mi hanno fatto commendatore per questa cosa, mi sono anche divertito perché ho diversi precedenti penali, cose banali, del passato, non particolarmente violenti. ma hanno a che vedere con le • leggi dello Stato. Da un lato mi fa piacere condurre una vita un po' ai margini della società e poi avere un riconoscimento così ufficiale, è buffo, non per mancanza di rispetto, ma mai e poi mai avrei pensato che l'ufficialità arrivasse a riconoscere delle esistenze che non hanno le carte in regola per essere riconosciute in quel contesto. Dall'altro una cosa che mi fa sorridere è che contemporaneamente è stato un gesto di bontà e un po· anche un atto di accusa. lo vedo le persone che incontrano questo bambino, c'è la persona anziana che si commuove, però per altri è come se toccassero con mano eri manessero in qualche modo feriti dall'esistenza di una guerra civile, spietata, alle porte di casa. Chi ha modo di vedere questo bambino che ancora non cammina, tolto lo schermo protettivo, neutralizzante, della televisione o della carta dei giornali, si trova di fronte ad un atto di accusa: che si possa sparare contro un obiettivo mirato, perché non è stato un fatto casuale, cioè su una donna che fugge con un bambino in braccio. Non voglio con questo lanciare un'altra accusa su chi ha compiuto ciò. Eche questo stia avvenendo a poche centinaia di chilometri da casa nostra, fa sentire un po· male la gente, quando ha modo di capire con un'esperienza un po· più diretta cieli' informazione che sembra sempre uguale. Conoscevi la Jugoslavia? Mi sono interessato di posti anche molto più lontani, ma quello che succede inJugoslavia mi interessa anche perché era un paese che conoscevo, al quale ero in parte affezionato, perché a lungo, pur non condividendo alcune caratteristiche cieli' esperienza jugoslava, mi era sembrato un socialismo comunque con delle caratteristiche più umane. diverso dalle esperienze monolitiche che venivano condotte in quegli anni in altri paesi. A lungo era stato capofìla dei nonallineati e quindi per chi si è occupato di politica estera è stato un paese che ha rappresentato. in qualche modo. la speranza. nel periodo in cui il mondo viveva nell'equilibrio del terrore fra le super-potenze. Si potevano affacciare nelle scena internazionale elcipopoli che erano mossi non da brama di potere, ma dall'affermazione delle autonomie e delle indipendenze. Erano tutte idee che negli anni sessanta sono state care ad una generazione. Però e· è una ragione che secondo me è più generale ed è molto più attuale ed è che spesso, parlando con la gente comune ed anche facendo dei servizi per la televisione, che deve parlare un linguaggio comprensibile per un largo numero di persone, questa guerra sembra molto distante. Per la persona comune. per chi non fa politica e non è tenuto a conoscerli, "cetnici" e "ustascia" sono nomi difficilmente decifrabili. La ferocia di questa guerra, a volte, la fa sentire come un rigurgito di un passato lontano, medievale: come quando si parla di guerre sante, una cosa che a noi non può accadere, qualcosa che fuoriesce dai tombini del presente, una cosa che appartiene alle viscere del passato e chissà perché lì si è tramandata. Invece quello che sta succedendo è purtroppo di una pericolosa modernità, perché Sarajevo quattordici mesi fa, cioè prima della guerra, era una città dove essere serbo o mussulmano o croato era una qualità molto accessoria dei rapporti interpersonali, c'erano molle coppie miste, nel censimento c'erano moltissimi che si dichiaravano jugoslavi. Per essere più espliciti era una città molto vivace per la cultura, una cultura molto "moderna". Il regista Kusturica è di Sarajevo. A Sarajevo si faceva molto teatro d'avanguardia, ci sono molti gruppi che fanno musica. ci sono moltissimi locali dove si fa musica dal vivo, era una città con cui era facile interloquire, in più, rispetto a moltissime altre città. aveva il fascino a tutti i livelli di una città dove le culture si sono incontrate e incrociate e che hanno prodotto delle intelligenze più vivaci. Ciò è visibile nell'architettura quando ci si trova di fronte al palazzo delle poste, che sembra un'opera di pasticceria, o a un minareto o ai viali sterminati della Jugoslavia ·'socialista e progressiva". E anche per la cucina: si mangiavano dei dolci turchi, della carne speziata alla maniera serba, delle verdure messe insieme al modo croato. Era una città con un fascino particolare dove tutte queste cose e le esistenze delle persone erano molto intessute fra di loro. Quindi uno non si deve immaginare queste figurine da presepe che si vedono oggi fuggire da Srebreniza, quando camminano nella neve con i pantaloni alla zuava, immagini lontane d'altri tempi. Bisogna immaginare delle persone che vedevano i film che noi vediamo, che leggevano i libri che noi leggiamo, che scartavano dal loro futuro, con la nostra stessa sicurezza, la possibilità di una guerra, che progettavano la loro vita in un modo non molto diverso dal nostro. Questo tessuto umano, civile e culturale è precipitato in un assedio e in una guerra etnica che è quanto di più feroce ci possa essere e che è nello stesso tempo una minaccia tremenda. non è rigurgito del passato, ma una cosa molto moderna Ad esempio, quando dico che trovo quello che sta succedendo a Sarajevo, che è nel cuore cl' Europa e dove l'occidente e I'oriente si incontrano, inquietante e moderno penso che le immagini che la città mi richiama sono quelle dei naziskin in Germania e delle tensioni che percorrono l'ex Unione Sovietica. dei nazionalismi macedoni o degli azeri che insorgono. Quelli della mia generazione che sono abituati a leggere semplicemente il mondo nella contrapposizione tra una spinta al progresso, all'unità fra i popoli e una spinta del dominio di classi privilegiate, improvvisamente si trovano a misurare una realtà molto più feroce, di identità che si aggrappano a lingue, a religioni, a culture, riducendosi all'osso e sono fondate non sul riconoscere il diverso e ad apprezzarlo ed a valutarlo proprio in quanto diverso, ma sul riconoscere in modo sempre più ristretto solo chi è uguale a te, per capire che chi non è uguale a te è un tuo nemico. Questa è una cosa che può succedere anche in Italia. E' una minaccia che non è solo esterna, nel senso che appartiene solo alle cronache dei giornali, appartiene anche al nostro interno, appartiene ad una generazione che è cresciuta leggendo le storie dei campi di concentramento considerandole come un passato sepolto e che come tale non sarebbe mai più riapparso, neppure sotto forma di zombi. Invece l'Italia, che è un paese notoriamente non razzista, o che considerava se stesso non razzista e considerava razzista gli Stati Uniti ai tempi in cui gli atleti neri salutavano col pugno per contestare. nel momento in cui comincia ad avere un problema razziale al suo interno, scopre che le cose non sono semplici. anche all'interno di ciascuno di noi non sono così semplici. In questo senso io trovo che quello che sta succedendo a Sarajevo. città con la situazione più simile alla nostra, è un monito per il futuro de li'Europa. Credo che lì si giochi una partita. che è quella della possibilità di convivere in Europa pacificamente tra popoli diversi, tra religioni diverse. tra culture diverse che temo che lì, in quel punto. sia ormai defìnitivamentc persa. Quest'anno di guerra ha lasciato uno strascico di odi difficilmente sanabile. Ha lasciato ferite insanabili nei

suoi protagonisti e nelle sue vittime, anche se protagonisti purtroppo non ce ne sono, sono tutti vittime e ha gettato un'ombra lunga sul futuro dell'Europa, anche per l'incapacità dimostrata dall'Europa stessa e dalle diplomazie di spegnere questo focolaio al suo interno, questa vergogna al nostro fianco, perché anche di questo si tratta. Sono stato in Somalia e mi sono chiesto diverse volte, nel gioco feroce di chi butteresti giù dalla torre, se valeva la pena di intervenire in Somalia o piuttosto in Bosnia: ho lemie perplessità, assolutamente comuni a molta gente, sugli interventi che si realizzano dove ci sono dei grossi interessi economici. Però ricordo il periodo del Golfo, una guerra per il petrolio, quando, e lo dico con un po' di amarezza, ci fu un'altra attenzione. Non è che una guerra è più nobile se non è per il petrolio. Il pacifismo non deve muoversi di converso. di riflesso. quasi in modo speculare, ali' interventismo dettato dal petrolio. Credo che i profughi della ex-Jugoslavia in Italia non arrivino a duemila mentre l'Austria ne ha diciannovemila. Noi non abbiamo veramente fatto nulla, senza togliere nulla a quei pochi che di cose ne hanno fatte. il pacifismo sembra agire di converso ali' interventismo Se noi guardiamo ali' Italia dei giorni del Golfo, all'Italia che si spaccava in Parlamento, forse questo fornisce una lettura del- !' indifferenza del Governo e del Parlamento, qualcosa di più di una indifferenza, forse si tratta di incapacità. di assenza di una politica efficace nei confronti dei problemi della ex Jugoslavia. Mar assenza di dibattito politico, che avesse una lettura italiana da parte dei partiti italiani, ha generato per converso l'assenza di iniziative del pacifismo: quando ci fu il problema del Golfo, ci fu uno schieramento e una rottura fra i partiti e ci fu una mobilitazione di pacifisti per bene. mossi non da beghe partitiche, ma da un sincero spirito pacifista. Sulla Jugoslavia non si è rotta la sinistra italiana, non si sono scontrati i conservatori e i progressisti, non si sono scontrati i federalisti e i centralizzatori. non si sono divisi i giornalisti. E' sembrata risultare estranea proprio 1•Italia, che aveva certo le sue gatte da pelare e meno nobili motivi di contesa, e questo è sembrato generare anche un"assenza del movimento pacifista. C'è stata la marcia dei cinquecento a Sarajevo e, detto con molto affetto per quelli che hanno partecipato, sono state raccolte solo testimonianze individuali che è qualcosa capace di incidere poco sulla realtà di Sarajevo e poi, per converso. sulla realtà italiana. Non tolgo nulla alla bontà di quella iniziativa però era una voce nel deserto, che ha seminato poco e raccolto nulla, al di là delle testimonianze individuali sommate a quelli che hanno partecipato. Mi pare che proprio in questi giorni si stia parlando di lanciare un movimento di adozioni e/o di affidamento di bambini bosniaci. E' un progetto di difficile attuazione? Il bambino che ho inaffidamento sta durante il giorno con una baby sitter che è una profuga di Sarajevo, che ho cercato e ho scelto perché naturalmente sono disposto a ospitarlo per sempre, mal' intendimento mio è che lui sia restituito a Sarajevo non solo perché ha un padre lì, ma perché la città torni a vivere. Ripeto che questa è una scommessa che non riguarda poi solo loro. Ci sono anche i casi dei bambini figli dello stupro, bisogna muoversi perché si aprano veramente le frontiere ai profughi in questo momento. Ma non bisogna limitarsi a tamponare le ferite e a consolare quelli che piangono, bisogna fare qualcosa di più efficace. L'emsulmano della città che sa che nel momento in cui aprisse veramente le porte, Sarajevo verrebbe a cadere. Immaginate l'esistenza di queste migliaia di persone che non hanno scelto di fare la guerra e che sono trattenute in ostaggio da 12 mesi. Immaginate cosa vuol dire il succedersi dei giorni, le notti passate nelle cantine, le piccole umiliazioni, come per il vecchio maestro il fatto di non potersi radere, per qualcuno il fatto di non potersi comprare un libro o per altri il fatto di non avere più sigarette da fumare. Sono cose che minano la dignità, di chi ne è vittima ma anche di chi sa che una cosa di questo tipo sta succedendo e non fa nulla. Per conto mio alcune cose possono essere fatte. Non credo molto. ripeto, nell' intervento militare, mi pare un'avventura molto pericolosa per tutti. una ferocia "educativa": uccidere per cacciare bargo evidentemente non è bastato così come Ma alcune cose possono essere fatte tranè stato applicato. Ci vorrebbero dei mezzi di quillamente, come vietare lo spazio aereo. pressione più efficaci dal punto di vista una misura che e· è già ma che non viene cieli'iniziativa diplomatica. rispettata, vengono fatti ancora dei bombarUn intervento militare? damenti, dei mitragliamenti in elicottero. Il Sono perplesso rispetto ad un eventuale in- governo italiano. per esempio. a suo tempo tervento militare così come viene normai- esigeva un· inchiesta e che venissero puniti mente inteso. nel senso che credo che an- coloro che abbatterono l'elicottero italiano dremmo incontro a un connitto che rischie- sui cicli della Croazia (ad abbatterlo fu un rebbe di allargarsi e che sarebbe estrema- Mig dell'aviazione federale serba, una mismentc sanguinoso. sione di volo registrata con tanto di nome e Sono contrario non solo perché si possono cognome). Oggi i familiari degli aviatori risparmiare delle vite umane, ma perché (che erano lì in qualità di osservatori per credo che l'efficacia sarebbe relaiiva. Ci conto della Comun ità Economica Europea), sono delle milizie ben addestrate. feroci, non hanno mai avuto una riga e non è mai ormai abituate alla guerra, con il gusto della stato istruito nessun processo. 11ministro guerra purtroppo. Colombo è stato a Belgrado. La cosa era di lo credo che una forza cli pace fortemente facilissimo accertamento perché sapevano armata, una forza di pace mas!-.icciaingrado quale Mig ha sparato, anzi era un ufficiale di incutere timore e quindi cliavere un forte pilota inmis~ioncclivolo regolarmente regideterrente forse potrebbe ottenere qualche s1rata. Sarebbe stata un· inchiesta rclativarisultato. E insieme a questo iniziative piate- mente semplice. rispetto ai processi di cui ci ali come convocare il Consiglio d'Europa o riempiamo la bocca sui crimini di guerra. il Parlamento europeo a Sarajevo. cioè eli- Allora è inutile che noi assolviamo la nos1ra minare la vergogna dei 370 mila mussulma- coscienza promettendo questi processi nel ni, serbi e croati che sono in un vero e mentre il reato continua a essere perpetrato, proprio campo cliconcentramento. inquesto perché oggi e' è qualche donna che viene momento nient'altro che ostaggi. L'assedio stuprata, c'è qualcuno che viene ucciso ~cnè serbo, i maggiori responsabili cli questa za ragione alcuna. Ben vengano i sussulti guerra sono i serbi, ma in qualche modo civili,l'inclignazioncmoralcdigros~o~pcsquelli sono ostaggi anche del governo mus- ~orecome quella cliuna nuova Norimberga. B1ol1otecGa ino Bianco però questo non ci assolve dal fare oggi e subito le cose che possono essere fatte subito. Tu sei stato diverse volte in Jugoslavia, hai saputo qualcosa di più preciso sui campi di concentramento e sulla violenza alle donne? A volte è una guerra che viene combattuta come tutte le guerre moderne con la propaganda. Si parla spesso cli genocidio. ma i serbi non hanno inmente il genocidio. iserbi hanno in mente la pulizia etnica. Ti riporto una confidenza che mi fece un poliziotto serbo una sera, dopo aver bevuto in abbondanza, su qualcosa che era successo poche notti prima a Sbornik in Bosnia, ai confini con la Serbia, una località che in questi giorni è molto combattuta, dove in genere vengono bloccati i convogli. Mi ha detto: "Avevano fatto dei prigionieri. che erano civili, uomini, donne e bambini, un gruppo di una trentina di persone. Li hanno portati in qualche cortile di casa qui vicino perché li ho sentiti da casa mia tutta la notte che cantavano canzoni serbe. perché erano obbligati a cantare canzoni serbe. Verso l'alba ho sentito delle raffiche climitra e poi silenzio". Perché questo? C'è rodio feroce di chi ha avuto un parente ucciso. la vendetta cli chi deve sfogarsi. Ma la ferocia di queste morti ha una forte sottolineatura ''educativa·•. uccidono per cacciare. Quelli che stanno nei campi di prigionia sono persone clicui loro ben volentieri si clisfcranno.Quando parliamo clilager, le parole devono avere il giusto significato: quelli non sono lager di sterminio. anche se sono posti dove il miliziano va e preleva una donna per rubare una sua pretesa forma di piacere o dove si può uccidere con tutta facilità: ma non e' è sistemalicamente lo sterminio. L'opinione pubblica internazionale pone gli occhi su questa cosa per chicclcrc cliconsegnare questi prigionieri perché sanno semplicemente che è il prodotto ultimo cli pulizia etnica in una zona, "li abbiamo raccolti in un campo e li restituiamo", perché non è pcnsabi le sterminare per intero i mussulmani. E poi esistono anche campi mussulmani. Le proporzioni sono cli 80 campi serbi contro I O mussulmani e I O croati, anche perché sono i serbi che hanno conquistato 1'80 % elci territorio. Anche se il responsabile numero uno è Milosevich che è stato il primo a dare inizio a questo vcrminaio e a queste incursioni nazionalistiche, quindi gran parte clicolpa cliquesta guerra poggia sul versante serbo, vorrei anche dire che non si tratta solo di colpevolizzare il versante serbo. soprattutto se vogliamo salvare gli ultimi residui di possibilità cliconvivenza. Dobbiamo evitare le equazioni facili come serbo uguale criminale di guerra, anche seè vero che sono loro i protagonisti essendo i vincenti sul campo. Riguardo agli stupri posso dire che chiamano vendetta e che fanno parte di tutte le guerre. La cosa più allucinante è la volontà di lasciare gravide le donne stuprate. Questo si avvicina molto al nazismo. C'è, da parte dei serbi che li commettono, la volontà non solo di umiliare ladonna, ma anche una volontaria inte112ionedi costringere la donna a partorire un serbo, perché il seme dell'uomo era serbo. Questo riporta al problema di fondo della convivenza fra le etnie che è quasi una chiave clivolta, il problema più grosso. Purtroppo io penso che discutere -aborto sì, aborto no- sia in qualche modo fuorviante perché mi sembra una polemica consumata in "corpore vili"delle donne bosniache, ma per un utilizzo italiano, per rinfocolare schieramenti, progetti di legge o progettidi abolizionedi leggi riferite all'Italia. E' fuorviante anche perché questi gruppi interi di ragazzine ineffetti hannogià abortito, non hanno bisogno né di buoni né di cattivi consigli, né di profonde speculazioni. Non solo per una forma cli rispetto -lasciamo che siano loro a decidere-, ma anche perché hanno già deciso. in moltissimi casi. Purtroppo è una tragedia che si dipana con una facilità e una profondità crescenti e lavacuità del dibattito italianosuqueste cose scorre via veloce. Il rischio è che la pulizia etnica a questo punto sia consolidata. Potranno convivere nuovamente i serbi, i croati, i mussulmani? Cosa si potrà fare? lo credo che ormai sia troppo tardi, ci sono degli odi radicati e delle ferite troppo profonde. Conosco delle persone che a sei mesi dall'inizio della guerra continuavano a frequentarsi in compagnie miste con vari amici serbi o mussulmani. Continuavano a vedersi, a parlarsi e oggi hanno rinunciato. Mi sembra molto difficile per un serbo che non abbia preso le armi, mite, che sia rimasto anche dentro a Sarajevo durante l'assedio, e lealmente nei confronti degli altri, non esserequalcunoconsiclerato diverso. La convivenza richiede sempre un travaglio lungo perché non è vero che poi l'uomo è così buono. Bisogna saper riconoscere se stessi per poter poi apprezzare quelli che non sono come te e che quindi ti possono dare delle cose. L· intolleranza etnica richiede solo un colpo cli fucile e protratta così nel tempo anche le persone più accanitamente contrarie alla guerra faranno fatica a far finta che nulla sia successo. c'è citi si suicida, vecclti clte si lasciano andare Solo forse in presenza cliunmassiccio schieramento internazionale che garantisca la sicurezza sarebbe possibile. ma si tratterebbe di una tolleranza imposta e non so quanto funzionerebbe, forse ci vorrebbero anni e anni. Chiacchierando con i miei operatori sloveni. che sono cliCapodistria. mi dicono che l;1si è salvata un po· climultinazionalità perché continuano ad esserci croati. mussulmani e tutti quanti guardano da lontano questa guerra e mantengono un minimo cli convivenza inquesto angolo della Slovenia. Ma prevedono che si formeranno degli stati etnicamente puri. e forse ci vorranno 2 o 3 generazioni, quando saranno degli stati anche un po· noiosi. perché una ragazza serba trovi un mussulmano piacente e una ragazza mussulmana trovi un interesse per un croaSara·evo e noi 10. E se, comunque, nessuno lavorerà per tener vivi i fantasmi del passato ... Se l'Europa non fa i conti oggi con questa vergogna, con le sue responsabilità, rischia di trovarsi 1• inferno alle porte di casa. La via a una costruzione di una leadership internazionale è così difficile, così tormentata, vediamo che tutto è così confuso; o si costituiscono del legaranzie, dei punti di riferimento, delle certezze. del "sentire comune", il concetto di ··casa comune", oppure governare le tensioni diventerà sempre più difficile. Da quest'ultimo punto di vista credo che 1•Europa debba lamentare l'assenza di Gorbaciov, anche rispetto alla crisi jugoslava. La ''casa comune" sembra oggi barcollante, perché in Russia è in crescita un panslavismo poco rassicurante. Sono finite le super potenze e assistiamo quasi a una diaspora impazzita di piccole potenze che devono crescere ed affermarsi in guerre che sono sempre più fratricide e che sono quelle che sfuggono di più. E Sarajevo oggi è nell'occhio di questo ciclone impazzito ... Sarajevo è una città così. E in uno sfondo comunque drammatico, puoi trovarti di fronte situazioni quasi paradossali. C'è un gruppo che fa teatro alle undici di mattina, ci sono ragazze truccate (mi chiedevo come fosse possibile dato che non ci si riusciva neanche a lavare) che poi fanno la fila alla fontana per lavarsi con il rischio di un bombardamento. Dicono che conta poco come fanno perché bisogna volersi bene per continuare a sopravvivere. E' una città dove ci sono dei suicidi, ci sono dei vecchi che si lasciano andare. Per loro è tremendo. Noi ci occupiamo dei bambini perché sono i più incolpevoli, ma la sofferenza non risparmia nessuno. Avevo conosciuto per strada una ragazza non più ragazza che parlava l'italiano perché aveva studiato in Italia, laureandosi in architettura a Roma ed aveva lavorato in uno studio. Sono -andato a casa sua a bere un caffè e mi raccontava di quando aveva rinunciato a lavorare nello studio di Roma in parte perché aveva dei genitori anziani a Sarajevoe inparteperchépensavache l'esperienza acquisita a Roma le potesse consentire un destino professionale brillante a Sarajevo che era una città abbastanza spregiudicata dal punto di vista architettonico, che aveva un fascino non indifferente per qualunque architetto e a maggior ragione per un architetto che era nato a Sarajevo. Liliana tornò a Sarajevo un anno prima della guerra. All'ultimo censimento lei si era dichiarata jugoslava, ha il padre croato e la madre serba. Il padre, che ho conosciuto, parlava italiano e aveva partecipato a dei raduni di partigiani, credo a Rimini. Naturalmente egli scuoteva la testa rispetto a quello che stava succedendo. Sono tornato una seconda volta a trovarli e la ragazza era visibilmente sfiorita nel giro di 4 mesi; ho fatto fatica a trovarli perché l'appartamento incui stavano era stato bombardato, fortunatamente durante la loro assenza, e si erano trasferiti al piano di sotto al posto di un'altra famiglia che era andata profuga. Il giorno dopo uscivo da Sarajevo. Sarei rientrato provando il percorso per portare fuori il bambino, e ho portato loro una spesa, della quale sono rimasti felicissimi. "Cosa posso portare?" Chiedevo. La signora aveva un sorriso come se avesse paura di chiedere troppo perché le sembrava un lusso eccessivo: della marmellata, mi disse. Il padre mi chiese le batterie per la radiolina che era l'unico suo mondo. "Non è possibile uscire da Sarajevo?" Chiedevo loro. "Noi non siamo di nessuno", mi rispondeva la ragazza, siamo jugoslavi, non siamo né serbi, né croati. L'ultima volta, tramite un mio amico. mi ha fatto sapere che aveva bisogno di soldi. glieli ho mandati. Al ritorno il mio amico ha detto che non era riuscito a parlarle a lungo, magli aveva detto che il p"aclrera morto. Questa è la storia di una famiglia. Ora il compito di Liliana, anzi il suo lavoro -prende 5 marchi tedeschi al mese- è andare per conto del governo mussulmano della città a registrare i danni dei bombardamenti nelle case e valutare i costi cliguerra. L'ultima cosa che mi ha detto è stata: "Se un giorno riuscissi a uscire eiaqui non tornerò mai più a Sarajevo". • INffRVISff: A To11iCa11110::.:.o: Liana Gavelli. Ma>,imo Tesei. A Mimmo Pinto: Ro!'lannaAmbrogcui e Franco Mchmdri. A Gia1111Di'Elia: Rocco Ronchi e Gianni Saporcni. A Carlo Galli: Franco Mclandri. A Fm11cescoCa11111iom•: Ilaria Baldini e Robcno Borroni. A Midheu, Ba:dalic: Liana Gavclli. Massimo Tc,ci. Folo di Fauslo Fabbri. Folo di pag. 2 e 3: di Midhcl:l Ba1.dalic;di pag. 3. 4. 5. 6: di Claudio Baz1.occhi: di pag. I O: di Libero Casamurma; di p:,g. I I: di Ilaria Baldini. UNA ClffA' HANNO COLLABORA 'fO: Riia Agnello. Rosanna Ambrogcni. Giorgio Bacchin. Ilaria Baldini. Nico Beni. Paolo Bcnoui. Robcno Borroni. Libero Ca,amurarn. Michele Colafalo. Fauslo Fabbri. Daniela Filippclli. Rodolfo Galeoni. Liana Gavelli. Alex l~1nger. Diano Leoni. Mar,io Malpcui. Silvana Masselli. Orlanda Mancucci. Franco Mclandri. Morena Mordemi. Carlo Poleni. Linda Prali. Rocco Ronchi. don Sergio Sala. Albcno Salvalo. Gianni Saporcni. Sulamil Schncidcr. Fabio S1racla, Ma"imo Te,ci. Sarah Wibon. Ivan Zanini. Progcuo grafico "Ca-...1Waldcn ... Fo1oh11DTP· SCKIBA UNA CITTA' 5

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