dall'interno le dinamiche, le speranze e le contraddizioni. È forse per questo che alla maggioranza degli studiosi sfugge una questione di fondo: la motivazione di fondo, l'utopia sotterranea che sottende le esperienze più vitali dell'area del non-profit. Entrando dentro le storie di vita, le ragioni profonde di una scelta che molte volte ha carattere religioso (in senso lato), si coglie un nesso profondo tra queste esperienze contemporanee e le loro radici culturali che affondano nei primi tentativi di superamento delle principali contraddizioni del capitalismo industriale: la riduzione del lavoro a merce, la distruzione dei legami sociali e comunitari, la degradazione dell'ambiente e la negazione della bellezza della vita. Per ovvie ragioni, di spazio e tempo, non possiamo che accennare ad alcuni filoni, onde lunghe, che hanno attraversato la storia contemporanea ed hanno preso il nome di: movimento anarchico, socialismo utopistico, socialismo romantico. Da Robert Owen a Proudhon, Fourier, i tentativi di superare l'alienazione e l'abbrutimento del lavoro, determinato dalle relazioni capitaliste,, ha portato a sperimentare delle vie d'uscita fondate su esperienze comunitarie, sull'esclusione del denaro come mezzo di scambio, su una maggiore partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese. Se esse sono fallite non significa che in sé non contenessero delle istanze fondate sui bisogni fondamentali dell'uomo e non abbiano lasciato un seme che ritorna, sotto altre forme, nel mondo contemporaneo. Meno conosciuto è quel movimento che è stato definito "socialismo romantico" che da Carlyle a Ruskin al grande Morris ha portato avanti una critica radicale alla qualità dello sviluppo capitalistico, alla sottrazione di valore d'uso nel processo produttivo, al degrado della natura e delle città (su questo tema ha anticif ato molte battaglie che caratterizzano oggi i movimento ecologista). Infine gli anarchici, a partire dalle grandi intuizioni di Kropoktin, hanno posto al centro delle loro lotte il principio dell'autorganizzazione, come stadio necessario nel cam'mino della nostra civiltà se non vogliamo che la "ragion di stato" ci porti a guerre sempre più crudeli ed alla scomparsa della società umana. Il "socialismo scientifico" ha attaccato duramente queste alternative al capitalismo, per un lungo periodo, la gran parte degli intellettuali le~at1 alla storia del movimento operaio, Anarchici, socialisti romantici ed utopisti, erano - secondo gli epigoni del materialismo storico - solo espressioni della piccola borghesia o di qualche borghese elitario con qualche prurito di coscienza. La violenza teorica del marxismo, che in questa scienza totale non tollerava eretici. e profeti, ci ha condotto a quella catastrofe sociale e culturale che ormai appartiene alla storia. Viceversa, i sogni degli utopisti, dei romantici e degli anarchici non hanno prodotto quel mostro storico che si chiama lo Stato socialista, cioè l'idea che si possa forgiare l'uomo nuovo ricorrendo alla forza, ai ~ulag, allo sterminio di massa ed al terrore. Ciò che distingue questi altri percorsi verso una società più siusta è che il cambiamento deve avvenire a partire dalla libera scelta delle coscienze, deve avvenire dal basso e attraverso la strategia del1' esempio. Forse ci vorranno secoli per arrivare a vederne i frutti, ma le scorciatoie, fondate sull'uso della coercizione, si sono dimostrate un disastro per tutta l'umanità. RICCHIE POVERI Diverse di quelle esperienze che rientrano nell'area del terzo settore hanno a che fare con i valori di quei movimenti che sembrano scomparsi per sempre: il valore centrale dell'agire comunitario, la partecipazione, la democrazia diretta, la ricerca della qualità della vita, il proselitismo attraverso l'esempio, ecc. Ma anche di più: la speranza in un mondo più giusto e libero, in un mondo liberato, a partire dagli oppressi, dai più svantaggiati, dai più deboli. Senza queste grandi speranze, senza questi valori che altri considerano "ingenuità", molte di queste esperienze non-profit sarebbero crollate in questi anni, schiacciate dall'azione congiunta di uno Stato-padrone e di un mercato omologante. Perché queste esperienze alternative che si sporcano le mani nell'agire quotidiano, con pochi mezzi materiali e grandi risorse spirituali, devono fare i conti con un mercato sempre più aggressivo che richiede (per essere competitivi, come si dice) un adeguamento ai suoi diktat (in termini di tempi di lavoro, produttività, e quindi filosofia di vita) e con un settore pubblico che se ti dà vuole spesso qualcosa in cambio (il consenso). Senza queste spinte profonde difficilmente piccoli gruppi, comitati, ecc. sarebbero cresciuti, costruite imprese e rimasti dei grandi sognatori, e quindi dei diversi. Il ruolo delle Onp: la regolazione dal basso Ciò che caratterizza alcune esperienze odierne dal passato è il rapporto con le istituzioni e la società nel suo complesso. Oggi possiamo trovare diverse esperienze di organizzazioni non-profit (associazioni, comunità, imprese sociali, ecc.) che, pur tenendosi gelosamente ancorati alla specificità del loro percorso, dimostrano una grande capacità di interagire sia con il mercato che con le istituzioni pubbliche. Si tratta di un processo dinamico in cui ogni singola organizzazione, a partire da una sperimentazione e ricerca al suo interno di forme di vita conviviale e di partecipazione democratica più alta, tende, da posizioni non subalterne, ad influire sulle regole che governano la vita della società. Non si tratta di una strategia che nasce da una scelta ideologica, ma di un processo legato sia al radicamento sociale di questi gruppi, sia ad una filosofia della vita che tende a trovare un equilibrio sempre più avanzato, tra i processi macro e quelli micro, tra l'ideale ed i valori e la loro implementazione in una realtà complessa in cui è necessaria la mediazione. Non tutta l'area del non-profit si muove all'interno• di queste coordinate, ma possiamo affermare che sicuramente le esperienze più vitali del terzo settore sono da anni impegnate a coniugare il diritto ad un proprio cammino, autonomo ed autoderminato, con la necessità di influire sulle istituzioni pubbliche e private (non dimentichiamoci che anche il mercato è istituzione come ci ha insegnato K. Polanyi7. Per comprendere meglio queste esperienze, il si~nificato e la rilevanza della loro azione, vorrei citarne due, una italiana e l'altra europea, che mi sembrano particolarmente significative. La prima è il movimento delle comunità di accoglienza che sono nate, per gemmazione, intorno alla prima esperienza di Capodarco, nelle Marche. È una esperienza ben nota ai lettori di questa rivista per cui evidenzierò solo un aspetto che mi preme sottolineare. Le comunità di Capodarco non sono solo delle fantatiche esperienze di vita e di liberazione per
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