Una città - anno II - n. 15 - settembre 1992

:•· ,,.,. _.no. ~Jll'•~ ·~ J. ♦ ~ ... ,., j~~~,. f,, { • ~.- ~~'11>:• ' .. ~f { 4t ~V_,.,~~• . I 'lf,,;;.i~)o . , .. ~ . , ,!• ' :r:1/'l.tf, ~~J •\( .A. ,.,· .<\ ,. . ]" ,._ .. ' ·. . -.·.. ·..nazista ' , _,•;·.Francia settembre QUESTO NUMERO. Ricordiamo Giorgio Perfasca, scomparso in agosto, e parliamo di Annafena Tonelli, missionaria in Somalia. Due persone cui si deve, in periodi terribili come l'Ungheria del 44-45 e fa Somalia di questi mesi, fa salvezza di migliaia di vite. E poi un'intervista a due bosniaci che ci raccontano l'assurdità di quello che è successo, con una guerra civile che sta spazzando via ogni possibilità di convivenza multietnica. Infine il rabbino ci invita ali' inaugurazione del monumento ai caduti ebrei. In seconda e terza. CASO SOFRI. Carlo Ginzburg ci racconta come, scrivendo "Il giudice e lo storico", si è addentrato in un processo di oggi che assomiglia a un processo per stregoneria: Sofri è colpevole, poi si troveranno le prove e se non si trovano è lo stesso. In quarta e quinta. LEGGISPECIALI. Si può combaffere efficacemente fa mafia senza federe gravemente i diriffi dei ciffadini? Parlano un giudice, un avvocato, un pof izioffo. In quinta. AFFIDO. Due sorelle, con figli naturali, figli adoffati e figli affidati, raccontano fa foro esperienza di famiglie numerose, aperte all'esterno, di una casa piena di gente. Rosa Boaffini lanzoni ci spiega poi significato e problemi dell'affido. In sesta e seffima. ILPUNTOSU LEffERATURAE IMPEGNO CIVILE. Ne parla in una funga intervista a tuffo campo Edoardo Afbinati. Nelle stesse pagine, "nobiltà e impegno" è l'omaggio di Ivan %affini alla memoria di Joftn Cage, scomparso in agosto. In offava e nona. UN ORATORIO. Immagini e ricordi dell'oratorio salesiano di San luigi. In decima. SOLIDARIETA'. In un'intervista, don Dario Ciani, fondatore della comunità di Sadurano, ci parla di padri, di educatori di strada, di preti. In undicesima. VIAGGI. Lilia Casali, di Animai liberation, risponde, sulla corrida, all'intervista del numero scorso. la festa cfte fta visto lei è un vero linciaggio colleffivo e crudele dell'animale. "Safari sudafricano" sono le impressioni di viaggio di libero Casamurata. "In viaggio" quelle di Piero Rinafdi. E "Vietnam" di Wilma Malucelli. In dodicesima e tredicesima. LEffERE fra cui, dall'Etiopia, di Rodolfo Gafeoffi, e da Palermo, di Rezia Roberti. Andrea Brigfiadori parla di corrida, don Sergio Sala di uomini e animali. In quaffordicesima. PROBLEMIDI CONFINE. Il confine fra vita e fa morte, i trapianti, il cuore meccanico sono alcuni dei temi affrontati nell'intervista a Franco Rusticafi, primario di cardiologia. "Aborto, una storia romantica" è l'intervento di Rocco Ronchi. In quindicesima. DI DONNE. Intervista a Franca Morigi, pacifista, di ritorno dalla ex-Iugoslavia. In ultima. 1anco

Nella pagina accanto si racconta, fra l'altro, di un signore "prossimo alla pensione", abitudinario, spirito libero, che dopo essersi opposto come poteva alla follia, ora si ritrova col fucile in mano a combattere non sa per cosa. Dall'altra parte un fratello di suo genero. Bufere di una violenza estrema che all'improvviso travolgono uomini e cose. Cosa le fa scoppiare? E' tutto ineluttabile o ci si mette anche il "battito d'ali di una farfalla"? In Iugoslavia sarebbe andata diversamente se qualcuno non avesse scritto la parola "minoranza" su un pezzo di carta, se qualcun altro, ansioso di rimettersi in mostra, non si fosse affrettato ad applaudire, se qualcuno avesse tentato di imporre a tutti di sedersi a un tavolo, isolando quei fanatici del "grande" e del "puro" che di nuovo, nelle incertezze del presente, stanno seminando odio? Sarebbe servito? Si poteva fare qualcosa? Di certo, nella bufera qualcosa si può fare: salvare vite. E qualcuno l'ha fatto, lo fa, in silenzio, spesso in solitudine. Uomini e donne, che riescono a diventare punto di riferimento, punto fermo, esempio. Da loro la speranza rinasce. In una delle peggiori bufere del secolo, la deportazione degli ebrei ungheresi del 44-45, uno di questi uomini" è stato Giorgio Perlasca, che solamente nell'ultimo anno della sua vita, finita nell'agosto del 1992, ha avuto anche in Italia quel riconoscimento dovutogli da tanto. Vogliamo ricordarlo pubblicando l'intervento che fece al nostro convegno Enrico Deaglio, autore del libro che gli rese merito. A fianco parliamo di Annalena Tonelli, forlivese, missionaria laica in Somalia, che in quella bufera sta dando se stessa per salvare tante vite. La si può aiutare. Sotto, una lettera del Rabbino ci invita alla cerimonia di inaugurazione del monumento ai caduti ebrei del 44. Potrà essere occasione di ricordo e di meditazione in un momento in cui dal nord vengono di nuovo sinistri segnali di quel razzismo europeo che fu già causa di immane catastrofe. RICORDIAMOPERUSCA dall'intervento di EnricoDeaglio al nostro convegno del febbraio scorso ... per quanto riguarda la storia italiana, e le persecuzioni antiebraiche in particolare, penso che siapassata,e solonegli ultimi anni vedo comparire un'interpretazione diversa, l'idea che gli italiani sianodella brava gente.Gli italiani si sono autoassolti per tutto quello che è successo durante la guerra, tant·è vero che, per esempio, inunsondaggiodi pocotempo fa, la maggioranza dei ragazzi adolescenti intervistati, ad una domanda, hanno risposto che "l'Italia ha combattuto la seconda guerra mondiale a fianco degli alleati, con gli inglesi, con gli americani, contro i nazisti". Per quanto poi riguarda il problema delle leggi razziali, non solo per moltissimo tempo è stato tutto tenuto in silenzio, ma ci sono alcune cose che ancora adessosono dettecomecuriosità,masullequali non si riflette abbastanza. Per esempio,unatra letantesullequali vorrei attirare l'attenzione: il regime fascista cade in Italia il 25 luglio del 1943 e alla testa del governo italiano va il generale Badoglio, il quale non ritira le leggi razziali approvate nel 1938. Le leggi razziali restano in vigore fino al febbraio del 1944, e non solo, perché nel febbraiodel 1944 ne viene abrogata solo una parte, molto cospicua, ma tutta un'altra seriedicircolari-perchée' eralutto un corpus di leggi e circolari amministrative- perdura ancora fino a dopo la guerra. Questa è una cosasucui nessunostorico,tranne negli ultimi anni, aveva prestato una notevole attenzione. Noi italiani ci siamo autoassolti, le deportazioni sono state colpa dei tedeschi che occuparono il paese italiano e, se proprio si vuole andare un attimino più in là, sono state colpa di Salò e dei più fanatici di Salò: questa è la storia che vieneraccontata.Spero,miauguro che il numeropiù alto possibiledi persone tenga presente, possibilmente lo tenga in casa, il libro di Liliana Picciotto Fargion, questa specie di elenco del telefono di tutti i deportati italiani e a fianco deiquali c'è scrittodove sonostati catturati e da chi sono stati catturati. Usi misura la partecipazione italiana·alla deportazione e non è stata assolutamente piccola. lo mi sono occupato, negli ultimi tempi, della vicendadi una persona, rimastasconosciuta,mache ha fatto delle cose eccezionali. La racconto in trenta secondi perché credo sia diventata conosciuta grazie alla televisione. Si tratta di un signore italiano, fascista, di Padova, che aveva combattuto prima in Etiopia e poi in Spagna con Franco, ilquale nel 1938si era abbastanzadisincantatodel fascismo, nonaveva amatoe apprezzato le leggirazziali.Questosignore nel 1943faceva iIsuo mestieredi commerciante di bestiame a Budapest, e sorpreso là dall'8 settembre, si schierò con il re e con BadogliocontroSalò. Poi, benché nessuno glielo facesse fare, benché iIsuo problema fossesoltanto quello di tornare a casa al più presto, benché fosseun uomo isolato, si trovò, in base ad una serie di circostanze che non vi sto a raccontare, ma comunque abbastanza fortuite, nellapossibilitàdi farsi passare per console di Spagna in Ungheria. Ed essendo la Spagna in quel tempo neutrale, come console di Spagna, il commerciante di bestiame padovano cheparlavabenelospagnolotrattò con i nazisti ungheresi, difese gli ebrei che la Spagna aveva in protezionecome paese neutralee riuscì a salvarne 5200. Non chiese niente, non ottenne una lira, anzi. quando poi entrò l'armata rossa a Budapest,ebbe dei guai inquanto italiano fascista, in quanto spagnolo, e, per poter ritornare in Italia. dovette procurarsi tutta una seriedi attestati che riconoscessero che era una persona per bene, che aveva fattodel bene. Quando ritornò in Italia cominciò a raccontare questastoria, questaesperienza assolutamente straordinaria che aveva vissutoe notò che le persone a cui la raccontava, a cui la consegnava anche sotto forma di memoriale scritto, facevano fintadi credergli, ma in realtànon gli credevano.Edanchelamoglie. a cui la raccontava in casa. un giorno gli disse che non gli ereViMaF. errBatai ndBinui1ti,5 Te(/0. 543) 7PIJ7- 67 FA7X80065 47100 FORL/' Il validosupportaolla promozionde llaVs.attività Produzione Vendita Ideazione Orologi da parete e da tavolo, oggettistica da scrivania, articoli promozionali "ad hoc". 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La sua storia è stata tirata fuori quarantacinque anni dopo da un gruppo di signore ormai di una certa età, che ali' epoca erano ragazzine che si erano salvate grazie a lui nelle case protette della legazione spagnola. Queste signore misero un annuncio sul giornale della comunità ebraica di Budapest per saperese qualcuno si ricordavadi questo tale Perlasca. Alcuni si ricordarono, venne poi onorato, ma attenzione, venne onorato prima in Israele, poi in Ungheria, negli Stati Uniti, in Spagna e in Italia, solo da ultimo. Tra le tantecosechepuò far venire in mente -la rimozione, l'oblio, l'indicibilità, le difficoltà a raccontare quello che è successo, e spesso, come anche nel caso di Perlasca, anche la non voglia di raccontare i particolari di quello chehavisto,di quelloche hafattoa me, questa sera, preme privilegiarne una: che questo caso, il caso di questa persona cambia quello che noi intendiamo per normalità. Noi intendiamo come normalitàcheesistesseroi nazisti, come corpo unico di persone che obbedivanoagli ordini egli ordini eranodi sterminaregli ebrei. Normalitàera cheesistesserodei regimi, nei paesi occupati dai nazisti, che non avevano altra scelta se nonquella di obbedire.Poi esistevanogli ebrei stessi che non fecero nulla ed è diventatostoria normale anche chiedersi perché non si siano ribellati sapendodi andare a morire nei campi di concentramenio.Epoi,alla fine,arrivano gli alleati, le truppe vittoriose e tutto questo finisce. La storia, e il caso di Perlasca è importante per questo, dimostra che nonnecessariamenteera così, che moltissime altre cose si potevanofare.Che non in tutti i luoghi e non in tutte lecircostante lecose sono andate nella stessa maniera. Si scopre che, per esempio, in Italia le leggi razziali sono state approvate senza la minima opposizione, o con una scarsissima opposizione dell'intellellualità italiana, che sono state controfirmate e promulgate dalla monarchia italiana,mentreinaltripaesicome, per esempio, l'Ungheria o la Bulgaria, i monarchi non le hanno firmatee i parlamentiche si sono trovati a discutere in condizione di occupazionenazistanon lehannoapprovateo lehannoapprovate con molto ritardo.Quindi si potevano fareanchedelle cosediverse pur avendoun nemicocosì potente in Italia. E tra le tante ragioni per cui la storia di Perlasca non è stata resa nota prima in Italiaed è stata riportatada fuori, ce n'è una inparticolaree cioèche ilsuocaso dà fastidioperché rompe una normalità. Se una persona normale, senzadelledotieccezionalihafatto quello che ha potuto fare, allora perché non l'hanno fattoanche gli altri? Certo noi abbiamo un eroismo colleuivo, di paese, di italiani, di umanità italiana per quanto riguardail salvataggiodegliebrei, ma non è che abbiamoparticolari eroi da poter presentare, per esempio come Perlasca. E allora perché non è stato presentato? Penso che questa sia la ragione principale:perchéera dimostrare, far vederequello che una persona normale,di normalitàassoluta.ha potuto fare con un'azione personale, mellendovi una propria energia, dei principi basilari di solidarietà, di ribellione nei confronti delle ingiustizie visibili. Tutto questo, anzichéessere buono per essere propagandato, per essere fatto conoscere, dava in qualchemaniera,consciao inconscia, maggiormentefastidio... - UNA ClffA' è in edicola a metà di ogni mese ABBIAMO LA SEDEI in piazza del Vescovo n.2 I Sarà aperta tuffi i giorni dalle r 7,30 alle r 9,30 Una Ciffa è in vendita anche a Cesena, alla libreria DEDALUS,via Aldini, 2 Lo si trova anche a Sorrivoli, al Circolo culturale "Il castello". Pest Control Igiene ambientale • Disinfestazioni - Derattizzazioni - Disinfezioni • Allontanamento colombi da edifici e monumenti • Disinfestazioni di parchi e giardini • Indagini naturalistiche 47100Forfi- viaMe11cc2i,4 (Zonallld11striale) Te/.(0543)722062 Telefax(0543)722083 CO AIUTIAMOANNA11NA In luglio, prima che la Somalia riuscisse finalmente a fare notizia sulle prime pagine dei giornali, c'è stata all'Enaip una conferenza stampa di una signora somala sulla situazione, già da mesi terribile, del suo paese. Ha raccontato di bambini che, rifocillati di cibo, non crescevano di un grammo, per non aver più voglia di vivere. Di donne ritiratesi nelle case a curare bimbi e vecchi, e del rischio di un loro allontanamento definitivo da una vita pubblica di cui da sempre, invece, erano protagoniste. Di aiuti "ufficiali" che si perdono fra mercati neri, o che restano bloccati per la mancanza di una firma su una bolla di consegna. Di bande di ragazzi armati di tutte quelle armi di cui il dittatore aveva fatto incetta, a riserva per decenni. E poi ha parlato di Annalena. Fra i pochissimi occidentali che non hanno abbandonato mai la Somalia, infaticabile nel dar da mangiare e nel curare. Ha spiegato di quanto semplicemente la cosa di Annalena "funzioni", con lei che di persona tutte le mattine va al mercato e compra il cibo per le sue migliaia di rifugiati. E all'obiezione che comunque quella è una goccia nel mare dello sterminio di un popolo intero, la signora ha risposto di no, che è molto importante, non solo perché migliaia e migliaia di somali sono salvati, ma perché sta dimostrando a tutti che qualcosa si può fare, che le cose possono funzionare, che anche una persona sola può fare tanto. Perché il problema più grave è la perdita di fiducia della gente in se stessa. E ha parlato anche dei gravi rischi che Annalena corre, per via dei gruppi integralisti. Ha raccontato come Annalena sia ormai famosa, non solo in tutta la Somalia ma in tutto il mondo, dopo i servizi della CNN e dei maggiori giornali anglosassoni. E si è meravigliata di vedere come in Italia non lo fosse ancora. (In una lettera di Annalena pubblicata da Aggiornamenti si legge la sua disperazione nel raccontare di queste troupe televisive, "che vengono a vedere a morire" ma che di fronte alle sue richieste d'aiuto, dichiarano la propria impotenza.) Alla fine ci ha colpito un'altra cosa che ha detto la signora: "guardate che Annalena sta salvando l'onore dell'Italia in Somalia". Una cosa che probabilmente, con tutto quello che ha da fare per salvare gente che sta morendo di fame, non sarà né in cima né in fondo ai pensieri di Annalena, ma che ha una sua importanza morale, e, un domani, anche politica, anche pratica. Inevitabile allora pensare a quanta gente c'è voluta, per infangarlo, quell'onore: ministri della repubblica amici del dittatore, interi partiti di cui il paese africano era protettorato, stuoli di "cooperanti" con in testa fior di professori universitari a 14 milioni al mese, mentre le carceri erano piene di oppositori e di torturati. Cosa può fare invece una donna sola! Aiutiamola. Annalena va al mercato tutti i giorni grazie all'aiuto economico di tanti forlivesi ed ora, dopo i primi articoli "nazionali", di "Oggi" e de "La stampa", anche dal resto dell'Italia. Il conto corrente bancario è: c/c n. 2907/94 presso Cassa di Risparmio di Forlì, intestato a "Comitato contro la fame nel mondo. Per Annalena Tonelli". Una leffera al giornale del Rabbino Caro e il programma dell'inaugurazione del monumento ai caduti ebrei, al Cimitero Monumentale di forll Ferrara, agosto 92 Spell. Redazione "Una Citta", Mancano poche se/limane al giorno in cui verrà scoperta la lapide posta sul sepolcro concesso dall'Amministrazione Comunale di Forlì per inumare secondo il rito ebraico i resti delle vi/lime di un feroce eccidio attuatone/ sel/embredel '44 dagli sgherri nazifascisti. Desidero esporre nell'occasione alcune brevi considerazioni che invio al mensile "Una Ci11à" che ha riproposto alla nostra memoria questa orrenda pagina del nostro passato e si è fallo promotore di una lodevole iniziativa volta afar sì e/re le vi/lime ebree di quella barbarie avessero una sistemazione più dignitosa di quella a/tua/e. L'eccidio, è stato appurato da 1111aseria ricerca condotta da Paola Saiani, si è svolto in due tempi e ha riguardato 37 persone di cui 17 di fede ebraica. li 5 seltembre del '44 furono fucilate 30 persone (tra essi IO ebrei); il 17 dello stesso mese fu la volta di altre sette donne, parenti delle villime precedenti. E' stata una pagina fosca e atroce della nostra storia, logica conseguenza delle infami "leggi razziali" del '38 che privavano gli ebrei di ogni diritto, leggi che trovavano applicazione anche a Forlì. Con raccapriccio rileggiamo i testi delle schede per la tumulazione: "morte avvenuta per colpi d'arma da fuoco" o "stra11gola111e1110 con benda". Pare impossibile che nel nostro Paese possano essere state compiute tali nefandezz.e. Eppure tu/lo ciò è accaduto. Quei giorni bui videro il verificarsi di atroci 111isfa11di ei quali si macchiarono feroci assassini. Enonsidevedimenticare che ciò fu possibile anche per il silenzio di chi aveva il dovere di insorgere contro gli orrori che avvenivano quot id i anamen te, anche per l'ignavia e l'indifferenza di tanti. Ma non possiamo so/lacere che ci fu anche chi, in tempi terribili, non rinunciò alla propria dignità umana e seppe ba/tersi, spesso a costo della vita, contro la violenza, il de/i 110,il sopruso. Un esempio consolante ci è fornito dal comportamento delle suore di Forlì che si erano preso cura dei perseguitati dimostrando nei loro confronti delicati sentimenti di solidarietà. Twto ciò è accaduto mezz.o secolo fa nel cuore de/l'Europa. I momenti che stiamo vivendo non sono facili. li trascorrere degli anni, i tentativi di nascondere, manipolare o negare la verità storica, possono vanificare gli insegnamenti che dagli eventi del passato dovremmo trarre. l'indifferenza manifestata dall'Europa di fronte ai dolorosi eventi che travagliano un Paese, la ex Jugoslavia, a due passi dai nostri confini, nonfanno ben sperare sulla nostra capacità di capire le lezioni del recente passato: i del i Ili avvengono per mano di chi Li compie, ma anche grazie a/l'inerzia di chi nulla fa per impedirli. Quanto è avvenuto può ancora ripetersi. "Non dimenticare" è, quindi, l'imperativo che dobbiamo sempre tener presente. Concludo esprimendo un caldo ringraziamento a tutti i membri della Redazione di "Una cillà ", all'Amministrazione Comunale di Forlì e al suo Sindaco, e in particolare ali 'Assessore Gabriele Zel/i e ali 'Arch. Patrizio lost ritto. Tutti hanno risposto con pro/l.lezza e rara sensibilità alla richiesta di dare una dignitosa sistemazione ai resti delle vittime di tanta barbarie, dimostrando in ogni momento calda partecipazione e senso del dovere civico. Un cordiale saluto Luciano Caro domenica 4 ottobre ore11 Cimitero Monumentale di Forlì Scoprimento del cippo e deposizione di una corona d'alloro da parte del sindaco di Forlì Interventi di: Tullia Zevi, Presidente dell'Unione Comunità Ebraiche Italiane Celestina Ottolenghi, Presidente Comunità Ebraica di Ferrara Seguirà l'omelia del rabbino capo di Ferrara Luciano Caro

Due giovani della Bosnia Erzegovina, in Italia da due mesi, raccontano la catastrofe di un paese dove, fino a poclti mesi fa, vivevano fianco a fianco serbi, croati, musulmani. Lei. E' difficile raccontare la nostra storia; la nostra storia non è solo la nostra storia: fa parte del nostro paese, della vita dei nostri amici, dei nostri genitori. Solo nella mia famiglia ci sono quindici matrimoni misti: è una cosa difficile da capire. E' la stessa cosa ovunque nella Bosnia Erzegovina. Questo è sempre stato un paese veramente speciale. Per gli stranieri è difficile capire come nella Bosnia Erzegovina vivano insieme serbi, croati, musulmani. I cittadini della Slovenia sono sloveni, quelli della Croazia sono croati, quelli della Macedonia sono macedoni. Nella Bosnia Erzegovina invece vivono serbi, croati e musulmani. Per fare un esempio, io penso che "musulmani" sia una definizione sbagliata: è il nome di unareligione,nondi una nazionalità. Mia cugina ha la madre croata, il padre serbo e suo marito è musulmano. Cosa è il suo bambino? E' un cittadino della Bosnia Erzegovina e potrà scegliere la re1 igione che vuole. Da quanto tempo siete venuti via? Lui. Da due mesi, ma le nostre famiglie sono rimaste in Bosnia e non abbiamo notizie da loro. Come vi spiegate una guerra così sanguinosa? Perché tutto questo odio? Lei. Secondo me tutto questo odio è stato spinto da piccoli gruppi di politici, almeno ali' inizio. c'era odio un anno fa, ma nel cervello della gente Spingevano sulle rivalità, ma questo non aveva niente a che fare con le nazionalità. Ci sono interessi molto più profondi. Quindi questo odio non c'era nella popolazione? Lei. No, questo posso affermarlo, non esisteva. La mia famiglia ha quindici matrimoni misti. Tutta la Bosnia Erzegovina è mjsta. Mio babbo è musulmano, mia mamma viene da un matrimonio misto fra un croato ed una musulmana. Quindi tu sei stata allevata secondo la religione musulmana? Lei. No, sono solo andata alle normali scuole statali. Io sono bosniaca, sono cittadina della Bosnia Erzegovina. Lui. Questa è una cosa strana, una cosa che una certa propaganda in questi anni sta usando: che i musulmani vorrebbero fare della Bosnia uno stato islamico integralista. Questa è stupidità, perché i musulmani come nazione sono nati nel 1962, ma esisteva già da 300400.anni. Dal 1430-40 al 1878 la Bosnia fu parte dell'Impero Ottomano, che andava dalla Bosnia fino ali' India, Afganjstan, Siria, Libia. Durante tutto questo tempo tutti gli abitanti di questo paese si chiamavano bosniaci. Nel 1878 sono arrivati gli austriaci ed è diventata parte dell'Impero AustroUngarico e tutti erano bosniaci, ma c'erano tre diverse religioni: c'erano ortodossi, cattolici e musulmani. Quando è nata la Jugoslavia, nel 1918, dopo la prima guerra mondiale, serbi, croati e sloveni erano le sole tre etnie, le sole tre nazionalità riconosciute. Allora i macedoni non esistevano: erano serbi; anche musulmani o bosniaci non potevano esistere più: dovevano dire se erano serbi o croati. Avevano solo la possibilità di praticare la religione. Anche la Bosnia come paese autonomo non esisteva più: semplicemente era stata spartita con le forbici fra Serbia e Croazia. Serbi ortodossi o serbi musulmani, o croati cattolici o croati musulmani, queste erano le uniche possibilità. Con la Seconda Guerra Mondiale c'era molto odio fra ustascia croati fascisti e cetnici serbi fascisti. E poi c'erano i partigiani ed erano serbi, croati, musulmani, macedoni: tutti quelli che non volevano fare una guerra per la propria etnia, ma una guerra contro i nazisti. Allora, dopo laSeconda Guerra Mondiale, Tito ha fatto tutto quello che poteva per distruggere questi nazionalismi. Adesso tutti dicono che era una dittatura terribile, che lui era un dittatore più grande di Stalin, più grande di Hitler. lo penso invece che lui andasse bene per queste cose, perché provava a costruire questa che adesso chiamano una nazione artificiale. Lui provava a fare questo, ma forse ha fatto uno sbaglio che adesso si vede. Tutti gli ufficiali erano jugoslavi, ma adesso sono tutti serbi: la Serbia era nel cuore, la Jugoslavia nella tasca dove arrivavano i soldi. Stessa cosa era anche per la diplomazia, per i giornalisti. Ma tutto questo odio era dimenticato, solo gli anziani ricordavano questi conflitti fra le etnie. Secondo me nessuno voleva ricominciare con questi conflitti, con questo odio. Ma tre o quattro anni fa la stampa di Belgrado ha iniziato una campagna contro la Croazia, contro i croati, dicendo che tutti i croati sono ustascia e hanno ucciso un milione, due milioni, dieci, cento milioni di serbi. Hanno massacrato, massacrato, massacrato·. Strage, strage, strage. Quando si apriva un giornale, se c'era stato un diverbio fra due ragazzi, un serbo e un croato, che avevano bevuto un po' e avevano fatto a botte potevi leggere: questo piccolo croato aveva il nonno che era un grande ustascia e ha ucciso molto e molto, lui ha lo stesso odio del nonno... E' iniziata così: c'era odio un anno fa, ma odio nel cervello della gente. questo è • • razzismo, m, sembra come il Sud Africa Non pensavo che potesse trasformarsi in fatti: quando è iniziata è iniziata con molto, molto sangue, troppo sangue. Sarajevo è stata l'unica città in Jugoslavia, nell'aprile di quest'anno, dove la gente è uscita per le strade contro la guerra, per la pace, per continuare a vivere come dieci anni fa, in pace fra le etnie, e tutti erano fuori: serbi croati e musulmani. Ma i serbi del S.D.S. (Partito Democratico dei Serbi) hanno iniziato a sparare. Quindi in Bosnia hanno iniziato i serbi? lui. Sì. Non posso dire, perché non è vero, che i serbi siano cattivi perché sono serbi. Molti dei miei amici sono serbi. lo conoscevo tanta gente, tanti giovani come me e non sapevo mai se qualcuno era croato o musulmano, perché le nostre storie, le nostre conversazioni non erano mai rivolte a problemi di etnia o religione. E per gli anziani era così? Loro come vivono questa situazione? lui. Gli anziani come mio padre, che ha 80 anni, hanno paura, molta paura e non possono fare niente. Perché adesso nessuno può parlare, nessuno può scrivere qualcosa per i giornali, perché tutti i giornali sono censurati. Per finire il discorso dei musulmani della Bosnia che sarebbero integralisti: dei mussulmani, o meglio dire bosniaci perché musulmani è una religione, solo il 10-20% potrebbe dire le preghiere, perché nessuno sa la lingua, nessuno sa l'arabo. Io so poche parole che si usano nel dialetto. Io sono nato in una famiglia comunista e mio babbo mi ha dato la mia, o la sua, educazione per diventare forse un comunista, ma niente a che fare con la religione. Anche il padre di lei. Tuo padre è comunista? Lei. Sì, era comunista. Anche adesso lui è comunista, ma non esiste più il partito comunista. Anche Tudjman era un comunista, Milosevich era un comunista. Tutti gli uomini al potere erano comunisti, iscritti come comunisti. Milosevich è ancora adesso un comunista e molta gente che è veramente comunista nel cuore non può accettare che lui sia comunista, lui è un dittatore. lui. Se quello che sta succedendo adesso in Serbia, se questo è comunismo ... Questo non ha niente a che fare col comunismo, questo è razzismo. Mi pare più come il Sud Africa. Voi dite di essere cittadini della Bosnia Erzegovina. Per voi il fatto che si sia dissolta la Jugoslavia non ha comportato nessun disorientamento? Lei. Sì, noi siamo jugoslavi. Quando siamo fuori della Jugoslavia siamo jugoslavi, quando siamo in Jugoslavia siamo cittadini della Bosnia Erzegovina. A scuola ognuno aveva il suo nomee cognome e nessuno chiedeva se eri serbo, croato o musulmano. Lui. Se oggi vado a Spalato in albergo devo pagare il prezzo come un tedesco, perché sono straniero. lo che sono stato a Spalato I 0.000 volte! Cosa significa sentirsi stranieri a Spalato o fra gli amici della vostra città? Lei. Dipende dalle persone; tutti siamo un po' cambiati, ma i nostri amici sono quasi gli stessi. Ma persone che hanno sofferto molto, che sono rimaste senza casa, che hanno visto cose terribili, che hanno la famjg)ia nei campi di concentramento ... non ci si può aspettare più che siano le stesse. Voi conoscete gente che adesso sta combattendo? Lei. Sì, anche parte della mia famiglia. ltanno visto cose terribili, non saranno più gli stessi Com'è avvenuto? Come mai così facilmente tutto ha preso fuoco? lui. Suo zio, un uomo di cinquant'anni circa, già verso la pensione, un piccolo uomo che passa il suo pomeriggio a casa, va fuori per bere qualcosa con gli amici, tutto casa, lavoro, casa, lavoro. Niente a che fare col grande business, coi grandi affari: un uomo normale. Ma guarda la TV, vede quello che succede e dopo due o tre giorni sente che sparano a Gorazde, Bijeljina, in altri paesi e si avvicinano a Sarajevo. Iniziano a sparare contro la città vecchia, poi, dopo due giorni, nel suo quartiere. Cosa puoi fare? Andare nella cantina. E lo ha fatto, per due o tre giorni. Ma continuano a sparare. L'unica possibilità per difendersi è andare dall'esercito bosniaco e prendere le armi. Lei. Tenete conto che lui è una persona veramente libera, molto libera. E suo genero è serbo, la moglie di suo figlio ha la mamma croata e il babbo serbo. E questa famiglia si è disgregata con la guerra? Lei. No. La storia di questa famiglia è esemplare. Il fratello di suo genero è un estremista serbo. Ma suo genero è andato a rifugiarsi da mio zio e vivono assieme. Non ha seguito suo fratello per andare a bombardare Sarajevo e altre città della Bosnia Erzegovina. E secondo voi quale sarà l'esito di tutto questo? lei. Dipende dal mondo, secondo me. Quindi sono giuste le sanzioni o un eventuale intervento armato da parte dell'ONU o della NATO? lei. Purtroppo credo che sia l'unica soluzione, anche se adesso è molto, molto tardi. Tullo questo sembra una cosa molto grottesca. Quando, prima che iniziassero i combattimenti, la Bosnia diceva cosa sarebbe successo e che un intervento era necessario il mondo diceva che era troppo presto, adesso che tutte queste cose terribili sono successe si dice che è troppo pericoloso, che è peggio del Vietnam. Ma cosa significa? E' grottesco pensare di lasciare il paese così. Ma si rischia veramente di scatenare unnuovo Vietnam, una guerra su tre fronti ... Lei. E' vero, però all'inizio quando la gente voleva proteggere il paese si diceva che era troppo presto. E adesso? Ci sono molti interessi e si capisce che nessuno vuole morire per un altro paese, questa è una cosa normale. All'inizio i serbi hanno creduto di poter occupare e tenere la Bosnia Erzegovina: hanno eserciti, organizzazione, tutto. E dopo che questa posizione è un po' cambiata, che molti bosniaci hanno preso le armi, hanno fatto un accordo con i croati per la spartizione della Bosnia. è triste avere il passaporto di un paese clte non esiste più La cosa veramente pazzesca è che ci sono due contratti: tra serbi e croati e poi un'alleanza tra musulmani e croati contro il nemjco comune serbo. La gente normale, la gente come noi è piena di queste cose. Noi vogliamo vivere. E' molto duro non poter fare niente, è triste quando hai il passaporto di un paese che non esiste più, il passaporto di un paese dove c'è la guerra. lui. Per Tudjman e Milosevich potrebbe essere molto facile finire questa guerra: accordarsi per dividere la Bosnia Erzegovina fra croati e serbi. E non è detto che i musulmani siano d'accordo su questo ... Lui. I mussulmani sono la maggioranza ed erano gli unici all'inizio contro la guerra alla Croazia, contro la guerra alla Slovenia ... Lei. Loro non hanno mai sostenuto di volere un paese integralista, loro hanno sempre voluto vivere insieme con serbi e croati. Certo i politici non vogliono questo, ma nella Bosnia ErLegovina tra serbi, croati e musulmani nessuno ha la maggioranza assoluta e poi, come ho già detto, sono già tante le famiglie miste. Si vuole dividere la Bosnia Erzegovina per dimostrare che serbi e croati non possono vivere insieme. lui. li tragico di questa guerra ;,ti'-!"' è questo odio, questa crudeltà. Non riesco a capire e me lo chiedo ogni giorno. Nell'esercito federale molti ufficiali erano serbi, ma tutti si sentivano jugoslavi, così almeno credevo io. Insultare un soldato con frasi tipo "stupido serbo" o "stupido croato", per un ufficiale significava perdere i gradi. Tutti "sentivano" la Jugoslavia, era un bel paese, dove esisteva la tolleranza fra tutte le etnie. Adesso i soldati federali, non i giovani, ma i riservisti, gente sui 40-45 anni che viene dal Montenegro e dalla Serbia, che sono arrivati nelle città hanno rubato tutto, bruciato le case. Ho visto molte case bruciate e non si brucia con un mortaio, ma con le molotov. Da sua cugina hanno rubato tutto, anche i rubinetti. Rispetto alle vostre famiglie che sono là, venire via è stato uno strappo completo? Lei. Dei miei parenti a Sarajevo non so niente. Con mio babbo invece ho parlato un mese fa, mi ha detto che sono vivi, ma sono rimasti senza case. Nella casa di mia zia sulla costa hanno rubato tutto. Nella casa di mia nonna prima hanno rubato tutto poi hanno bruciato, e questa casa era nel centro della sua città. Posso immaginare, se succede questo nel centro di una città con più di 100.000 abitanti, cosa succede nei piccoli paesi. Adesso mia zia e i miei cugini sono con i miei. Nel mio appartamento una stanza è distrutta per una· granata, ma ci si può vivere, · Sapete come è la situazione. dei profughi che sono qui vicino, a San Mauro? Lei. E' molto difficile. Loro non hanno quasi nessuna inUNIVERSITA' DEGLI STUDI DI BOLOGNA - SEDI DI FORLI' E DI CESENA Anno accademico 1992/93 AVVISO AGLI STUDENTI Nell'anno accademico 1992/93 l'Università di Bologna attiverà nelle sedi decentrate di Forlì e di Cesena i seguenti nuovi corsi: Sede di Forlì: Diploma Universitario in Ingegneria Aerospaziale e Diploma Universitario in Ingegneria Meccanica; Corso di Laurea di scienze Politiche: Indirizzo Amministrativo e Indirizzo Sociologico. formazione. La gente che vive nelle città è informata, ha contatti con altra gente. Questa gente invece viene dai piccoli paesi, vive della terra, hanno lasciato tutto, non hanno informazioni. Sono stati per due o tre giorni nella foresta per poter scappare. Hanno passato cose veramente terribili. Per noi è diverso. Possiamo rimanere qui, vivere in Australia, in Canada, speriamo di poter trovare una soluzione, ma che cosa può fare la nostra famiglia che è rimasta là? Avete nostalgia del tempo di Tito? Lei. Sì, io stavo veramente bene in quel periodo. avevo un sentimento come se fosse una cosa eterna Però sono stata fortunata, sono andata a scuola. Avevo un sentimento, come se quella fosse una cosa eterna. E adesso mi sembra strano. Che cosa è successo? Posso capire perché succedono certe cose, ma non voglio credere in questo. Quando non si uccide e quando la gente è nelle proprie case, nella propria città, si può parlare. Ma quando qualcuno perde il figlio, la figlia, la casa, questi sentimenti cambiano. Dopotutto, però, credo che la gente possa capire che l'unica soluzione è vivere insieme. E' l'unica possibilità per risolvere i problemi, vivere in pace. Però di fronte a tanti ragazzi mutilati, a tante famiglie distrutte, la gente diventa pazza. Quindi questo odio si è acceso irrimediabilmente? Lei. Credo di no. Penso che la gente sia abbastanza satura di odio. E' una cosa pazzesca pensare alla Bosnia Erzegovina divisa in tanti cantoni: un pezzettino per i serbi, un pezzettino per i croati, un pezzettino per i musulmani. E' come dividere le città, o il mio condominio, dove siamo insieme serbi, croati, musulmani, ebrei ... Ma credo che per ora sia l'unica soluzione per fermare la guerra e dopo si può dare alla gente la possibilità di coltivare il proprio sentimento nazionale, a livello culturale, non con il fucile. E come può un intervento esterno interrompere questo stato di cose con la forza? Lei. Qualcuno deve intervenire, almeno per distruggere le armi pesanti. Se il mondo non ha riconosciuto la Bosnia Erzegovina significa che le frontiere si possono cambiare. E allora cosa ha contato che la gente della Bosnia Erzegovina al referendum abbia votato per una Bosnia Erzegovina unica, indipendente, senza cantoni, dove vivere assieme serbi, croati, mussulmani e altre minoranze che sono, e si sentono, cittadini della Bosnia Erzegovina? I giornali italiani parlano di gruppi pacifisti ... Lei. C'è la gente che è andata nelle strade con i bambini per dire che non vuole la guerra, che vogliono vivere insieme, hanno rischiato, ma non è servito. E poi parlando con pacifisti serbi e croati anche loro, alla fine, sono malati della grande Serbia e della grande Croazia. Allora? ■ Nella foto: bambini bosniaci in una colonia di Bellariq Sede di Cesena: Diplomi Universitari in Ingegneria Elettronica, Ingegneria Informatica, Ingegneria delle Telecomunicazioni; Corso di Laurea in scienze e Tecnologie Alimentari-Facoltà di Agraria(con modalità di iscrizione in corso di definizione). Le domande di ammissione ai Diplomi di Ingegneria devono essere presentate entro il 15 settembre p.v. alle Segreterie di Forlì, C.so Diaz, n. 45 (tel. 0543/450208), e di Cesena, Via Sacchi, n. 3 (tel. 0547/24646). Informazioni su termini e modalità di iscrizione agli altri corsi delle sedi di Forlì (Scienze Politiche, Economia e Commercio, Scuola per Interpreti e Traduttori) e di Cesena (Scienze dell'Informazione, Psicologia), sono disponibili presso le suddette Segreterie. L'eventuale attivazione del Diploma Universitario di Informatica Giuridica, previsto per la sede di Forlì, verrà comunicata tempestivamente a mezzo stampa e tramite avvisi affissi presso le Segreterie. B10110 eca Gino t:S1anco UNA CITTA' 3

L'AUTOACCUSADELLA PRESUNTASTREGA Caso-Sofri: intervista a Carlo Ginzl,urg Carlo Ginzburg, storico, attualmente docente presso il dipartimento di storia dell'Università di California. Los Angeles (UCLA), è l'autore del libro "Il giudice e lo storico. Considerazioni in margine al processo Sofri" (Einaudi). Da dove nasce "Il giudice e lo storico"? Questo libro che ho scritto nasce dall'incontro di due motivi, come spiego nell'introduzione. C'è un motivo di ordine personale, cioè la mia amicizia molto profonda e che risale ad un tempo lontano, con Adriano Sofri (gli altri imputati non li conoscevo, li ho conosciuti in maniera superficiale dopo). Quindi il motivo personale era di cercare di fare qualcosa per aiutare Adriano della cui innocenza ero da sempre convinto, dal momento in cui sono cominciate queste accuse. Il secondo motivo era collegato al mio lavoro di storico, cioè ali' interesse, anche questo antico, ma che si è intensificato in questi anni, per una serie di temi, in particolare i giudizi, le prove, le testimonianze, temi su cui ho lavorato e sto lavorando. Ora, come si sono intrecciati questi motivi, quello personale e quello non personale? Si sono intrecciati nel senso che fin dal primo momento non aveva senso che io scrivessi qualcosa per dire che conoscendo Sofri le accuse nei suoi confronti mi sembravano completamente assurde e infondate, perchè questa era una convinzione personale che non interessava nessuno. Quindi quello che potevo fare era cercare di utilizzare la mia competenza di storico per leggere gli atti del processo, cioè del- !' istruttoria e poi i dibattimenti. Questo perchè nel mio lavoro di storico mi ero occupato a lungo di processi molto più antichi, processi di inquisizione che vertevano soprattutto su casi di stregoneria. Ora l'idea che questo processo, cioè il processo contro Sofri, Bompressi, Pietrostefani e Marino, vorrei mettere proprio tutti, anche Marino, sia paragonabile ad un processo di stregoneria, è un'idea che non ho avuto io per primo, l'ha avuta un mio amico, anche lui storico, Adriano Prosperi che insegna a Pisa e che ha studiato a Pisa con me·e con Adriano. Prosperi aveva scritto una lettera, firmata da un gruppo di persone fra cui anch'io, inviata a vari giornali -pubblicata solo da Unità e Manifesto- in cui paragonava questo processo ad un processo di stregoneria. Nel leggere i documenti del processo, mi sono convinto che questa analogia aveva un fondamento, molto specifico, nel senso che è un caso, questo, in cui e' è la parola di un imputato che accusa sè e gli altri, proprio come nei processi di stregoneria dove uomini e donne accusavano se stessi ed altri di avere commesso certe cose, ad esempio di aver partecipato a convegni in cui facevano omaggi al diavolo dopo avere volato, cioè una serie di eventi in quel caso impossibili. Invece con Marino siamo di fronte ad eventi possibili (e questa è la differenza), mentre l'analogia è nel fatto che nell'un caso e nell'altro non abbiamo prove esterne che sostanzino le autoaccuse della presunta strega o stregone o del presunto parteci pante all'uccisione di Calabresi. Dico presunto perchè esiste, nel nostro sistema giudiziario, una presunzione di innocenza finchè non esiste la prova della colpevolezza. Nel caso di Marino esiste solo l'autoaccusa. Ho visto una ricerca statistica in cui si dice (ma non posso dare dati più precisi) che nei processi in cui si parte da un'autoaccusa esiste in realtà un'alta percentuale di innocenza. Cioè queste accuse non si riesce a provarle. L'esigenza di trovare un riscontro esterno alle autoaccuse (di alcuni secoli fa nei processi a streghe o stregoni, oggi nel caso di Marino), era condivisa dagli inquisitori e dai giudici odierni. Ho trovato un documento che circolava negli ambienti dell'Inquisizione, in cui i giudici si dicono, agli inizi del '600: "Questi processi di stregoneria finora sono stati fatti male, in molti casi non si sono cercate le prove esterne a queste autoaccuse, bisogna trovarle". Ora questa esigenza, in teoria, l'hanno sentita anche i giudici di Sofri, cioè hanno cercato fino ad un certo punto delle prove esterne e a mio parere non le hanno trovate. Io ho letto minutamente queste migliaia di pagine e devo dire che emerge chiarissimamente che, al di là della parola di Marino, non c'è nulla. Su questa base non è possibile condannare le persone accusate da Marino a 22 anni e Marino a I 1 con lo sconto. Anche se non si fossero addensate su questo processo ombre molto pesanti, non si vede perchè si debba dare ragione a Marino contro tutti gli altri testimoni oculari, che confermano in molti casi quello che avevano detto allora, nonostante pressioni scandalose da parte. del Presidente della Corte. Mi sembra che tutto il processo sia stato condotto in maniera scandalosa, basti ricordare quello che è stato un vero e proprio colpo di scena e cioé la scoperta che il "penti meno" di Marino non datava dal 19 luglio, come risultava dai verbali, ma dal 2 luglio o forse prima. Si badi che ciò era a conoscenza dei giudici istruttori, del presidente della corte e dei carabinieri, ma nessuno ha detto nulla fino alla scoperta, casuale, della verità. Il fatto che Marino mentisse, per ragioni che non ci sono note, sull'inizio del suo pentimento, che è un punto decisivo; il fatto che abbia tenuto nascosto (e con lui erano intenzionatissimi a tenerlo nascosto sia i giudici istruttori che il presidente della corte Minale); il fatto che per almeno due settimane, forse di più , avesse intrecciato rapporti con i carabinieri: tutto questo mi pare enorme, perchè aver mentito su questo punto getta dei sospetti anche sulle altre confessioni, autoaccuse e accuse. A questo si aggiungano poi quegli elementi di cui ho discusso minutamente nel mio libro e cioé tutti i punti in cui la CRONISTORIAD11 CASO SO,RI "Uno sciopero della fame contro l'ultima ingiustizia nei miei confronti''. Così Adriano Sofri annunciò la suadecisione di smettere di mangiare, iI 17giugno scorso, dopo aver appreso che il processo che lo riguarda è stato sottratto al suo giudice naturale. Il processo di cui si parla è quello per l'omicidio del commissario Calabresi avvenuto il 17 maggio I972 aMilano. Nelluglio del 1988, a sedici anni di distanza dai fatti, Leonardo Marino, ristoratore ambulante in Versilia, ex militante di Lotta Continua e poi del PCI, confessava ai carabinieri di Milano di essere stato l'autista di quell'omicidio, indicava in Ovidio Bompressi, altro militante di LC, l'esecutore materiale dell'omicidio e in Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri, dirigenti di Lotta Continua, i mandanti dell'azione. Inoltre denunciava tutta una serie di rapine compiute prima con altri militanti di LC, poi in proprio o con altri associati praticamente fino alla vigilia della sua "confessione". I tre accusati da Marino vennero arrestati il 28 luglio del 1988. Si proclamarono innocenti. Vennero liberati dopo quaranta giorni di carcere. Vennero interrogati decine di testimoni e esaminati tutti i documenti di Lotta Continua. Vennero inviate comunicazioni giudiziarie ad esponenti noti di Lotta Continua come il senatore Marco Boato e il sociologo Mauro Rostagno. Nessuno degli indagati venne neanche interrogato. Mauro Rostagno venne ucciso dalla mafiaa Trapani il 27 settembre 1988, proprio mentre di lui si parlava come di un possibile mandante di omicidio. imprecisa, contraddittoria in numerosi punti chiave. Al processo di primo grado, Sofri, Pietrostefani e Bompressi vennero condannati a 22 anni di carcere per omicidio volontario. Marino a I I anni con la concessione del1'attenuante prevista per la "LeggeCossiga" sui pentiti.Lasentenza provocò un vasto sconcerto nella pubblica opinione, perché l'andamento del dibattimento non lasciava certo prevedere una tale conclusione. In aula si scoprì infatti che la confessione di Marino era stata preceduta da almeno quindici giorni di contatti segreti con i carabinieri. Che lo stesso Marino aveva annunciato ad avvocati e uomini politici la sua volontà di denunciare SoFri.Che lo stesso andava facendo da anni sua moglie. Si scoprì poi che i reperti dell'omicidio Calabresi (i suoi vestili, uno dei proiettili che l'aveva colpito, l'automobile usata) erano stati distrutti all'indomani dell'omicidio oppure proprio durante l'istruttoria. Non venne tenuta in nessun conto alcuna delle numerosissime testimonianze a discarico. Per quanto riguarda Bompressi, nessuno lo riconobbe come l'uccisore e i testimoni oculari dell'omicidio diedero una versione radicalmente diversa da quella raccontata da Marino. Per quanto riguarda Sofri e Pietrostefani non venne trovata a loro carico alcuna prova, mentre tutte leprove a loro favore vennero semplicemente ignorate. Nella motivazione della sentenza, pubblicata dopo ben dodici mesi, sidisse che Marino andavacredulo e che era impossibile che PietrostefanieSofri, essendo icapi di LC, non fossero al corrente dell'omicidio. ne ladistruzione dei corpi del reato. E soprattutto non venne presa in alcuna considerazione una perizia estremamente dettagliata. eseguita dal perito ufficiale della polizia italiana, incui si dimostravache l'unico proiettile rimasto di quel l'attentato, non poteva essere stato sparato dalla pistola indicata da Marino. Le condanne furono confermate. Aquesto punto, non rimaneva che attendere il terzo giudizio. quello della Cassazione. Nel frattempo. un altro elemento importante: processato a Torino per una rapina,Marinopatteggiava la pena, ma i suoi coimputati (tre persone che aveva indicato come partecipanti insieme a lui al reato) venivano assolti per non aver commesso il fatto. La Corte di Torino non riconosceva dunque a Marino la credibilità necessaria per rendere credibile la sua chiamata di correità. sta decisione sono state rigeliate, sempre ad opera dello stesso vice presidente della Corte di cassazione, Ferdinando Zucconi Galli Fonseca. Di conseguenza i I processo Calabresi fu assegnato alla sesta sezione della Cassazione, quella che giudica i processi per mafia e terrorismo. con udienza il giorno 25 setlembre 1992. Le ragioni dello sciopero della fame intrapreso da Adriano Sofri stavano dunque in questo: un processo in Cassazione istruito e quasi condotlo a termine nella sua istrutloria, era stato strappato al suo giudice naturale. con un provvedimento amministrativo che non ha precedenti nella storia della Cassazione. Questo è avvenuto su richiesta di una parte (l'avvocato Maris)che temevauna sentenza sfavorevole al proprio assistilo. senza che le altre parti venissero informate e consultate. Questo cambia la natura del processo che. invece di giudicare una chiamala di correità contro imputati di omicidio, condannati senza altre prove se non la parola del pentilo Marino. si troverà a giudicare imputati di '·terrorismo". ovvero una "banda armata", una "organizzazione a delinquere". senza che queste accuse siano mai state elevate contro Lotta Continua. Al 29° giorno di sciopero della fame di Adriano Sofri. al quale s'erano aggiunti in tutla Italia centinaia di persone con un gesto di solidarietà senza precedenti, la Corte di Cassazione ha modificato le sue posizioni e ha assegnato il processo alle sezioni unite con udienza fissata alla fine di ottobre. descrizione da parte di Marino dell'assassinio di Calabresi entra in contraddizione con quello che hanno raccontato all'epoca i testimoni oculari: ci sono divergenze clamorose di cui non ci si può liberare facilmente. Un processo così dovrebbe preoccupare tutti, anche persone che sono lontanissime da questa vicenda, che non solo non hanno legami di amicizia con gli imputati ma addirittura hanno una presunzione di colpevolezza nei loro confronti. Ma io credo che, nel momento in cui vedono come il processo è stato condotto, debbano convincersi (e so di persone che hanno cambiato parere dopo aver letto questo libro). Anzi, il libro era rivolto proprio a questo tipo di persone, non aveva senso rivolgersi a persone che già erano convinte come ero convinto io. Il convincimento di ordine morale dovuto alla mia amicizia con Sofri si è esteso ampiamente, nel corso della lettura degli atti, agli altri imputati nei cui confronti non avevo alcun convincimento soprattutto perchè non li conoscevo. La loro innocenza, insieme a quella di Sofri, risalta evidente dagli atti. Semplicemente, non ci sono prove nei loro confronti. Leggendo il libro vien da pensare: "ma allora c'è un complotto!" Io dico una cosa di cui non mi sono pentito, e cioè che per affermare che si tratta di un complotto bisogna avere le prove, e io non ho le prove. Quindi credo che se oggi dovessi riscrivere il libro lo riscriverei esattamente allo stesso modo. Se uno pensa che un complotto c'è stato, dopo avere letto questo libro, io posso dire che è una lettura legittima, ma io non mi sento di affermarlo perchè penso che sarebbe una scorrettezza e anche una contraddizione rispetto al mio modo di procedere. lo ho cercato di non fare affermazioni frettolose o non sufficientemente fondate e benchè ci siano elementi preoccupanti come quelli che ho detto, la prova di un complotto io non ce l'ho. D'accordo. Sembra anche difficile trovare il movente del complotto. Però viene naturale chiedersi perché se carabinieri, Pomarici, Lombardi e il presidente Minale sapevano hanno mentito? lo penso questo: se avessi detto e scritto "Questo è un complotto", il problema si sarebbe rovesciato e chiunque avrebbe potuto dire: "fornisci le prove", ma qui il problema che si pone è: "Quali sono le prove contro gli imputati?" Cioè proprio il problema dell'onere della prova, che mi pare un problema giuridico, ma anche morale e politico. Cioè se partiamo dall'idea della presunzione dell'innocenza, l'onere della prova consiste nel dimostrare la colpevolezza degli imputati. Se invece lancio un'accusa, es. del complotto, allora l'onere della prova ce l'ho io. Allora io non so effettivamente perchè Marino avrebbe dovuto mentire, però non credo che spetti a me dimostrare perchè lui ha mentito, mi basta dimostrare che lui ha mentito. E' un punto cruciale, importante. Si è detto continuamente: "Ma perchè Marino avrebbe dovuto mentire, confessare ecc?" chiedendo a Sofri di spiegare perchè Marino si è comportato così. Certo. Io penso che questo non tocca nè a Sofri, nè a me dimostrarlo, io non capisco le ragioni del comportamento di Marino. Posso immaginare delle spiegazioni che sono nell'ordine del plausibile; non ho voluto scendere su questo terreno, un terreno dove puoi dire tutto e il contrario di tutto. Soprattutto ho rifiutato il terreno della psicologia, preferito invece dagli avvocati, da Pomarici: una psicologia da quattro soldi. Penso che era importante rimanere nel terreno dei fatti, per vedere come nessun elemento di fatto esistesse nei confronti degli imputati e quante fossero invece le contraddizioni fattuali tra Marino e i testimoni oculari. Questo mi sembrava il piano su cui era giusto muoversi. Connessioni psicologiche se ne possono fare tante. Ci sono poi gli incredibili episodi dei corpi di reato... Questo mi è parso un elemento estremamente preoccupante. La scomparsa immediata, subito dopo la morte, dei vestiti di Calabresi; la distruzione dell'automobile usata dagli attentatori, addirittura dopo l'inizio del l'istruttoria, con una motivazione enorme, che se uno non la vedesse scritta nero su bianco non ci crederebbe (non era stato pagato il bollo! L'auto, custodita per oltre 16 anni, viene demolita, nel momento in cui finalmente servirebbe, perchè non in regola con il bollo!); il proiettile. li caso del proietti le è particolarmente preoccupante perchèc'è stata una perizia di parte (perito Ugolini)che sosteneva una tesi clamorosa: cioè che tulle le perizie che sono state condolle sul proiettile in realtà non sono state fatte sul proiettile che aveva colpito Calabresi. Purtroppo ora non è più possibile fare nessun controllo: il proiettile è scomparso, messo all'asta. A proposito di questi episodi per lo meno inquietanti é stato detto qualcosa di enorme: "ma perchè si protesta tanto, siamo a Milano, in Italia, non siamo mica a Bruxelles o a Parigi." Questo è ignobile. E penso che la possibilità che cose del genere avvengano va molto al di là di questo caso, dovrebbe comunicare un senso di profonda preoccupazione a tutti, anche perchè in realtà la meccanica di questo processo è veramente tale da far sì che ognuno di noi possa essere esposto alle calunnie di un tizio che domani dice che io l'ho mandato ad uccidere un altro, e non ci sono prove al di là della parola di questo tizio; bene, io rischio 22 anni. Quindi c'è qualcosa nella meccanica di questo processo che è veramente incredibile. Il fatto che si sia potuta replicare in appello, come una fotocopia, la sentenza di l O grado, trascurando gli elementi nuovi emersi, trascurando la perizia di parte, è veramente enorme. Ritornando alla domanda "perchè Marino è andato dai carabinieri?", vero cavallo di battaglia dell'accusa, lei si é tenuto sempre ai fatti però la scoperta che non è lui che è andato dai carabinieri ha fatto impressione. Sì, come ha detto Sofri "i carabinieri sono andati da lui". Marino ha intorbidato estremamente le acque sul modo in cui è maturata questa decisione di pentirsi. Sembra addirittura che tutto sia nato da una multa per eccesso di velocità. Ci sono gli eventuali intermediari che emergono dalle parole di Marino, che si rivolge a personaggi del P.C.I. E' tutto molto poco chiaro. D'altra parte che Marino fosse una persona ricattabile per le rapine di cui si è autoaccusato, che lui stesso ha confessato, che sono proseguite per molto tempo, è un elemento che c'è. 11 fatto che fosse ricattabile non è di per sè un elemento di sospetto, diventa un elemento di preoccupazione, di inquietudine, alla luce degli altri elementi che dicevamo prima, cioè il fatto che abbia mentito e il fatto che il capitano dei carabinieri che diede la notizia del l'arresto di Sofri, Bompressi e Pietrostefani sulla base delle confessioni di un pentito, in una conferenza stampa (alla domanda di un giornalista '·Ma voi loconoscevate?").disseche aveva rapporti con Marino "da mesi". Questa è una affermazione che non ha trovato conferma, ma non ha trovato conferma nemmeno la data che venne proposta subito dopo, come inizio del pentimento. Abbiamo quindi 3 date, un po' festa di via Dragoni, giovedl I 7 seHembre, ore 2 I L'istruttoria durò un anno, durante il quale non venne trovato nulla o alcuno che potesse suffragare la testimonianza di Marino, che si Il processo di appello fu senza storia. Non venne ammessa nessuna testimonianza a discarico. Il processo in Cassazione venne affidato, come da legge, alla Prima sezione. Questa lo istrul nominando relatore e corte e lavorò sugli atti e sui motivi di ricorso per oltre due mesi. Fissòquindi ladata dell'udienza nell'8 giugno 1992. Un mese prima di questa. però, l'avvocato di Marino. senatore Maris, chiese al Presidente della Cassazione lo spostamento della Sezione, adducendo "difformità di giudizio" tra la Prima. cui era assegnato, presieduta dal giudice Carnevale, e la Sesta. che giudica i reati di terrorismo. Il processo Calabresi non è mai stato nell'istruttoria, né nel diballimento, né nella sentenza, né nelle motivazioni, considerato un processo di terrorismo. Eppure, visto che al pentito Marino era stata concessa una attenuante propria delle leggi antiterrorismo. questa particolarità, peraltro di nessuna legi11imità, è stata sufficiente per spostare iI dalla prefazio11e del "dossier" su/processo Sofrì a cura del comitato di inomwzio11e sullo sciopero della fame di Adria110Sofri costituitosi a Roma. ADRIANO SOFRI B di Qsso. Istanzedi revoca di que-

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