Terza Generazione - n. 0 - agosto 1953

crisi, umanità e coscienza gio– vanile. Eleggemmo a nostri maestri Maritain e Ferrero, Mounier, Dorso, Sturzo, Gobetti e Gram- . SCI. Ormai diventava per noi difficile ritrovarsi in quegli schemi, che pure guidano l'a– zione dei nostri contempora– nei, come diventava più fa– cile ritrovarsi fra noi giovani, anche di idee diverse, special– mente con quelli che 1naggior– mente si dichiaravano giovani rispetto alle ideologie ed alle culture dei rispettivi padri. Allora ci sentimmo di nuo– vo vicino alle masse. ~lasse di giovani che non avevano fatto la nostra esperienza, ma che sentivano come dono in– nato l'esclusione dalle istitu– zioni e dalle organizzazioni e– sistenti. Vicini, come non lo eravamo mai stati alle masse degli esclusi, delusi od ancora illusi dalle mistificatrici par– zialità di tutte le soluzioni pro– poste. Questa esperienza io l'ho vissuta nella Democrazia Cri– stiana. Ma ho preferito rife– f erirla in termini generalj, perchè penso che essa sia av– venuta, con forme diverse, ma nella medesima sostanza, in tutte le parti. Posso aggiungere che forse è nella Democrazia Cristiana che tali successive esperienze hanno raggiunto dimensioni materiali più vaste e più esem– plari. E che forse nei giovani della Democrazia Cristiana si è sviluppato, nelle forme più mature, il tentativo di abbrac– ciare il campo più grande possibile della effettiva realtà giovanile italiana. Così siamo arrivati ad oggi. Al punto che la nostra e– sperienza non è solo più no– stra, ma sentiamo la solida– rietà ed il peso di quello che sta avvenendo nella gioventù del nostro paese. Di che cosa si tratta? Siamo incapaci di dare un giudizio completo, ma qualco– sa possiamo dire. I problemi si fanno sempre più grandi, le esigenze più in– componibili non in sè, ma nel– le formule che oggi le rappre– sentano. Se non appare una soluzione, la nostra società si ~ffi~ ;cJ,ij'. disgregazione ed al- btut'rbfe. e Lo Stato vede ridurre i suoi margini e le sue possibilità di azione; la sua crisi storica si avvia a conclusione e per sus– sistere esso ha di fronte a sè solo azioni senza speranze . Le forze che lo sorreggono perdono man mano le loro ca– pacità di mediazione: le stes– se forze conservatrici stanno diventando anarchiche. I par– titi di destra diventano l'occa– sione prima di disgregazione dell'equilibrio politico. La Democrazia Cristiana ve– de sce{Jlare le sue possibilità e capacità di mediare la situa– zione e di mantenere una linea di composi1ione se1nplice del– le e igenze in c.ampo. Le opposizioni non si inse– riscono secondo una linea com– positiva, n1a si caricano, pesso con preoccupazione e contro la loro stessa volontà, di for– me di protesta inconsulte e scollegate. Il partito co1nuni ta tende a crescere portato avanti da una situazione di scontento che potrebbe pericolosamente influire sulla psicologia dei mi– litanti e sulla linea dei capi. I partiti minori, battuti nel paese, nel mentre dimostrano di aver perduto una validità storica, tentano di risorgere nella tattica parlamentare e nel ricatto, per la situazione quantitativa1nente decisiva per la formazione di ogni governo. Le forze sociali non riesco– no ad offrire alla politica del– le sane riserve creando svilup– pi e situazioni nuove: cadono nel corporativismo incontrolla– to e diventano strumenti di pressione applicati 1n senso disgregativo. Le forze religiose e morali perdono il cont~ollo di vaste zone sociali, con le quali ga– rantivano una qualche stabi– lità. La cultura si rifugia in un suo mondo di esperienze per– sonali, quando non rimane legata alla problematica anti– fascista: essa appare sempre più scollegata dai problemi della vita nazionale-sociale e le domande che a lei si vol– gono rimangono senza risposta. L'opinione generale avverte una crisi superiore alle possi– ,bjlità di tutte le istituzioni esìstenti. -si diffonde il timo- re, o peggio, la rassegnazione al peg·gio. Non so se questa sia la si– tuazione esatta: voi potrete confermarla o meno. Le elezioni sono state una battuta di arresto: vmolti han– no per un momento sperato c.he la vittoria di una parte a– vrebbe significato l'insorgere di una condizione per poter fare qualche cosa. Altri hanno messo d'accanto le proprie preoccupazioni, collaborando per il meglio, con la decisio– ne di rimettere poi sul tavolo le questioni aperte. ìvfa il 7 giugno nessuno ha vinto: la situazione è peggio– rata per tutte le parti e di fronte agli occhi di molti è appar o il fantasma, non della fine di questo o di quel re– gime, ma della disgregazione dell'umanità civile del nostro paese, della scomposizione del– la società nazionale. So che c'è una zona che sta reagendo. Ed è proprio la zo– na dei giovani. A queste pro– spettive i giovani si ribellano. Questa situazione influisce sui giovani spingendoli alla azione, a fare qualcosa per e– vitare la catastrofe. E questo accade perchè i giovani non si riconoscono nelle parti esi– stenti, ma incominciano a sen– tire in maniera eminente le esigenze di una composizione della realtà. esistente all'inter– no del mondo g·iovanile. Ci troviamo di fronte ad un mondo giovanile im1naturo, ma disponibile, estremista ma solo formalmente legato alle ideologie delle parti esistenti. Esso ci appare come una p.9- tenziali tà povera di voci, ma ricca di esigenze, disgregata ma in preda ad un insolito tra– vaglio, dimenticata ma padro– na di un grande patrimonio umano: se stessa. Ne vediamo ora le punte più coscienti, le sensibilità più ma– ture, i problemi più veri, le realtà più ricche. Credo che i giovani, vivendo in un mondo in crisi, siano con le loro speranze al di fuori di esso. Ed ogni loro at– to di vera autonomia sarebbe il primo passo fuori della crisi. Se questo è vero, esso è po– tenzialmente un fatto positivo. È una zona di umanità che l'attuale situazione non riesce a ricevere. Sono de li esclusi che nella situazione ricevono una spinta che non sappiamo ancora come si concreterà, ma che, diretta al punto giusto, potrebbe portarli a trovare so– luzioni e risposte nuove. Ma come faranno questo passo? Dov'è la cultura che gli dica i nomi delle cose, la ideo– logia che gli indichi un cam– mino? Dove sono i capi della gio– ventù? E non solo non esistono i capi, ma neppure le dirigen– ze: i giovani non sono legati l'un l'altro da alcuna organiz– zazione di cultura, da alcuna possibilità di comunicare pro– blemi comuni, da nessun rap– porto fra giovani di classi di– verse. Essi potenzialmente hanno tutto in positivo; sono una realtà nuova, senza spaccature, con problemi nuovi, fuori dal– l'antifascismo, dalla politica tradizionale. ìvfa ciascuno di essi è isolato. Io credo che esi– sta un grande pericolo: il pe– ricolo per cui, non avendo strumenti adatti, l'attuale stato d'animo dei giovani non rie– sca a diventare qualcosa di più: non riesca ad emergere nella generazione l'atteggia– mento umano suo proprio. Ho paura che questo stato d'animo si isterilisca nelle pro– teste, che muoia nel tono la– mentoso delle rivendicazioni, che si fiacchi nell'attesa delle provvidenze, che si incanali verso vie battute che sono ir– rimediabilmente chiuse; il mi– to delle riforme, l'attivismo to– talitario, l'astratta palingenesi del massimalismo. Qui finisce il mio discorso: quale è la richiesta che a voi rivolgo? È una minima certezza, una prospettiva di azione, forse soltanto una conferma di q ue– sto che noi sentiamo. Prendete voi, dalle vostre e– sperienze e dalle vostre medi– tazioni, quello che credete pos– sa servirci e di telo. Io sento oggi la responsabi– lità di essere in mezzo ai gio– vani, ad affrontare con essi i rischi e le responsabilità del momento; poichè credo che og– gi sia richiesto un investimen– to di coraggio.

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