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Chi è Andrea Caffi
Tratto da
Andrea Caffi era nato a Pietroburgo il 1° maggio 1887, da genitori italiani: il padre era impiegato ai Teatri imperiali. A quattordici anni, studente al Liceo internazionale, Caffi era già socialista. A sedici, fu tra gli organizzatori del primo sindacato dei tipografi di Pietroburgo e prese parte alla rivoluzione del 1905, nelle file dei menscevichi. Arrestato e condannato a tre anni di carcere, fu liberato nel 1907 per intervento dell'ambasciatore italiano. Andò allora in Germania per compiervi gli studi universitari. A Berlino ebbe maestri, fra gli altri, Wilamowitz-Moellendorf e, particolarmente amato, Georg Simmel. In quegli anni, mentre militava attivamente nel socialismo europeo, viaggiò per tutta Europa. Soggiornò a lungo a Firenze, dove frequentò il gruppo della Voce.
Terminati gli studi universitari, si stabilì a Parigi. Erano gli anni delle famose lezioni di Henri Bergson al College de France, dei Cahiers de la Quinzaine di Charles Péguy, l'epoca d'oro dell'avanguardia artistica e letteraria. A questi anni risale l'amicizia di Caffi con Giuseppe Ungaretti. Con un gruppo di amici francesi, russi e tedeschi che s'era dato nome La jeune Europe, Caffi concepì il progetto di una nuova «enciclopedia» che avrebbe dovuto, costituire una «messa a fuoco» della rivoluzione culturale sulla quale si era terminato il secolo XIX. Il progetto fu stroncato dalla guerra: dispersi fra i paesi belligeranti, gli amici non dovevano, più ritrovarsi.
Andrea Caffi si arruolò volontario nell'esercito francese. Ferito, nel 1915 fu mobilitato in Italia, ufficiale di complemento dei granatieri. Ferito di nuovo, dopo la guarigione fu addetto, presso il comando della Terza Armata. Di lì, nel 1917, passò con G. A. Borgese a Zurigo, nell'ufficio speciale da questi creato per la propaganda fra le nazionalità oppresse dell'Impero absburgico. Subito dopo la guerra, insieme a Umberto Zanotti-Bianco, pubblicò una rivista, La giovane Europa, con lo scopo dì studiare i problemi di una «pace giusta». Si sa che cosa avvenne a Versailles di questo ideale.
Nel 1920 Caffi tornò in Russia come inviato speciale del Corriere della Sera. Giunto a Odessa, l'idea di attraversare come spettatore la Russia affamata e devastata gli parve intollerabile: invece di continuare il suo servizio giornalistico, si aggregò alla missione internazionale di soccorso organizzata da Nansen, e continuò cosi il viaggio verso il Nord. A Mosca ritrovò al potere i capi bolscevichi che aveva conosciuto nella cospirazione e nell'esilio, sconfitti e perseguitati i compagni menscevichi e socialisti-rivoluzionari. Accusato di aver dissuaso i socialisti italiani venuti a Mosca con G. M. Serrati dall'aderire alla Terza Internazionale, conobbe l'orrore di una prigione dove ogni notte le celle si aprivano per l'appello dei condannati a morte. Fu liberato grazie all'intervento di Angelica Balabanoff. Quando giunse in Russia la prima missione diplomatica italiana, Caffi vi assunse le funzioni di segretario, e le tenne fino al suo ritorno in Italia, nel 1923.
A Roma, fu per alcuni mesi a Palazzo Chigi, incaricato della redazione di un notiziario per le ambasciate. Lontano com'era stato dall'Italia, non sapeva quasi nulla del fascismo. Non tardò a rendersene conto, e un giorno uscì dall'ufficio per non più tornarvi: a guisa di commiato, aveva scritto un resoconto burlesco del ricevimento dato a Palazzo Venezia ai neo-nobili del regime in cui Mussolini era insignito del titolo di «Duca del Manganello». Legato d'amicizia con Zanotti-Bianco, Salvemini, Amendola, Vincenzo Torraca, Giuseppe Fancella, Emilio Lussu, Umberto Morra e molti altri intellettuali antifascisti, fu con loro prima e dopo il delitto Matteotti. Divenne amico anche di Alberto Moravia, allora giovanissimo e sconosciuto. Fu collaboratore di Volontà di Roberto Marvasi e del Quarto Stato di Pietro Nenni e Carlo Rosselli.
Nel 1926, in pericolo di essere arrestato per propaganda sovversiva fra gli operai, partì per la Francia. Lì fu per tre anni precettore dei figli di Margherita Caetani e, al tempo stesso, segretario di redazione della rivista Commerce, che la principessa in quegli anni pubblicava. Quando Carlo Rosselli, evaso da Lipari, arrivò a Parigi, Caffi si mise subito in rapporto con lui. Fu collaboratore assiduo dei Quaderni e del settimanale di «Giustizia e Libertà». Della sua partecipazione al gruppo di Rosselli si trova notizia nella Storia dei fuorusciti di Aldo Garosci. Di Caffi ha scritto anche con calore di simpatia Vera Modigliani nelle sue memorie d'esilio.
Dopo la guerra, Andrea Caffi aveva deliberatamente rinunciato a ogni idea, nonché di carriera, perfino di affermazione personale. Questo voto di oscurità e di povertà non aveva nulla di ascetico: esprimeva semplicemente la libertà della sua natura, insofferente di ogni sia pur minimo accomodamento alle «ragioni del mondo», e la volontà di rimaner fedele al nonserviam pronunciato in gioventù. A Parigi, dopo il 1929, visse di traduzioni e di lavori da «negro», in una povertà che troppo spesso era miseria, riscattata solo dalla nobiltà dei suoi modi. La sua ricchezza stava nella capacità che egli aveva di donare senza risparmio se stesso nell'amicizia. Il dono era, del resto, la sola forma di commercio umano che Caffi, per parte sua, riconoscesse. Ciò valse, a lui solitario, di esser sempre attorniato da amici tanto più fedeli e fervidi quanto più erano giovani. Quello che egli prodigava agli amici non era soltanto una cultura prodigiosamente vasta e viva, ma l'esempio di vita dì un uomo lìbero, e di quel che costasse esser tale in un mondo servo dell'utile e della potenza.
Tra i fuorusciti italiani, Caffi ebbe rapporti di amicizia e di collaborazione, oltre che con Rosselli, con Salvemini, Tasca, Sforza, Saragat, Faravelli, Modigliani, Trentin, senza dimenticare il vecchio sindacalista di Parma Giovanni Faraboli, che egli conobbe a Toulouse nel 1940 e che aiutò a tenere in piedi una impresa di aiuti e solidarietà fra gli operai italiani emigrati. Ma la cerchia delle sue amicizie e attività era singolarmente vasta: partecipò, fra l'altro, all'opera di vari gruppi di emigrati russi, fra i quali aveva amici particolarmente cari. E contribuì, anche, al lavoro di gruppi d'intellettuali e politici francesi sia al momento del Fronte popolare che più tardi, a Toulouse, durante la resistenza. Fra i suoi amici francesi vi fu Paul Langevin, il grande fisico.
Dal luglio 1940 al febbraio 1948, Andrea Caffi visse a Toulouse, partecipando alla vita degli emigrati italiani e spagnoli e alle attività della resistenza, per cui nel 1944 fu imprigionato. Tornato a Parigi, lavorò come lettore per l'editore Gallimard. In quegli anni strinse amicizia con Albert Camus e altri più giovani scrittori francesi, fra i quali Dyonis Mascolo. Amico particolarmente devoto gli fu lo scrittore brasiliano E. P. Sales Gomes. La sua vita rimase la stessa: povera e prodiga, mentre la sua salute declinava. Colpito da un male che probabilmente covava in lui da molti anni, morì il 22 luglio 1955, all'ospedale della Salpetrìère. Le sue ceneri sono al cimitero del Père Lachaise.
Scritti di Andrea Caffi sono sparsi in riviste e giornali italiani, francesi, russi, americani. Nelle biblioteche italiane si trova un volume, Santi e asceti bizantini nell'Italia meridionale, dove il saggio principale è di lui, con aggiunto uno studio di Pietro Orsi sulle chiese bizantine dell'Italia meridionale. Nell'Enciclopedia italiana alcuni articoli di storia bizantina sono suoi: pochi, perché lasciò quel lavoro appena seppe che il padre Tacchi Venturi esercitava le funzioni di censore ecclesiastico sull'impresa.
Ma è nelle lunghe lettere agli amici, nelle note innumerevoli che usava scrivere a commento dei loro scritti, o per chiarir loro il pensiero espresso in conversazione, che si trova forse quel che di più significativo rimane della personalità di Andrea Caffi. Una parte di queste lettere e di queste note è stata preservata. Ne pubblicheremo via via una scelta nelle pagine di Tempo presente, sperando che un editore italiano s'interessi a raccogliere in volume i molti saggi di Caffi già stampati.
Lo scritto che qui pubblichiamo è la parte essenziale di una lettera scritta il 15-18 gennaio 1946 da Toulouse a Nicola Chiaromonte, allora a New York. In forma leggermente abbreviata, il testo fu pubblicato nel numero di gennaio della rivista politics, diretta da Dwight Macdonald, nella quale apparvero anche altri scritti di Caffi, tratti dall'amichevole corrispondenza che egli intrattenne allora col Macdonald. Lo scritto è tradotto dal francese, che era la lingua in cui Caffi preferiva esprimersi.
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