Terza Generazione - anno II - n. 12 - settembre 1954
coscienza del loro disadattamento e ddla ua origjne, e al tempo stesso dar loro ne] rapporto con l'assistente sociale un=i specie di modello di quello che è un rapporto un1ano di con1prensione. In questo senso G. Hamilton è la sua cuola sembrano aYer ragione, quantunqut' talora eccedano nell'applicare lo <.tesso me– todo alle persone che presentano un nonna– le adattamento e che si troyano tempora– nean1ente in difficoltà a causa cli un pro– blen1a concreto ben difinito. Per questi ul– t.in1i eYidentemente è più adatto il ntctodo funzionale, mentre il diagno~tko lo è per i casi in cui il problema concreto non è che un pretesto, in cui si nasconde un proble– ma più ,asto di rapporti -.ociali e umani. C'è talora negli assistenti sociali cliagno– ~ t ici una <.erta deformazione prof e "io:1c1le che li porta a considerare patologici tutti i casi. Ammesso che sia giusto <.he. uell 'attua– le situazione, l'assistente ociale ai u L l 'as– sistito in una maniera più completa e non si limiti al olo soddi facimento di quel bisogno che questi a,e\ a denunc_ia to nella prima richiesta, resta da vedere se il me– todo che ci propone G. Han1ilton per com– prenderlo e aiutarlo è accettabile e, prima ancora, e accettiamo i presupposti teorici cui la scrittrice, s_ia pure Yagamente, ac– cenna. Veran1en te quest'opera, come de 1 resto quasi tutta la letteratura americana sull 'ar– gomento, si sYolge su un piano d'empiri– smo. Anche negli articoli racco I ti sotto il ti– tolo Philosophy (5) si cerca soprattutto di definire il caseworh e di di~tinguerne i \·ari tipi o di individuarne la base scien– tifica, ma raran1ente Yi si tro\'a un'elabora– zjone critica dei concetti su cui si basa e uno studio sui suoi fondamenti filosofici. Pare in, ece necessario per un suo mi– glioramento. riaffrontare e approfondire que ti concett_i e in particolare il principio del rispetto della persona umana e della sua libertà. Ci i pongono domande di que– sto genere: fino a che punto il trattamento orientato professionalmente ri petta la li– bertà dell'assistito? e n1ancano termini con– cettuali per ri pondere. Il concetto di liber– tà è quanto mai ,·ago e confuso. Il de Jongh, considerato il maggior esponente eu– ropeo del caseworlz, dice in proposito: « in alcuni ca i sembra perfino esserci un certo timore ne,rotito cli assumere la guida. E' questo timore una caratteristi<.a generale della democrazia americana? » (6). E certo non pare che si possano ascrive– re a G. Hami]ton e agli assistenti sociali in genere ]e <leficienzc della cultura da cui provcng9no. G. Hamilton considera meta del servi– zio sociale '< jl benessere sociale nel suo sen– so piit vasto: alti guadagni, grande produ– zione, ccluca?ione formati va, divertimenti e salute pubblica », un genere di vita impron– t;1ta ét cc sanità e decoro >1 (p. 9); afferma che iblioteca Gino Bianco « la base del serv1z10 sociale è potenzialmen– te scientifica » e che « lo schema di riferi– mento per quanto riguarda le teorie della personalità... è essenzialmente freudiano » (7). Volendo dare un giudizio completo su queseopera sarebbe perciò necessario pren– dere posiz.ione nei confronti delle teorie psi– canalitiche e del sisten1a di , alori espresso dalla democrazia americana. :\Ia sembra di maggior interesse per noi vedere fino a che punto si possano applica– re oggj in Italia i principi enunciati da C. Hamilton, cosl legata alle attuali strutture politiche e culturali americane di cui pare accettare senza riserva il sistema di Ya– lori. A giudicare dalla diffusione e dai risulta– tj immediati ottenuti si sarebbe tentati di dare un giudizio assai fa,·oreYole sul ca– sework diagnostico e la sua applicabilità nel nostro paese. l\Ia il casework in Ita– lia non si è innestato per ora nella nostra tradizione storica. Esso resta patrimonio di un piccolo gruppo cli specializzati che ri– schiano di fare un la, oro indi\'idualista e senza radici, jsolandosi dalla storia e dalla cultura italiana. Di questo isolamento è pro\'a il gergo as istenzial~ fitto di parole anglo. assoni o inesattamente tradotte, di cui non si sente troppo la necessità di tro\·are un equhalcn– te italiano comprensibile a tutti: del ca– çeworh infatti si parla quasi soltanto tra assistenti sociali e se ne scri,·e su riviste specializzate. Tutta\'ia que~to divorLio tra l'assistenza sociale e la cultura na/.ionale non sembra una caratteristica italiana, ma troYa una origine pi i1 lontana nel sorgere del case– worll in An1erica e nel 1nancato appro– fondimento del concetto di rispetto per la persona umana. Presi infatti dal desiderio di rispettare la persona per quello che è, senza farsi jnfluenzare da pregiudizi razzia– li o classisti, gli assistenti sodali tendono a isolarla dal substrato storico che le è proprio, e aiutarla a raggi ungere una meta indjviduale prescindendo da quelle della col– letti, ità di cui fa parte. La ragione di que– sto atteggiamento si deve probabihnente ri– cercare nelle ong1n1 storiche del case– worh nato e s,·iluppato in America so– prattutto per far fronte ai problen1i di di· sadattameneto che sorgevano dalle grandi inunigrazioni. Esso risente dell 'atteggian1cn– to an1ericano verso gli irntnigranti, conside– rati piuttosto come indiYidui forze di lavoro o tecnici, che non come portatori di valo– ri morali e culturali di altre civiltà necessa– ri, a una più con1plcta rnaturazione della America. S_i sente nei pri1ni assistenti sociali ameri– cani lo sforzo di aiutare i nuovi venuti ad adattarsi alla collettività in cui entrano sen– za che questa imponga loro i suoi valori e le sue mete, mentre non si curano di aiu– tarl.i a dare il proprio contributo in modo che i 1 gruppo sociale cl.i cui vengono a far parte resti arricchito dei valori di cui so– no portatori. E' una situazione statica in cui per la preoccupazione d.i rispettare la libertà della persona, nell'incontro di due individui non c'è scan1bio e cotnuni<:azione di valori. E' questa una condizione che, entro cer– ti limiti e, tenuto conto di certe differenze, si sta ripetendo in Italia, dove sembra spes– so mancare negli assistenti sociali la co– scienza dei yalori spjrituali di cui sono portatori gli assistiti provenienti dalle co– sidette « zone arretrate » e la consapevolez– za dei valori e dei fini della comunjtà in cui gli assistiti sono disadattati. C'è la ten– denza a occuparsi più di « aiutare l 'assjsti– to a fare uso dei n1ezzi che la collettività oflre » (p. 88), che non di metterlo in condi– zione di dare il suo apporto. E questo in– Yece sarebbe necessario s.ia, naturalmente, per la società, sia, soprattutto, per quegli assistiti, e sono Ja maggior parte, il cui vero problema è di sentirsi isolati, inutjli, estra– nei alla comunità di cui consumano le ri– sorse, ma a cui non partecipano attivamen– te. l\Ianca l'intuizione del Yalore qualitativo insostituibile di ogni uomo, per cui gli as- istiti non sono soltanto scusabili e da ac– cettarsi nonostante quello che sono, n1a in– dispensa bili alla società. che, se essi non esplicano la loro funzione, resta con un ,uoto. L'assistente sociale perci<>, se non deve li– mi tarsi alla soluzione dei problemi concre– ti, come vogliono i funzjonali, ma tendere all 'adatta111ento dell'individuo nel suo gruppo sociale, ha il difficile c0111pito di far sì che questo avvenga, non solo senza muti– lare l 'indivi<luo di certe sue qualità, an– che potenzjali, ma in n1odo che la società re ti arricchita, rispettando così nell 'as– sistito, oltre il diritto di essere quello che è, anche quello di esplicare la propria in– sostituibile funzione. GABRIELLA BoYER (1) G. HAMILTON, Teoria e pratica del ser– vizio sociale, SEU, Firenze 1953. (2) « Servizio sociale individuale "· (3) G. S. BowERS, The nature and definitio11 of social casework. in ]ournal of J!J.cial ca– seworll. Dee. 1949. (4) G. KENNETH L. M. PRAY, A resl.aJg_ment of the generic principles of social case– worll practice, in ]ournal of Social Ca– u:orll, Oct. 194 7, (5) CoRA KAs1us, Principles and u_ch,iiques iu Social Caseworll, Selecl.ed Articles 19~0-1950. Family service association of .t1 merica, New York 1950. (6) J. de JoNGH, A European view of Ame– rican Social 1Vork, in S9cial Casework, Apr. 1950. (7) G. HAl\.ULTON, The underlying philoso– phy of social casework, in The Family, Journal of Social Case JVork, July 1941.
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