Una città - anno I - n. 4 - giugno 1991

GIUGNO Verità in tasca e chiavi di camere a gas. Di passaggio all'università, Dario Antiseri ci ha parlato di pensiero "forte" e "debole". Emilia Romagna regione a rischio mafioso? In "corrispondenze" Beppe Ramina, da Bologna, ci parla della penetrazione mafiosa nella nostra regione. In terza. Le 11 navi 11 del sorriso. Intervista a Michele Biondi su una bella esperienza di cosmopolitismo e solidarietà fra adolescenti nella ex-colonia di Cattolica. In quarta e quinta si parla di droga.Pur di non sentirmi isolato e sconfitto Loris G., ex-tossicodipendente, ci racconta la sua lunga odissea. Per me erano solo delinquenti. è il racconto di un genitore che all'improvviso si è ritrovato in casa il problema. E poi il punto di vista di un magistrato nell'intervista a Carlo Sorgi. E un intervento antiproibizionista, di Rodolfo Galeotti. In sesta e seffima. Ebrei in Romagna nel colloquio con Gregorio Caravita. Le comunità ebraiche in Romagna fino all'ultima persecuzione. Un1 attesa che non si può pensare in "fotoricordo". Sugli eccidi il silenzio. In un intervista Paola Saiani ci parla della sua ricerca sugli eccidi di ebrei a Forlì. In ottava per "ricordarsi" Schiavonia I 860, la storia della prima inchiesta sociale a Forlì e di un medico dei poveri, mazziniano. Di Roberto Balzani. In nona. Allora non vestimmo più come i nostri genitori. Intorno a "rock e società" considerazioni di Roberto Fabbri e Fabio Fiorentini. E poi Ritorno all'origine intervista a Fabio Signorelli, del Memphis club di Forlì. In decima. Un animale sociale. Intervista ad Oscar Laghi, psicoanalista iunghiano forlivese. Enciclica, via etica e via profetica. Sergio Sala ci parla della Centesimus Annus. In undicesima. Regolare o proibire? Intervento di Rocco Ronchi. La politica e le tribù per "diatribe" di Franco Melandri. Per "notizie dalla letteratura" di Andrea Brigliadori l'ultimo libro di Carlo Ginzburg, Il giudice e lo storico. Per "amici da" Seaffle George Howland, militante di sinistra, viaggiatore in Italia dai lontani anni 70, ci racconta le sue impressioni. In ultima. Mani inquiete città senza eco per 11 storie" l'intervista a Carmen Silvestroni. Bianco Ma questa volta quelle profezie sembravano più solide. Le no11ipassale avevamo udilo in lontananza il cannone. Allora il mio vicino, il sellza volto, si mise a parlare: "non fa levi prendere dalle illusioni. Hitler ha ben precisa IO che avrebbe annienlato 1u11igli ebrei prima che l'orologio avesse ba11u10dodici colpi, prima che essi ne polessero udire l'ullimo." lo scoppiai: "Che vole1e dire? Dobbiamo considerare Hi1ler un profe1a?" I suoi occhi spenti e gelidi mi.fissarono: poi concluse con la voce slanca: "hopiù fiducia in Hi1lerche in nessun altro. E' l'unico che ha manlellulo le sue promesse, 1u11ele sue promesse, col popolo ebraico." Elia Wiese/, La 11011e. Anche a Forlì le promesse furono mantenute. E non lo sapevamo. Una mattina del 5 settembredel 44. neancheadue mesi dalla liberazione di Forlì. automezzi con a bordo 30 detenuti. di cui IO ebrei, uscirono dal carcere e presero la direzione del!" aeroporto. Verso quei crateri di bomba che in tutta Europa furono così utili alla bisogna. E dodici giorni dopo, il 17, un altro automezzo con a bordo 7 donne ebree, familiari dei "precedenti··, uscì dal carcere e invece di avviarsi al nord come assicurato dalle SSalle suore, voltò a sud. E alle suore si strinse il cuore. Le esecuzioni furono anche feroci. Una donna fu strangolata, un uomo, solo ferito, morì sepolto vivo. le donne furono colpite anche alle gambe. una madre fu fucilata insieme alle due figlie. Di certo era presente la Guardia Nazionale Fascista, e quindi. presumibilmente anche dei forlivesi. E non ne sapevamo nulla. Sul luogo una lapide ricorda il primo eccidio, ma è inutilmente retorica e la parola ebreo non appare. E non c·è lapide a ricordo delle donne trucidate il 17. E sedi loro a Forlì c"è traccia visibile lo si deve solo alle tre suore che a quelle donne una piccola promessa l'avevano fatta e la mantennero. E seppur sconsigliate dal vescovo "per evitare uno spettacolo di cui avrebbero sofferto tutta la vita'·, si recarono a riconoscere le salme esumate dalla fossa comune. Quella traccia sono una fila cli 6 nomi. lassù, nel!" angolo alto cieli"ossario. Senza stella. senza date, neppure quella certa della morte. Senza nulla che possa far capire che ono tombe cli donne ebree fucilate dai tede. chi. E si resta attoniti. I I fatto più terribile, di esseri umani dati ferocemente alla morte acausadel loro atto di nascita. di madri uccise solo perchè madri. quel fatto immaginato solo lontano da noi, è avvenuto anche eianoi. E anche da noi lo si è voluto dimenticare. La prova inconfutabile lassL1a. destra clell"os ario. E vien subito da pensare al modo di riparare. per cancellare questa grande vergogna cittadina. Ma forse va bene così. Nomi fuori vista. al margine, nomi e basta. Come nei campi. forse è giusto non toccare nulla. A ricordo anche della nostra dimenticanza. Ma discuterne quello vorremmo riuscire a farlo. E ci proveremo. E se mai quelle tombe. fra le "ultime'" ciel nostro cimitero monumentale. diventassero meta di sparuti pellegrinaggi di giovani. tuclenti sarebbegià tanto. Allora sarebbecosa bella che fossedisponibile sul posto una scala alta abbastanzaper deporre l'eventuale fiore.

intervista a Dario Antiseri VERITA I IN TASCA questo numero Da questo numero tentiamo le 12 pagine. Quattro pagine in più per dare continuità a temi, rubriche e tentare progetti "immaginati"da tempo. La pagina "ricordarsi", che vorrebbe tentare una riflessione su temi del passato che ci conducano al presente e viceversa. E poi quella dedicata ai "viaggi",con testimonianze sia di romagnoli che viaggiano che di "forestieri" di passaggio. Poi vorremmo rendere continuativi dei paginoni tematici come quello sulla droga di questo numero, dove alle testimonianze, che comunque avranno sempre lo spazio privilegiato, si affiancherà il parere di esperti dei problemi. Vorremmo anche riuscire a dare più spazio alla "battaglia delle idee", e sempre con "spirito polifonico" e lontani dal luogo comune e dal pregiudizio. E CHIAVI DI CAMERE A GAS DarioAntiserio, ltreadessere autoredi varisaggie di manuali difilosofiah, acurato la traduzionietalianadellibrodi KarlPopper"Lasocietàaperta e i suoinemici".Insegna allaLUISSdiRoma.Loabbiamoincontratporimadellasua conferenza su"Le ragioni del pensierodebole", tenutaall'universitaàchiusurdael ciclo "Modernitàg:enesei declinodi un epoca". Il "pensiero debole" è una tipica espressione della cultura di questo secolo. Una cultura "postmoderna", che è passata attraverso una serie di esperienze traumatiche, come le guerre mondiali, che hanno lasciato il segno provocando la fine dell'illusione, o della credenza, in valori assoluti. Questa consapevolezza dell'inesistenza di un assoluto è destinata a restare come retaggio ineliminabile nel pensiero umano, oppure può essere l'espressione di una cultura e di una società in decadenza, ma che può avviarsi verso un'eventuale nuova fase? Effettivamente c'è un legame fra i fatti sociali, le tragedie del nostro seèolo, e queste idee. Le idee non sono mai staccate dal la realtà: noi siamo le nostre idee, ci sono idee che combinano grandi guai e idee che combinano delle cose buone. Per capire il "pensiero debole" è opportuno individuare per sommi capi quello che sarebbe il "pensiero forte". Ora, quando questi autori, per es. Vattimo, parlano del "postmoderno" e cercano di individuare il "pensiero forte", lo individuano come un pensiero metafisico che riguarda l'uomo (immagini dell'uomo, concezioni della storia o dello stato...) nelle quali si pensa di avere un "fundamentum inconcussum". Per es. Cartesio è un pensiero forte perchè pretende di aver trovato un "fundamentum inconcussum"; il marxismo o l' - hegelismo sono dei pensieri forti, perchè pensano di aver . trovato queste grandi narrazioni che dovrebbero descrivere il divenire della storia, il destino del!' uomo ecc. Ora, sia l'ermeneutica di Gadamer che l'epistemologia popperiana hanno messo in luce delle cose fondamentali: Popper ha messo in luce che il nostro sapere è fallibile e quindi non c'è il "fundamentum inconcussum"; Gadamer ha messo in luce che noi leggiamo la realtà attraverso il nostro linguaggio: poichè questo muta, non possiamo trovare un "fundamentun inconcussum". Tu mi chiedi se questo pensiero è destinato a durare: bè, è difficile fare i profeti! Dopo aggiungi che il "pensiero debole" è un pensiero della decadenza. Bè, iopenso di no, perchè esso significa, UNA ClffA' Hannocollabora10a questo numero: Rosanna Ambrogeui, Giorgio Bacchin, Roberto Balzani. Paolo Bertozzi, Pa1rizia Betti. Roberto Borroni.BarbaraBovelacci.Andrea Brigliadori. Libero Casamurata. Faus10Fabbri,RobertoFabbri,GrazianoFabro.DanielaFilippelli.FabioFiorentini,LuisaFiumi.Rodolfo Galeoni. Liana Gavclli. Marlio Malpezzi. Silvana Masselli. Alice Melandri. Franco Mclandri. GiovanniOrlati.CarloPolc11iV. eroRavaioli. Rocco Ronchi. Beppe Ramina. Gianni Saporctti, Fabio Strada.MassimoTesci. Fo10:pagg. 1,5.7.10.12 di Fauslo Fabbri: pag.9 di RosannaParmeggiani:pag. 3percortesiadiMichele Biondi. Progct10grafico:Casa Waldcn. l0liti 0TP: ,Scriba. kantianamente, andare alla ricerca dei limiti della ragione: e questo non ci fa meno umani, ma più umani, perchè noi, quando abbiamo abusato della ragione, abbiamo procurato grossi danni. Perchè tutti coloro che hanno pensato di avere la verità in tasca hanno avuto poi nelle tasche le chiavi delle camere a gas ... Prendiamo il marxismo contemporaneo: esso era pensiero forte, era cioé l'idea che ci fosse una società perfetta fatta in un certo modo, era il senso ineluttabile della storia ecc. Che cosa ha causato? Prima delle gabbie, poi la fame. In sostanza, prima di dire che il "pensiero debole" è pensiero di decadenza ci penserei due volte: io credo sia un pensiero di grande consapevolezza: noi uomini siamo fallibili. Questo è il nocciolo del "pensiero debole": non possiamo pretendere di avere nelle mani assoluti terrestri; non siamo degli dei. Il "pensiero debole" restituisce l'uomo ali' uomo per quello che è, con la sua debolezza, la sua fallibilità, il suo rischio, la sua responsabilità. Il relativismo, spesso banalizzato, non rischia di diventare indifferenza, o forse mancanza di speranza o di fede in qualcosa? No, io penso che le cose siano ben diverse, perchè il "pensiero debole", come l'abbiamo definito prima, non è un pensiero che fonda le fedi, però apre alla fede. Oggi un ateo · non può venire da me cristiano a dirmi: io sono scientifico e tu sei irrazionale, perchè l'asserzione "dio non esiste" dal punto di vista logico non ha più fondamento della frase "dio esiste". Diceva Etienne Gilson che l'ateismo è difficile perchè non si può provare. Tu parli di relativismo, ma, come diceva Weber, noi viviamo in un mondo politeista e ognuno sceglie il suo dio. L'importante è che non ci sia nessuno che imponga, in nome della ragione, il suo valore agli altri; cosa fatta, per esempio, dai marxisti: chi ha il diritto di dirmi che cosa è la felicità e di impormi la sua felicità? Con quale ragione? Nel cristianesimo l'idea di inferno è il "sigillum" di questa libertà. Cristo dice "se vuoi seguimi", non dice mica "tu devi seguirmi"! Questo l'han detto tutti coloro che pensavano di conoscere il senso ineluttabile della storia e hanno avuto tragedie senza fine. E dico una cosa: io non sono uno scettico, sono un realista un pò fideista; ma nessun scettico, nella storia dell'umanità, ha mai ammazzato un altro uomo. Equesto perchè non ha niente da imporre. Ma, allora, uno che crede? ùno che crede spera che la sua fede sia quella giusta. Ma diceva Kierkegaard che esistono ve- ~ rità che si dimostrano e verità che si testimoniano: le verità di fede e di etica sono verità che si testimoniano. Un altro esempio: Wittgenstein ha lavorato per rendere comprensibile il dicibile della scienza, ma ha fatto questo per proteggere l'ineffabile.C'è una lettera molto bella di Wittgenstein che nel '21, al ritorno dalla prigionia, scrive a un suo amico: "Ti mando il "Tractatus". Esso è fatto di due parti: di quello che è scritto e di quello che non è scritto. Guarda bene che quello che non è scritto è la parte più importante". Ciò che la scienza non può dire è la parte più importante, e la scienza non può rispondere alle famose domande di Kant:"che cosa debbo fare" e "in cosa posso sperare". Qui sono le nostre libertà di coscienza, le nostre scelte di fede, che si testimoniano: non possiamo imporle a nessuno. Quindi io non ho paura del relativismo: basta che nessuno mi impedisca di accettare e di testimoniare la mia fede. In realtà però l'epoca in cui viviamo tende forse ad ignorare questa fallibilità e a considerare la scienza come un sapere assoluto... Si, che ci sia un pericolo di scientismo è vero, ma di più nella mentalità comune, nella politica, piuttosto che negli scienziati. Ma penso che ormai ci sia una grande consapevolezza di questi limiti della scienza: un medico che per 40 anni fa pratica medica e cambia 15 volte una terapia, pensi che creda alla verità? Un astrofisico alle prese con le teorie del l'uni verso... teorie che vanno e vengono, oggi le teorie hanno vita breve. Quindi che ci sia questo pericolo di scientismo è vero, specie nella stampa; però è anche vero che ormai c'è consapevolezza della fallibilità umana e della rivedibilità delle teorie: le teorie sono scientifiche in quanto falsificabili, smentibili. Le mutazioni culturali sono lente: le idee prima passano a livello alto, poi attraverso i manuali scolastici e alla fine arrivano ai giornali. Comunque mi pare che, se guardiamo ali' 800, questo mito dei fatti e della scienza non c'è più; anche perchè le applicazioni scientifiche hanno prodotto un sacco di danni: i danni ecologici, la paura dell'atomica ... Oggi la scienza non è più una cosa sana, è una cosa che mette anche paura. Implicita nel "pensiero debole" c'è anche la crisi dell'idea del "soggetto" ed essa delegittima le tensioni utopiche che hanno favorito certi miti, ma anche certi fatti sociali... Certi drammi! Tale crisi, però, non può portare ad una totale "ricaduta" nel presente, ad una mancanza, non tanto di aspirazioni, SERCOM s.r.l. TECNOLOGIA E ARTE NELL'ARREDARE NEGOZI 47100 Forlì - Zona industriale Via Correcchio, 21/A Tel. 0543/722330 - Fax 725483 lido rima SPA BIZERBR MACCHIHIE P(R PUAf\JAf. quanto di progettualità rispetto alla società? Io credo proprio di no. Tu hai messo in luce il fatto che prima il soggetto era un soggetto creativo di mondi perfetti, cioè utopici. Ora questo non c·è più, ma non penso che sia un danno, non significa che noi non progettiamo ... Ti faccio un esempio: in una scienza gli scienziati praticanti risolvono singoli problemi, ma nessuno scienziato ha mai la verità totale e definitiva, e non per questo noi non facciamo scienza, c'è un continuo adattamento. E questo deve capitare anche nella vita sociale: si aprono problemi, alcuni li risolviamo, ne creiamo degli altri ... Nell'800 su IO uomini ne morivano 9, oggi ne vivono 9. La soluzione di questo problema ha portato alla sovrappopolazione: un problema ne crea un altro. Io non penso che si possa bloccare la società e farla perfetta, noi vivremo sempre in una società imperfetta. La società perfetta è l'opposto della società "aperta", aperta cioè a nuove informazioni, a nuove critiche, a nuovi valori, a nuovi problemi e a nuovi progetti. Non c'è un progetto finale e definitivo. Popperdiceche non c'è nessun argomento razionale per stabilire cosa sia la società perfetta, però abbiamo via via dei tentati vi perrisolvere i problemi di una società aperta e questo mi pare sia la cosa più importante: la fallibilità, il rischio e la responsabilità dei singoli individui, delle persone umane. Quindi il pensiero debole invece di limitare la speranza delle persone, lapotenzia? Sì, perchè tutte le persone possono progettare, possono sperare, senza essere vittime di coloro che, avendo la forza, dicono: questo è il giusto senso della storia, e lo impongono. Quindi le critiche, sopratutto da sinistra, all'apparire dell'antologia di Vattimo sul "pensiero debole", erano la reazione al pericolo di perdere la fede? No. Era la perdita di un mito da parte di coloro che scambiavano il mito per scienza ineluttabile e certa. a cura di F. Melandri e F. Strada corrispondenze L'aumento delle pagine e la realizzazione di questi progetti è legato alla possibilità di nuove collaborazioni che noi auspichiamo vivamente. Già da questo numero, e speriamo che la cosa diventi continuativa, hanno collaborato Roberto Balzani e Rocco Ronchi. Di fronte alla complessa trama della vita delle persone e delle società noi cerchiamo dei fili. A volte non livediamo. A volte non siamo capaci di seguirli. A volte riusciamo a tirarli. In questo numero riparliamo di ebrei. Si tratta di uno di quei "fili",intravisto un anno fa nell'intervista di Sulamit, quando il giornale si chiamava "l'altracittà". Seguire questo filoci può portare, oltre a scontrarci con sedimentati luoghi comuni della sinistra, a toccare alcuni punti nodali di questa società. Intolleranza, razzismo, sopraffazione allignano dove l'ignoranza la fa da padrone, e si sviluppano tanto più facilmente quanto meno si sono comprese le lezioni della storia. Hitler e ilnazismo sono stati "demonizzati", le lorovittimee chi liha combattuti mitizzati. Il risultato è stato disumanizzazione e rimozione. Per la tranquillitàdi tutti.Ma iprogrom e igenocidi non cadono dal cielo. Nascono sulla terra, nutrendosi delle piccole sopraffazioni quotidiane, di piccole intolleranze e risentimenti, per poi esplodere, difronte alle crisieconomiche e sociali, nel grande "sonno della ragione" e del cuore. Da questo punto di vista quello che è successo a Forlìnel 45 e dopo, di cui nessuno, o quasi, ha mai saputo nulla, ci sembra esemplare. Ecco perchè ce ne occupiamo. Non solo per un omaggio dovuto a vittimecolpevolmente dimenticate dalla città, ma per capire la nostra storia e attraverso quella riflettere sul presente. M. Tesei EMILIA-ROMAGNA REGIONE A RISCHIO MAFIOSO? di Beppe Ramina Il ferimentodi tre carabinieri,lunedì29marzoa Rimini,e I' omicidio, avvenutonellanottedi sabato 19 aprile, del benzinaioClaudio Bonfiglioli, ripropongono con drammaticitàalcunequestioniri- •feritealla penetrazionedelle organizzazionicriminalinel territorio bolognesee in regione. Dopo l'assassinio dei tre carabinierialPilastro,ultimodiunalunga serie che ha funestato lo scorso anno e l'inizio del '91, sembrava che le pressioni degli organi inquirentisugliambientimalavitosi avessero quantomeno costretto all'inattività bande criminali, dimostratesitanto ferociquantoefficacementeorganizzate. Ma evidentemente, ed essendo poco plausibile una spiegazione che affondi le proprieragioninel caso, gli interessi in gioco sono oramaitalmentefortida nonconsentirepauseo prudenze. L' EmiliaRomagnaè notoriamente una regione ricca, nella quale ognigiornovengonomovimentategrandiquantitàdidenaro.cosiituendo così un luogo ideale per riciclaresoldisporchiprovenienti da attivitàillecite. Questemassedi denaro.non giustificabiliattraversoalcunacontabilità, trovanostradedi ripulitura e di legalizzazionele più diverse: società finanziarie,strozzinaggi. utilizzodei normalisportellibancari, acquistodi attivitàcommerciali. di immobili, di aziende. creazione di aziende in settori, comeadesempioquellodellepulizie,a bassoinvestimentoiniziale. Nel I990. intervenendosu Micro Mega. Pino Arlacchi scrive che ·•unquartodell'economia turistica della riviera riminese risulta essere in manoalla mafia·•. Alcuniosservatorisostengonoche, perviadelcattivoandamentoturisticodegli ultimianni,gli interessi economicidella criminalitàorganizzata si sarebbero trasferiti massicciamentea Bolognae nei ricchicomuniemiliani. Per impossessarsidi attivitàcommercialie di aziendelacriminalità,accantoall'acquistotout-court, utilizzapiùmetodi.Tra gli altri la classicaazionedi taglieggiamento che induce il proprietario ad abbandonarel'attività cedendola a bassoprezzoe poicon il prestito di denaroad altissimitassidi interesse,checonduceallo"strozzo", all'imposizionedi unoo piùsoci, alla cessione, infine,dell'attività. Da parte di alcuni operatori vengono riferite altre modalità. Vi figurerebbe il capitano di industria ilquale.a cortodi liquidi,ma con una industria valida, se ne vedeoffertiingrandequantità.In cambiopotrebbeavviareunaattività immobiliare.essendo a tutti gli effetti un prestanome,prestatore di un nomenobilee privodi macchiealqualeognunoè portato a dare credito.Sonodel tuttoevidenti i rinessi che una ipotesi di questotipo, se realizzata.avrebbe sulla città. In altri termini. l'amministratore pubblico, non si troverebbe di fronteun imprenditorechiacchierato, come può essere il catanese Costanzo.checontrattal'acquisto di un·area, che chiededi parteciparead unappaltoo unamodifica del Pianoregolatore.In sua vece avrà un interlocutoresolido. potente e stimato sul piano locale, che non lasciasupporredi essere portatoredi interessialtrui:subirà così le pressionidella criminalità organizzatasenzaneppureesserne a conoscenza.senza che si renda Agenzia di Recapito: STAMPE - PACCHI - DOCUMENTI Per tutte le destinazioni 47100 Forlì - Via S. Antonio Vecchio, 25 Tel. 0543/35187 necessario il meccanismo della tangenteo della minaccia.Si rende necessariorammentareche le leggi esistenti poco possono per controllare fenomeni di questa natura. E' chiaro che una politicaattenta al patrimonio ambientale, fortementevincolatadallanecessitàdi riqualificare le esistenze umane con l'ambiente, costituirebbe di per sè un seriodeterrente. Poichègli immobi I i,da benid'uso quali tradizionalmentesono stati, hannoassuntola vestedi luogoa forte interesse speculativo, è intuibile in quale misura costituiscanounruolocentralenegliinteressidelle finanziariecriminali. Ma l'attività immobiliarenon interessasolo lamafia,lacamorrao la 'ndrangheta;esistono naturalmente molte altre aziende, tra le quali alcuni colossi cooperativi. Si fanno risalire agli interessi di alcuni tra questi sia la comparsa del costrnttoreCostanzonel mercatobolognese(attraversoi favori del qualesi sarebbedovutaverificare 1• aperturadelmercatosiciliano alle coop edili emiliane)che. naturalmentecon altro segno, le efferatezzedellacosiddetta·'banda dellecoop". Ci si è spesso domandati quali fosseroi motiviche spingesseroi componentilabandaadaffrontare trasferteaeree, a metterein piedi un certo impiantologistico.a ucciderecontaleferocia,recuperando bottinidi poco conto. Unarispostapotrebberisiederenel meccanismo dell'intimidazione. In breve, alle cooperative che minaccianoposizioniconsolidate nelle regionimeridionali,magari con l'appoggiodi elementi legati ad unclancd inconflittoconaltri. viene rammentatonel modo più duro e vileche le regoledel gioco sono pesanti e che meglio farebbero a ritirarsi o a cercare nuovi accordie altre alleanze. L'omicidio dei nomadi, di due benzinai,di passanti,dei trecarabinieri al Pilastro,sembranocosì potersi iscrivere all'interno di questi scenari: di volta in volta possonodifferenziarsile motivazioni contingenti,ma il messaggioha tonalitàcostanti:a Bologna un nuovopotereva affiancandosi a quelli noti e ad altri occulti, dotatodi notevolimezzifinanziari e della aggressivitànecessaria per farsi largoe peresigererispetto. UccidereClaudioBonfiglioliper pochimilioni.mamostrandouna certa organizzazione (appostandosi, rilevandone le abitudini, avendo insomma quella piccola dose di pazienzache non appartieneadei balordi},garantiscepiù obiettivi, spaventandochi, ora o domani, venga fatto bersagliodi taglieggiamenti, mostrando agli organi di indaginee di controllo che nonpossonotenereinmanoil territorio. Si trattadunquedi una situazione nuova per la nostra città e per la regione,della quale ancora sfuggono idati fisiognomicipiùdettagliati. Rischiamo, in tutta evidenza. di vederfattopropriodapartedimolti quantoproponevaGiorgioBocca sull'Espressodi qualchesettimana fa: la criminalità organizzata portadenari?Bene.non potendola combattere. accordiamoci:investa,maalle regolechevigonoal nord. E' proprio questa la sola strada che rimane? Beppe Ramina. Bologna. ]O aprile 199/ eK:il!e.Ye~m Erboristeria - Prodotti naturali - Shiatzu FABBRI Dr. Enrico Forlì - via Albicini, 30 (ang. via S. Anna, 2) Tel. 0543/35236

intervista a Michele Biondi---------------- LE Il AVI'' DEL SORRISO Quali opportunità si offrono ai ragazzi che frequentano le "Navi"? La struttura e va bene. Poi ti offrono tutta una serie di opportunità di tipo ricreativo. Ci sono opportunità di tipo sportivo: pallacanestro, pallavolo, calcio (abbiamo un campo di calcio regolare illuminato a giorno, quindi facciamo tornei anche in notturna, quando è più fresco), poi c'è una palestra con l'attività di judo, con istruttori cinture nere, poi ginnastica acrobatica, aerobica, danza, danza moderna. Poi c'è il responsabile dell'animazione che gioca sulla giornata, come si usa in ogni villaggio turistico. la rouloHe a forma dicocomero è la consolle della nostra discoteca C'è la discoteca tutte le sere, una discoteca enorme. II film di Marco Ferreri "La casa del sorriso" è stato girato alle "Navi" e la roulotte a forma di cocomero è la consolle della nostra discoteca, dove abbiamo gli impianti audio e luci. Poi ci sono le attività di mare: vela, windsurf, pallanuoto, due campi di beach-volley sulla spiaggia. C'è l'attività musicale e il teatro. Il cinema tutte le sere. Un bar e un ristorante self-service gestito dal Camst. Il centro è titolato Centro Internazionale, perchè non vuole essere una casa chiusa e solamente per italiani, ma aperta anche agli stranieri. Abbiamo avuto come ospiti spagnoli, svizzeri, francesi, greci, inglesi, tedeschi, ungheresi, russi, algerini, marocchini, tunisini, palestinesi e israeliani. Poi dentro alle "Navi" abbiamo anche un video giornale.C'è una regista che durante la giornata riprende e monta un video giornale di 20 minuti (a mezzogiorno è di 7 minuti), che viene continuamente trasmesso durante l'orario di mensa, per ingannare l'attesa durante la fila per il self-service, in un mega televisore da 60 pollici. In più la nostra regista riprende tutte le manifestazioni a cui partecipiamo. L'anno scorso, ad esempio, iI I5 agosto, il Comune di Cattolica ci ha messo a disposizione una piazzetta. che altrimenti sarebbe rimasta vuota. Il nostro animatore, che è un creativo e per queste cose è una forza. ha messo su una kermesse di tre quarti d'ora, ma continui, con una ambientazione, una musica, dei balletti, delle luci ... Favolosa! Tutti gli albergatori della zona l'hanno apprezzata. Abbiamo telegrammi di complimenti e inviti a ripetere l'esperienza anche quest'anno. Si possono fare gite, si può andare anche fuori in pizzeria o a ballare, basta mettersi d'accordo col proprio accompagnatore. Bene, questo molto grossolanamente è come funziona la cosa. Parlaci adesso di chi vive in questo ambiente, dei ragazzi, tli chi deve gestirli. Al di là delfa distinzione maschi e femmine, perchè questo ovviamente è scontato, cerchiamo di renderli promiscui, malgrado le diverse provenienze, di non isolarli. Città italiane con città italiane, città straniere con città straniere. Abbiamo messo italiani con tedeschi, tedeschi con spagnoli, ungheresi con italiani ecc., con ottimi risultati. Italiani con ungheresi che tra loro non si capi vano, eppure dopo 14 giorni li vedevi fraternizzare fra di loro. Un'esperienza molto positiva. Ma non sempre. Ad esempio, ci sono i tornei di calcio. Nei tornei di calcio era inevitabile che si facessero squadre di italiani contro squadre di tedeschi, ma perchè c'è sempre quella vecchia rabbia atavica fra noi e loro. Una tacchetta incredibile, ma altrimenti non ci trovavano gusto. Per limitare l'aggressività dentro e fuori del campo, abbiamo provato a mischiarli. a fare squadre miste di italiani, tedeschi, spagnoli, svizzeri e farle giocare tra di loro: una noia mortale! La prima partita è stata così pacifica, ma così pacifica, (anche il tifo), che non se ne rendevano conto di giocare a calcio. Forse perchè tutti siamo abituati a scaricare nel gioco tutta le nostra aggressività, loro non ci sono riusciti e si sono sentiti frustrati. E' stata una cosa penosa. Allora,gli abbiamodellocheper far tornare il tifo e l'agonismo non potevamo ritornare a nazionali contro nazionali, o a città contro città dove finiva sempre, o quasi, a botte. Abbiamo provato con i colori: rossi contro verdi,contro gialli. contro blu. E' andata un pò meglio. Certo, non abbiamo vinto tutte le resistenze. ma il problema era divertirsi e diciamo che così riuscivano a divertirsi abbastanza bene. Poi sono arrivati gli albanesi, l'anno scorso, una quarantina verso la metà di luglio. Sono stati un pò un problema, ci ha colti impreparati ma abbiamo dovuto fare buon viso a cattiva sorte. Non per colpa loro. sia chiaro, per carità. Erano tutta gente matura, adulta. I due '·ragazzini". erano due fratelli di 22 e 26 anni. Gli altri erano tutti sopra i 30 anni. Erano tutti maschi, per cui nella nostra situazione creavano dei problemi. Problemi di lingua, di costume, difficoltà di relazione perchè loro, noi purtroppo dovemmo essere subito chiari, non potevano avere rapporti e relazioni di nessun tipo con i nostri ragazzi. Sarà stata per loro una frustrazione in più, stando lì in mezzo, però noi avevamo dei minori da tutelare, loro avevano una regola in più e la dovevano rispettare. Devo dire, per onestà, che è una regola che hanno sempre rispettato. Il problema per loro era passare la giornata. Allora abbiamo cercato di inserirli in qualche attività: musica, danza, sport. Per quello che poteva servire, almeno, si sono divertiti un pò. Ma dopo 35, 36 giorni che stavano alle "Navi" l'attesa era snervante, non fare niente durante il giorno, non riuscire a comunicare con le famiglie, la tensione aveva raggiunto limiti molto alti. Noi stessi non sapevamo cosa fare, noi eravamo in contatto con la Regione, perchè la Regione ce li aveva mandati, ma lì nessuno ci aveva poi più saputo dare informazioni sul futuro di questi albanesi. Poi abbiamo saputo dai giornali, e purtroppo l'hanno letto anche alcuni di loro, verso la fine di agosto, che il Governo Americano aveva risposto picche alla richiesta di passaporti per questa gente qua. E' stata un'ulteriore batosta. Costretti a vivere lì. alle "Navi", dentro Cattolica, in agosto, in pieno divertimenti ficio, loro che erano scappati per fame, aver visto il consumismo, i negozi. le bancarelle. i I superfluo, deve essere stato un colpo molto grosso. E noi lì a cercare di mediare. di fargli capire che il mondo. in Italia, dietro quella falsa vetrina tutta luci e lustrini nascondevaunarealtàbendiversae meno ridanciana. Non è stato facile. anzi, sono andati via convinti che l'America siamo noi! israeliani e palestinesi • • 1ns1eme Poi c'è stata un'altra esperienza, l'anno scorso. molto significativa: israeliani e palestinesi insieme. "Due popoli per la pace" è una iniziativa che è partita proprio da Israele e da Hannah Siniora che invece è un palestinese. dire11oredi un giornale di Gerusalemme. un gruppo di intcl lcllual iche sono favorevoli alla pace cd hanno portato in giro per il mondo, cioè tra maggio e settembre cieli"anno scorso hanno visitaBibliotecaGino Bianco to 4 o 5 paesi, tanto è vero che da noi, alle "Navi", sono arrivati dalla Finlandia. Insomma, questo gruppo di ragazzi e ragazze sono andati in giro facendo questa esperienza di vita in comune per la prima volta, provando a vedere se è possibile la pace. Da noi sono arrivati su invito della Regione. Per noi, essendo tutti ragazzi. non è stato un problema ospitarli, anzi. Li abbiamo ospitati tulli in un settore, per cui israeliani e palestinesi hanno dormito camere a fianco, poi ci hanno detto addirittura che si sono messi nella stessa carnera misti. Hanno vissuto insieme dentro le "Navi" 9 giorni, dove, oltre alle normali attività del Centro, hanno potuto fare del le uscite culturali fuori, verso le città d'arte vicine: Firenze, Venezia, Ravenna, Ferrara. Noi delle "Navi", a fine di ogni turno quindicinale, organizziamo una festa alla quale partecipano tutti i gruppi presenti, ognuno si inventa qualcosa. Una di queste feste ha coinciso con la permanenza dei ragazzi israeliani e palestinesi e anche loro sono stati chiamati a partecipare, insieme agli altri. Hanno organizzato un gioco che era un pò un percorso di guerra, guarda caso, perchè bisognava camminare spalla a spalla tenendo una mela, maschio e femmina, cercando di non farla cadere, lungo un percorso irto di difficoltà ed ostacoli e lasciarla cadere all'arrivo dentro un secchio. Hanno gestito il gioco in completa armonia ed autonomia. Se l'apparenza inganna, oppure se quella era tutta apparenza, allora siamo stati ingannati, ma quello che abbiamo visto è che questi ragazzi avevano solidarizzato tra loro, ma veramente. Tanto è vero che successe un episodio che dà l'esempio che quello che dico non è retorica, e lo cito perchè fu una cosa che anche a noi dell'organizzazione delle "Navi" creò dei problemi. Cerco di spiegarlo in breve. Questi ragazzi, comunque, stando alle "Navi" hanno ricevuto una serie di richieste di dichiarazioni, in pratica sono venute quasi tutte le testate giornalistiche a intervistare i ragazzi perchiedergli della loro esperienza ecc. Tra le varie interviste che generalmente venivano gestite insieme ai responsabili dell'iniziativa, dove però i ragazzi erano liberi di dire ciò che pensavano. e da quello che abbiamo visto noi non gli hanno mai posto dei vincoli alle loro dichiarazioni, ma d'altra parte questi ragazzi parlavano della loro esperienza, il 3° o 4° giorno che erano alle "Navi" una ragazza. che dovrebbe essere la figlia del sindaco di Gerusalemme. nell'intervista si lasciò scappare una dichiarazione del tipo: "Se i nostri politicanti prendessero esempio da noi, probabilmente tutte queste rigidità e la guerra tra palestinesi ed israeliani non esisterebbero." Chiaramentelacitazione è statariportata tra virgolelle, sul giornale. ma pari pari. Cosa è successo? li giorno dopo, il Consolato israeliano a Roma ha telefonato immediatamente al Ministero degli Esteri, ha fallo il diavolo a quallro, chiedendo il ritorno a casa di tutti, tant'è vero che è arrivato il maresciallo dei carabinieri di Cattolica alle "Navi" con il fonogramma dove si ordinava di sospendere tutto. Sono venuti quattro funzionari per dire a questa ragazza di ritrattare. Lei non ha voluto assolutamente ritrattare: "Io l'ho detto in buona fede, perchè è quello che penso" ... Ovviamente ha fornito le sue spiegazioni. Di fronte alla risposta del la ragazza, allora, il giornalista che aveva riportato l'intervista non ha voluto lasciarla sola, probabilmente per non fare interrompere quella esperienza alle "Navi", così ha ritrallato lui stesso, attribuendosi l'errore di aver trascritto male nella deregistrazione e scusandosi per l'equivoco nella edizione del giorno dopo. La ragazza questo non l'ha saputo subito. Però tenevano una "rassegna stampa" di tutti i giornali che parlavano di loro nei vari paesi che attraversavano, per cui l'ha letto a cose già fatte. Si è arrabbiata moltissimo, anche perchè s'è sentita un po' sminuita. D'altra parte se non ci fosse stato questo gesto "riparatore" loro sarebbero dovuti rientrare immediatamente a casa. Come dire: "amici forse, fratelli mai!" Sono state quattordici, quindici ore di tensione, ma comunque sono riusciti a terminare il loro soggiorno alle Navi e il giorno dopo, il 2 agosto, un ragazzo palestinese e una ragazza israeliana, a Bologna in occasione del laricorrenza della strage alla stazione, hanno letto dei messaggi. scritti da loro, contro la violenza. L'anno scorso, in pratica, è stato è stato l'anno delle Navi. Un anno fortunato dal punto di vista delle motivazioni di incontro che questa struttura rende possibile . • ogni ora soHratta al sonno è un'ora in più vissuta Poi da un anno a questa parte facciamo un'esperienza molto positiva con l'handicap. Ciò è nato da un rapporto quasi casua I e con la U.I.L.D.M., un'associazione di volontari per l'assistenza ai distrofici, presente in più comuni italiani. Noi abbiamo allacciato rapporti con Roma e Bergamo. Roma ci manda ragazzi dai 14 ai 20 anni, mentre Bergamo addirittura sino ai 50 anni. Fino a due anni fa, d'estate, andavano in Toscana, a Montevarchi, dove hanno adattato una villa donata all'associazione. Ma il problema era che si spostavano da casa per anelareinuna struttura, loro, tutta per loro, ma dove in pratica erano sempre fra di loro, handicape basta.Hanno pensato così di chiedere la collaborazione di altre strullure. Il t Lorenzo Gazzoni & C. s.n.c. 47100 Forlì - Via Mariani, 6 Tel. e Fax 0543/53661 * Digitalizzazione reti, mappe e carte geografiche * Topografia * Fotogrammetria aerea e terrestre Le "Navi"di Cattolica,una struttura polivalente,oggi di proprietà dellaRegioneEmilia-RomagnaI.n origineera una coloniamarina fattacostruiredaMussoliniper ifiglidegliemigratiitalianiall'estero. Dopolaguerrafuaffidataadun'operapia,finchènel 1978 passò alla Regione. IprimiannivenneusatadalComunediCattolicacomecentroestivo perbambini.Poinel 1981 laRegioneEmilia-RomagneaiComunidi Modena, Bolognae Cattolicastipularono una convenzioneper l'utilizzodella struttura, ma cambiandone l'utenza. Si pensò di adattareuna struttura finoad allorapensata ad uso di bambini,in modoche,conopportunemodifichep, otessedareunasoddisfacente e, percertiversi,innovativarispostaper lafasciaadolescenziale(dai 14 ai 18 anninoncompiuti).Circasettecentoposti letto,percinque turni quindicinali,da metà giugno fino alla fine di agosto. La strutturavivecontroentrate,se l'utenzaè limitatasi rischia,a fine anno, di rimetterci,ilche equivarrebbea chiudere:si è dovuto,per forza,allacciareunaseriedi rapporticonaltripotenzialiutenti.Così se dellastruttura, all'inizio,potevanousufruirei soli Comuniconvenzionatis, i è viaviaallargatol'usoancheai Comunifuoriregione, poi europei e persino extra-europei.Un camminoeterogeneo di nazionalitàed esperienzediverse, che passa attraversoalbanesi, israeliani,palestinesi,handicap,mitichepartitedi calcionel segno di antichefaidefra Italiae Germania.Nonpiù un semplicecentro estivo,ma unveroe propriolaboratoriospontaneodi solidarietàe solidarismo.Un'esperienzache meritadi essere raccontata. Diquestoe dialtroce neparla,conpassione,un"addettoai lavori": ildottorMicheleBiondi,bolognese,insegnante,39 anni, sposato, unfiglio,vicedirettoredelCentroTuristicoGiovanileInternazionale "LeNavi"di Cattolica. primo periodo di esperienza con ragazzini della UILDM non fu positivo, probabilmente perchè la responsabilità di questo gruppo non chiese e non pretese, anche duramente, un rapporto. E' chiaro che quando c'è da organizzare un problemadi questo tipo subentrano vari condizionamenti: problemi di coabitazione in una struttura fino ad allora organizzata in un certo modo, l'imbarazzo e la pena che ti colpiscono a livello emotivo e che, a volte, sono più grandi della volontà di fare qualcosa percoinvolgerequesti ragazzi. Intendiamoci, non è che bisognasse per forza fare qualcosa, però credo, avendo vissuto l'handicap anche nelle scuole, che fosse giusto, in una situazione ricreativa nellaquale fino ad allora c'eravamo preoccupati solo dei ·'sani", porsi il problema dell'uno e dell'altro. E all'inizio, non l'abbiamo saputo affrontare. Poi arrivò la col lega di questa coordinatrice di Roma, che, invece, era una che andava giù a muso duro. Ecco, lei. forse, era una che viveva il rapporto con l'handicap in maniera esasperata rispetto ai "sani". Cioè ti faceva quasi una colpa di essere "sano". Però la sua provocazione è stata tale che ha messo in moto dei meccanismi per cui tulli si sono sentiti coinvolti. Abbiamo realizzato, finalmente, un bagno grande solo per loro. In mensa, anzichè tavoli da quattro abbiamo riunito più tavoli al fine di lasciare più spazio per le carrozzelle, non solo. ma ad ogni gruppo di tavoli, ai lati, si sono inseriti alcuni di questi ragazzi. E' chiaro, vederli fisicamente, ridotti in quelle condizioni. tutti rattrappiti, vederli anche mangiare in certe condizioni, può anche dare fastidio ad un adolescente curioso o ad un adulto compassionevole. Però puòdar fastidio se tu non ti poni di prendere in considerazione l'altro, basta che tu lo prenda in considerazione che subito superi tulla una serie di cose. Mettendoli dentro e mangiando insieme i ragazzi hanno superato il problema. Si sono formati dei gruppetti. Ogni ragazzo in carrozzella aveva il suo gruppo "tutore·'. Quelli di Roma. essendo più giovani, sono più chiusi, più introversi, più timidi. fanno là stessa fatica a rapportarsi al "sano•·.come il "sano" a loro. Quelli di Bergamo, più adulti, sono meno presi dal problema e scherzavano con tutti, non avevano problemi di rapporto con i ragazzi. Ci sono quelli che parlano sempre di sesso, fanno le classifiche delle ragazze delle Navi, hanno le loro preferenze, valutano le gambe, valutano le tette, valutano il sedere, un po' come il ragazzino, ma da parte loro è sicuramente una sublimazione: mentre per il ragazzino è l'anticamera, per loro è già vissuto sopra il problema, sono già nella fase del non problema, perchè non può essere diversamente. Poi questi ragazzi ti rendono una carica! Voglio dire, io faccio spesso la notte, tiro le quattro o le cinque del mattino per la vigilanza, e questi li trovi sempre in giro, quando ci sono loro le Navi sono vive. E di notte, anche se non si può fare casino, comunque si parla e si scherza. Perchè loro sanno che, comunque, la loro malattia è progressiva e quindi prima o poi... allora hanno questa carica vitale da spendere in fretta, perchè sanno che ogni ora sottratta al sonno è un'ora in più vissuta. E allora anche tu ti senti coinvolto e cerchi di far sì che quelle ore passate alle Navi siano le migliori. Così abbiamo fatto anche I' esperienza dell'handicap. E la cosa alla fine ha comunicato tante emozioni anche ali' adolescente sano. Quelli che sono stati disponibili a stare con i ragazzi handicappati, ad accettare gli albanesi, gli israeliani e i palestinesi, dimostrano che. alla fine, qualcosa rimane sempre. La solidarietà supera qualsiasi diffidenza fisica o psicologica. Quest'anno si ripeterà tutto quello che ho descritto. Ci saranno gli albanesi. ma, per fortuna, essendo un centro per minorenni, la Regione, questa volta, ci manderà solo adolescenti dai quattordici ai diciotto anni. Sulla base di queste esperienze la convenzione andrebbe rinnovata ad occhi chiusi, ma come abbiamo già detto, perchè il centro viva c'è bisogno che sia sempre pieno. Ma i tagli dello stato alle regioni e comuni sono stati talmente grossi che, insomma, gli enti locali non ce la fanno più. E questo è un problema che ci troveremo ad affrontare entro l'anno. a cura di Giovanni Orlati OTTIC1\r1sION CENTRO APPLICAZIONE LENTI A CONTATI'O ESCLUSIVISTA LENTI A CONTATTO ACUVUE - USA E GETTA 47100 Forlì - C.so Mazzini, 144 - Te!. 0543/20033 . UNA ClffA'

intervista a Loris G., ex-tossicodipendente PUR DI NON SENTIRMI ISOLATO E SCONFITTO Cominciamo dalla fine. Di che cosa ti stai occupando adesso, e come ci sei arrivato? Lavoro in un gruppo-appartamento con malati di mente e ci sono arrivato per mezzo di una vecchia compagna di scuola delle magistrali. Prima lavoravo in un paesino della Val Camonica e ritornavo saltuariamente a Forlì. In una di queste occasioni lei mi ha detto che, se mi interessava tornare stabilmente, c'erano associazioni che cercavano personale. Così sono capitato a lavorare lì. Ci lavoro volentieri, ma anche con molta fatica perchè essere a contatto con sofferenze vive dalla mattina alla sera mi mette di fronte al fatto che ancora non sono, come dire... adeguato ad affrontare delle sofferenze che poi in fondo vanno a colpire le mie. Era un problema questo ritorno? I primi mesi che giravo per Forlì un po' di paura c'era. Incontravo persone con cui avevo avuto le mie storie e ricordo che mi dava fastidio, come un senso epidermico di paura ad incontrarli. Poi ho visto che la cosa si è sciolta, però inizialmente è stato abbastanza problematico. Forse per il fatto di ritrovarsi di fronte alla propria debolezza, alla propria insicurezza rispetto a tante cose. Visto che è stata una soluzione per tanto tempo nella vita, ritrovarsela di fronte ci si sente ancora abbastanza fragili. Come consideri il periodo della 'droga', un periodo da espellere dalla mente oppure una cosa che comunque appartiene alla tua vita? La vivo ancora in maniera ambivalente. A livello razionale capisco che quel periodo posso considerarlo tutto tempo buttato via, un tempo in cui potevo fare delle cose diverse, potevo affrontare le mie problematiche e non l'ho fatto. una cosa che s'è mischiata con la vita A livello emotivo è diverso, perchè l'ho vissuto troppo a lungo, troppo in mezzo per non sentir!o come una cosa che s'è mischiata con la mia vita in un moao· così profondo che non potrò·mai dire: "è come se non fosse successo". Oppure fare finta di niente. A volte vedo per strada persone che si 'fanno' ed io li vedo. Uno che c'è stato in mezzo lo vede dall'altro lato della strada e può dire:"quello là è uno di quelli che si 'fanno'". L'atteggiamento dei tuoi ex compagni qual è? In genere ho incontrato profondo rispetto, anche fra quelli che si 'fanno' ancora. Abbiamo fatto a volte qualche giro insieme, di 15 - 20 minuti, per Forlì, abbiamo parlato. Qualcun altro mi chiede le I000 lireole 10.000!ire,oisoldiper la siringa. Qualcun altro, raro, ha espresso la sua incredulità dicendo: "sarebbe troppo bello, non è possibile, sicuramente qualche volta ti 'fai' ancora". Nella maggior parte dei casi, specialmente da parte dei più vecchi, c'è profondo rispetto. La frase di una vecchia canzone diceva:"ogni J unke è un sole che muore". Il senso era quasi di orgoglio, cioè di apUn genitore racconta l'incubo dal quale sta uscendo. Sa già che ne uscirà profondamente cambiato. Quell'uomo che considerava tutti i drogati dei delinquenti ed era, in fondo, tollerante verso il figlio che usciva di casa "per andarli a menare", non esiste più. Quasi fosse un atroce scherzo del destino, la droga gli ha catturato il figlio e lo ha esposto ai duri giudizi di una società che non sa, ma che giudica impietosamente. Come faceva lui. E' un racconto in cui l'autore risparmia poco anche a se stesso ed è rivolto a coloro che possono e vogliono capire senza "dover provare sulla propria pelle". Un altro uomo, genitore anche lui, ci parla in una lunga intervista, dei lunghi anni vissuti da tossicodipendente. Di quale prezzo abbia pagato nel tentativo di uscire dall'isolamento, di "non sentirsi uno sconfittto". Una battaglia combattuta due volte, prima in compagnia della droga, poi per uscirne. Sono due uomini molto diversi e hanno scelto entrambi l'anonimato. Siamo stati indecisi sull'opportunità di fare due interviste che sarebbero rimaste anonime. La scelta di testimoniare con nome e cognome è un segnale che incoraggia chi si trova spesso nelle stesse condizioni difficilissime, a uscire da un isolamento sociale che spesso aggrava il problema, ma non spetta a noi ovviamente. Ed è una scelta grave perchè viviamo in una società spietata contro i "diversi". Una società in cui domina l'ostentazione più sfacciata di ogni moda e di ogni "firma" altrui, ma che esige, quasi, di non vedere, di non sapere, "il problema", quasi che fosse un fantasma. Che non perdona "il problema". L'anonimato è, comunque, una decisione individuale che non possiamo non rispettare. E d'altra parte abbiamo pensato che non sminuisse il valore delle testimonianze. Da qui la decisione di pubblicare. partenere ad una generazione che stava facendo qualcosa di importante. C'è stato un tempo in cui la droga era vissuta anche come maniera di emergere, comunque come qualcosa che andava fatta per stare dentro al gruppo? lo l'ho vissuta così: a livello di gruppo c'era questa rivendicazione ad ogni costo della diversità. Ricordo ancora abbastanza bene le prime volte che mi 'facevo' ed erano proprio queste le situazioni. Questa specie di rivendicazione a livello del gruppo era come una coperta, come una giustificazione, di "bluff' di massa. Ed era anche poi la spia di rapporti che, visti oggi, non erano propriamente rapporti d'amicizia. Una volta uno mi disse: "se sapevo così avrei cominciato prima". Però, se allora aveva un senso, adesso è un pò tragico pensarci. Perchè aveva un senso? Perchè trovare qualcosa che ti placa, che ti permette di essere fluido, di sentirti a tuo agio anche nelle situazioni in cui normalmente ti senti a disagio; con gli altri, nel rappo1to con le donne, nei rapporti con quelli che vivevi come i leader, quelli che sapevano parlare, trovare qualcosa che sostituisse la paura, che ti permetteva di esprime1ti, di parlare con quelle persone, era una liberazione. Quando ho iniziato io, a Forlì non c'era ancora tanta gente che si 'faceva'. A livello mentale desideravo farlo già da molto tempo. Ci sono altri magari che sballano leggermente per tutta la vita, che so, bevendo o fumandò spinelli e non arrivano mai a quei livelli. Io penso che dipenda dal grado di sofferenza che ci si sente dentro e dal grado di forza o di debolezza di fronte a questa sofferenza. lo evidentemente avevo molta sofferenza e poca forza. Quindi, il percorso è comunque Iosballo. C'è poi chi Ioporta un pò più avanti, che rimane al di qua, comunque è sempre quella linea di fondo: andare fuori ... andare fuori, proprio così. A me in questi giorni è capitato di collegare il 'farsi' all'andare fuori. In fin dei conti mi sembra di vedere che un matto è una persona che è andata fuori perchè aveva delle sofferenze troppo acute nella realtà. Infatti il delirio non è altro che rifugiarsi in un mondo fantastico e sostituirlo a quello reale e a me è venuta di fare la stessa cosa, cioè andare fuori perchè anch'io dentro sentivo una sofferenza di quel tipo. pur di far parte di un gruppo Tu hai cominciato in un periodo in cui la tensione politica era ancora viva e tu facevi parte di quelle persone politicamente impegnate. Hai vissuto il farti come una contraddizione? No, io no. il sapere che i compagni vi- «Il Salotto di Forlì» Forlì · VialeRoma2, 65 Tel.780684 vevano quelli che si facevano con un atteggiamento fra il "mandiamoli via" e la comprensione in qualche modo rafforzava in me l'idea di continuare a farmi, l'idea che la mia scelta aveva una sua logica. "Mi sono sempre sentito rifiutato" -pensavo- "va bene anche questa; è una conferma che ho scelto la strada giusta". Per me eracosì, negli altri non lo so. Perchè dici non lo so? Non se ne parlava? Oquanto si parlava? Mi sembra che si parlasse molto a livello culturale, a livello esistenziale, a livello razionale, però mi ha sempre colpito il fatto che fra di noi ci fossero delle censure, che uno non potesse dire tutto quello che provava ed io pensavo "Bè, se ci si censura fra degli amici. come siamo messi?". Però il bisogno di appartenenza era così forte che pur di far parte di un gruppo in me funzionava come per dire "Vabbè, lascio indietro una parte di me che magari può dar fastidio agli altri, pur di far parte di un gruppo, pur di non sentirmi solo, pur di non sentirmi isolato, pur di non sentirmi uno sconfitto." Perchè in fin dei conti ogni isolato è uno sconfitto. Da una parte la droga funziona come strumento di liberazione dalle tensioni, mentre dall'altra continuano ad esistere censure così forti... Sì, d'altra parte certe cose quando ci si fa non si toccano, se non in rari momenti di sofferenza o di particolare benessere. Però in generale si sfioravano, non si arrivava fino in fondo. Ricordo che solo un anno fa, con una persona che faceva parte del mio gruppo, siamo arrivati a dirci: "Ma insomma, tu perchè cazzo ti facevi?" Non ce lo eravamo mai detti. E' difficile andare a trafficare attorno alle proprie sofferenze. Le dinamiche del nostro gruppo non erano molto diverse da un qualsiasi gruppo di giovani. Però mi sono chiesto, dopo, perchè fra le persone che hanno vissuto queste esperienze rimane sempre qualcosa, un feeling irrazionale, qualcosa che fa pensare:" quelle persone lì mi sembra di capirle più delle altre". La risposta che mi sono dato è che forse il cemento era a livello di sofferenze. Poi del gruppo fanno parte riti che col tempo diventano importanti. li rito del farsi insieme, iI rito del buco, iI rito della"roba", il rito delle attese magari di I O ore per aspettare quello che ce l'ha. Il condividere queste cose forma un qualcosa che resta. Però niente di più profondo. di più interessante. Ma una sensazione la sento, al di là di tutto, al di là del grande bluff che rappresenta lo stare insieme con la roba: la sensazione che c'erano persone che valevano, eravamo persone che avevamo anche del valore. ma che non veniva fuori. a parte qualcuno che riusciva a barcamenarsi meglio degli altri. C'è diffc. renza fra il modo che c'è ora di farsi ed il modo che c'era tempo fa? lo credo che se c'è una differenza ci sia solo negli aspetti esteriori.Non c'è più lo stare in piazza dalla mattina fino a notte come facevamo noi in gruppi di 20,30 o 40 persone. Adesso si fa più di nascosto, nel le case, perchè c'è più paura della polizia, c'è più paura del rifiuto, del sapere che l'eroina demonizza le persone che ne fanno uso. Però nelle motivazioni di fondo no, non c'è differenza. si va incontro ad un senso di stanchezza Secondo te, può esistere una coscienza del farsi? E' possibile, essendo tossicodipendente, distinguere fra ciò che si può arrivare a fare e ciò che invece non si farebbe mai, neanche per la roba? Si, secondo me esiste qualcosa. Più che coscienza, la chiamerei subcoscienza, qualcosa di ancestrale, di radici per cui uno dice "per quanto sia, io non farò mai certe cose" tipo picchiare i genitori per farsi dare i soldi, rubare la pensione alle vecchiette, etc. Certo che quando si è dentro si fa fatica a tenersi. Quando uno sta male, di fronte ali' urgenza di uccidere questi sprazzi di lucidità che vengono fuori, di vincere il male dell'astinenza, non si fanno tanti ragionamenti dicoscienza, certe cose non le fa perchè non gli vengono, ma se potesse, fregherebbe il miglior amico, non è che gli frega di qualcosa. Invece, rispetto allo smettere, cos'è che fa scattare lamolla? Io penso che dopo un certo numero di anni si vada incontro ad un senso di stanchezza. Ciò che conta può essere trovare la comunità giusta, un gruppo di persone giuste, uno stato mentale di stanchezza. Ne ho conosciuti pochissimi che hanno smesso dopo un anno o due che si fanno. E' necessario, in genere, un certo percorso, ritrovarsi in merda una, due, cento volte. Poi, quando ci si ferma per qualche mese in una situazione in qualche modo privilegiata, succede qualcosa dentro, c'è chi sviluppa interessi verso situazioni, verso la vita, c'è chi invece non ci riesce, c'è chi proprio non ce la fa. Poi si smette in tanti modi, c'è chi semplicemente sostituisce una sostanza con un'altra, per esempio il bere: ed ammettono che la vita era di merda prima, e di merda continua ad essere. La comunità, rispetto a questo, cosa da? La comunità conta molto se vi sono persone che non creano dipendenza dalla comunità o dalla personalità del dirigente. ma tendono proprio a liberare una persona, a non reprimerla, persone che fanno in modo che non ci si vergogni di quel che si è, anche se si fa schifo. In comunità si trova, in fin dei conti ciò che uno crede di cercare. offre dei momenti per stare insieme, anche molto belli, con persone con cui si erano vissute certe esperienze e con cui dopo si può dire •·non ci eravamo mai parlati così'·, anche se magari le conosciamo da vent'anni. Hai scelto tu il momento in cui uscire dalla comunità? La prima volta che sono entrato, nell'87, ho fatto sei mesi, poi sono andato via e partendo mi dicevo: "adesso vado a farmi perchè tanto io non ce la farò mai". Poi, dopo circa otto mesi sono rientrato e lì ho finito. Quando sono uscito è stato un accordo preso insieme ai dirigenti della comunità. Sono statodentrodall'inizio '88 fino ai primi mesi dell'89, cioè circa un anno. lo mi considero uscito dalla comunità solo da quando sono tornato a Forlì. Prima ho lavorato per la stessa comunità, ero responsabile di un appalto esterno, per cui c'era un contatto abbastanza stretto con la comunità. ci voglio veder chiaro voglio sapere tutta la verità Ad un certo punto ho sentito io il desiderio di staccarmi, perchè volevo mettermi alla prova, volevo verificare se non mi facevo solo perchè ero ancora legato alla comunità.A volte mi sembra così poco che ho smesso, anche se sono ormai circa tre anni e mezzo. Poi, rientrando a Forlì, ho cominciato un corso con uno psicologo. Quello che mi manca è l'elaborazione di tutto quello che è successo: perchè io provavo questi sentimenti di inferiorità, da ragazzo, questi disagi, la pastiglia con il Biancosarti, il fumo, gli acidi, perchè in condizioni normali io stavo in casa per il fatto che non avevo il coraggio di uscire. Insomma, ho bisogno di capire come succede un'esperienza così, e adesso sto facendo questo percorso con lo psicologo, e mi accorgo che è una cosa che durerà a lungo, perchè io sono curioso, ci voglio veder chiaro, voglio sapere tutta la verità possibile; probabilmente è l'unico modo di riconciliarmi con me stesso, dirmi: "non è successo poi il finimondo". Sento proprio questa cosa: voglio capire. Si torna da questa esperienza anche con una grossa voglia di capire meglio gli altri, di vedere le ragioni anche degli altri. Comprendere la propria sofferenza aiuta anche a sforzarsi di metterci dal punto di vista dell'altro ... Devo dire che ho visto una complessità individuale molto più ricca di quel che immaginavo e pensavo. Sapendo mettersi anche nei panni degli altri, si scoprono lati delle persone che fanno pensare che non esistono più gli stronzi fino in fondo. cioè che non è così facile la faccenda. Adesso che sono più a contatto con le persone. imparo a parlare, a stare insieme a loro. vedo che spesso c'è una mancanza di coscienza, mancanza di voler andare fino in fondo, ma la gente è molto più complessa di quel che pensavo io. Se vuoi, anche più ricca. Certo è che ho visto che moltissimi fra quelli che si fanno hanno avuto problemi familiari, troppi per pensare che è solo una casualità. Quante strozzature ho visto da parte di madri, da parte di padri che in famiglia sono solo una figura che passa per la casa, che fa da sottofondo e poi scompare, padri insistenti, madri soffocanti, poco affetto o strangolamento da affetto. Mi viene da dire che tutto questo non può essere casuale, l'uomo ha ancora bisogno di riconoscersi in delle radici. Anch'io non ho mai sentito il legame della famiglia, e questo l'ho notato spesso in comunità. Ti faccio l'esempio del mio caso: quando per una serie di motivi e difficoltà e perchè sono sieropositivo da cinque anni, una persona non ha la capacità di esprimere la propria affettività, la propria tenerezza, la propria sessualità, gli manca una fetta grossa di vita, ha uno squilibrio. Trovare il modo di vivere una vita creativa, nel senso di conoscere le proprie capacità e metterle in atto, fare una vita che soddisfa, in cui il lavoro non è solo un dovere, ma una cosa che si fa con piacere, fare delle cose che interessano, è una cosa difficile. Io sono uno che vuol vivere e vuole lottare per non restare solo nella vita, ma se dev' essere così, cosa vuoi che ci faccia. Parlavo di questo al telefono con mia moglie recentemente. presto ci incontreremo il cammino è questo E tua figlia? Abbiamo cominciato a sentirci al telefono da qualche mese, perchè prima per la tossicodipendenza, poi per la diffidenza di mia moglie e dei suoi genitori, non riuscivo a parlare con lei; adesso abbiamo cominciato a parlare per telefono una volta alla settimana e ci scriviamo, il cammino è questo, presto ci incontreremo. Facciamo delle belle chiacchierate per telefono, lei ha 11 anni e abita a Roma, sento che lei ha bisogno di dare risposta a domande del tipo: "ma lui è diverso? Quanto ci assomigliamo, e quanto no?" Non si può fare a meno di vivere, se non a prezzi altissimi, senza questi bisogni di sicurezza che una persona esprime. Quando parlano di nuove leggi mi viene da ridere, perchè tanto ci sarà sempre gente che continua a farsi. continuerà a bere e via dicendo. Possono mandare i bombardieri in Colombia. ma non cambierà nulla. a cura di F. Fabbri e R. Galeo/li Nei locali ex EDEN CINE-TEATRO TIFFANY Non esiste un miracolo semplice Forlì - viale della Libertà 2 - tel. 33369 RISVEGLI TESTIMONE PIU' PAZZO DEL MONDO conSteveMartinregiadi HerbertRoss seguirà: dellostessoregistade"Lamosca"e di "Ghostbusters" SCAPPIAMO COL MALLOPPO conGeneDavis chiusuraestiva dall'8 luglio al 1 O agosto • • AQUILA NERA con JeanClaudeVanDamme ShoKosugi regiadi EricKarson chiusuraestiva dal 15 luglio al 10 agosto basatosuunastoriavera Robert De Niro • Robin Williams Diretto da Benny Marshall chiusuraestiva giugno-luglio-agosto Forlì - via Medaglie d'Oro 28 per informazioni tel. 400419 - 33369

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