Una città - anno I - n. 7 - novembre 1991

novembre------------- IN SECONDA E TERZA. Su comunismo e sinistra. "gli passavo da leggere Kolima", di Roberto Gabrielli, "lo confesso a capo citino" di Rodolfo Galeoffi, "tuff'altro elle odio" di Giampaolo Basseffi. E poi "parliamo di noi non solo della Russia" di Giovanni Tassani. E sull'intervista di Zauli le criticlte di Alfredo Roseffi. In penultima poi, "mi vergognerò di tuffo questo?", intervento contro il "pentitismo di sinistra" di Andrea Brigliadori. "La domanda sull'essere non lta bisogno di nessun sole dell'avvenire " sono parole di Ivan %affini intervistato in terza da Rocco Ronclti. IN QUARTA E QUINTA. Storie di neri. Due senegalesi elle vivono e lavorano a Forli, ci parlano di differenze culturali. Il tempo, il rispeffo dei vecclti e lo sfruffamento della donna. E poi in "non conta il tempo" le impressioni di viaggio sul "tempo in Africa" di Libero Casamurata. E infine in "un convivenza non solo di facciata" l'intervista a Mauro Bacciocclti, responsabile dell'ex-ufficio di collocamento. IN SESTA E SEn'IMA. Viaggio nella regione delle due ragioni. Da Israele e dalla Palestina resoconti di viaggio di Liana Gavelli e Massimo Tesei. Dall'intervista al dirigente palestinese Nusseibelt ali' incontro col piccolo palestinese elle vuol fare lo spazzino, cosi non dovrà rispeffare il coprifuoco. Infine in un intervista Massimo Tesei ci parla della sua incapacità nel passato, a capire anclte le ragioni di Israele, e della necessità di "star da tutte e due le parti". IN On'AVA E NONA. In "la città non lta avuto pietà", Vito Fumagalli, storico del Medioevo, ci parla di città e bosco di pianura nei secoli e dell'esito finale elle si prepara. E poi, "Corbari ", il racconto di Silvano Galeotti. IN DECIMA E UNDICESIMA. "Uno sconosciuto dentro di te". Graziella Salaroli, coordinatrice dei volontari 1.0.R. ci racconta della sua terribile esperienza con la malaffia e del suo impegno. Un intervento di Stefania Navaccltia su un convegno sull'ltandicap. E poi in una conversazione con Igino Zavaffi, l'esperienza di "nuova civiltà delle maccltine". IN ULTIMA. In "una vita elle non mi é piaciuta", intervista a Matilde Mengozzi, il racconto avvincente ed amaro delle speranze deluse e della ribellione sorda, sol· ar· di una casalinga.

LO CONFESSO A CAPO CHINO Lo confesso a capo chino e con vergogna, nella speranza che la pubblica esternazione ed il sincero pentimento contengano in sè il germe dell'unanime assoluzione: la fine del comunismo fatto stato mi ha lasciato dentro una sensazione di vuoto, un senso di debolezza difronte ali' eventualità di una minaccia, un qualcosa che mi ha fatto sentire le spalle scoperte, non più salvaguardate da una presenza non richiesta, ma esistente. Sensazione questa assolutamente irrazionale ed irragionevole se si pensa che non ho mai provato alcuna simpatia per il modello sovietico ed abbiamo considerato senza esitazioni assolutamente condannabili molte delle sue scelte di politica estera del passato. Neppure va dimenticato che, per quanto riguarda l'Italia, durante decenni, il rigido quanto inamovibile equilibrio fra i due blocchi creava lepremesse internazionali all'impossibilità del cambiamento. Da dove vengono dunque queste mie incontrollate manifestazioni dell'inconscio prossimo? Con certezza, in parte dal1'educazione alla contrapposizione, dalla consuetudine al pensare il cosmo dividendolo in "noi" e "loro", dall'abitudine a vagliare ammucchiando i nostri da una parte, gli altri dall'altra e gli "indecisi" e gli "ambigui" in un limbo da cui avrebbero potuto essere assunti al la giusta parte i1giorno che lo avrebbero meritato. Per il presente ed il futuro dunque tutto da rifare: struttura del pensiero, rapporto con l'ideologia, valori e loro gerarchia, etc. Difficile però non ricordare che all'ombra del "grande orso" sovietico si sono consumati alcuni dei grandi sogni del nostro tempo. Quando parlo di sogni intendo principalmente le scelte, la vita, il pensiero e le azioni di milioni di singoli individui ispirati ognuno dai più sinceri ed onesti, dai più alti ed onorevoli sentimenti di giustizia sociale. Ho conosciuto in Mozambico una coppia di bianchi, poco più che trentenni, figli di ex coloni portoghesi che nel '74, al momento di scegli ere hanno deciso di tagliare le loro radici, perdere la cittadinanza portoghese, e con essa ogni previlegio a cui fino a quel momento erano abituati, per acquisire la nazionalità mozambicana e vivere in un paese in cui tutto lasciava intendere si stesse consumando uno degli ultimi grandi sogni. Erano solo due fra i tanti di una generazione, persone squisite, di grande umanità, che avevano scelto di essere partecipi di una grande speranza che si sarebbe potuta realizzare. Quanti esempi ancora si potrebbero fare? La loro speranza era generata dalla vittoria della lotta pluriennale contro il colonialismo portoghese, resa possibile dal tangibile aiuto sovietico. Qualcosa di molto simile era già successo nei primi anni '60 in molti paesi dell'allora Africa coloniale e nella stessa Cuba, è successo in Angola ed in Vietnam, oltre che inMozambico, intorno alla metà degli anni '70, è successo in Rhodesia (oggi Zimbawe) che ha concretizzato il governo della maggioranza nera nel 1980. pressoché ovunque bellissimi sogni si sono poi trasformati in storiche delusioni e spesso la radiosa speranza ha partorito orrendi mostri. Quel che rimane negli individui di tutto ciò che è il ricordo vivo ebbrezza ipnotizzante e moltiplicatrice di energie che nasce dalla grande illusione. E questi grandi sogni, tutti ed altri ancora, hanno potuto essere vissuti sotto la protezione ed il concreto aiuto dell'URSS. E' vero certo che sotto la copertura dei migliori ideali di giustizia si sono consumate orribili tragedie. Questo è ciò di cui sempre dovremo tener conto guardando al futuro. Ma non per questo si può rimuovere il desiderio di illusione, il bisogno di utopia. la necessità di sognare. Certamente, se vogliamo ripetere l'espressione usata da Giovanni Zauli sul numero scorso di questo giornale, mi vergogno se le mie scelte politiche ed ideologiche, se le mie azioni collettive ed individuali hanno oggeuivamente contribuito ad avvallare il consumarsi di storiche tragedie. Non per questo mi sento capace di smettere di sognare. Rodolfo Galeotti A MIO PADRE PASSAVO''KOLIMA'' e paradossale situazione di un comunisLa che pensa e riflette sulla politica e sull'azione politica individualmente o meglio all'interno di una sfera individuale. Oggi questa situazione è condivisa da migliaia di comunisti, credo che sia una buona cosa e che porti la ricerca di nuove forme del- !' agire politico collettivo nel superamento della forma-partito comunista classica, storicamentedeterminatae tuttavia così pervasiva del sistema politico italiano. gionevole risuolare le vecchie scarpe se le ultime si sono rotte; ma io dubito che, se gli scarponi del comuni5mo storico si sono rivelati di cartone, la sinistra possa pensare di affrontare i rigori del lungo inverno che la attende con i mocassini liberaldemocratici. Il volto orrendo che il nostro paese sta assumendo dovrebbe farci seriamente riflettere. Cari amici, mi avete proposto 4.000 battute per parlare/testimoniare(?) della mia problematica identità comunista; troppe e troppo poche. Fra la semplice e sbrigativa "riaffermazione" e la puntigliosa "ricostruzione/dimostrazione" delle ragioni di una tale identità c'è uno iato incolmabile in 4.000 battute. Dirò allora qualcosa sui due problemi che secondo me tengono aperta la questione comunista: iI problema del rapporto dell'uomo con la storia, intesa come luogo del divenire del le formazioni sociali, ed il problema della In alto a sinistra: manifesto rivoluzionario russo del I923. A fianco: mcmifesto e/e11oraledemocristiano del 1948. liberazione dell'uomo. Due concretissime questioni che mi sono state insegnate e consegnate quando, ancora bambino, sulle ginocchia dei miei nonni ascoltavo le storie delle rivoluzioni in Russia, Cina, Cuba, Vietnam e sentivo parlare del colonialismo, di Lumumba. I miei nonni, l'uno muratore per 40 anni emigrante all'estero e l'altro contadino che non ha mai po seduto un mq della terra che ha lavorato, fra di loro diversissimi per temperamento caratteriale, avevano in comune l'aver combattuto nel grande macelcrollo, ma di stile Cari amici, se potessi credere che, come scrive Giorgio Calderoni. è tempo dicominciare a sperare nel- !' affermazione di: "verità", "tolleranza". "valore della persona•·, ''non violenza". da ottenersi ancorando i alla facile base di un sano scetticismo, non esiterei un istante a raccomandarvidi organizzare un incontro fra iIvostrocollaboratoredel lepri mecolonne di pagina 2 e il vostro intervistato delle pagine 6 e 7 dell'ultimo numero di Una città. affinché il· primo catechizzasse il secondo. Purtroppo non credo a una qualunque efficacia della ricetta Calderoni, sia riguardo all'universo mondo. che nei confronti del neo-vergognoso, per cui mi astengo da ogni consiglio e vi chiedo ospitalità soltanto per un paiodi osservazioni. Poiché !"intervista a Giovanni Zauli è stata tenuta ul piano del vissuto. proponendo ai lettori un veroe proprio strazio esistenziale, non si può non vedere che v·è in essa qualcosa che vanifica l'ira e lo sdegno, gli anatemi e la politica che esprime. Salta infatti agli occhi che se il mondo è cambiato, e l'intervistato lo sa, questi invece non è cambiato e non lo sa. Il rifiuto peggio che sprezzante che. a quanto egli stesso dice, Giovanni Zauli riservava agli altri e alle loro idee nel tempo del suo traviamento comunista (ai democristiani. ad esempio), ora che si è faticosamente installato sulla retta via lo riserva tale e quale ai comunisti (mentre "'riabilita'' idemocristiani: vedi simmetria!). Come si fa a prenderlo sul serio? Ma anche voi, cari amici, cosa vi succede. se per essere in consonanzacol crollodel comuni movi costringete. con 1·intervista a Zauli. a far fare al giornale una così plateale caduta -un vero crollo- di stile? Cordialmente. Alfredo Rose11i fede e storia "Il nascere e 1·evolveredi un movimento. marxista o nazista. che ha in è le caratteristiche del ··puer"·,!"impetuosità.la violenza. l'animosità. la forza... le tendenze di rinnovamento spirituale totale, possono degenerare nel polo opposto, (nel "senex". n.d.r.) nell'irrigidimento totale. nella difesa totaledelle idee espresse. nelI' imposizione agli altri delle stesse idee..:· (dall"intervista a Oscar Laghi,n.5di "Unacittà").11"senex comunista·· persiste nella difesa totale delle sue idee, non vuol nemmeno mettere in discussione le realizzazioni pratiche delle medesime. insiste nella sua "fede··. nella pura contemplazione dell"ldeaperfetta. Inoltre paragonare Lenin allo Zar. far derivare il comunismo russo dall ·autocrazia zarista è come dire che iImaoismo è nato dall'assolutismo imperiale cinese. che Fidel Castro è 1·erede di Batista. La Storia è una scienza non una religione. Giorgio Bacchin lo della prima guerra mondiale, una alfabetizzazione faticosamenteconquistata fuori da ogni scuola, l'antifascismo e l'essere comunisti. li loro "e noi faremo come la Russia" cos'altro era se non l'ostinazione a pensare che era possibile '·cambiare lo stato di cose presenti" e la rivolta contro le vite, loro e di altri milioni di uomini, maciullate nella pura sopravvivenza (oggi magari iperconsumista) e private di senso nei rapporti economici e sociali esistenti. Quando sono cresciuto la mia militanza comunista non l'ho falla nel PCI, ma in Lotta Continua. Criticavamo un PCI revisionista e stalinista, subalterno e coerente con l'intero sistema politico che ci costringeva con ogni altra forma autonoma di opposizione sociale o ali' invisibilità ed all'ammutolimento o al vicolo cieco della violenza armata. Definivamo i regimi dell'est burocratici e toLalitari, la politica estera sovietica socialimperialista. Sulla Russia mi scazzavo con mio padre e gli passavo Kolyma e il tiburtino redivivo; leggevo Buio a mezwgiorno, Omaggio alla Catalogna, Memorie di un rivoluziona rio, Arcipelago Gulag, Schiuma della terra, e sono tornato a rileggerli nei mesi scorsi. Dalla fine di quell'esperienza mi sono ritrovato nella curiosa Questa digressione di carauere personale per dire che I' elaborazione del l'esperienza storica del comunismo non data da oggi, come ricordava Alfredo sul numero scorso del giornale, e che sta ali' interno del campo di efficacia del- ! 'analisi marxiana, se non si confonde quest'ultima con la vulgata dogmatica che ci è stata propinata per decenni. Quegli strumenti interpretativi, che non sono il Verbo, costituiscono ancora una parte essenziale della trama su cui costruire l'identità della sinistra, se con questo termine intendiamo quella parte che spinge il cambiamento della formazione sociale nel passaggio dal regno della nece - sità a quello della libertà. Può sembrare paradossale questa affermazione nel pieno di una campagna ideologica travolgente (nel senso marxiano di falsa coscienza) che attribuisce ali' esperienza storica dei regimi dell'est tuui i mali del secolo fino alla responsabilità del fascismo e del nazismo e può sembrare raE se la rifle5sione vuol essere seria credo che di fronte al disastro di quei sistemi sociali non sia sufficiente affermare che l'importante è essere stati comunisti in occidente e l'aver chiuso con quella storia, con quella identità. Il qui e ora del mondo così com'è che cosa ce ne facciamo? Rimuginando e soffrendo sui comportamenti delle forze politiche e degli uomini di sinistra in questo paese mi sono incesantemente imbanuto su quello che è il pilastro di tutta la cultura politica di questo paese: il trasformismo. Sono andato a rivedermi un po' di letteratura in proposito e ne ho approfittato per curare la formazione politica di mio nipote ventenne; così gli ho regalato I Vicerè di De Roberto,/ vecchi e i giovani di Pirandello, La signora A va di Jovine ed Il Ga11opardo di Tornasi di Lampedusa; tutti forse dovremmo rileggerli. Chiudo rubando l'uso di una metafora impiegata qualche anno fa su Anarchismo: il macigno è crollato a valle, non ci resta che riprovare, come Sisifo, per l'ennesima volta a risospingerlo in vetta al monte. Roberto Gabrielli TUTT'ALTROCHEODIO E' così difficile comunicare senso nella nebulosa dell' indistinto e dell'ambiguità postcomunista, districarsi nel paradosso di vi vere senza potersi estraniare dall'insieme delle relazioni sociali (il vincolo dell'interdipendenza!) e di contro essere presentato come individuo libero da ogni legame e connessione sociale. Come potere aprire un varco nello stato di impotenza sapendo -rispunta il vecchio Marx- che non avrebbe esiti il tentativo di riscattare la parola comunista dal ricordo dei regimi di oppressione se non rigenerandosi come movimento reale che critica, vuole cambiare la società liberandola da tutte le forme di alienazione (dal dominio delle cose sull'uomo). Intanto il fallimento del socialismo reale, nella sua versione storica statalista e autoritaria, fa scomparire una falsa alternativa, ma è preoccupanteil vuoto trategicodella sinistra in questo mutamento di fase, l'incapacità stessa di governare frammenti della città sociale e sostenibile (si coltiva la paura dei diversi e si alimentano gli ecofurbi). Si può esistere come alterità diale1tica dentro-contro l'egemonia della cultura diffusa e penetrante della volontà di potenza e dello scambio mercificante del capitali mo reale, che destruttura classi e soggetti sociali, tende ad annullare ogni dimensione storica? Perché non ripensare ad uno spazio vitale di esistenza che renda visibili non solo quelle figure umane subalterne identi ficabil i nella categoria di classi sfruttate ma anche quelle moderne dell'area vasta degli esclusi e dei nuovi poveri? E ragionare, progettare su come un'alterità sociale dialettica può farsi creativamente senso di liberazione, distanza criLica da quella idea borghese -era vincente- di formare individui neutri in continuo movimento entro un sistema di consumismo esasperato e di producibilità senza fini. Neutralità garantita anche dall'avanzare un disegno debole sui diritti dei cittadini perché predicato sul piano giuridico fonnale senza la volontà di connetterlo alle condizioni di disuguaglianza reale e al riconoscimento della diver ità della persona nel lavoro e nella società. Ed in termini più espliciti: ono possibili una cultura non imitativa, un progetto (non un modello) che faccia vivere quel- !' interrogativo antico, chi e come rappresentare, riconoscere dignità a quelle energie oppresse ed emarginate? Non è forse un tema centrale della riforma della politica l'impegno a favorire la presenza di una autonomia ideale e politica delle classi subalterne.come possibilità di attivare forme di autoregolazione della società dopo la regressione delle istituzioni statuali e il depauperamento delle risorse colletti ve da parte delle classi dirigenti? Sono interrogativi che segnano una scelta di campo e l'acquisizione era, in questo passaggio d'epoca, di nuove coordinate, nuovi miti: soprattutto il rifiuto della guerra e l'assunzione della politica come critica, smantellamento del potere e dello Stato come macchina separata, come atto (anche nella sua parzialità) straordinario di amore e di sacrificio per la liberazione umana ed insieme per la salvezza della natura. Tutt'altro che alimentare odio e terrore. Perché anche i capitalisti, la controparte avversaria, piegati anch'essi dalle logiche perverse dell'accumulazione per l'accumulazione della competizione totale, non potrebbero riconvertir i a soggettività umana non riducibile a cosa? Naturalmente una criticità forte, positiva, tesa ad una alternativa di si terna per tutti, agisce, non nellaconfusionedei ruoli e del mero pragmatismo, ma nel conflitto e nel!' opposizione sociale sapendo trarre vantaggio dalla cri i strategica di una concezione miLica, tecnocratica, del progresso come accumulazione irreversibile di verità. La storia deve continuare per tentare di e ere altro, individui liberi e coscienti, democraticamente a sociati. Giampaolo Basse1ti e in penultima------------ MI VERGOGNER_O' DI runa QUESTO? contro il pentitismo di sinistra di Andrea Brigliadori RIPENSAREL'O.N.U.SEMINARIODISTUDIO pressoSala Albcrtini - Piazza Saffi - Forlì - ore 17,30/19,30 Manedì 19110,,.9/: L'attuale assetto politicoistituzionaledcll'O.N.U. Relatore:Prof. 1assimoMagagni - Univ.di Bologna. Ve11erdì 22 1101·.9!: Il ruolo delleO.N.G. Relatore:Dott.Gianfranco Cattai -Rc,p. rapponi intema1ionaliFOCSIV Lunedì 25 no,,.9f: Le propo,tc di riforma e modificadcll'O 'U. Relatori:Prof. Antonio Papisca - Univ.di Padova. Prof. MassimoPancbianco · Univ.di Salerno.SalvatoreSenese e Luigi Fcrrajoli - Fondai.ioneLelioBa,so. Venerdì291101•.9/: Diritti umani e diritti dei popoli.Relatore:Prof. Anna Maria Gentili. Univ.di Bologna. a curadel Centro di Documcnta,joncInternazionale d, Forn ,n collaborazionecon Unh•crsit/ldi Bologna· facoltà di ScienzePolitiche • Patrocrnwdel Comunedi Forlì

Da sempre gli esseri umani guardano le stelle. Guardando le stelle è nata lafilosofia e dal desiderio di avvicinarvisi è nata la scienza. Avvicinarsi alle stelle ha significato per molto tempo "progresso", essere oggi migliori di ieri, un po' meno animali ed un po' più simili a Dio. Lo Sputnik è stato il primo tentativo riuscito di aprire una strada verso le stelle, una strada che ci facesse dei. Ma lo Sputnik non è arrivato alle stelle e la società che lo generò è crollata. Ora altri fanatici del progresso si rallegrano. Non hanno dubbi che sarà il loro tentativo a riuscire. Che macchine, potenza e ricchezza saranno il più radioso degli avvenire. PARLIAMO DI NOI, NON SOLO DELLA RUSSIA I gravissimi problemi sociali e mondiali per la risoluzione dei quali è nato e si è sviluppato il comunismo sono ancora oggi tutti sul tappeto, semmai aggravati su più ampia scala. Problemi di sottosviluppo, di ignoranza, di fame, di ingiustizia, di rapina privatistica (feudale o "moderna") delle risorse. Diciamoci la verità: il proteiforme capitalismo internazionale ha saputo occupare il campo e tenere la scena del mondo, anch'esso come il comunismo con costi molto alti; il comunismo non ha invece saputo autoriformarsi, trascendere se stesso, e si è schiantato fragorosamente al suolo per cedimento strutturale come un vecchio aeroplano-carretta con ambizioni da jet intercontinentale. I suoi costi umani, altissimi, sono perciò oggi, all'atto del fallimento finale, venuti tutti in riscossione: non sono stati condonati a causa di una "ripresa di sistema", che non ha pietà per i vinti. E' morta dunque, col comunismo, semplicemente (dal punto di vista logico, anche se drammaticamente da quello storico) una "falsa soluzione" a quegli stessi problemi per i quali il comunismo appunto nacque. E non esistono all'orizzonte teorie complessive e prassi sperimentate e consolidate che siano all'altezza di una qualche soluzione possibile agli stessi immensi problemi. Ergo: i comunisti e i postcomunisti hanno certamente di chedolersi, ma tutti gli altri in buona fede non hanno di che vantarsi. Molta gente, e io tra questi, che non si è schierata aprioristicamente né con i primi (gli orfani del comunismo) né con i secondi (i fintivincitori), ma che sente anche in sé il dramma storico che viviamo, si pone oggi interrogativi e domande per una nuova partenza e riqualificazione del proprio impegno sociale e politico. Credo sia un fenomeno crescente, quello della liberazione di potenziali energie così dalle vecchie appartenenze come da universi concettuali ormai rapidamente sclerotizzatisi. Parliamo dunque anche di noi, e non solo della Russia. Parliamo semmai del comunismo italiano, che è stata una variante ricca ed entro certi limiti autonoma del comunismo internazionale. Viviamo oggi nel pieno del polverone delle macerie crollate (e non si può certo dire che l'edificio comunista italiano sia rimasto indenne dal crollo generalizzato), e ciò può forse viziare il giudizio. Occorre tenersi innanzitutto lontani dalle sentenze sommarie e dai peana liberistici dei neoanticomunisti, di cui abbonda di questi tempi la nostra stampa. La cosa migliore secondo me è tenere in mente, nettamente e in forma distinta, il mondo umano delle persone concrete, dei lavoratori specialmente, che nello strumento partito più che in un "comunismo" astratto hanno fatto affidamento, e, sull'altro piano, il disegno storico, politicostrategico, del comunismo italiano. Su entrambi i piani, a mio awiso, v'è un nucleo potenziale, umano e politico, degno di non essere disperso, che va però trasmutato per poter essere conservato. I primi problemi, quelli degli ex comunisti senza più il movente e il collante sintetico della "prospettiva" (più che dell'ideologia) vanno considerati con partecipazione-direi con sincera pietas- i secondi, quelli del patrimonio politico accumulato dall'italo-comunismo, invocano invece una loro rilettura storica che sia dawero laica e non propagandistica. C'è viceversa oggi, mi sembra, indifferenza e insensibilità per quanto riguarda il disorientaef oJrQalecacoGe fri°o concrete (ma possono le macchine partitiche esprimere pietas?) e isterismo, superficialità, desiderio di rimozione per quanto riguarda il secondo piano di problemi. Detto senza alcun nostalgismo: la figura e l'opera di Enrico Berlinguer può forse sintetizzare quel che intendo dire; egli seppe essere convincente: trascinò a sinistra il nuovo voto giovanile nel '75, ebbe il coraggio di dire i suoi no a Mosca e i suoi sì ad un certo "occidente", seppe enucleare un disegno di "grande trasformazione" che se attuato avrebbe potuto battere anche tutti i residui, le contraddizioni e doppiezze interne che trascinava con sé la tradizione comunista: velleità egemoniche, boria dei funzionari e dei politici di professione, romanticismo post-sessantottesco, dirigismo sulla società civile, prassi consociative. Il tributo degli italiani alla sua figura, immaturamente scomparsa, nelle europee dell'84 resta negli annali della storia del nostro paese, non puramente come gesto emotivo e illusorio ma come volontà cosciente di rinnovamento e moralità pubblica. E' attuale, è trasportabile ai giorni nostri, il messaggio di Berlinguer? Certamente no, non più, poiché il paese e il mondo sono cambiati tanto da allora. Ma è certo che rimane vivente, benché inattuale, la sua lezione di rigore e responsabilità. Nonaltrettantoconvincentemi pare,detto questa volta senza alcun "disfattismo" ma con tutta onestà, la politica dell'attuale gruppo dirigente Pds. Quando Occhetto dichiara al TG 2 nei giorni dello sventato golpe in Urss: "sì, è caduto il comunismo e noi ne siamo contenti", egli rivela, mi pare, un'interiore, sconcertante, fragilità. Forse dawero le spalle del Pds sono ormai incapaci a sopportare il peso della storia e il filo delle responsabilità. Ma la storia, un po' come la natura, non fa salti. L'infelice dichiarazione di Occhetto fa amaramente il paio con quella più recente del segretario cittadino Pds di Firenze che saluta come "simbolo di cultura progressista" la titolazione d'una sezione fiorentina del Pds ai fratelli Marx: "ciò significa che nel Pds non c'è più un solo Marx". Credo di essere persona di spirito e non priva d'ironia, ma questo facile passaggio, dalla tragedia alla farsa, dalla severa militanza alle spallucce e alle battute, dal togliattismo al veltronismo, mi pare francamente inaccettabile. Bettino Craxi, uomo politico quanto mai abile nel capire e nello sfruttare le debolezze altrui, dopo aver ricevuto nel suo camper alcuni dirigenti del Pci, ora dirigenti Pds, confidò in giro di essere rimasto colpito dall'ignoranza in questi della loro stessa storia. Qui sta il punto. Su un diverso piano sta la situazione nostrana, a Forlì, dove il Pds appare ormai semplicemente un Pci imbruttito, rachiticamente ridotto a macchina degli amministratori e dei funzionari. Per me, e per tanti cittadini come me, credo, più che inpassato, una "scatola nera", che vorrebbe comandare amministrando, ma che evoca estraneità e distanza. Giovanni Tassani errata corrige Il nome del prof Caro è Luciano e non Renato, come da noi scritlo per un errore di batlitura. Ce ne scusiamo vivamente con l'interessato e coi /et/ori. 1anco Rocco Ronclti intervista Ivan %affini FRASFORMARE 1A VIFA Ivan Zattini,ventotto anni, si è laureato in semiotica con Umberto Eco e ha proseguito gli studi occupandosidel pensierodel filosofo americano Charles Sanders Peirce. Giovanissimo, ha militato nel PCI. Delle sue idee sulla crisi della politica, sulla finedel comunismoe sullanecessitàdi unaconversione etico-filosofica, ci parla in questa intervista sotto forma di dialogo. Ti conosco soprattutto per la comune passione filosofica, ma ogni tanto mi hai parlato del tuo passato politico. Cosa ne pensi oggi? E' difficile dirlo, perchè in realtà vi èunacontinuità fra i due momenti. Negli anni del liceo -erano quelli del delitto Moro, dell'elezione di Reagan, dello "strappo" di Berlinguer- mi avvicinai alla FGCI e al PCI quando ormai era chiusa una stagione politica ben precisa. Vi entrai per scelta premeditata, non per spinta emotiva. Credevo nell'idea di Marx sul comunismo come "società di scienziati", in cui gli uomini, liberi dalle preistoriche necessità materiali e dagli egoismi insulsi, avrebbero potuto dedicarsi alla ricerca delle cause, alla bellezza, allo "sguardo del saggio" sul lecose.Era un'idea greca, platonica, di una città di spiriti liberi. Non vedevo niente di buono nel concentrarsi sugli aspetti pragmatici del cosiddetto "buongoverno" perdendo di vista ciò per cui le necessità materiali andavano risolte. Non ti dico chemi interessavanole duecentomila lire in più nella busta paga dell'operaio, fini a sestesse,perchè non era così. Cosasene fa, sepoi ci compra lo Swatch o è costretto a mandare i figli a scuola con lo zainetto firmato? Oltre la partigianeria, vedevo nei comunisti, in parte, la sincerità idealistica che cercavo. Dovevo rimanere poi disilluso, più che altro rispetto a me stesso. Ma come andò? Sembra passato un secolo da quegli anni. Nell'80, a 17anni, partecipai a Reggio Emilia, a un corso estivo; la cosiddetta "scuola di partito", dove per un mese si ascoltavano relazioni suargomenti ideologici e ci si esercitava nel "dibattito", prolissi sofismi verbali in cui bisognava cercaredi fare bella figura. Ad altri andò peggio: tre o sei mesi in Unione Sovietica, nei rigidi istituti del marxismo-leninismo, per poi tornare indottrinati fino al collo e con una strana concezione della "astuzia della ragione" hegeliana e della ragion di stato. Ricordo questo gruppo di ragazzi che si preparava alla "carriera". Ci fu persino una scommessafra un romano eun torinese su chi sarebbe arrivato prima al comitato centrale. Fu un'esperienza abbastanza sconvolgente. In seguito sono statoanchefunzionario perdue anni, segretario della FGCI, mentre studiavo. Non voglio accodarmi alla facile processione dei "pentiti", oggi è fin troppo facile e quasi ridicolo, anche se lasciai tutto in tempi ancoranon sospetti. Oggi però, voglio dirlo, ripensando anche al l'esperienza compiuta, anche se breve e superficiale, ho un'idea categorica, che può sembrare quasi crudele, della politica. Ma in fondo è ancora un'idea romantica. La politica è soprattutto un gioco di passioni, spesso le più basse, schermate dall'idealismo, come sapevabeneMachiavelli. Non penso che se non la facciamo noi la fanno altri per noi, forse peggiori di noi. E' molto chiaro, non c'era bisogno del crollo del comunismo per capirlo. Questo è un inganno bello e buono del sistema. Essosi sorreggesec'è una spinta alla "partecipazione", e il prezzo da pagareè sottostare alle sue regole. Per tanti anni lngrao si è ingannato con la cosiddetta "estensione della democrazia amacchia d'olio". Se noi facciamo politica non cambia niente, poichè per giungere a poter determinare veramentequalcosadobbiamo sottostarea tanti e tali compromessi, ingoiare tanti rospi, esercitare tanta furbizia e faccia tosta che del nostro idealismo resteràben poco. Senon si agisce sulle coscienze, a cominciare dalla propria studiando e ricercando, non cambiaproprio niente.Seuno vuole la società di scienziati del comunismo, in cui il potere e lo stato non sono più necessari, perchè aspettare? lo dico, comincia a fare tu stesso lo "scienziato": per porsi la domanda sull'essere, come l'ha chiamata Heidegger, non c'è bisogno di aspettare nessun sole dell'avvenire, poichè l'essere è adesso come sarà allora. La procrastinazione di tale domanda è l'unica conservazione reazionaria che ti impedisce di vedere. E la domandapuoi portela essendoun politico o meno, con Andreotti 'capo del governo o meno. E' una prospettiva radicale, forse intemporale, ma è l'unica che riesco a vedere. Cerca, si può sempre cercare: scoprirai in pochissimo tempo tante di quelle coseche non ti immaginavi nemmeno. Alla ricerca si aprono interi universi. C'è un testo indiano, ad esempio, fra le innumerevoli immense ricchezzeacui si può accedere,se si è interessati, in tutte le culture del mondo, che descrive per molte pagine per filo e per segno la situazione attuale, chiamata del Kali Yuga, l'epoca di Kali, dell'illusione. Vi è una descrizione particolareggiata dei metodi della politica, e tante altre cose. E' un testo di 4000 anni fa, lo Srimad Bhagavatam. E' solo un esempio. Come ci siamo detti altre volte, di fronte alla soddisfazione interiore donata dal pensiero, la politica è una pena. E' un po' la prospettiva dell' "impolitico" ... Certo, la convinzione, espressadalla migliore cultura europeadel 900, che il vero potere, la "sovranità" di cui, tu m'insegni, parla Bataille, risiede nel completo distacco dalla "volontà di potenza", aqualunque livello essavenga espressa.E' I' "impolitico" di Benjamin, di Thomas Mann, di Simone Weil. D'altra parte, proprio quando stavo lasciando il PCI, lessi l'autobiografia di Gandhi, il politico più grande del secolo, come si converrà fra i posteri. Egli dice che la politica, nella sua vita, è stato un incidente CASSARURALEDARTIGIAN-AFORLI' NEL CUORE DELLA CITTA' nella ricerca della verità. Egli è stato un politico (o chiamato così dagli altri) per tener fede alla ricerca della verità: non c'è definizione migliore dell' "impolitico". D'altra parte mi hai parlato dell'influenza di Nietzsche nella tua formazione. Nietzsche è statomolto importante. E' una lettura che non può lasciare indifferente. Egli, come dice, scrive col sangue,e leggendolo si scopreveramente che il sangueè spirito. Consiglierei la lettura di "Genealogia della morale" e della "Seconda Inattuale" a tutti i politici: finchè non ci si libera dello storicismo è impossibile vedere obiettivamente non solo gli avvenimenti, ma la propria stessavita. Tu ti occupi di filosofia occidentale e orientale, ma hai studiato semiotica con Eco, che mi sembra più indirizzato verso una concezione positivistica del linguaggio. Coma mai questo cambio di rotta? In realtà continuo ad occuparmi di semiotica. Eco mi ha avvicinato allo studio di Peirce, il fondatore della semiotica, che, come sai, viene sempre più considerato un filosofo alla pari di Husserl, di Heidegger. E' impossibile ridurre in uno slogan il suo pensiero, ma egli afferma una cosa a prima vista paradossale,che però dimostra in migliaia di pagine che in pratica insistono sullo stessoproblema, l'origine del senso delle parole. La cosa è questa: le pietre "pensano", ossia qualsiasi cosa è in continuità con la coscienza.Occorre molto tempo per parlarne a fondo, e forse è necessario affaticarsi sul testo per mesi, ma ti rendi conto che da qui alle Upanishad il passoè breve. In realtà la cultura a compartimenti stagni non èmai esistita. Le distinzioni fra filosofia orientale ed occidentale, o fra i vari "ismi", sono comode finchè non si cerca di portarsi al livello della visione fenomenologica. Gli occhi e la lingua ce li hannotutti, e tutti, vedendo "vedono" e parlando esprimono un senso,anchesecambia il suono.Gli incasellamenti sono procrastinazioni. Chiamo qualcosa idealismo o materialismo perchè così lo metto in un posto dove so ritrovarlo e intanto eludo la suadomanda. Ogni cosahaunadomanda che la salva dalle reti concettuali. Parliamo allora di salvezza. La tua è una prospettiva escatologica, forse religiosa? Anche qui con le etichette non si capisce niente. Da che cosaè dato il discrimine fra un religioso e un ateo?Seè una posizione culturale, o peggiojdeologica, o l'appartenenza a una tradizione, è ancora una maschera.Sesi dice chesi èatei in conseguenza di un giudizio sulle religioni storiche, non ci si è in realtà pensatobene. Sesi dice di esserereligiosi in virtù di un rimando generico all'inconoscibile, si è un po' codardi. Sia l'ateo che il religioso, nel momento in cui parlano, dicono "io". E' questo I' essenziale che ha fatto quasi impazzire Husserl. Ogni prospettiva escatologica deve fare i conti con questadomanda: chi è che dice "io"? Tutti, per nominare per porsi la domanda sull'essere non c'è bisogno di aspeffare nessun sole dell'avvenire, poiclté l'essere è adesso come sarà allora se stessi, dicono "io". Allora tutti, dal punto di vista della coscienza, hanno lo stesso nome. Non sono risposte, ma interrogativi. La divinità deve avere a che fare con l'identità. A ognuno scoprirlo. Il cattolicesimo sta scomparendo perchè nei secoli ha occultato queste domande, genuinamente filosofiche, che sono invece testimoniate da centinaiadi documenti del tempo di Cristo e dai Testamenti, nonostante le manomissioni che questi hanno subito nel tempo. Questedomande non sonomai morte, sono vissute nascoste dietro l'ufficialità del binomio Potere-Religione che le nascondeva adessocome allora. Come vedi, la verità continua ad essereper me sempre rivoluzionaria, autenticamente rivoluzionaria. La Creazione stessaè una incessante rivoluzione. Tutto ciò è molto distante dal berlusconianismo e dall'immagine di successo e di autenticità della comune "chiacchiera" ... Ma èmolto vicino ali' uomo, io credo. Crollino completamente le ideologie, speriamo siano spazzati via anche i rimasugli più piccoli, per restare senza paraventi e vedere il fumo che si disperde anche nel nostro "grande" Occidente, che è sempre al tramonto, come diceva Spengler, per sua stessa costituzione. Perchètutto questo, gli Andreotti, i processi del lunedì o del giovedì o che so io, la demagogia, la girandola di opinioni e di interviste e dibattiti, le mode di costume eculturali, è tutto fumo, non ne resta niente in un batter d'occhio. E il grande Carnevale in cui più si viene coinvolti nella partecipazione più si dovrà scontare la delusione mortale della fine della festa, e la festa è la propria vita trascorsa. Direi di più: è la veste di morte della Tecnica. Milioni di oggetti di cui ci si riempie la casa e la testa, che non hanno altro scopo che procrastinare la propria scomparsa facendo impiegare del tempo e facendo credere che lo si sta impiegando in qualcosa di "moderno" e di "prestigioso". Ma c'è sempre, alla fine, qualcosa che richiama all'autentico, che mostra gli spettri e disperde il fumo, e questo, credimi, è il vero miracolo. O forse, come ci siamo detti altre volte, è la radice del I' illusione. ~ Natura I f·. n 1n1ta ALIMENTINARMONIACONLANATURA Frutta e verdura, fornrnggi, pane, biscotti integrali, latticini, pasta, prodotti senza zucchero e/o sale, alimenti e cosmetica prima infanzia, detersivi ecologici, cosmesi naturale, macrobiotica, ecc... MINIMARKET Via Ravegnana 81/c Forlì - Tel. 796039 UNA CITTA' 3

CERTOIL MODO DI VIVERE persone ignoranti, che non hanno un bagaglio di vita. Le persone istruite rispettano gli orari anche in Africa. Quando parlo di persone istruite intendo con un'educazione. Io qui in Italia ho visto cose che non si vedranno mai in Senegal, in Africa in genere: ho visto in una famiglia una madre che faceva da mangiare, lavava i piatti, faceva tutto insomma e le figlie stavano là a chiedere: "mamma fammi questo", "mammadarnmiquello",eloro non facevano niente. Questo non succede in Africa, non si vede mai. Se io sono tuo fratello più vecchio di 2 anni tu mi devi rispetto. Mi devi rispetto per tutta la vita. In Italia neanche si salutano. Se io sono in casa seduto ed entra mio fratello maggiore, prima lo saluto e gli porgo lamano, e poi mi alzo per lasciargli il posto. QUI E' MOLTO DIVERSO due senegalesl di Dalcar, clte lavorano a forli ci raccontano delle differenze culturali, del loro tempi là e qui, dello sfruffamento delle donne e del rispeffo dei vecclti Di dove siete e come vi chiamate? I.: io mi chiamo Ibrahim, ho 42 anni e sono di Dakar (capitale del Senegal, ndr) fatto per 16 anni il poliziotto, la sua casa, il suo lavoro, la sua famiglia, e poi di col po è I icenziato. L'unica cosa che poteva fare era andare a cercare lavoro, cercare di aiutare la famiglia. Anche perché un poliziotto licenziato in Senegal praticamente non può più lavorare. un vantaggio. Per esempio una famiglia con 7 o lO figli quando arriva la stagione delle piogge ha la possibilità di avere più prodotti. Così fanno dei figli per avere più cose. Quindi più figli, più ricchezza. A.: esatto, perché i figli aiutano a lavorare. In città si fanno già per me è bella così. In Senegal il più vecchio, il padre o il fratello più grande se il padre è morto, è il capofamiglia, è lui che decide cosa si deve fare. Qual è la difficoltà più grande che avete trovato in Italia con la gente? A.: iomi chiamo Abdullani, ho 29 anni e sono anch'io di Dakar. Dove lavorate qui a Forfi? I.: io lavoro da qualche mese al Formificio Romagnolo. Ho lavorato anche in altre aziende, ma sempre con contratti di 2 o 3 mesi, perché qui in Italia se hai più di 29 anni è difficile trovare un lavoro. Per questo può capitare che fra uncontratto e l'altro rimani uno o due mesi senza lavoro. E' molto difficile adesso trovare un lavoro. • /.: l'ignoranza. Per gli italiani noi siamo tutti uguali, tutti gli africani sono dei "vu cumprà". Questo qualche volta dà fastidio. Quando discuti con un italiano ti accorgi che qui si conosce poco la storia degli altri Paesi del mondo, che si conosce solo la storia d'Italia. Anche questo può dare fastidio. Però il popolo italiano è veramente tollerante. lo vedo i miei fratelli africani quando vado a vendere nelle città, il loro comportamento a volte è fastidioso e gli italiani invece sopportano molto bene. Questo è importante per me. I problemi che noi abbiamo sono il lavoro e la casa. Quando rispondiamo ad un annuncio che offre una casa in affitto e ci presentiamo ad un proprietario la risposta è sempre che lacasa è già stata data ad altri o che serve per suo figlio. A.: io lavoro con un contratto a tempo indeterminato nell'azienda S.S.S. di via Macero Sauli dove si lavorano materie plastiche. Sono lì da un anno e sette mesi. Ibrahim, quando sei in cerca di lavoro ti rivolgi all'ufficio di collocamento? I.: sì, io vado sempre là. Loro mi trovano il lavoro. Voi lavorate in fabbrica. Vi sentite per questo diversi dai ''vu cumprà"? A.: sì, c'è differenza perché la maggioranza dei "vu cumprà" vengono dalla campagna. Non sono andati a scuola. Anche in Senegal fanno questi piccoli commerci. Noi abbiamo studiato. Appena arrivati in Italia, anche noi, per avere il permesso di soggiorno, per guadagnare da vivere, dovevamo fare i "vu cumprà". Tutti all'inizio fanno i "vu cumprà". Per mangiare dobbiamo lavorare. Che cosa facevate prima di venire in Italia? I.: io ho fatto 16 anni il poliziotto, e poi a causa di uno sciopero che abbiamo fatto, mi hanno licenziato. Da noi la polizia non ha diritto di fare sciopero perché siamo considerati militari. Così dopo quello sciopero il Governo ne ha approfittato per licenziare 2.000 poliziotti. Per questo sono venuto in Italia a cercare lavoro. Ma io mi vergogno a fare il "vu cumprà" perché non l'ho mai fatto e perché so che non è legale, non è permesso dalla legge italiana. L'ho fatto solo una volta perché non sapevo che altro fare e dovevo mangiare, dovevo vivere. A.: immaginate, uno che ha 11uanclo sono solo mi sento male Quanti fratelli hai? A.: mio padre aveva tre mogli e forse 13 figli. Secondo voi qual è la ragione per cui in Africa si fanno tanti figli? I.: la maggior parte della nostra popolazione è ignorante, non vuole andare a scuola, studia solo il Corano. Lavorano la terra, hanno più di una moglie e tanti figli e quindi molte braccia che possano aiutare a lavorare la terra. A.: per loro avere molti figli è GAIA ~wn6 JY~ ~rz-:çgadJt? V~ ~ 9&:r~ 6:Y .Xd V. C?.5'4.Yh-1177 Sonoapertele iscrizionia corsidi Shiatsue Yoga Lorenzo Gazzoni & C. s.n.c. 47100 Forlì - Via Mariani, 6 Tel. e Fax 0543/53661 meno figli, le ragazze non vogliono più fare tanti figli. Per esempio , una ragazza vuole al massimo 2 o 3 figli. In città ci sono problemi per mangiare, per la casa, per mandare tutti a scuola. Però in Senegal quando la casa è grande, la famiglia ègrande,con molta gente, l'atmosfera è bella. A me piace stare in mezzo a tante persone, sono abituato così, con tanta gente intorno. Mi piace stare sempre con I O o 20 persone, basta che ci sia rispetto. Quando sono solo mi sento male, sono triste. Quando c'è gente in casa è bello, si parla e si scherza, il tempo passa ... Quando si è soli il tempo non passa mai, si diventa cattivi. Ibrahim, la tua famiglia dipende da te economicamente? /.: sì, solo da me. Alla fine di ogni mese devo mandare i soldi altrimenti non mangiano. A.: in Senegal siamo abituati che quando uno della famiglia lavora deve partecipare alle spese della casa. Ognuno deve dare una percentuale del suo guadagno alla famiglia. Tutti devono farecosì. Iofacciocosì, fanno così i miei fratelli che sono a Parigi, così quelli che sono in Senegal possono vivere bene. Mandiamo i soldi ad un fratello che fa il maestro a Dakar, lui pensa al resto della famiglia, a pagare tutte le spese di casa. In Senegal si fa così, negli altri Paesi non so. La vita in Senegal 11uanclo ci si clà un appuntamento al 90% • • non Cl SI incontra mai Allora non sono poi così tolleranti gli italiani. /.: molti pensano che se affittano la casa ad uno o a due di noi poi ne arrivano altri dieci ad abitarvi e tengono la casa sporca, la rovinano. A.: per esempio, se arriva qualcuno dal Senegal a trovarci noi non possiamo dire che non può stare da noi, lo si deve ospitare. Peròc'èqualcunoche dà veramente fastidio, non piace neanche a me che sono africano. Non vogliono tenere bene la casa, dicono che oltre a pagare l'affitto non sono obbligati a fare nient'altro. Ame non piace. Coi vicini andate d'accordo? /.: i nostri vicini sono persone corrette, non abbiamo nessun problema con loro. Ci sono anche i nostri padroni di casa, ci salutano, qualche volta scherziamo, e basta. A.: io lavoro vicino a casa, lì intorno tutti mi conoscono, saluto tutti, specialmente i più giovani. Immaginate che un senegalese, che ha sempre vissuto in campagna, in una situazione più tradizionale, si trovi a lavorare in una fabbrica qui in Italia, con dei ritmi diversissimi, con gli orari rigidi, la fretta perenne. lo credo che possa trovare molto disagio. A.: i senegalesi sanno sempre REFORMHAUS ERBORISTERIA Dall'Agata Dr. Villa Dr. Lorenzo Marco Fitoderivati- Fitocosmesi Alimentipersportivi Via G. Gaudenzi - Tel. 21863- 47100FORLI' CO prima che qui la vita è molto diversa, così sono preparati. Si adeguano. Noi siamo un popolo che in 2 o 3 mesi, o anche meno, apprendiamo le abitudini delle altre persone. Ci adeguiamo. Ci sono degli italiani che pensano che i senegalesi siano gente che non sa niente della vita. Succede anche a me di trovarmi in queste situazioni. Così io faccio finta di non sapere niente per essere in vantaggio con loro. Se qualcuno pensa che io sono pazzo, faccio finta di essere pazzo. Io so quello che voglio, so perché sono venuto qui e li assecondo per raggiungere i miei obiettivi. • • 11u1 s1 va • sempre 1n freffa, si • mangia sempre alla stessa ora Per quanto riguarda il tempo, certo la maniera di vivere qui è molto diversa. Qui si va sempre in fretta. Si mangia sempre alla stessa ora. Noi possiamo mangiare anche a mezzanotte. Il tempo per noi non è così fisso. Quando si deve lavorare, si deve lavorare, però non è così fisso. Noi spesso misuriamo il tempo usando il "verso". Per esempio io posso dire che vengo a trovarti verso mezzogiorno; così s'intende che posso arrivare anche all'una, o anche alle tre. Questo è anche un problema. Io mi arrabbio sempre anche in Senegal. /.: noi, in Senegal, sul lavoro arriviamo ad un'ora indicativa. Se è tardi bisogna avere una scusa, ad esempio che il pulman era in ritardo, o che un figlio è ammalato o ha il mal di testa, eccetera. L'importante è parlare di queste cose e si è scusati. Qui non si tratta in questa maniera. In Senegal, quando si dà un appuntamento, al 90% non ci si incontra mai, questa è un'abitudine africana. Se uno dice che viene a trovarmi il giorno dopo a casa, io non l'aspetto, perché tanto è molto difficile che venga. Tu li aspetti a casa ma loro non vengono mai. 11ui si dice • • ciao e s1 • scappa via, eia noi bisogna dimostrare considerazione Qui non conta il mal di testa. A.: no, qui no. Questo è il problema di molti senegalesi, non rispettano il tempo. lo sento di rispettarlo bene. /.: lamaggioranza di quel Iiche non rispettano gli orari sono A.: questa differenza di educazione a volte crea qualche problema con gli italiani. Problemi di rispetto. Qui, chiunque si incontra per strada si dice "ciao!", o "buongiorno!", e si tira dritto. Ma da noi quando incontri una persona considerata (un amico, un famigliare, un collega) ci si deve fermare a scambiare qualche parola, anche solo tre minuti, ma va fatto,è una dimostrazione di rispetto. Qui no, si dice "ciao!" e si scappa via. Non c'è tempo neanche per salutare le persone. In Senegal non si può fare così, bisogna dimostrare considerazione per le persone. Fra vicini di casa, da noi ci conosciamo tutti, ci salutiamo tutti, anche i bambini. Passiamo il tempo assieme a chiacchierare sulla strada, scherziamo. Non si può passare senza salutare, è mancanza di rispetto. E poi c'è il problema del rispetto dentro la famiglia, del figlio verso il padre, verso la madre, tra fratelli. Qui ognuno è libero di fare quello che gli pare, in Senegal no. Se io ho una sorella di 20 anni che sta in casa, lei non è libera di fare quello che vuole. Se io sono suo fratello maggiore le dico: "preparami questo o quello", oppure: "portami un asciugamani per la doccia", e lei Io fa, per rispetto. Se tomo a casa tardi stanco, posso dire a mio fratello minore per esempio: "vai a comprarmi da mangiare". Lui, se anche è a letto, si alza e va senza problemi, perché questa è l'abitudine. Qui no. Io mi vergogno a vedere una madre di 70 anni lavorare in casa e le figlie stare a letto fino a mezzogiorno. Questo in Senegal non succede. Quando i figli sono abbastanza grandi, sono loro che fanno da mangiare e lavano i panni della loro mamma. Lei non fa più niente. Qui è diverso. Io non voglio condannare, perché ognuno ha il suo modo di vita, ma io in casa mia non sarei tranquillo a vedere mia madre lavorare mentre le mie sorelle vanno a ballare. Per voi non c'è problema, fa parte della vostra vita. Però c'è da dire che, con questa logica, la donna in Africa è molto sfruttata. /.: questo è vero, ci sono uomini che mandano le donne a lavorare nei campi, poi pretendono che si occupino della casa e loro se ne stanno a fumare la pipa. Ma non è così per tutti gli uomini. Ma per quanto ho visto io, nella società tradizionale africana, sono le donne che fanno pressoché tutto. X~"'ié UNIVERSITA' DEGLI ADULTI AREA STORICO-ARTISTICA. Storiadell'arte.StoriadiForlì.Storia dellereligioni.Storiadelleciviltà:gli Etruschi AREA DELLERELAZIONI SOCIALI E SALUTE. Noie gli altri. L'apprendimentoefficace.L'arte della negoziazione.Movimentoe salute. AREA ENOGASTRONOMICA. Le cucine tradizionali:il Friuli VeneziaGiulia. La Romagna:la cucinadi primavera.Guidaai vini d'Italia:il FriuliVeneziaGiulia. AREA DELLA MANUALIT A'. La decorazione su stoffa; Giardinaggio. AREA DELLE LINGUE STRANIERE. Inglese:6 livelli. Civiltà inglese.Inglesecommerciale.Tedesco:3 livelli.Spagnolo:2 livelli. PER INFORMAZIONI ED ISCRIZIONI: COOPERATIVA CULTURA E PROGETTO via Piero Maroncelli, 24 Forlì. Tel. (0543) 35256 A.: sì, è vero. In campagna le donne lavorano sempre. La mattina vanno a prendere I' acqua con il secchio, preparano da mangiare e poi vanno in campagna a lavorare la terra, quando tornano devono preparare la cena, eccetera. Insomma, lavorano sempre. In campagna le donne hanno sempre da fare, anche perché se possiedono un pezzo di terra loro, la possono lavorare solo dopo aver lavorato quella del marito. Quindi lavorano la mattina i campi del marito e la sera i loro. Anche i figli grandi, se possiedono della terra loro possono lavorarla solo dopo quella del padre. Tutti devono lavorare prima per il babbo. La sera ogni persona può lavorare per sé. In campagna si lavora molto. In città le donne non fanno più niente. E i cambiamenti recenti di cui avete parlato coinvolgono anche il ruolo dei vecchi nella società? A.: i vecchi sono sempre importanti inAfrica. Uno scrittore ha detto: "ogni vecchio che muore è una biblioteca che brucia". I vecchi sono molto rispettati in Africa. Un vecchio è una persona che ha già fatto tutto quello che doveva fare nella sua vita; ha fatto i figli, li ha cresciuti, ha lavorato. Ora spetta ai figli seguire i suoi passi. I figli devono ripagare ai loro padri tutto ciò che hanno ricevuto da loro. Anche in città i vecchi sono rispettati. • ml • vergognerei a vedere mio padre dormire in una casa cli • riposo /.: i vecchi in Africa sono rispettati. Qualcuno va nelJecase di riposo, specialmente i cristiani, ma noi musulmani no. Noi viviamo coi vecchi fino alla loromorte, li aiutiamo fino all'ultimo giorno, facciamo tutto per loro. A.: per noi non esistono le case di riposo, io mi vergognerei a vedere mio padre o un'altra persona dormire in una casa che non è la loro. Il nonno o il babbo sono delle persone importanti, anche più degli altri. Fa parte della vita. Non è come qui. Ho visto a casa vostra un poster con l'immagine di Winnie e Nelson Mandela e lo slogan "Amandla!" ("Potere!", ndr). Cosa significa per voi? /.: Mandela è un personaggio rispettabile, un politico, come Fidel Castro, un rivoluzionario, una persona rivoluzionaria che ha imposto le sue idee. Noi rispettiamo molto Mandela, sappiamo che ha fatto 27 anni di prigione per una causa giusta. Per noi è come Mahatma Gandhi. Vuole la pace. A. per me Mandela è una persona importante, la sua lotta è pertutti i neri, anche quelli che sono in Italia e in ogni parte del mondo. Mandela è come un santo, nessuno ha voglia di passare 27 anni in carcere. Mandela è una persona molto importante, ha fatto un miracolo in Sudafrica. nel a cura di LiberoCasamurata e di Rodolfo Galeo11i • prossimo numero continua il nostro • • v1agg10 nelle case di immigrati

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