Terza Generazione - anno II - n. 5 - febbraio 1954

tenti e le aspirazioni di una cultura atti– ista, in cui motivi di democrazia universale ~ di solidarietà internazionale si confon– ::dono, tramite l'irredentismo, con l'imperia– ismo incipiente. La vera politica è in quel omento messianica: si attende. Si atten– rlono eventi risolutivi e uomini nuovi. Il fallimento di Crispi fa toccare con mano iutta l'insufficienza diplomatico-militare del- o Stato sorto dal Risorgimento. La con– anna pronunciata dalle maggioranze, l'agi– azione delle masse cui ha reagito severa- ente l' «ossessione unitaria> dell'antico pa– :riota, fanno sognare audaci azioni minorita– rie e dispotismi fortunati. Le voci in tal senso ,ono avvalorate sul piano teorico dalla for– te ripresa della scienza politica secondo la ilinea del naturalismo machiavellico, grazie a Gaetano Mosca, a Vilfredo Pareto e poi 1 Roberto Michels. La legge di ferro del– 'oligarchia giustifica la violenza minorita- da (atto di necessario ricambio, di circola– zioi;ie delle élites) come il « despota di 1genio > invocato da Scipio Sighele o l' « eroe necessario > vaticinato da Gabriele d' An– unzio. L'attivismo della cultura, che darà luogo tra l'altro al futurismo, si esprime insuffi– tientemente nel nazionalismo degli inizi del ·ecolo, abbeveratosi alle fonti d'oltralpe, -x:rea piuttosto uno stato di disagio, pro– unga quella aspettazione di grandi cose he il Risorgimento ha promesso e « i pic- coli uomini > dell'Italia liberale, « i custodi del disordine>, non hanno mantenuto. Gio– litti con la guerra libica crede di poter dar sfogo ali' attesa, senza però compren– dere che così soddisfa temporaneamente solo il nazionalismo avido di terre purches– sia, ma non risolve la crisi aperta dalle minoranze ormai sotto la tenda d'Achille nè il problema sempre scoperto delle mas– se rimaste al di fuori della convivenza rea– lizzatasi attraverso lo stato risorgimentale. E la crisi ora richiede una prova che impegni totalmente il corpo sociale, mino– ranze ed esclusi, facendone risuonare ogni sua più intima fibra. La guerra sarà la vera costituente. La politica del dopoguerra in quattro anni di lotta di strada ratificherà il verdetto delle trincee. La ricerca di uno stile di vita L'Italia delle provincie, dei piccoli bor– ghesi e dei contadini combattenti eleg– ge nei capi delle estreme sindacaliste e repubblicane i costituenti della nuova so– cietà nazionale: ecco il fascismo. Non sen– za fondamento Curzio Malaparte stabi- - lisce un rapporto tra Caporetto, « la rivolta cJei santi maledetti », dei fanti contadini · decimati e beffati contro Roma, lo Stato, i retori del patriottismo, gli operai imbo– scati, e la marcia su Roma. La violenza fascista si diffonde dalle province dell'Ita– lia centrale, le più rurali, le più caratteristi- ibliotecaGino Bianco camente italiane, e si rivolge contro il re– gno liberale bonapartista e la cultura fran– cesizzante o germanizzante. E' l'Italia bar– bara contro l'Italia moderna, la provincia che ha fatto la guerra, contro la città dei pescecani e degli imboscati. E' appunto in un intellettuale di pro– vincia che vuole mantenersi tale, Renato Serra, che troviamo delineato con mag– gior efficacia il significato personale, riso– lutivo nella vita d'ognuno, che ha la guerra nei giorni della vigilia. « Hanno detto che l'Italia può riparare, se anche manchi que– sta occasione che le è data, che la potrà ri– trovare. Ma noi come ripareremo? Invec– chieremo falliti. Saremo la gente che ha fal– lito il suo destino». La guerra appare come l'appuntamento cui la generazione non può mancare, senza sciuparsi irrimediabilmente, solo essa infatti potrebbe darle un'unità che i colloqui di ogni giorno, resi vani dal– la crisi, non riescono a ricostruire. « Pur– chè si vada? Dietro di me sono tutti fra– telli, quelli che vengono, anche se non li vedo e non li conosco bene? Mi contento di quello che abbiamo di comune, più forte di tutte le divisioni. Mi contento della strada che dovremo fare insieme, e che ci porterà tutti egualmente, e sarà un passo, un re– spiro, una cadenza, un destino solo per tutti... così marciare e fermarsi, riposare e sorgere, faticare e tacere insieme: file e file di uomini che seguono la stessa traccia, che calcano la stessa terra. Cara terra dura, solida, eterna, ferma sotto i nostri piedi, buona per i nostri corpi. E tutto il resto che non si dice, in un modo che le frasi diventano inutili». Nel '15, le vecchie pa– role non hanno più senso, non servono più, e la guerra, la guerra sola può con le sue tremende implicazioni gettare un ponte tra uomo e uomo, far accorrere tutti al suono delle campane. In un tale atteggiamento parzialmente inconsapevole la guer.t;a costituisce l'inizio di un'era nuova, cui fornisce anche un nuovo ritmo, quello del passo di marcia. Non ci si attende dal conflitto la realiz– zazione di valori determinati, ma la pos– sibilità di stabilire una più autentica e uma– na comunicazione con gli altri, che non impegni soltanto certe convinzioni intellet– tuali, ma tutta la persona nella comune esposizione al rischio. Sicchè si subordina all'azione i valori parziali di giustizia in– ternazionale o di unità da compiersi, in nome dei quali si ingaggia la lotta. In real– tà si affida all'azione la determinazione dei nuovi valori da cui la vita del singolo sarà successivamente pervasa. Ma già l' azio– ne costituisce un valore a sè, il valore mas– simo che realizza la comunità sociale di– sgregata, ricompone le relazioni tra gli uo– mini e forgia, nella sua continuità con le azioni a venire, i valori su cui i singoli possono poggiare. In questo senso la famosa definizione, ora non più in voga, « la guer- ra, igiene del mondo > apparirà meno ci– nica e brutale. Dall'azione come valore de– riva l'esigenza dello stile. Anni dopo, A. Rosenberg affermerà: « Stile della vita deve essere lo stile di una colonna in marcia, poco importa verso quale destinazione e per quale fine que– sta colonna è in marcia ». La richiesta di uno stile, di un costume di combattività che si pretende valido anche nella vita quotidiana (il « vivere pericolosamente ») deriva dalla necessità di mantenere intatte quellé comunicazioni tra gli uomini che l'esposizione a un pericolo comune e totale ha creato nella guerra. Ciò diviene tanto più vero in un paese che, deficiente di senso sociale, poco propenso a disciplina d' eserci– to, consegue il massimo di socialità e l' op– timum militare nel gruppo di pochi e nella squadra. Dalla trincea alla caserma La volontà di continuare a marciare più sentita nei reparti specializzati, specie in quelli d'assalto; in certa ufficialità di complemento, leg'ata all'ultima evoluzione culturale, in cui la guerra matura una co– scienza nuova dei propri rapporti con gli altri, al di fuori degli schemi di vita asso– ciata già trovati e conosciuti - si sarebbe probabilmente esaurita e smontata nell'im– presa fiumana, se i tecnici della rivoluzione che alla vigilia hanno abbandonato la si– nistra e hanno condotto la lotta per l'in– tervento, non la saldassero all'inquietudine della provincia « barbara > ma non nazio– nalista e non la volgessero alla lotta poli– tica. Tanti anni prima, Oriani ha invocato dalla sua tana contadina « andate dunque a Roma! >. E ora si va a Roma, si con– quista lo Stato. Ma che faranno poi i capi, i Mussolini, i Bianchi, i Balbo, gli Arpinati, i Farinacci, i socialisti, i sindacalisti, gli anarchici, i repubblicani di ieri? Mussolini si concilierà lo Stato dianzi nemico, si farà vanto di averne rafforzato l'autorità, di avere inquadrato il fascismo nello Stato e successivamente proclamerà con orgoglio il regime totalitario. Il nazio– nalismo, battuto nel 1914 quando avrebbe voluto intervenire a fianco degli Imperi centrali e nel 1919-22, quando si riduce a trait d'union tra la vecchia destra e le squadre fasciste, contagia il fascismo con il virus statalista. Una volta che tutto si fa .effettivamente dentro lo Stato, anche la mobilitazione morale che ha formato le squadre e creato il clima della rivoluzione diventa non più un problema umano, di capi e di seguaci, in simbiosi reciproca, ma un problema di or– gani. La marcia diventa una parata. La trincea una caserma. Il rischio un'adunata domenicale. Lo stile, il costume, per un fe– nomeno inevitabile in un paese di esteti, si 27

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