Terza Generazione - anno II - n. 12 - settembre 1954

vano allo scroscio spumoso e l'ombra pareva fermentare. lo pensavo che per le vie del paese s'erano aperte le case, e le luci dei fuochi e delle lampadi– ne risplendevano per i vani delle por– te e finestre. Mi sembrava di sentire risuonare tutto il paese di voci e di fra– stuoni, come una grande sonagliera ad– dolcita dall'aria tenera di odori, di er– be, di polvere riposata e fresca delle vie di ca1npagna. Allora 1n'affacciavo al– l'angolo della piazza dove aveva bot– tega zi' Lisandro che arrivava da Va– sto a vender priniiz1·e e " faenze '', co– se di creta. Dalle sue stanze veniva un aroma denso di peperoni freschi e pomodori, e da quell'angolo im1nagi– navo un'altra sera bassa sopra gli orti delle piane. Eaiblioteca Gino Bianco Ma poi mi, richiarnavano dentro e io avrei voluto che non venisse mai quel momento. Mi portavano a dormire nello stanzone illuminato dai ri-fiessi delle lampadine appese sulla piazza: i gridi dei ragazzi si rincorrevano an– cora, saliva dal fondo della piazza il discorrere pacato degli uomini fi– no a tardi, sfiorando ininterrottamen– te lt; lastre illuminate dei mie balco– ni: così ni' addormentavo. Ma a volte riuscivo a trattenenni ali'aperto e mi facevo portare per le vie vicine. La gente stava seduta davanti alle porte e chiacchierava da una casa all'altra: le gonne larghe ricoprivano le ginoc– chia delle donne, accovacciate sui gra– dini. Dal buio dei vicoli scorreva con– tinuamente un parlottare basso come una recita. E 1nentre passavo sembra– va che le case stessero dietro alla gen– te, scure, come grandi gusci svuotati. A me quella inutilità delle porte e dei muri di sera piaceva assai, perchè mi pareva che il paese sparisse e la gente stesse seduta sulla groppa della colli– na, accerchiata dai canipi silenziosi. E mi pareva di essere in niezzo ad una folla colta ali'aperto della notte, quan– do si ferma e cominciano i discorsi. Pensavo agli zingari che non hanno casa e caniminano sempre con i figli e la roba girando per paesi e canipagne e la notte si f erniano dove sono e dor– mono tutti insieme, conie una sola gente, in 1nezzo alle loro bestie lu– centi. Solo la festa di S. Emidio protetto– re stavo tutto il giorno nella piazza e mi divertivo conie volevo. La mattina presto arrivavano i venditori di frut– ta, ma non mi attiravano perchè si vedeva che erano dei paesi vicini, e anche perchè 1ni pareva assai misero che quel giorno pieno di novità, si venisse a vendere la frutta. Tuttavia nii incuriosivano i cetriuoli lunghi, '' i tortarelli ", con la scorza 1nassiccia, rigata, bizzarran1ente ritorti e io pen– savo tra me: "Che troni be ". Quella mattina d'agosto e'era nel!' aria una luminosità ansiosa, conie se si diffon– desse da tutte le case l'anùnazione dei ragazzi che nzettevano i panni nuovi, in fretta, e il suono e il luccichio dei soldi che andavano agitando tra le mani e 1nostravano agli altri per le vie del paese. Risuonava il prinio gi– ro della banda, e quando si sentivano i colpi dei piatti d'ottone, l'aria pare– va che si scheggiasse e si facesse una raggiera di punte acuniinate, che tra– figgevano dolceniente il cielo con1e nel– la sera d'agosto la pioggia d'artificio. Poi e oniinciavano ad arrivare i giochi. Veniva la donna delle carabine e piu– mini e attaccava ai niuri fogli di car– tone su cui erano ritratti certi colonibi grossi e queti, co111e se stessero per accovacciarsi: e ognuno portava al fianco cerchi colorati, uno dentro lo altro, conie una ruota variop,inta. Ar– rivava un vt·cchio e girava una ruota sopra un tavolo, folta di ogni colore come un arcobaleno, e ripeteva con– tinuamente: " La rossa è quella che vince, la verde è quella che perde ''. Su un altro tavolo erano incollate del– le nionete e i ragazzi potevano pren– dersi quelle su cui facevano centro

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