Guardare lontano, vedere (operare) vicino. A partire dal terzo settore Goffredo Fofi Tornano a sembrarci vicini i tempi in cui Kropotkin scriveva Il mutuo appoggio, ampia e appassionata descrizione dei modi in cui gli animali e gli uomini hanno saputo organizzarsi in comunità solidali, e rigetto dell'idea dell'egoismo come unica spinta della vita. Coloro che nel corso di questo secolo lo hanno ostinatamente riproposto sono stati lungimiranti, e penso in particolare al grande anarchico italiano Camillo Berneri, ucciso dagli stalinisti durante la guerra di Spagna, che lo tradusse e divulgò dapprima nella Francia dei fuoriusciti, e a Colin Ward, uno dei massimi pensatori contemporanei, del filone che parte da Paul Goodman e attraverso Ivan Illich giunge fino alla generazione presente che s'interroga sui modi di reagire alla "deriva criminale del capitalismo", come la chiama Antonio Perna. A partire non dallo stato, la cui deriva è annunciata da grandi episodi di disagio collettivo, dalla sua incapacità di risolvere i problemi fondamentali della modernità, ma dal basso dell'iniziativa concreta degli interessati, dei gruppi che hanno a cuore la salvezza dei loro fratelli nel bisogno, nell'emarginazione, nell'abbandono, ma anche la salvezza di se stessi, poiché la solidarietà non è "altruismo" e non è solo amore dell'altro, ma è la più vera e compiuta affermazione di sé... Il mondo che ci si presenta di fronte nei suoi possibili sviluppi è terribile - anche se si fa di tutto, almeno in Occidente e almeno i politici e gli intellettuali, per farcelo dimenticare. La crisi dello stato assistenziale, i rigurgiti detti etnici e la "deriva criminale del capitalismo" ne sono in Occidente l'aspetto saliente; e che dalle basi di coloro che concretamente si spendono per salvare ciò che è degno di venir salvato - valori, ambiente, uomini nel bisogno - nascano iniziative che cercano ' risposte concrete alla deriva, è importante e se anche non può rassicurarci sulla vastità del disastro, è in qualche modo consolante. E soprattutto è stimolante nella sua proposta di una possibilità nostra, di singoli e di gruppi, di reagire, di contribuire. Credo valga ancora e più che mai, per noifersone della fine millennio, i vecchio imperativo di saper vedere lontano e guardare (operare) vicino. In termini forse paradossali, ci si dovrebbe poter definire come "anarco-socialdemocratici", con un quadro di riferimenti che altri chiamerebbe "utopico" mentre è solo razionale e indispensabile (la vista larga e lunga sul "lontano"), e però con i piedi saldamente piantati nella realtà, e in una pratica che ci permette di conoscerla e di modificarla. È questo il paesaggio in cui mi pare dovrebbero collocarsi le discussioni e le esperienze del non-profit e del "terzo settore", se non vogliono venire schiacciate sul modello che il caeitalismo italiano e i suoi emissari politici (anche nel prossimo governo) si apprestano con tutta chia- ~ezza a proporre loro e forse a imporre. In anni recenti il modello "emiliano" è potuto sembrare a molta sinistra come una prospettiva imitabile. Ma sappiamo bene tutta l'ambiguità del modello Coop, per esempio, che vi ha dominato, e la sua manipolabilità e corruttibilità; e si veda anche la nond ifferenza, che sta sotto gli occhi di tutti, tra il tipo di umanità cresciuta dentro questo modello in Emilia Romagna e nelle altre regioni "rosse" e quella che è cresciuta, mettiamo, nella Brianza o nel Veneto leghisti: non di soli servizi vive l'uomo! E sappiamo ancor, meglio, va da sé, la miseria culturale e umana del modello che tanto esaltava il Censis degli anni Ottanta, quello delle fabbrichette venete e marchigiane, quello del "sommerso diffuso". L'interesse che la Confindustria e il capitalismo italiano - e di conseguenza i politici italiani di governo dimostrano - nei confronti del "terzo settore" è il segno di una insistenza e non di una novità: è l'iniziativa di base a permettere la sopravvivenza di un sistema, e se ieri si trattava di quella del "piccolo" e del "sommerso", infrastruttur~ di soste_gno ~'u~ tutto, o$gi si tratta d1 un pnvato sociale" che per noi ha un valore soprattutto morale, e per loro sopratt~tto o esclusivamente economico. Dovremmo essere astuti come serpenti e candidi come colombe, diceva Quello. Ma, per l'appunto, la difficoltà del "terzo settore" sarà di coniugare le due cose, e non farsi raggirare dalle astuzie di un sistema industriale e finanziario sommamente corrotto; sarà allo stesso tempo di mantenere quella integrità di progetto e di valori che sono la sola garanzia che anche il "terzo settore", magari per le solite vie traverse della centralità già democristiana e oggi neo-consociativa, non perda la sua ragion d'essere e non diventi un altro aspetto e puntello di un sistema che ha il suo perno sull'unico valore del possesso-e-potere. I nschi sono grandi, ed è per questo che si ha il dovere di esigere dalle proposte di banche etiche e dalle iniziative non-profit e del "terzo settore" il massimo rigore insieme alla massima trasparenza, al massimo candore. Sarà difficile convincere e trascinare gli incerti, ma ancor più difficile sarà, è bene che le organizzazioni del "terzo settore" non lo dimentichino, convincere e trascinare i più facilmente persuadibili, coloro che con più intensità hanno sperato o sperano in un'alternativa e non in un aggiornamento-aggiustamento a favore di un sistema, che finirebbe sì per aiutare molti a coprire nuovi spazi, ma dentro la sua logica, e come toppa provvisoria al suo destino, alla sua deriva. Costoro sono pochi ma possono essere, una volta convinti, gli artefici più seri di una novità e non di una variante del vecchio. Guardare (operare) vicino, va bene; ma occorre sapere, sempre, vedere lontano. ♦
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