Una città - anno III - n. 20 - marzo 1993

marzo------------------ CARCERE. Sulla drammatica situazione di un carcere l'intervista ad Agnese Pesenti, impegnata nell'incontro coi detenuti. In seconda. STORIE. Un passato di militanza nel fronte della Gioventù e poi nella droga. La storia di un giovane clte "#ta sempre cercato qualcosa". In terza. CONTRO IL RAZZISMO. "Ebreo in Germania" è l'intervista a Manfred Eltrliclt, presidente della Comunità Ebraica di Mannlteim: ci parla della nuova ondata di antisemitismo e razzismo clte affraversa quel paese. In "zingari e gagi" Giorgio Bezzecclti, rom di Milano, affronta i problemi di una "rappresentanza" zingara, della scolarizzazione, dell'impossibile assimilazione e di una inevitabile integrazione. In quarta e quinta. CORRISPONDENZA. Da Palermo. Augusto Cavadi, uno degli animatori dell'ormai famoso centro sociale del#' Alberglteria, ci racconta la sua esperienza. In sesta e seffima. IL PUNTO. Una sinistra clte non può più essere scontata, la tematica dei diriffi e quella della responsabilità, la demagogia di una contrapposizione· fra società civile e sistema dei partiti: in "la debolezza della coerenza", intervista a Vifforio foa. "Estremismo senile" è l'intervento di Adriano Sofri. "Rivoluzionari conservatori e conservatori rivoluzionari", quello di Rocco Ronclti. In offava e nona. IMPRESSIONI DI VIAGGIO. In "pellegrini di Ayappen, il dio cavaliere di tigri" si racconta di indù clte, prima di arrivare ai loro templi, si fermano a venerare la moschea. Di Camillo Luppini. "Giorni in Cambogia" è il racconto di Saralt Wilson, giovane inglese in quel paese per conto del#' Onu. "Un po' di America" sono le impressioni di Libero Casamurata, persosi fra Los Angeles e Las Vegas. In decima e undicesima. LA FRASE. E' quella di Heidegger sul parallelo fra campi di sterminio e meccanizzazione dell'agricoltura. Ce ne parla Gino Zaccaria. "Orti di guerra" è un intervento "per una ciffà" di Edoardo Albinati. In dodicesima e tredicesima. PROBLEMIDI CONFINE. Giovanna Possati, ginecologa del S. Orsola, ci parla di fecondazione assistita, di sterilità e sensi di colpa, della libertà di scelta delle donne. Gherardo Martinelli, primario di Anestesiologia del S. Orsola, ci parla dei problemi legati alla "morte clinica" e alla donazione degli organi. "Il nuovo mondo non è l'America" è l'intervento di don Sergio Sala. In quattordicesima e quindicesima. STORIE. In "le tendine" Giuliana Ciani, "giovane del 77", ci racconta la sua esperienza in carcere negli anni difficili del terrorismo. In ultima. Bianco

In ultima una "giovane del 77" ci racconta la sua esperienza di carcere duro: tre anni per aver prestato una chiave ad amici che, detto fra parentesi, non ha mai tradito e non già per ripulsa di pentimenti o dissociazioni che fra l'altro, con poca eleganza ma alquanto realisticamente, nessuno le ha richiesto, ma per banalissima lealtà. Un'esperienza vissuta con ironia e serenità che purtroppo sappiamo non poter essere da tutti, e che, tra l'altro, ci fa capire come non solo una legge, ma una direttiva, una circolare interna, gli ormai famosi "computer", una piccolissima attenzione da parte degli applicatori di regolamenti, possano volgere al meglio la vita quotidiana, e forse il destino, di tanti. La riprova, purtroppo, nel contrario. Nella città in cui viene redatto questo giornale in pochi mesi tre detenuti hanno perso la vita. E che la cosa sia diretta conseguenza dell'arrivo di un nuovo direttore, freddo fautore di regolamenti, nessuno può dirlo. Può succedere però che un cambiamento di clima e che un lento, quotidiano, deterioramento di difese già fragili faccia precipitare a/l'improwiso una malattia grave che sembra colpire a caso e contro cui, a quel punto, diventa vano combattere. Un polacco che non sapeva una parola di italiano, in carcere da venti giorni per rissa, si è suicidato. Così un ex-operaio, ladro per quattro soldi, che, disperato per aver perso il contatto con una moglie oligofrenica e con i figli dati in affidamento, aspettava con ansia il beneficio della Gozzini che non è stato rifiutato, ma si è perso in meandri che lo zelo burocratico può rendere senza uscita. Il terzo per overdose. Poi, dal giorno alla notte, e sembra vada da sé, il trç1sferimento di una trentina detenuti in carceri lontane, a rifarsi daccapo una vita che non può cambiare. Fra questi un tossicodipendente che, a/l'indomani de/l'ottenimento del permesso per stare tre giorni alla settimana con una madre gravemente ammalata, si è ritrovato a La Spezia. E solo l'intervento coraggioso del cappellano presso il direttore delle carceri italiane in visita, ha evitato il peggio facendolo ritornare. Tutto, owiamente, regolamento a/la mano, a dimostrazione di quanto conti meno delle persone che lo impugnano. E dopo un altro tentativo di autolesionismo di un nero che ha dato fuoco al materasso, a un giornalista il direttore non ha saputo che rispondere: "normale amministrazione". Inutile immaginarsi una normale amministrazione pubblica dove, per eccesso di zelo verso le leggi e difetto di premura verso le persone, un direttore possa essere trasferito, dal giorno alla notte, a un lavoro non a rischio della vita d'altri. In realtà, è tutto normale. Storie di drogati, di ladruncoli, di polacchi dispersi. Inezie. Abbiamo ben altro a cui pensare. Non sono simpatiche queste grida che "contro il palazzo" si levano da più parti e che invocano "carcere", ancor più se intonate da qualcuno a nome di altri, detti, con espressioni equivoche e in fondo spregiative, "società civile" e "opinione pubblica". Meglio sarebbe che ognuno si limitasse a declinare le proprie, di generalità. Certo, chi in vita sua non ha mai visto un soldo pubblico prova ora un certo sollievo interiore e anche la tentazione di alzare la voce per dire "io" e forse anche la mano. Ma in fondo per tanti non ci fu occasione e se poi vogliamo usare grandi parole come innocenza e colpa, pensiamo veramente che sia solo questione di rispetto delle leggi? Che i conti con la propria coscienza si facciano sfogliando codici? Chi scrive Venerdì 19 marzo 93, Sala Albertini, h 21 IL CARCERE E LA CITTA' introducono ALDO BRANDIRALI e don DARIO CIANI Ass. di Volontariato "Incontro e Presenza" INTERVISTI: A Agnese Pese/lii: Rosanna Ambrogelli e Morena Mordenti. L'imen1isra di teno pagina: Carlo Po~ lelli. A Manfred Elrrlich: Lisa Masselli A Giorgio Bezzecchi: Ana Gomez. A Augusto Cavadi: Antonella Bonvini e Dolores David. A Viuorio Foa: Liana Gavelli e Massimo Tesei. I • ha lavorato 1 O giorni in Somalia a uno di quei megaprogetti che sono già sul tavolo di qualche giudice. Fra l'altro andare per misure, di buonissimo mattino, in un paese allora meraviglioso non fu che avventura e gita. Ora però, rivedendo le immagini che di quel paese passa la TV e, anche, l'orrida faccia del datore di lavoro nostrano, riesce impossibile, a dispetto di tutte le leggi e dei loro rispetti, non pensare che quel salario sia stato "maltolto". Ciononostante la restituzione non è avvenuta e l'assegno a favore di Annalena con ogni probabilità non sarà staccato. Meglio quindi non sbracciarsi e c'è da credere che, in fondo, se in quelle mani alzate qualcuno mettesse una pietra, a nessuno resterebbe la voglia di scagliarla. In quanto ai soldi pubblici ci vorrà tempo per riciclarli perché, pur essendo di tutti, sono ormai sporchi come fossero di mafia, e sarebbe utile riuscire per un po' a starne lontani. Almeno da quelli "per la cultura", la cui pochezza non sminuisce lo scempio che in ogni città se ne fa, certo in piena regola. Tutto sommato quei signori, mentre si abbuffavano di soldi pubblici, una cosa giusta la dicevano in quegli anni: privato è bello. E' ancora meno simpatica, però, una intera classe dirigente che, per evitarlo anche solo per poche settimane, il carcere, si mette in fila alla porta di un giudice per denunciare amici di infanzia, soci in affari, compagni di partito. Confessano peccati altrui e via a casa, tre nomi per tre ave maria. L'aspetto in fondo più desolante di questa vicenda non sta nel fatto che un'intera classe dirigente abbia avuto un rapporto col denaro pubblico in fondo simile a quello che ha la gente, con l'aggravante, certo non da poco, dei privilegi che purtroppo l'esercizio del potere sembra inevitabilmente comportare, ma in questo dilagare irresistibile della delazione. E che a un giudice costretto a fare onestamente, quasi eroicamente, un lavoro così sporco, quello di scambiare carcere con nomi, si diano da indossare le vesti di grande purificatore nazionale, dà da pensare. Si spera che malgrado un simile spettacolo i bambini di oggi continuino a "non fare la spia", a pensare che "i nomi non si fanno" né degli amici né tantomeno dei nemici, se non per salvare una vita, e che il proprio codice d'onore personale venga sempre prima dell'utile e funzionale codice penale. Agghiacciante poi che un personaggio che ha dettato legge per anni, frà cui quella per cui un consumatore di droga casomai sieropositivo era eticamente giusto che stesse in carcere, nel momento di indossare i panni dell'accusato abbia tentato, per di più falsamente, di addossare tutte le colpe al suo sottoposto morto di crepacuore. Per di più dopo essere andato al suo funerale e aver tentato di addossare la colpa di quella morte a dei giudici che non stavano facendo niente di più che il loro lavoro. In una due infamie, incolpare un sottoposto e incolpare un morto, che sono fra le più gravi nei codici non scritti degli uomini di ogni tempo e paese e che, in un leader nazionale, non possono non meritare che il massimo della pena: il disprezzo. Dopodiché il resto potrebbe essere condonato e anche il maltolto dimenticato, a parziale risarcimento di tanta miseria d'animo. In ultimo c'è da augurarsi che i nomi di questa gente, fino a ieri così assetata di onori, privilegi e gloria e che oggi, dopo la delazione, "rientrano nel loro lussuoso appartamento", vengano dimenticati al più presto, e che invece ne siano ricordati altri: i nomi di coloro che, come tutti noi in fondo, innocenti non erano, ma che purtroppo hanno ritenuto di dover pagare per così poco il massimo. Quei nomi i loro figli potranno portarli a testa alta e tutti noi, se per un attimo cessassimo di vociare contro qualcuno, potremmo, col cappello in mano, fare un esame di coscienza e poi, forse, cominciare a fare qualcosa per quello che, comunque sia, è il nostro paese. G.s. Pest Control Igiene ambientale A Gino ZLlccaria: Franco Melandri. Rocco Ronchi. Gianni Saporelli. • Disinfestazioni - Derattizzazioni • Disinfezioni A Giovanna Passati: Giulia Gessi, Enrichella Susi. Dolorcs David. A Gherardo Martinelli: Ilaria Baldini. A Giuliana Ciani: Gianni Saporelli Foto: di pag.4, traila da ..A... rivista anarchica; di pag.5. Cristiano Frasca; di pag. 6. Augusto Cavadi; di pag. IO. traila da ..Il Milionc ..-De Agostini-vol. VII; di pag.11. Libero Casamurata; di pag.12. traila dal libro ..Uomini ad Auschwitz ... Hermann Langbein-Mursia. La foto di ultima è di Luciano Laghi Benclli. Le altre foto sono di Fausto Fabbri. ■ Allontanamento colombi da edifici e monumenti ■ Disinfestazioni di parchi e giardini ■ Indagini naturalistiche 47100Forlì - viaMeucci,24 (ZonaIndustriale) TeL(0543)722062 Telefax(0543)722083 CO IL CARCERE:UN'ISTITUZIONE MOSTRUOSA DI PER SE' Tre detenuti clte perdono fa vita in poclti mesi. Come può succedere? 1'abbiamo chiesto a Agnese Pesenti, una delle Memores Domini di Comunione e liberazione, da anni impegnate nell'incontro coi detenuti Quando avete iniziato il vostro impegno nel carcere di Forlì? Abbiamo iniziato 4 anni fa. casualmente. Siamo entrate, in quattro, come volontarie in questo carcere, dove l'attività dei volontari non era ancora stata presente, perlomeno in modo così sistematico. Quando c'è stato chiesto di fare questa cosa nessuna di noi pensava ad un impegno di tal genere. La realtà del carcere ci era molto estranea. Poi è accaduto che ci siamo appassionate, per un motivo soprattutto, almeno per me: ho visto che era possibile anche in quella situazione incontrare "l'uomo", ho visto che i bisogni delle persone chiuse lì dentro, le loro domande, erano uguali alle mie. Era quindi possibile un incontro che arricchiva, nel senso che costringeva ad una serietà. Ovviamente non sempre questo accade, solo una volta ogni tanto, ma quando accade è un avvenimento. Allora ci si accorge che ne vale la pena e che è sempre possibile che questo avvenga in ogni circostanza, in ogni condizione.' Personalmente è la cosa che mi affascina di più. L'altra cosa importante è stato accorgersi che non è possibile stare di fronte ad una drammaticità così forte da soli. Infatti i primi tempi, dopo due ore che stavo lì, quando uscivo avevo bisogno di fare delle sciocchezze, di ridere, di distrarmi. Nel tempo poi mi sono resa conto che potevo continuare a ritornare perché non ero sola, perché potevo condividere questa cosa con gli altri. E capisco la fatica degli operatori istituzionali ed anche il rischio che corrono di immunizzarsi rispetto alla drammaticità della situazione. E' difficile portare una tensione del genere. Gli agenti di custodia poi sono quasi tutti ragazzi giovani e spesso impreparati. In cosa consiste la vostra attività? Abbiamo iniziato incontrando personalmente i carcerati e poi, grazie anche alla disponibilità del personale direttivo. proponendo loro iniziative di carattere culturale e ricreativo. Una di noi, che è regista, ha favorito, specie nei primi due anni, l'ingresso in carcere di rappresentazioni teatrali, di spettacoli di vario genere ed è riuscita anche a mettere su un piccolo gruppo che ha prodotto delle cose. Questo è stato importante perché si è visto proprio come attraverso il lavoro e l'impegno sia possibile ritrovare la dignità della persona. Queste attività hanno svolto una vera e propria funzione educativa. Ricordo un detenuto che faceva il protagonista in una delle commedie che avevamo realizzato. Ebbene, questo ragazzo era rimasto colpito dal fatto di essere riuscito ad imparare a memoria la sua parte. Era riuscito in qualcosa finalmente e questa era stata per lui una sorpresa totale. Si è proceduto così, continuando gli incontri e le attività. Tra la fine del '91 e l'inizio del '92 abbiamo organizzato degli incontri che abbiamo chiamato pomposamente "di etica sociale". Una serie di incontri su tematiche che ci sembrava potessero aiutare a prendere coscienza di sé. Abbiamo trattato temi quali la libertà. la responsabilità, l'errore, la compagnia. facendoci aiutare da qualcuno che introduceva l'argomento e dava lo spunto iniziale. poi si procedeva a ruota libera. Questa iniziativa è stata particolarmente positiva perché ha creato un cl ima di relazione e di rapporto che ha permesso ai detenuti di scoprire che si poteva stare insieme senza parlare sempre delle stesse cose, dei soliti reati. Che lo stare insieme, mettendo come tema se stessi ed il livello profondo dell'umano, fa stare meglio. Questa era la novità importante anche se molti capi vano poco di quello che si andava dicendo, per via del livello culturale che è un po' basso. Percepì vano comunque la diversità del clima. Tutto questo è durato fino al maggio 1992. A quel periodo risale il cambio del direttore e c'è stata una stasi iniziale che è servita al nuovo direttore per rendersi conto della situazione in cui si era venuta a trovare. Forse questo momento di stasi è durato un po' troppo a lungo. Cosa ne pensi dell'istituzione carceraria? E' un'istituzione di per sé mostruosa. A Forlì, ad esempio. c'è carenza di personale educativo, di strutture adeguate, c'è sovraffollamento ed i locali a volte non sono agibili. E non credo che le condizioni delle altre carceri siano molto diverse. Le donne, ad esempio, sono una trentina in una sezione che ne può contenere al massimo una ventina. Ma la cosa più grave è che non c'è praticamentealcun localedi uso comune. L'unico spazio comune è il corridoio. E per giunta contro il carcere spesso la stampa accende l'opinione pubblica, criticando le aperture permissive introdotte dalla legge Gozzini. Non voglio certo sostenere che la legge Gozzini sia una legge perfetta, ma apre qualche possibilità. L'invocata funzione riabilitativa del carcere è di fatto contraddetta dalla istituzione stessa che ne rende impossibile la realizzazione. Sono convinta che nel momento in cui si giudica il reato, la legge deve essere uguale per tutti. Dopo, a giudizio avvenuto. nell'espiazione della pena. il cammino delle singole persone non è uguale per tutti e l'istituzione carceraria questo non riesce a coglierlo. Forse non può cogliere queste differenze che sono legate alla diversa storia dell'uomo, al diverso cammino, al fatto che qualcuno si pente ed altri no. Consideri importante il rapporto del carcere con l'esterno? E' importantissimo, ma non solo nel senso che persone dall'esterno entrino in carcere, ma che durante la detenzione si creino le condizioni per il reinserimento del detenuto. Qualcosa in questo senso si fa, ma è ancora troppo poco. Occorrerebbe impegnarsi di più anche per cambiare la mentalità della società nei confronti del carcerato. Sono rimasta colpita dalla proposta avanzata anche da autorevoli personalità locali, di allontanare iI carcere dal centro della città. Ma il carcere è già fuori dalla città, perché la gente non lo nota. non se ne occupa. Portarlo fuori dalle mura può significare solo allontanare ulteriormente il problema. lo credo comunque che il carcere altro non sia rispetto alla società se non lo specchio negativo di essa. Nel carcere vengono fuori le stesse contraddizioni della società e le persone emarginate in carcere sono le stesse emarginate nella società. Faccio un esempio: la cosa che pesa di più al carcerato è scoprire di non appartenere a nessuno. E' gente sola: non appartiene alla famiglia né tanto meno alla società. Il tessuto sociale che sta dietro a queste persone è completamente lacerato. Ma questa lacerazione non inizia in carcere, è iniziata prima. E' la lacerazione di una società in cui le persone vivono sole. E quando noi entriamo là dentro e ci conoscono, quello che li colpisce non è la nostra disponibilità, ma il fatto che abbiamo degli amici, che poi è l'unica risorsa che uno ha entrando lì. Non riusciamo a fare granché anche quando cerchiamo di dare una risposta ai bisogni che incontriamo, che possono essere quello del lavoro, della casa, ma in ogni caso potere contare su qualche amico ci ha aiutato a trovare qualche soluzione. Il fenomeno droga aggrava in qualche modo la drammaticità del carcere? Certo, anche se di questo potrebbe parlare più appropriatamente un operatore del settore. In genere i detenuti sono quasi tutti tossicodipendenti, di età compresa tra i 20 ed i 30 anni, poco diversi da quelli che sono fuori. Sono giovani che continuano a drogarsi in carcere e a morire per overdose in carcere. Perciò non è vero che iI carcere e la società sono separati: l'aspetto più maligno della società in carcere riesce ad entrare. Poi il drogato in carcere ha bisogno di cure. L' assistenza sanitaria è presente ma con i tempi della burocrazia che mal si conciliano con le ansie di chi non sa se è sieropositivo. Anche in carcere, dove i tossicodipendenti li puoi avere a portata di mano, i tempi degli operatori non coincidono con quelli di chi deve essere aiutato? L'istituzione garantisce un pronto intervento, ma poi. per visite ed esami specialistici, il carcere deve fare riferimento alla struttura esterna e quindi i tempi della burocrazia interna si sommano a quelli delle strutture esterne. I tempi sono davvero insopportabili. In questa situazione delicata avviene poi il cambio della direzione. Una cosa apparentemente innocua può provocare così grandi danni? Sì, un'attenzione troppo letterale alla legge in una situazione come quella che ho descritto, può paralizzare la vita del carcere e questo è un rischio sempre presente. Posso fare un esempio: qualche mese fa era partita da un gruppo di detenuti r idea di organizzare una partita di calcio fra detenuti ed agenti. Questa idea aveva trovato il consenso dell'istituzione ed erano anche partite lettere alle personalità del mondo politico e civile fori ivese. Anche noi avevamo collaborato cercando coppe e scarpe per questa partita che poi non si è più fatta perché la direzione ha interpellato il Ministero che ha risposto negativamente. In altre circostanze abbiamo presentato proposte di spettacoli che non si sono potute realizzare perché itempi reali (disponibilità di personaggi o di compagnie teatrali) non coincidono con i tempi burocratici. Occorrerebbe una certa elasticità. All'improvviso si suicidano tre detenuti... sembra un contagio. La prima morte è avvenuta la scorsa estate. si trattava di un polacco che era stato arrestato. credo. per una rissa. Era in Italia da pochi giorni ed in carcere è rimasto per circa un mese. Non parlava italiano e quindi non aveva nessuna possibilità di comunicare. Nessuno sapeva niente di lui e anche noi non sapevamo che ci fosse. E' stato lasciato solo con la sua impossibi lità di comunicare. Ti viene da pensare. a Forlì con tanti polacchi che ci sono, qualcuno poteva essere chiamato a fare da interprete' Probabilmente questo giovane è stato preso da una crisi di disperazione. Gli altri detenuti in occasione del suo funerale hanno fatto una colletta. La seconda morte è stato un caso di overdose. Si trattava di un ragazzo che era stato anche al la "Paolo Babini" a Durazzanino. Si è fatto in una cella in cui tutti si erano fatti. Poi lui, durante la notte, ha rincarato la dose e questo gli è stato fatale. L'ultimo era di Torino. Era come se non avesse più una ragione di vita. Non era un tossicodipendente, penso fosse un ladro, sposato ad una oligofrenica, una ragazza che lui diceva bellissima, un angelo che tutti gli invidiavano. Aveva avuto due figli che gli erano stati tolti per l'impossibilità di seguirli. Si è trovato così a non sapere più nulla dei figli, a non riuscire più a mettersi in contatto con la moglie, che aveva cambiato indirizzo. L'aveva detto che sarebbe successo, e già altre volte aveva tentato il suicidio. Certamente c'è il fatto che queste morti sono avvenute nell'arco di sette mesi; credo che non debbano passare inosservate e per questo vorremmo fare qualcosa perché la città si accorga dei problemi del carcere. Non per cercare un capro espiatorio, ma perché c'è bisogno di prendere coscienza di questa realtà. Bisogna fare di più per migliorare le condizioni di queste persone, fare in modo che tutte abbiano qualcosa da fare, delle attività. Su una popolazione di 180 carcerati, solo meno di 40 possono lavorare. Gli altri non hanno niente da fare e quindi trascorrono il loro tempo davanti al televisore in cella. Questo è disumano, specie per un giovane che ha bisogno di essere educato ad assumersi responsabilità, ad avere un impegno. Così nel carcere si viene semplicemente parcheggiati e si continua nelle cattive abitudini. Per questo noi avevamo proposto dei corsi di ginnastica e cucito per le donne e di informatica per gli uomini.L'anno scorso non sono passati, ora pare possano essere approvati. Il Direttore Generale delle carceri, Amato, pare che abbia anche promesso l'apertura di una nuova sezione per i tossicodipendenti. 11carcere di Forlì non sarebbe del tutto privo di strutture: c'è tutto il settore del carcere scuola che è stato ristrutturato. ma è ancora chiuso. Doveva servire per aprire una sezione per i tossicodipendenti. una specie di pre-comunità e anzi l'anno scorso la direzione del carcere aveva preso contatti con la USL per dare il via a questa cosa. Poi tutto si è fermato e non so esattamente neanche il perché. C'è stato il trasferimento di 30 detenuti? Sì. ma non so se erano proprio trenta. So però che fra di loro c'era anche un ragazzo di Forlì la cui madre sta morendo. Aveva ottenuto il permesso per uscire qualche giorno ad assisterla e all'improvvisoè stato trasferito. Ora però è ritornato. Del suo caso si era parlato anche all'incontro con Amato ed era stata fatta una richiesta precisa perché tornasse. Questi improvvisi trasferimenti interrompono i pochi rapporti che si riescono ad instaurare dentro le carceri, rendendo ancora più grave la situazione di solitudine. Il trasferimento crea infatti una situazionedrammatica non solo perché ti allontana dalle amicizie. ma anche perché ti può sradicare rispetto a prospettive positive di inserimento in comunità. C'è gente che viene da Milano, da Genova. e ti dice che era in trattativa per entrare in comunità e ora deve ricominciare tutto da capo. ■

LA MILITANZA NELLA DROGA li Fronte della Gioventù, prima, fa droga poi: due cose cfte ftanno coinvolto un ragazzo, un po' sognatore, cfte cercava qualcosa in cui credere cfte non fosse l'appartamento a lido di Classe. lo intervista un suo amico, coetaneo, con alle spalle un trascorso di sinistra. Generazionalmente apparteniamo tutti ad un certo periodo, chi da una parte, chi da un'altra. Qual è stato il tuo percorso? Ci ho riflettuto spesso, ma è molto difficile, secondo me, arrivare alla verità per la quale tu dici: "io ho fatto questo per questo motivo". Ogni volta che ci ripenso trovo delle motivazioni diverse. Rispetto alle scelte poi, io mi sono messo in testa che abbiamo fatto delle cose diverse, ma le scelte erano simili: mi sono rivisto in persone che la pensavano in maniera completamente opposta alla mia, in apparenza però, perché in fondo una cosa ci accomunava: avere delle cose in cui credere. Fin dall'inizio, quando andai nel MSI, c'era la ricerca di qualcosa che non fossero le solite cose che si devono fare, la routine, andare a scuola, lavorare, diventare quello ... C'è bisogno anche di cose che ti interessino di più, ti coinvolgano, in cui ti identifichi di più, qualcosa a cui dedicarsi ... al liceo lo standard era di sinistra e allora ... Questa è la cosa che io ritengo il filo conduttore di tutto. Non certamente un discorso ideologico. Magari il vostro caso è diverso, voi forse siete maturati di più, tanto è vero che continuate a fare delle cose ... Io, le persone che frequentavo nel FdG non le vedo più e forse non abbiamo, a quei tempi, instaurato dei rapporti di vita veri, perché forse non c'erano degli ideali da condividere. E' stata comunque un'esperienza che mi ha preso e mi ha impegnato, che ha riempito le mie giornate, mi ha interessato per tanto tempo. Perché da quella parte? Una cosa che ha giocato molto, per il mio carattere, era I' atteggiamento che avevano allora quelli di sinistra che c'erano nelle scuole: fu la molla che fece scattare la mia reazione. A quell'età poi si è tutti un po' contestatori e quando andai al liceo, la cosa in quel momento da contestare era lo standard che era essere di sinistra. A me dava fastidio quando c'era lo sciopero per i trasporti che ti trovavi là con tutte le bandiere rosse ... Cosa c'entravano le bandiere rosse? Era una contestazione che condividevo ma non capivo perché bisognava politicizzarla ... Un'altra volta avevo comprato "Lo specchio", così per curiosità, non sapevo neanche bene che giornale fosse, e allora mi fermarono per strada dicendomi: "Fascista di merda! ". Fecero scattare la molla che mi portò ad iscrivermi al FdG. E dopo sono diventato un militante. Poi anche l'ambiente che frequentavo che era tutta gente che stava abbastanza bene economicamente, anche un po' stupidotti e montatelli, quindi mi riscontravo di più con quella realtà lì, piuttosto che in una ideologia di sinistra. Sinceramente questa divisione io l'ho sempre sentita imposta: non era il fascista che non voleva parlare col compagno, onestamente credo che nessuno possa dire che io avevo questo atteggiamento, però dal1'altra parte c'era questo modo di ragionare: quando uno era collocato in una certa maniera il discorso era finito. Avevo degli amici con cui stavo spesso, poi improvvisamente quelli prendevano una strada diversa dalla mia e da quel giorno non ci si poteva quasi neanche più salutare. Io entravo in classe e se c'era quella professoressa che era di sinistra, dovevo uscire ... Ame queste cose mi sono sempre sembrate stupide. Poi dopo si creava una sorta di tensione che saresti andato ingiro a dare delle martellate a qualcuno. La militanza adesso la ricordo in modo un po' goliardico, anche se all'inizio è stata molto coinvolgente: a scuola non andavi quasi più, si stava quasi tutto il giorno in sede, e anche alla sera: le riunioni, il volantinaggio, forse questo era I' aspetto più attraente. Era una vita di sede, anche se non c'erano dei rapporti fra di noi; ci si trovava lì e basta, ognuno poi andava a Via M. F. Bandini Buti, 15 4 7100 FORL/' Te/. 0543/780767 - Fax 0543/780065 Via Parini, 36 4 7023 CESENA lrancy Te/. 0547/611044 - Fax 0547/611144 P.zza Tre Martiri, 24 47037 RIMINI Te/. 0541153294 - Fax 0541154464 Il validosupportoallapromozione dellaVs.attività Produzione .;, Vendita ~ ~ Orologi da pareteeda tavolo, oggettisticdaascrivaniaa, rticolipromoziona'lai dhoc". Oggettisticparomozionale: penne,agende,articolidaufficio, calendarip, ortachiavi, pelletteriavaria,magliette, camicie tutedalavoro,valigettee, cc. 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Un motivo o un altro ha fatto sì che uno finisse da una parte e l'altro dall'altra, però in realtà quello che c'era di fondo era la stessa cosa in tutti e cioè un disagio generazionale, un disagio che ti spingeva ad aggrapparti a qualcosa, era un periodo in cui tutti mettevano in discussione tutto. Però credo che a volte sia stato anche il caso, la voglia di imitazione ... Vedersi da vicino, parlare, conoscersi, cambia le cose ... Sì, con certe persone non c'entra niente essere di destra o di sinistra, ci sono delle cose di fondo comuni. C'è questa voglia di capire un po' di più, di ragionare, un livello di sensibilità diverso. Un'altra cosa che ci accumunava era il fatto di farsi dei gran spinelli assieme, e questo secondo me identifica anche un periodo. Secondo te queste cose sono state trasversali, la droga è stata un modo di evadere ... Per me la droga è stata "un'altra droga", perché alla fine io l'ho messa allo stesso livello dell'attività politica, che era una forma di droga anche quella. Per me la droga è stata un riempitivo, qualcosa a cui ricorri perché magari in quel momento ti manca qualcos' altro. La droga è tutto quello che fai nell'arco della giornata, non è solo farsi una pera. Farsi una pera vuole dire una vita: alzarsi la mattina e avere qualcosa a cui pensare, andare in giro a cercare i soldi per farsi, per quindici ore al giorno hai qualcosa che ti muove continuamente anche se sei stanco morto, o stai male. Una forte ideologia politica o la droga sono comunque qualcosa che ti riempie profondamente I' esistenza. Quando non sei soddisfatto delle altre cose, cominci magari per caso, e poi ti accorgi che inconsciamente risponde a delle esigenze, anche se in maniera distorta, però coinvolgente, che è quello che poi cercano i ragazzi, qualcosa da raggiungere ... lo penso a mio babbo e lo vedo ancora come era. Un sognatore, uno che quando aveva I5-16 anni, forse anche prima, prendeva la bicicletta e veniva fino a Forlì dalla campagna per vedere gli aereoplani volare. Aveva quel sogno e poi è riuscito a diventare pilota, è riuscito a volare. Forse è una forma di infantilismo, però un sogno, avere qualcosa in cui credere, per me è importante nella vita. E questo a me è mancato e credo anche ai ragazzi della mia età. Sarà stato anche il periodo ... mia sorella che ha qualche anno più di me, ha vissuto in maniera diversa le cose che ho vissuto io, invece a quelli del mio periodo è mancato qualcosa, era il regno della superficialità, i rapporti di amicizia erano falsati dall'immagine di quello che si doveva rappresentare all'interno di un gruppo, non c'era mai una vera amicizia perché quando non ti scopri è difficile ... La droga viene dalla fine di questo periodo ... Il periodo del FdG, per caso o per altro non so, è finito quando sono arrivate le canne. all'ultimo comizio dffl MSI avevamo fumato ..• Ricordo l'ultimo comizio di Almirante a cui andai con un amico, avevamo fumato e ridemmo per tutto il tempo ... il fumo cambia un po' anche il tuo modo di pensare, e poi anche l'altra cosa ... La droga come una specie di militanza ... Nell'intervista a Di Santo, lui ne parla come una scelta di vita, in cui è insito lo stare male, oltre allo stare bene. Quello che dice lui per me è vero fino ad un certo punto perché rispetto allo star male è vero che lo sai, però finché non lo provi ... si pensa sempre di evitarlo ... Adesso poi la droga è più sputtanata, allora qualcuno pensava di riuscire a gestirla abbastanza bene, si tentava... Comunque finché non stai proprio male pensi sempre di riuscire a cavartela. Credo che nessuno abbia mai iniziato sapendo che dopo qualche mese sarebbe stato come un cane. Lo sai e non lo sai, non lo sai come esperienza quindi non ti tocca più di tanto. Comunque non è una scelta di vita, nel senso che non è una cosa razionale, però finisce per diventare una vita, più o meno appassionante, e ritengo che per qualcuno sia qualcosa di molto forte. Rispetto poi al discorso di La Cassa dei Risparmi di Forlì I 1011e0ca 1anco quello che dice che si fa perché la droga è buona mi sembra un discorso molto limitato, perché anche adesso la droga è buona, e allora perché non mi faccio più? Perché adesso non ho più neanche lo stimolo di pensarci, non mi interessa proprio più, come mai? E non è che adesso abbia poi tanto più carattere e forza di volontà di prima. E tuttora ci sono tante cose che faccio anche se mi fanno male alla salute ... In realtà non ho smesso di farmi per forza di volontà, ma perché evidentemente ho sostituito quella esigenza lì con qualcos'altro. E poi è anche una questione di maturità. Ci sono tante cose che ti vengono fatte brillare davanti e magari c'è quello che è stato educato a sapersi districare di fronte a questo mare di cose e c'è quello che per una serie di cose, perché è più sognatore, ci casca più facilmente. Ho conosciuto persone cresciute come ottime macchine, che non hanno mai avuto dei grossi stimoli che fossero di più che trovare l'appartamento a Lido di Classe, ecc., cioè tutto moderato, tutto tranquillo, tutto vissuto ali' insegna del regolare, dell'ordinato, beati loro! I sognatori sono l'esatto opposto. Io sono stato sempre sognatore, magari infantile, bambino, ho sempre cercato delle cose che mi prendessero e mi stimolassero ... Dico "bambino" perché in fondo tutte queste cose sono anche una forma di gioco. E il gioco è una componente importante nella vita di una persona. Allora all'inizio la droga ha questo aspetto? Di per sé no, ma se tu sei una persona così, è più facile che questa cosa prenda te piuttosto che un altro. Adesso il tipico tossicodipendente è il ragazzino che ha iniziato a 12 anni, che abita nei casermoni dove il 70% sono meridionali, in situazioni dove non ci sono aspettative ... In questo caso i fattori sono più che altro sociali. E fra l'altro, purtroppo, per loro sarà durissima perché non avranno nessun punto di riferimento "di prima", la crescita sarà stata solo nella droga ... Ma tornando a me, la mia non è stata una scelta di emarginazione, ma forse per questa voglia di avere delle cose che mi coinvolgessero. Ma in un secondo tempo non è la droga a prendere possesso di tutta la tua vita? Sì, la droga prende possesso, riempie, però alla fine diventa una cosa che non si regge più, ti costringe a delle cose che non ti va bene di fare. lo me ne sono andato perché ero arrivato ad una situazione tale di sofferenza, per me e per la mia famiglia, che non potevo più andare avanti. Arrivi ad un punto che ti rendi conto che non sei tu che vuoi smettere, perché non hai la forza per farlo, però sei più o meno costretto perché non puoi andare avanti. E' la situazione che ti costringe a smettere, perché se uno aspetta di deciderlo lui ... almeno nel mio caso. Ma credo che capiti così al 90%. Deve scattare qualcosa che ti costringe a smettere. A me ad esempio faceva paura andare in galera, soprattutto per i miei, poveretti; pensare a mio padre che sarebbe dovuto venire a trovarmi a Natale con il pacchettino ... fu ralJIJioso tanto gli dispiaceva: "le gamlJe" Sono stato via cinque anni, non facevo niente, stavo benissimo e ho praticamente smesso, anche se poi, una volta tornato al solito tran tran mi sono fatto altre volte. Poi l'ultima volta sono stato male, ho collassato e mi sono fatto cinque mesi di ospedale. E' successo che un pomeriggio ho comprato della roba, e quando sono tornato a casa ho visto che era moltissima, ho pensato che mi avessero fatto un bidone, che fosse uno schifo, però, siccome nella mentalità del tossico non esiste di buttarla via, ho pensato che, al peggio, non mi avrebbe fatto niente e me la sono sparata tutta. Mi sono svegliato dopo quattro giorni ali' ospedale. Ho saputo poi che mi aveva trovato la mia ragazza la mattina dopo perché, passando, non rispondevo e si vedeva storie la luce ancora accesa dalla finestra. Il medico è venuto a dirmi che necessitava un intervento radicale e quando gli ho chiesto cosa intendeva, è stato quasi rabbioso, tanto gli dispiaceva: "dobbiamo tagliarti tutte e due le gambe ali' altezza del ginocchio". E ricordo di avergli risposto: "ma come? E mia figlia?". Poi per un caso dovevano aspettare per un motivo tecnico, hanno aspettato due giorni e per fortuna ad un certo punto hanno sentito che un barlume di circolazione stava tornando. Poi i reni non funzionavano più e ho dovuto fare la dialisi per un mese ... Insomma è stata dura. Sei un sopravvissuto ... Già. Per smettere sul serio ho dovuto passare anche questo. Questa è stata la cosa decisi va, poi sono passati gli anni. Secondo me deve passare del tempo. Le comunità e tutte quelle cose lì, per me si attribuiscono un sacco di meriti che non hanno. L'unico merito che hanno, semmai, è quello di riuscire a dare a delle persone la possibilità di vivere in un ambiente diverso per un certo periodo. Credo che la cosa più importante sia quella di uscire da quel giro vizioso e, per tornare al discorso di prima, quella di trovare delle altre cose che ritieni importanti. Il fatto di accorgerti che il lavoro non è quel mattone che ti impone la società ma che può essere anche una cosa che ti dà quel tanto di carica, oppure il fatto di incontrare delle persone con cui puoi avere dei rapporti veri. La mia mentalità una volta era legata a cose più superficiali e questa è una cosa che frega. Magari c'è una persona con la quale staresti anche bene però non risponde a certi canoni, estetici o sociali, oppure certe cose che la tua maschera ti impone nei confronti degli altri, e quindi rischi di giocarti delle possibilità di avere dei rapporti veri con persone in gamba. Ecco: la mia esperienza mi ha aiutato a fregarmene di tante cose su cui magari altri si fanno tanti problemi, anche se non dico certo che uno deve fare proprio quella esperienza lì per capire queste cose ... • UNA CITTA' ~ 3

Sulla situazione in Germania e la nuova ondata di razzismo e antisemitismo. Il comportamento delle autorità. Cos'è l'fteimat per un elJreo tedesco. Intervista a Manfred Eftrlicft. Herr Manfred Ehrlich è il Presidente della Comunità Ebraica di Mannheim che conta 470 membri circa. La Sinagoga di Mannheim è frequentata anche da Ebrei provenienti da altri lander confinanti. Sulla situazione in Germania e sul "ritorno" dell'antisemitismo, è stato intervistato da una nostra amica che vive a Mannheim. paura, si torma a parlare del passato e, inevitabilmente, di ebrei. InGermania l'antisemitismo non è mai scomparso? La mia impressione è che in Germania ci sia sempre stato antisemitismo, fino ad oggi nessuno l'aveva mai espresso pubblicamente, ma oggi siamo al punto che si può fare. L'antisemitismo non è morto con la fine della Seconda Guerra Mondiale, anche se solo negli ultimi anni è cresciuta un'ondata contro gli ebrei, contro gli stranieri, soprattu110 contro le minoranze. E si è permesso che questa tendenza si rafforzasse, mentre i politici, e in particolare la Giustizia, hanno reagito troppo tardi e debolmente. Quando osserviamo con quale durezza abbiano agito, fino a pochi anni fa, contro gli estremisti di sinistra e quanto oggi agiscano debolmente contro i radicali di destra ... Cè molto da ritlenere! L' 11 Dicembre, a Stoccarda, nel corso di un diba11ito sul razzismo e l'odio contro gli stranieri, Schauble, ministro della Giustizia, ha messo nella stessa pentola manifestazioni pacifiste, come quella di Mutlangen contro le armi atomiche, quella di Wackersdorf contro la centrale nucleare, quella contro l'ampliamento dell'aeroporto di Francoforte, e azioni violente di estremisti di destra, compreso l'assassinio di Molln... Sicuramente è anche questo un motivo per cui certa gente è tornata a gal la. Ci sono analogie chè tornano a parlarci di una Germania che pensavamo sepoi ta per sempre. II nazismo, al suo sorgere, fu movimento magmatico, un ribellismo sociale male indirizzato, frutto di una crisi economica devastante e dell'insoddisfazione di strati proletari e sonoproletari. La predicazione hitleriana additava ai ceti delusi un falso obiettivo, che si sostanziava nell'"ebreo", il diversoche ti toglie il pane. Dopo la crisi del '29 si aggiunsero molti altri fattori. Fra questi il fatto che la Repubblica di Weimar, nonostante i buoni propositi, non fece davvero i conti con il passato. L'antisemitismo e l'esaltazione della purezza razziale erano stati I' ABCdi potenti gruppi di pressione, come 1·AIldeuscher Verband (Alleanza pantedesca), e questi gruppi continuarono ad operare anche sotto la Repubblica. I nazisti compivano violenze in nome di falsi valori, ma questi falsi valori non erano mai stati smascherati veramente nella coscienza comune. Oggi molte cose sono diverse da allora, ma trovo anche varie analogie. Non si dovrebQuanti ebrei c'erano a Mannheim prima della guerra? Prima della Shoah a Mannheim c'erano più di 6000 ebrei e quelli che non riuscirono, o che non vollero, lasciare Mannheim furono deportati il 22 Ottobre 1940 nel campo di lavoro di Gurs, nel sud della Francia. La maggior parte non è ritornata. I deportati quel giorno non erano solo ebrei di Mannheim, ma anche del Baden e del Phalz; furono raggruppati tutti qui e poi deportati a Gurs coi vagoni. Devo dire che abbiamo la grande fortuna che alcuni sopravvissuti a Gurs sono ritornati alla nostra Comunità. E' nostro compito tenere vivo questo ricordo e ogni anno, a Gurs e a Mannheim, ha luogo u_na commemorazione alla quale partecipano anche il Sindaco ed i rappresentanti della citta. Quindi Mannheim è una città aperta al dialogo? E' una domanda difficile; credo che non si possa generalizzare. Anche a Mannheim ci sono estremisti, radicali di destra e di sinistra, e anche qui da noi sono successe delle cose, anche se, grazie a Dio, non come in altre città della Germania. Devo dire che ci sentiamo protetti dai politici, a cominciare dal sindaco e dal Consiglio Comunale, dai servizi di sicurezza e dalla polizia, ma, nonostante questo, dobbiamo sempre tenere un occhio aperto sugli avvenimenti. Siamo particolarmente sensibili quando leggiamo degli scempi nei cimiteri e delle violenze contro gli stranieri o contro le minoranze. Ci sentiamo colpiti anche se, per il momento, non siamo stati toccati direttamente. Ci ricordiamo molto bene come, negli anni 1930/31, si sono individuati ed espulsi gli Ebrei. Allora eravamo una minoranza e oggi siamo ancora più minoranza. Non abbiamo mai fatto mistero di appartenere ad un'altra religione, anche se non vado in giro con un distintivo su cui sta scrillo "Jude". Stiamo molto attenti a quello che succede e siamo del parere che noi ebrei non possiamo starcene seduti a guardare; come organizzazione, come Comunità Ebraica, dobbiamo essere attivi. La Germania, basata sullo stato assistenziale come tutte le democrazie del Nord, sta attraversando un periodo di crisi in seguito alle grandi trasformazioni politiche, economiche e sociali che sconvolgono il mondo di oggi. Qualcosa sta cambiando dalla riunificazione delle due Germanie e questo si avverte anche nella vita quotidiana, soprattutto fra le classi meno agiate. Disoccupazione, taglio delle spese sociali, licenziamenti di massa che colpiscono soprattutto i lavoratori tedescoorientali, potrebbero costituire il preludio di una crisi anche nei Lander occidentali. Agli elevati costi della riunificazione tedesca, e anche dell'unificazione Europea, corrispondono notevoli sacrifici da parte della popolazione, come le restrizioni nel campo della salute pubblica, dei servizi e delle spese sociali. Quest'ultimo, preoccupante, aspetto costituisce un sintomo oltremodo indicativo della politica conservatrice perseguita dal governo di Bonn nei confronti delle minoranze e dei gruppi sociali disagiati. Non solo dal punto di vista economico, ma anche da quello della cultura politica si avverte un cambiamento in senso peggiorativo. Il fatto stesso che alle frontiere orientali premano milioni di emigranti di origine tedesca, potrebbe fornire il pretesto per una ulteriore svolta conservatrice, le cui prevedibili conseguenze si rifletterebbero sul clima morale del paese. In questo clima restrittivo, di chiusura delle frontiere al Terzo Mondo, di ridimensionamento della sicurezza sociale, non si sa quanto le conquiste democratiche possano resistere ali' urto prorompente del robusto conservatorismo tedesco, profittatore ideologico e politico dell'attuale situazione di recessione. In questo clima si sono succeduti falli gravissimi. Dal '90ad oggi è cresciuta 1·ondata di xenofobia e di razzismo. Si ritle11e molto sulle cause, si vivono sentimenti di incertezza e di be scappare da queste cose, è proprio questo che loro vorrebbero. La domanda è se si deve lasciare a loro il "cantiere". Per esempio, c'è stato un gruppo rock contro cui abbiamo sporto querela: hanno dei testi che a leggerli fanno venire la pelle d'oca. Questi gruppi hanno il permesso di suonare pubblicamente, fanno casselle che si possono trovare nei negozi di musica. Ci sono case editrici, come la "Endsiegverlag" (Vittoria finale), che pubblicano dei testi deliranti; bisognerà pure chiedersi come queste cose possano accadere così apertamente! lo, e parlo a nome della nuova generazione, perché dobbiamo distinguere fra la generazione che è LUNEDI' 8 MARZO alle ore 20,30 CINEMA SAFFI RABBIA AD HARLEM - regia di Bill Duke - USA 1991 - con Forrest Whitaker e Robin Givens con la partecipazione di Screamin' Jay Hawkins - INGRESSO L. 10.000 SABATO 13 MARZO alle ore 21,30 VECCHIA STAZIONE via Monte Santo, 20 -Forlì. Tel. 0543-35129 CONCERTO: TRIO VLADAH -musiche yiddish, world music seguirà video "Lager" - INGRESSO L. 10.000 LUNEDI' 15 MARZO alle ore 20,30 CINEMA SAFFI VERSO SUD - regia di Pasquale Pozzessere - Italia 1992 - con Antonella Ponziani, Stefano Dionisi - INGRESSO L. 10.000 SABATO 20 MARZO alle ore 21,30 EX-MACHINA via Valverde, 15 -Forlì. Tel.0543-766248 CONCERTO: GRIDALO FORTE NO AL RAZZISMO In collaborazione con: "99 POSSE" RAP ITALIANO- D.J. Selector, lpo Phil, Master Guy e Papa Cekka - INGRESSO L. 10.000 -Naima Clul, -EX-MA CHINA -Cinema Saffi DOMENICA 21 MARZO Alle ore 10,30 SALONE COMUNALE - Piazza Saffi, 1 DIBATTITO NORD-SUD NEL MONDO - relazioni di: Ana Gomez, ricercatrice universitaria di Bologna, Gueje Alioune, ufficio stranieri CGIL-Ravenna, Giorgio Bezzecchi, rappresentante Rom Alle ore 15,30 CIRCOSCRIZIONE N.3 - Via Orceoli, 15 FESTA INCONTRO MULTIETNICA CO sopravvissuta alla Shoah e la giovane generazione, credo che si debba reagire a questi fatti con tutta la forza, con tutti i mezzi legali. Voglio sottolinearlo: con tutta la forza! Il problema è la "maggioranza silenziosa". Alla manifestazione fatta qui il 9 Novembre contro il razzismo, contro l'odio per gli stranieri e non solo per l'occasione della cosiddetta Reichspogromnacht (Notte dei cristalli) c'erano 3.000 cittadini in strada. Uno scarso I% della popolazione, è disarmante! Partecipiamo a tutte le manifestazioni contro l'odio per gli stranieri, contro il razzismo e solidarizziamo con ogni minoranza, anche perché sappiamo cosa succede se se ne sta fuori dicendo: "questo non mi riguarda". Solo insieme possiamoessere più forti. Se ognuno conduce la sua battaglia individualmente questa è una battaglia debole, ma se la facciamo tutti insieme allora avrà una forza più grande. E' importante che facciamo cadere i pregiudizi che sono dentro la testa degli uomini, questo è il solo cammino possibile e fino ad ora qui abbiamo avuto dei buoni risultati. Noi reagiamo con mezzi legali, la violenza genera violenza e non credo possa risolvere qualcosa. Però non accetteremo niente, reagiremo con tulli i mezzi legali. Come giudica I 'atteggiamento della magistratura, pensa che siano necessarie nuove leggi? Noi non siamo contenti della maniera con cui si procede contro i radicali di destra, tanto da parte dei politici quanto da parte della giustizia. Spesso, per i colpevoli che vengono presi, si sceglie una pena leggerissima; nelle motivazioni delle sentenze si legge che bisogna dare loro la possibilità di riconoscere la loro colpa e che questo non può succedere in carcere. lo sono del parere che là dove le leggi vengono infrante i colpevoli debbono essere portati alla resa dei conti con tutta la durezza che la legge prescrive. I politici, poi, non dovrebbero intervenire sui gi udizi dei tribunali. In Germania si discute se le leggi esistenti bastino o se bisogna farne di nuove, ma se le leggi esistenti venissero applicate sarebbero sufficienti. Non serve fare più leggi o leggi più dure: le leggi ci sono già, devono essere applicate non con la pena minima, ma con la massima. Noi vogliamo essere riconosciuti come uomini e accettati come tutti gli altri. Noi siamo, per usare le parole di Jgnaz Bubis. in primo luogo ciuadini tedeschi di religione ebraica,comealtri sono evangelici o cattolici, quindi né migliori né peggiori degli altri. Lei sente la Germania come "heimat"? La Germania è la mia terra d'origine, sono nato e cresciuto qui, vivo qui, ma esito adire che la Germania sia la mia heimat. A me personalmente, fino ad ora, non è successo niente, non posso dire di aver incontrato antisemiti fanatici, con cui non si potesse parlare. Sono dell'opinione che se si incontra un antisemita si dovrebbe discutere: normalmente lui non sa con chi parla e quando alla fine scopre che sei ebreo è sorpreso, non se lo sarebbe mai immaginato. Noi siamo dell'idea che si debba cercare la discussione, ma ci sono anche dei limiti. Nella Bibbia si dice di porgere l'altra guancia: questo non lo faremo. Essere ebreo e tedesco è una identità unica o divisa? Nel mio passaporto io sono tedesco. Però, con quello che sta succedendo qui, io non mi posso sentire bene, non posso vantarmi di essere tedesco. D'altra parte io sono tedesco, sono nato e cresciuto qui e mi sento bene qui. Una volta, prima del 1930, gli ebrei tedeschi erano tedeschi fieri, più fieri del resto della popolazione. Naturalmente, dopo tutto quello che è successo e con quello che sta succedendo in Germania, non possiamo più essere tedeschi orgogliosi, non è più possibile. Molti ebrei pensano di lasciare la Germania? Sicuramente c'è qualcuno che lo pensa. Questo è un fatto che rimanda al passato; prima della Shoah tanti dicevano: "Proprio a me dovrebbe succedere qualcosa? Io che ho combattuto nella guerra mondiale, che sono stato decorato al valore?" Perciò oggi si è più cauti. Molti, soprattutto i sopravvissuti, prendono in considerazione il fatto di andarsene dicendo "Cosa devo fare qui, in fondo?". E' una cosa normale che noi ebrei tedeschi abbiamo un rapporto speciale con Israele. La nostra fortuna è che Israele esista: avremo sempre un rifugio, non come nel 1933/38 quando nessuno voleva avere gli ebrei; la maggior parte dei paesi si rifiutarono di accogliere gli ebrei, anche la "buona Svizzera". Ora abbiamo una terra, nonostante la nostra cittadinanza sia tedesca. Per questo il nostro compito e il nostro dovere è fare di tutto affinché lo stato di Israele possa esistere. Quando vediamo quanta gente il piccolo Israele ha accolto, in questi ultimi due anni, soprattullo dalla ex Unione Sovietica, e facciamo un raffronto con la Germania, mi chiedo perché ci siano tutti questi problemi ad accogliere gli stranieri. Cos'è per lei Israele? Israele è l'heimat, l'heimat di tutti gli Ebrei. Questo non vuol dire che tutti gli ebrei devono essere cittadini israeliani. L'essere israeliani non ha a che fare con la religione, ci sono cittadini israeliani che sono cristiani o musulmani, ma ogni ebreo ha il diritto, in caso di immigrazione, di diventare cittadino di Israele. Questo è un sentimento di sicurezza che hanno gli ebrei all'estero. Prima non si sapeva dove andare, oggi abbiamo un paese. Se, Dio ci scampi, in qualche parte del mondo ci succedesse qualcosa, c'è sempre Israele. Ma poi "heimat" cosa significa? E' il luogo da dove vengo, dove mi sento bene, dove sono contento, dove vivo. E anche in questo significato non potrei, specialmente in questo momento, dire che la Germania è il mio heimat. Ma lo ripeto: per noi ebrei heimat è qualcosa d'altro. Perché Israele è I' heimat di tutti gli ebrei. - LIBRINCONTRO 2000 • • • • • • • • • • • • • • • • • • libri nuovi a metà prezzo libri nuovi a prezzo intero Testi per professionisti PIROLA e IL SOLE 24 ORE A richiesta tutto. Consegna anche a domicilio • • • • • • • • • • • • • • • • • • Via Giorgio Regnoli, 76 Forlì Tel. 0543 / 23847

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