- Storie di naja La città: Firenze, Ta
Narrativa Nadia Fusini La bocca più di tutto mi piaceva pp. 144, L. 22.000 Jean-François Vilar Gli esagerati Traduzione di Maria Baiocchi pp. 312, L. 30.000 Interventi Alberto Berretti Vittorio Zambardino Internet. Avviso ai naviganti Nuova edizione riveduta e ampliata pp. 120, L. 1'6.000 DONZELLI EDITORE ROMA S.ggi Piero Bevilacqua Tra natura e storia Ambiente, economie, risorse in Italia pp. 224, L. 35.000 Saggine Peter Brown Il sacro e l'autorità La cristianizzazione del mondo romano antico Traduzione di Maria Cristina Costamagna pp. 96, L. 16.000 Meridiana, n. 25 Antimafia Rivista quadrimestrale di storia e scienze sociali L. 33.000 Storica, n. 4 Rivista quadrimestrale di storia L. 28.000 Libri di idee
LA TERRA VISTA DALLA LUNA Rivista dell'intervento ~ N.16, giugno 1996 VOCI sociale Gianfranco Bettin, Un auspicio per il governo: cambiare lo stato (2), , tgusto Battaglia, La carovana del professore (3), Goffredo Fofi, Guardare lontano, vedere (operare) vicino (4), Coordinamento immigrati Cgil, Immigrati e governo (5). ARTE E PARTE. Anna Maria Ortese, a cura di Luigi Vaccari, "Alonso e i visionari", una favola religiosa e pagana (39), Andrea Colombo, A. B. Yeoshua, scrittore israeliano, seguito dalle Conclusioni sulla diaspora di A. B. Yeoshua ( 42), Goffredo Fofi, Piccoli autori e adulti furbi (44), Emiliano Morreale, Una poliziotta incinta tra le nevi di Fargo (45). RICCHI E POVERI TERZO SETTORE Martino Mazzonis, Nuovi spazi, nuove questioni (6), Rinaldo Giano/a, Economi.a sociale (13\ Antonio Perna, Non-profit: ruota di scorta o nuovo motore per un altro sviluppo? (15), Giulio Marcon, Oltre lo stato (18), Vittorio Giacopini, Il terzo settore degli "intellettuali" (20), ]eremy Rifkin, La società civile nell'era dell'informazione (22). LEZIONI Mohammed Anisur Rahman, Verso un paradigma di sviluppo alternativo (26), julie Mostov, Uso e abuso della storia nell'Europa orientale (35). SUOLE DI VENTO Marco Carsetti, Naja: giorni a Peschiera (46), FrancescoFeola, Giovani scrittori e vecchi critici (53), Anna Viola, Handicap: la giornata di Lucia (54). LA CITTA' DA FIRENZE A TARANTO Carmelo Argentieri, Firenze città chiusa (56), Alessandro Leogrande, Taranto: una città e il suo sindaco (58). BUONI E CATTIVI I MINORI Silvana Quadrino, I rischi e le reti (60), Antonio D'Amore, Da Napoli: alle soglie del 2000 (61), Valerio Belotti, Da Venezia: una lunghissima gioventù, una lunghissima incertezza (64), Rosa Ferro, Da Bari: rischio e contesto (67), Giancarlo Mola, Vita di provincia: ' i bambini della 167 (70), Andrea Beretta, Educatore/minore: zero a zero? (72), Nicoletta Benatelli, Minori e pratiche di giustizia (73), Saverio Gazzelloni, Figli d'Italia: un libro di dati (76). IDEE Giorgio Agamben, a cura di Lisa Ginzburg, La "nuda vita" (78). IMMAGINI In copertina, una foto di Roberto Koch (da in Giro, Contrasto 1996). I disegni che illustrano questo numero sono di Pedro Scassa. Direttore: GoffredoFofi. Comitatodirettivo: DamianoD. Abcni,Guido Armcllini,MarcelloBcnfantc, GiorgioCingolani,GiancarloDc Cataldo,GiancarloGaeta,PiergiorgioGiacchè,VittorioGiacopini,RinaldoGianola, Roberto Koch,StefanoLaffi,FrancoLorcnzoni,GiulioMarcon,RobertaMazzanti,MariaNadotti, MarinoSinibaldi. Collaboratori: Roberto Alajmo, Vinicio Albanesi, Ada Becchi, Federica Bcllicanta,Stefano Bcnni, GianfrancoBcttin,Alfonso Bcrardinclli, Andrea Bcrctta, Andrea Bcrrini, Giacomo Borclla,Marisa Bulghcroni, MassimoBrutti, Mimmo Càndito, Francesco Carchcdi, franco Carnevale, Francesco Ccci, Luigi Ciotti, GiancarloConsonni, Paolo Crcpct, MirtaDa Pra, Zita Dazzi, StefanoDc Mattcis, MarcelloFlorcs,Grazia Fresco, Rachele Furfaro, Alberto Gallas, Fabio Gambaro, Saverio Gazzclloni, Bianca Guidctti Serra, Gustavo Hcrling, Filippo LaPorta, Daanicla Lcporc, Luigi Manconi, Ambrogio Mancnti, Bruno Mari, Paolo Mcrcghctti, Santina Mobiglia, Giancarlo Mola, Giorgio Morbcllo,Cesarc Moreno, Emiliano Morrcalc, Marco Mottolesc, Grazia Neri, Monica Nonno, Sandro Onofri, RaffaelePastore, Nicola Pcrronc, Giuseppe Pollicelli, SilvanaQuadrino, Georgene Ranucci, Luca Rastcllo, Angela Regio, Luca Rossomando, Bardo Sccbcr, Francesco S1sci,Paola Splendore, Andrea Torna, Alessandro Triulzi,Giacomo Vaiarclli, Federico Varese,Tullio Vinay, Emanuele Vinassadc Regny, Paolo Vincis. Grafica: Carlo Fumian. Redazione: Alessandra Francioni (segretaria), Claudio Buttaroni, Monica Campardo, Marco Carsctti, Michele Colucci, Elena Fantasia, Carola Proto. I MANOSCRrrn NON VENGONO RESTITUITI. DEI TESTI STRANIERI DI CUI LA RIVIS'rA NON~ STATA IN GRADO DI RINTRACCIARE Gli AVENTI DIRITTO, Cl DICIIIARIAMO PRONTI A 01TEMPERARF. AGLI OUBLIGIII RELATIVI. La Terra vista dalla Luna iscritta al Tribunale di Roma in data 7.7.'95 al n° 353/95. Direttore responsabile: Goffredo Fofi Edizioni La Terra vista dalla Luna s.r.l. Redazione e amministrazione: via Mcntana 26, 00185Roma, tcl. 06-4467993(anche fax). Distribuzione in edicola: SO.Dl.P. di Angelo Patuzzi spa, via Bcttala 18,20092Cinisello Balsamo(Ml), tcl. 02-66030I, fax 02-66030320. Stampa/StilGraf della San Paolo Tipografica Editoriale - ViaVignaJacobini 67/c - Roma Finito di stampare nel mese di giugno 1996
Un auspicio per il governo: nientemeno che cambiare lo Stato Gianfranco Bettin Gianfranco Bettin, scrittore, è prosindacodi Venezia. ♦ Romano Prodi credo sia consapevole delle molte attese che circondano il suo governo, attese che sono state alla base del suo successo elettorale e che oggi impongono risposte efficaci, innovative, rotture drastiche col passato. Di queste attese, di queste speranze sono portatori coloro che amministrano il paese su scala locale, nei Comuni in primo luogo. Coloro, tra questi, che si occupano in particolare di politiche sociali si aspettano anche di più. È infatti sul fronte dello stato sociale che si sono giocati, in gran parte, gli esiti della recente consultazione elettorale ed è dunque sulla promessa di una riforma del sistema di protezione sociale che non destrutturi le garanzie fin qui assicurate ma le trasformi, le potenzi, ne migliori la qualità che Prodi ha conquistato la fiducia della maggioranza degli elettori. Tuttavia nessuna positiva innovazione nel campo delle politiche sociali può oggi prodursi senza che mutino profondamente la natura e la struttura del sistema istituzionale, dello Stato. Lo Stato centralista e burocratico ha dato tutto ciò che poteva dare, nel bene e nel male. Semmai, sopravvivendo, è di male che può farne ancora molto, e dunque occcorre interrompere l'agonia e il degenerare al più presto. Occorre ricentrare sulle autonomie locali i poteri reali, le risorse, le politiche (salvo ciò che deve restare in ambito nazionale: la grande pianificazione, la difesa, la politica estera, e poco altro). Per questo, anche chi lavora prevalentemente nel campo sociale non può non chiedere al governo e al parlamento di mettere al primo punto della propria agenda la trasformaY.QQ zione dello Stato in senso federalista, il trasferimento, cioè, di quanto più potere reale possibile nel luogo più vicino possibile alla comunità alla quale si chiedono il mandato politico e le risorse per esercitarlo. Le risorse sono sempre più scarse. La crisi finanziaria dello Stato è sempre più acuta. Occorre perciò responsabilizzare i cittadini alla giusta e misurata gestione delle risorse, stabilire insieme le priorità, far vivere il senso autentico della comune necessità di contribuire agli investimenti, al mantenimento e allo sviluppo dei servizi fondamentali. Chi, in particolare, vive ai poli opposti del paese e della costellazione sociale - nelle regioni dell'opulenza come in quelle dell'incertezza, della crisi interminabile, della disoccupazione - avverte acutamente il bisogno di riscoprire le motivazioni che possono tenere insieme la comunità, perfino la comunità locale, impedendo che la disintegrazione frantumi ogni solidarietà e che l'egoismo, il corporativismo, il campanilismo nutrano la transizione in corso esclusivamente delle loro cattive ragioni. Il permanere di uno Stato centralistico e ottusamente burocratico, un po' assistenziale e un po' clientelare, sprecone, oppure, all'opposto e ancor peggio, ugualmente accentratore ma convertito al mercato e al liberismo spinto, al taglio della spesa sociale, rappresenterebbe il pegsior fattore di crisi democratica che si possa immaginare e, insieme, l'elemento più pericoloso di un devastante attacco al sistema di tutela sociale. Destrlltturare questo Stato, ricostruire le basi della convivenza a partire dalle comunità locali, dai Comuni - cioè dalle città che rappresentano la radice dell'esperienza democratica italiana, fin dagli albori della sua tradizione civica - è qualcosa di drammaticamente imr,egnativo, eppure di inevitabile. La strada opposta, permanere nel presente stato di cose, conduce solo a esasperare le tensioni già latentemente distruttive che lo percorrono lungo tto il paese. La spinta "fe tlista", cioè la forzatura in ·ezione della ripresa di pote~ diretto da parte delle comunira locali, parte sia da nord che da sud, anche se al nord e specialmente nel nordest essa è oggi più esplicita, f iù consapevole. Ma anche ne meridione iniziano a manifestarsi segni più evidenti di questa spinta. Il rischio è che si producano in opposizione e in diretta sfida · a quanto avviene a nord, con in più il carico di rancore e di insofferenza sacrosanto da parte di chi vive le situazioni più difficili nel paese. È per questo che il governo può e deve agire come elemento insieme di moderazione e di iniziativa, di trasformazione riformatrice. Ogni azione parziale, ogni politica di settore rischia, per quanto giusta e illuminata possa essere, di fallire strategicamente se il quadro istituzionale e l'apparato decisionale, se la macchina amministrativa e il sistema di raccolta e redistribuzione delle risorse, resteranno quelli attuali o, peggio, degenereranno ulteriormente. La sfida democratica dei prossimi anni, forse addirittura dei prossimi mesi passa attraverso molti fronti - risanamento economico, riequilibrio dei conti pubblici, lotta alla disoccupazione e in particolare al circolo vizioso tra sviluppo e riduzione del lavoro necessario, rilancio delle politiche di welfare, eccetera - ma intorno al nodo dei nodi della riforma dello Stato e del sistema istituzionale tutti questi fronti convergono. È lì che aspettiamo Prodi e tutti coloro che, il 21 aprile scorso, hanno chiesto di essere investiti del mandato drammaticamente impegnativo di rimettere in sesto le cose. Speriamo che sapessero quel che dicevano. Speriamo che sappiano quel che dovranno fare. ♦
La carovana del professore. Le nostre attese Augusto Battaglia Augusto Battaglia,deputato eletto con L'Ulivo, si è occupato in particolaredi politichesociali. ♦ In questi primi giorni della tredicesima legislatura si respira un'aria indubbiamente nuova. Svaniscono, sempre più lontane, le grida scomposte degli uomini della destra. A esse si sovrappongono toni più pacati, momenti di pathos, come nelle parole di Luciano Violante, mentre va diffondendosi pian piano nel nuovo parlamento un clima di impegno operoso, scevro da toni retonci, forse poco eclatante, ma certamente attento ai problemi concreti della gente e consapevole dei rischi di questo complesso e difficile passaggio politico. Il discorso di presentazione del nuovo governo alle Camere rispecchia indubbiamente questo clima e soprattutto s1 sforza di delineare con la necessaria prudenza uno scenario nuovo. Con prudenza perché è certo che il nuovo governo si muove sulla scia dell'azione che Ciampi e Dini hanno sviluppato dal '93 in poi, inframmezzati dalla fallimentare parentesi del Governo Berlusconi. Ma, pur n~lla coi:itinuità, molti passaggi esprimono una nuova e sincera tensione per il sociale e la consapevolezza che questa volta non basteranno le tradizionali politiche di risanamento dei conti pubblici. Oltre che alla lira, all'inflazione, al Pii, alla Borsa, il governo sa che dovrà prestare la necessaria attenzione ai giovani senza lavoro, alle sorti degli anziani, degli handicappati, di chi ha bisogno di solidarietà. Perseguire quindi con rigore il risanamento finanziario, ma come mezzo per liberare da subito risorse da mettere a servizio dello sviluppo per il lavoro, per superare gli squilibri economici e sociali del Paese. Equità è un termine ricorrente nell'intervento del Presidente del consiglio Romano Prodi. Quando delinea i tratti della riforma tributaria, quando fa riferimento alle misure economiche e al federalismo. Equità perchè tutti abbiano almeno una possibilità. Una possibilità di lavoro, in particolare, un lavoro che non nasce solo dal mercato, ma che nella società post-industriale arriva se si attivano politiche concrete: formazione, mobilità controllata, risanamento ambientale, servizi alla persona, promozione del terzo settore. Equità in uno stato sociale rinnovato che tuteli la salute, sostenga la terza età, promuova chi vive il disagio. Uno stato sociale che viva della partecipazione attiva dei cittadini attraverso l'associazionismo, il volontariato, la cooperazione, l'impresa sociale, le organizzazioni del terzo settore. Attraverso il lavoro di migliaia di giovani che possono servire la Patria non solo in armi, ma nell'impegno quotidiano a servizio delle comunità. Parte così con poco clamore ma con qualche idea nuova e tanta passione la carovana dell'Ulivo. La carovana ha un percorso lungo e difficile da fare. E lo farà, a detta di Prodi, attenta a raccogliere anche quelli che cadono, che non ce la fanno da soli e che troppo spesso restano a terra trascurati da tutti. Sono parole impegnative, c'è da augurarsi consapevoli. Perché sono già in tanti che legano le proprie speranze al passaggio della carovana. Ma non vogliono solo salire, per farsi portare alla meta agognata, il loro Ovest. Tanti che non ce la fanno da soli portano in sé la speranza, che insieme agli altri possano anch'essi contribuire, chi più, chi meno, al riscatto e allo sviluppo del Paese. Vogliono essere protagonisti. Sì, proprio loro, i poveri, gli emarginati, considerati un peso dalla vecchia politica, quella del mercato e basta, quella "che dopo penseremo anche a voi". Organizzati nel terzo settore sanno di essere invece una risorsa, ma solo se una buona politica mette al centro la persona, le comunità locali, i loro problemi e bisogni. Non sarà facile però resistere alle tentazioni, alle sirene del libero mercato. Lungo la strada sono già appostati Soloni di ogni tipo, lì pronti a giudicare, a suggerire, a chiedere ancora un ultimo sacrificio. Si ag~irano falsi federalisti che più che l'autonomia perseguono il desiderio di pagare meno tasse. Classi opulente che non vogliono arretrare, i cui lamenti suoneranno alti, fino a commuovere persino i poveri veri. Bisognerà resistere. Altrimenti le tante speranze c_he hanno portato alla vittoria dell'Ulivo presto scemeranno e la carovana alla fine potrebbe fare arrivare da qua_Ichepa~te, _m~ vuota e senza I suoi p1001en più convinti. Le aspettative sono alte e tanta fiducia circonda il nuovo governo. Di chi aspettava questo momento da cinq~ant'anni, di ~hi ha c?minc1ato a costruire pazientemente il nuovo nel sociale, di chi è stato deluso dal sogno berlusconiano, di chi crede nelle istituzioni e lavora quotidianamente per il bene di tutti. A questi non basterà che la lira punti decisamente a quota mille. Credono veramente che lo stato sociale sia - la grandezza di un popolo e sono disposti a dare una mano per costruirlo. Non è ammesso deluderli, né sbagliare. Avanti tutta Professore. ' ♦
Guardare lontano, vedere (operare) vicino. A partire dal terzo settore Goffredo Fofi Tornano a sembrarci vicini i tempi in cui Kropotkin scriveva Il mutuo appoggio, ampia e appassionata descrizione dei modi in cui gli animali e gli uomini hanno saputo organizzarsi in comunità solidali, e rigetto dell'idea dell'egoismo come unica spinta della vita. Coloro che nel corso di questo secolo lo hanno ostinatamente riproposto sono stati lungimiranti, e penso in particolare al grande anarchico italiano Camillo Berneri, ucciso dagli stalinisti durante la guerra di Spagna, che lo tradusse e divulgò dapprima nella Francia dei fuoriusciti, e a Colin Ward, uno dei massimi pensatori contemporanei, del filone che parte da Paul Goodman e attraverso Ivan Illich giunge fino alla generazione presente che s'interroga sui modi di reagire alla "deriva criminale del capitalismo", come la chiama Antonio Perna. A partire non dallo stato, la cui deriva è annunciata da grandi episodi di disagio collettivo, dalla sua incapacità di risolvere i problemi fondamentali della modernità, ma dal basso dell'iniziativa concreta degli interessati, dei gruppi che hanno a cuore la salvezza dei loro fratelli nel bisogno, nell'emarginazione, nell'abbandono, ma anche la salvezza di se stessi, poiché la solidarietà non è "altruismo" e non è solo amore dell'altro, ma è la più vera e compiuta affermazione di sé... Il mondo che ci si presenta di fronte nei suoi possibili sviluppi è terribile - anche se si fa di tutto, almeno in Occidente e almeno i politici e gli intellettuali, per farcelo dimenticare. La crisi dello stato assistenziale, i rigurgiti detti etnici e la "deriva criminale del capitalismo" ne sono in Occidente l'aspetto saliente; e che dalle basi di coloro che concretamente si spendono per salvare ciò che è degno di venir salvato - valori, ambiente, uomini nel bisogno - nascano iniziative che cercano ' risposte concrete alla deriva, è importante e se anche non può rassicurarci sulla vastità del disastro, è in qualche modo consolante. E soprattutto è stimolante nella sua proposta di una possibilità nostra, di singoli e di gruppi, di reagire, di contribuire. Credo valga ancora e più che mai, per noifersone della fine millennio, i vecchio imperativo di saper vedere lontano e guardare (operare) vicino. In termini forse paradossali, ci si dovrebbe poter definire come "anarco-socialdemocratici", con un quadro di riferimenti che altri chiamerebbe "utopico" mentre è solo razionale e indispensabile (la vista larga e lunga sul "lontano"), e però con i piedi saldamente piantati nella realtà, e in una pratica che ci permette di conoscerla e di modificarla. È questo il paesaggio in cui mi pare dovrebbero collocarsi le discussioni e le esperienze del non-profit e del "terzo settore", se non vogliono venire schiacciate sul modello che il caeitalismo italiano e i suoi emissari politici (anche nel prossimo governo) si apprestano con tutta chia- ~ezza a proporre loro e forse a imporre. In anni recenti il modello "emiliano" è potuto sembrare a molta sinistra come una prospettiva imitabile. Ma sappiamo bene tutta l'ambiguità del modello Coop, per esempio, che vi ha dominato, e la sua manipolabilità e corruttibilità; e si veda anche la nond ifferenza, che sta sotto gli occhi di tutti, tra il tipo di umanità cresciuta dentro questo modello in Emilia Romagna e nelle altre regioni "rosse" e quella che è cresciuta, mettiamo, nella Brianza o nel Veneto leghisti: non di soli servizi vive l'uomo! E sappiamo ancor, meglio, va da sé, la miseria culturale e umana del modello che tanto esaltava il Censis degli anni Ottanta, quello delle fabbrichette venete e marchigiane, quello del "sommerso diffuso". L'interesse che la Confindustria e il capitalismo italiano - e di conseguenza i politici italiani di governo dimostrano - nei confronti del "terzo settore" è il segno di una insistenza e non di una novità: è l'iniziativa di base a permettere la sopravvivenza di un sistema, e se ieri si trattava di quella del "piccolo" e del "sommerso", infrastruttur~ di soste_gno ~'u~ tutto, o$gi si tratta d1 un pnvato sociale" che per noi ha un valore soprattutto morale, e per loro sopratt~tto o esclusivamente economico. Dovremmo essere astuti come serpenti e candidi come colombe, diceva Quello. Ma, per l'appunto, la difficoltà del "terzo settore" sarà di coniugare le due cose, e non farsi raggirare dalle astuzie di un sistema industriale e finanziario sommamente corrotto; sarà allo stesso tempo di mantenere quella integrità di progetto e di valori che sono la sola garanzia che anche il "terzo settore", magari per le solite vie traverse della centralità già democristiana e oggi neo-consociativa, non perda la sua ragion d'essere e non diventi un altro aspetto e puntello di un sistema che ha il suo perno sull'unico valore del possesso-e-potere. I nschi sono grandi, ed è per questo che si ha il dovere di esigere dalle proposte di banche etiche e dalle iniziative non-profit e del "terzo settore" il massimo rigore insieme alla massima trasparenza, al massimo candore. Sarà difficile convincere e trascinare gli incerti, ma ancor più difficile sarà, è bene che le organizzazioni del "terzo settore" non lo dimentichino, convincere e trascinare i più facilmente persuadibili, coloro che con più intensità hanno sperato o sperano in un'alternativa e non in un aggiornamento-aggiustamento a favore di un sistema, che finirebbe sì per aiutare molti a coprire nuovi spazi, ma dentro la sua logica, e come toppa provvisoria al suo destino, alla sua deriva. Costoro sono pochi ma possono essere, una volta convinti, gli artefici più seri di una novità e non di una variante del vecchio. Guardare (operare) vicino, va bene; ma occorre sapere, sempre, vedere lontano. ♦
Immigrati e governo Coordinamento nazionale immigrati della Cgil Il 21 aprile scorso, pur non avendo votato perchè non ne avevamo il diritto, abbiamo salutato e celebrato la vittoria della coalizione dell'Ulivo alle elezioni politiche. Quella vittoria assume una importanza particolare in quanto rappresenta il sorgere di una nuova sta&ione di speranza dopo un penodo triste durante il quale si è parlato di noi come responsabili del disordine sociale (criminalità, prostituzione, droga) arrivando persino ad invocare contro di noi l'uso di pallottole di gomma e la rivelazione delle impronte dei piedi. Per ora la fase post-elettorale sembra favorire un clima sociale più disteso e più sereno nonostante gli effetti negativi del provvedimento sull'immigrazione varato dal governo uscente. Siamo certi che con il governo Prodi si verificheranno novità sostanziali nel quadro istituzionale e nella gestione della Pubblica Amministrazione. Le sfide sono moltissime e sono complesse: dall'emergenza occupazionale all'urgenza della riforma dello stato sociale, dall'esigenza di risanamento economico all'immanenza dell'appuntamento per l'integrazione europea senza dimenticare la questione della riforma dello Stato, la questione del mezzoggiorno e quantal'altro. In questa prospettiva ci aspettiamo un segnale innovativo anche nelle politiche sull'immigrazione. Finora, infatti, nelle politiche e proposte governative abbiamo rinvenuto una concezione dell'immigraz\one come fenomeno da reprimere e non come questione sociale e culturale. Su questo terreno vogliamo sottoporre alla attenzione del governo alcune proposte che crediamo ~ossano servire a dotare_l'Ital_,adi una politica di imm1graz10ne. Consapevoli che la definizione di una politica articolata necessità una programmazione, pensiamo sia necessario distinguere i tempi di intervento da modulare secondo una rrecisa scala delle priorità. Ne breve termine la priorità delle priorità resta l'urgenza di un intervento correttivo rispetto alle disfunzioni portate dal recente decreto. Il decreto ha reso ancora più confuso il quadro normativo. Mentre le norme sulle espulsioni suscitano ancora dubbi circa la loro costitizionalità come testimonia il parere espresso dalla Corte Costituzionale, quelle relative alla regolarizzazione hanno scatenato solo un meccanismo clientelare e non sono risultate efficaci né sul piano del riconoscimento del diritto al soggiorno né ai fini di una lotta contro l'evasione. Perciò consideriamo grave la reiterazione del decreto senza alcuna modifica mi$liorativa che accresce confus10ne e rischia solo di produrre ulteriore emarginazione e lacerazione sociale. Sarebbe opportuno che il nuovo governo intervenga immediatamente per completare la sanatoria semplificando le procedure per la regolarizzazione e dando una risposta chiara a quanti avevano fatto domanda di emersione dalla irregolarità ma anche ai lavoratori e lavoratrici ingiustamente esclusi/e (autonomi, precari e stagionali). Parimenti urgente è l'istituzione di fondi da destinare agli Enti locali per una politica di accoglienza così come favorire un ingresso regolare per i lavoratori stagionali già per la prossima campagna stagionale. Infine, non è rinviabile la definizione di norme attuative riguardante sia il diritto all'assistenza sanitaria sia la fruibilità del diritto alla pensione anche mediante la liquidazione dei contributi pensionistici. In una prospettiva di medio termine riteniamo sia necessario dotare l'Italia di una nuova legge organica sull'immigrazione. In tal senso gli elaborati della commissione Cnel promossa dall'ex ministro degli affari sociali Ferdinanda Contri potrebbero servire da base per un futuro disegno di legge. È altresì opportuno un percorso di verifica sullo stato dell'arte con la convocazione di una confer~nza nazionale sull'immigraz10ne. Del resto la Cgil ha sempre denunciato il ricorso alla decretazione d'urgenza su una materia così delicata qual'è l'immigrazione. Persistiamo nel credere che il dise$no di legge sia lo strumento ptù idoneo per affrontare una grande questione sociale. Secondo noi le coordinate di una politica organica sono le seguenti: - la promozione dei diritti di cittadinanza a cominciare dal diritto di voto attivo e passivo alle elezioni amministrative dopo alcuni anni di residenza; - la regolarizzazione degli immigrati irregolarmente presenti sul territorio a causa di una mancanza di una politica di ingresso regolare; - l'attuazione di una vera programmazione annuale dei flussi di ingresso; - l'individuazione di meccanismi di controllo e la definizione di procedure di espulsione che coniughino efficacia e pieno rispetto dei principi di una civiltà propria ad uno stato di diritto; - la definizione di strumenti operativi di lotta contro il traffico e lo sfruttamento della manodopera di immigrazione clandestina; - il monitoraggio dei progetti di rimpatrio volontario e il loro sostegno attraverso la formazione dei candidati, il loro finanziamento per il reinseri~~nto lavorativo nei paesi di ongme; - la promozione di nuove politiche di cooperazione e di aiuto allo sviluppo. Per realizzare su questo terreno una innovazione politica nel merito e nella gestione, crediamo, infine, necessaria una responsabilità unica di riferimento nel governo attraverso il coordinamento di competenze sparse in più Ministeri e l'assegnazione conseguente della delega a un solo Ministro che potrebbe essere, a nostro parere, quello della solidarietà sociale. Tale scelta, rincondurrebbe la questione dell'immigrazione nell'ambito proprio delle politiche sociali. ♦
RICCHI E POVERI TERZO SETTORE J eremy Rifkin Martino Mazzonis Rinaldo Gianola Antonio Perna Giulio Marcon Vittorio Giacopini NUOVI SPAZI, NUOVE QUESTIONI Martino Mazzonis Martino Mazzonis ha pubblicato per Lunaria (1996) La mappa del terzo settore. Questo testo è una rielaborazione dell'introduzione del volume. ♦ Molti, troppi, parlano del terzo settore, per questo occorre riflettere su cosa il non-profit sia, su cosa può e su cosa rischia di diventare. Ad importare questo dibattito, o meglio a renderlo pubblico, nel nostro paese è stato il libro del!' economista americano J erem y Rifkin (La fine del lavoro, Baldini&Castoldi) pubblicato a fine '95, recensito e discusso ovunque: dal "Sole-24ore" fino ai centri sociali occupati, passando per il "Manifesto" e le cooperative sociali cattoliche della Padania. Ma a rendere importante il non-profit non è stato Rifkin, ad attrarre la nostra attenzione, ad obbligarci a ripensare il mondo del lavoro e la struttura dei tempi di vita sono stati il progresso tecnologico e la riorganizzazione della produzione da questo resa possibile, e dalle imprese transnazionali posta in essere, che ha trasformato la terra nel mercato unico che stiamo imparando a conoscere. Da questo e dalle trasformazioni che ha prodotto e produce bisognerà partire anche per pensare a quali prospettive si aprono per un settore dell'economia che abbia altri obbiettivi rispetto a quello dell'accumulazione di profitto.A partire dalla recessione dei primi anni Novanta la disoccupazione è tornata ad essere un problema dibattuto e non solo sconforto di singoli e famiglie. La ripresa, nel caso dell'Italia il boom delle esportazioni da svalutazione della lira, non ha prodotto i nuovi posti di lavoro che gli ideologi del libero mercato e i mass-media prevedevano. I numeri confermano la tendenza alla crescita senza ocRICCHI E POVERI cupazione: i dati Eurostat parlano di una crescita del numero di disoccupati tra '94 e '95 in molti dei paesi europei (Italia, Portogallo, Svezia, Germania, Belgio), la media europea resta ferma al 10,9% mentre i disoccupati dei paesi Ocse nel 1995 erano più di 35 milioni. L'introduzione dell'automazione nel sistema di produzione ha fatto calare drasticamente, nel corso degli anni Settanta-Ottanta, il numero di lavoratori addetti alla produzione manifatturiera, il prodigioso sviluppo del settore dei servizi ha però attutito l'impatto della espulsione della manodopera dalle fabbriche riassorbendone gran parte. Oggi siamo a un nuovo passaggio di fase, le imprese di servizi stanno riorganizzando la propria struttura, automatizzando un numero ·crescente di attività di routine e restringendo il numero degli impiegati. La nuova impresa di servizi è composta da un management garantito e da un numero decrescente di impiegati, spesso assunti con contratti a termine o pagati proporzionalmente alla capacità di vendere. Del resto mentre la riorganizzazione della produzione, l'introduzione di macchine capaci di produrre e l'espulsione di operai dalle fabbriche presentava forti problemi sia in termini di investimenti e di organizzazione che in termini di conflitto sociale, per riorganizzare un piccolo ufficio basta un persona! computer, qualche programma di software e poco altro. Capita sempre più frequentemente di scoprire, recandoci alla sede di un'impresa o di un'organizzazione, che in realtà, dove pensavamo esserci grande attività, c'è una stanza disadorna con una segretaria, un telefono-fax e un buon programma di archiviazione. Quanto poi alla presunta nuova ondata occupazionale garantita dai nuovi servizi resi possibili dai cavi e dalle reti telematiche molti sono coloro che sollevano dubbi sulla loro capacità di dare lavoro. Su molte di queste nuove professionalità va poi aggiunto che si tratta di lavori malpagati, precari e che recidono il legame tra lavoro e sfera sociale. Un (naturalmente quasi sempre una) telefonista collegata in rete da casa propria ha un solo contatto, sempre via cavo, con la sala controlli che cronometra la durata media delle telefonate e decide se rinnovarle il contratto o staccare la linea. Socialità, condivisione di esperienze e scambio di opinioni sono determinanti sia dal punto di vista della crescita, anche professionale, del!' essere umano che per la nascita di istanze e rivendicazioni comuni nei confronti del datore di lavoro. A questa riorganizzazione si deve
l'eccezione degli Usa in tema di occupazione: iperflessibilità e salari da fame sono naturalmente un incentivo ad assumere. Con la maggioranza repubblicana al congresso le poche forme di tutela sociale pubblica esistenti negli Usa scompaiono e ai disoccupati non rimane che l'alternativa tra il salario inferiore alla soglia di povertà, lo spaccio di crack e la casa fatta coi cartoni da imballaggio. La strada non sembra però essere nemmeno quella americana. Rifkin sostiene che si sta rapidamente avvicinando il momento in cui lavoro e produzione non saranno più parole in relazione tra loro. Come molte delle analisi che provengono dall'altro capo dell'oceano, le profezie dell'economista americano hanno il difetto di non misurarsi con altra realtà se non quella degli Usa, paese dove non c'è sindacato, non è mai esistito uno stato sociale, il conflitto si manifesta in forme tutt'affatto diverse da quelle europee. Se lo sviluppo tecnologico permette la fine del lavoro, non è detto che questa arrivi in tutto il mondo nello stesso modo in cui pare manifestarsi negli Usa. Inoltre, le dinamiche della globalizzazione escludono gigantesche aree della terra dalla produzione redditizia (tecnologie, informazioni o colture intensive che sia) e quindi anche dallo sviluppo tecnologico. Quest'osservazione sull' etnocentrismo degli americani non toglie comunque di mezzo la questione della fortissima riduzione del bisogno di manodopera e di una sua ulteriore precarizzazione e flessibilizzazione. Alla radice di tutto questo lavorio teso ad abbassare i costi di produzione, velocizzare le ' capacità di previsione e di arrivo sui mercati, ridurre le scorte, impiegare meno manodopera peggio pagata e più flessibile c'è quell'insieme di fenomeni che passa sotto il nome di globalizzazione dei mercati e della produzione. Quando tutti i produttori devono gareggiare per vendere I propri prodotti allo stesso mercato la concorrenza viene esasperata e l'abbassamento dei costi è uno degli elementi che rendono un prodotto concorrenziale. Naturalmente questo significa tecnologie avanzate, disoccupazione e precarizzazione dei rapporti di lavoro nei paesi più ricchi, ipersfruttamento per tutti coloro non in grado di competere sul piano tecnologico o degli investimenti in ricerca e innovazione. Il contraltare di questa situazione nelle zone ricche è quello di una "iperpartecipazione" al mercato del lavoro dei maschi adulti e di una pressione fortissima su , quelle donne che tentano di coniugare il lavoro di cura, tuttora loro assegnato, e un'occupazione esterna. Parlando dei dipendenti delle imprese transnazionali Armand Mattelart ci ricorda come "un livello assente nella mistica dell'identità e della cultura d'impresa ai vertici dell'economia-mondo è il livello individuale e familiare. I tempi della gestione globale destrutturano completamente il concetto di tempo disponibile, con ricadute nefaste per l'equilibrio della famiglia e l'equilibrio nervoso dei dipendenti". L'aumento della disoccupazione mondiale prodotto della concorrenza sul mercato globalizzato non è l'unico elemento introdotto dal nuovo ordine economico mondiale che può essere messo in relazione con le potenzialità del terzo settore di invertire alcune tendenze insite al modello che tutti i paesi tentano di perseguire. La polverizzazione dei luoghi della produzione garantita dalla quasi scomparsa dei vincoli territoriali permessa dai nuovi mezzi di comunicazione, la netta separazione tra produzione con manodopera mal pagata e senza diritti (in aree sottosviluppate), progettazione e ricerca (nella triade) e proprietà (anonima e alla ricerca di livelli minimi di pressione fiscale) non sono gli unici elementi portanti della globalizzazione dei mercati. Gli effetti sulla sfera sociale sono determinanti per dare una lettura di cosa la erezione del mercato unico stia producendo, non valutarli, pensare alla disoccupazione come unica novità del nuovo ordine vuol dire guardare le cose in maniera positiva. Diversi sono gli esempi relativi all'appiattimento e im1;>overimento della sfera sociale: dalla progressiva scomparsa del welfare, all'omogeneizzazione della produzione e del consumo culturale passando per la perdita dei legami sociali, tradizionali e non e la loro sos~ituzione con individualismo e marginalizzazione. Si tratta di temi giganteschi, su ciascuno dei quali è possibile dire moltissimo e, soprattutto, dividersi sulla lettura da dare. ~Hl E POVERI
Per tutti gli anni Ottanta lo stato sociale ha subito attacchi pesantissimi da parte delle forze liberiste che hanno governato ovunque con l'eccezione di Spagna e Francia. Dopo il 1989 la demolizione è proseguita, anche dove al potere c'erano forze che non erano ideologicamente legate all'idea della scomparsa della tutela dei deboli da parte del potere pubblico. Quella che si delinea è nei fatti la scomparsa dello stato sociale in tutte le sue forme (dal- ]'onnipresenza scandinava ai milioni di italiani invalidi). Questo non significa che scomparirà del tutto l'intervento statale nel campo assistenziale, previdenziale o quant'altro, ma che: - non si da più un patto sociale nazionale; - i sistemi nazionali non sono più l'orgoglio, o la dannazione, del cittadino ma, per i meno abbienti, l'alternativa obbligata al privato, non si tratta più di qualcosa percepita come patrimonio comune di un paese; - in ogni caso il territorio occupato dallo stato sociale si restringe costantemente o si rimodella in maniera tale da configurarsi come qualcosa che è già altro dal welfare. Gli esempi sono moltissimi, basteranno la brutta riforma delle pensioni varata da Dini e votata anche dall'attuale maggioranza di governo, gli annunci di tagli previsti dai governi Chirac e Khol per quest'anno e la nascita del governo postfranchista di Aznar che già nel programma (più intelligentemente di Berlusconi a suo tempo) sterza verso il centro europeo e liberista e abbandona il manto sociale di cui la destra già fascista si copriva. Governi diversi, in paesi distanti sia per solidità economica che per struttura e forza dello stato sociale attuano la stessa politica. C'è da chiedersi come mai. Non ci sono solo i vincoli dettati dalle istituzioni sovranazionali (Maastricht), c'è soprattutto la perdita di potere dei governi nazionali sulla sfera economica. Siamo alla fine degli stati nazionali come ci ricorda il santone del potere triadico, il giapponese Keinichi Omahe nel suo ultimo libro. Se un'impresa ha la sua sede in qualche paradiso fiscale, produce in Indonesia alcune componenti e assembla il prodotto in un paese europeo dove impiega un numero minimo di operai e tecnici, il gettito fiscale che questa garantisce è minimo, alcuni limiti posti da un governo nazionale alla sua attività rischiano semplicemente di farne trasferire la sede sociale mentre il suo capitale finanziario può contribuire a _penalizzare una politica economica non gradita attraverso la speculazione contro la valuta di quel paese. Inoltre un andamento dei salari che favorisse i consumi ha più poco a che vedere con l'andamento della produzione e dell'occupazione interni, vista la caduta delle barriere doganali e la transnazionalizzazione di capitali e produzione. Se a questo aggiungiamo che i più grossi detentori di capitale finanziario della terra sono i fondi pensionistici e le assicurazioni sanitarie private degli Stati Uniti, ai quali interessa non poco una progressiva privatizzazione di pensioni e assistenza sanitaria, capiamo benissimo come la mobilità dei capitali sia in strettissima connessione con le politiche di ciascun governo. Susan Strange ha paragonato la situazione nella quale si trovano i governi nazionali a quella di pretendenti che devono farsi belli per attrarre su di sé le attenzioni-investimenti della principessa-impresa transnazionale. · Uno degli attori fondamentali che ha caratRICCHI E POVERI terizzato la costruzione del welfare è stato il movimento sindacale che, per effetto dall'automazione di fabbriche ed uffici, e dalla delocalizzazione della produzione, ha subito una perdita di potere contrattuale enorme. Non è un caso se in Francia durante la rivolta degli statali- contro il governo Juppé, nonostante i gravi disagi, i lavoratori privati, pur solidarizzando con i loro colleghi non hanno scioperato per paura di perdere il posto. Con la perdita di potere dei sindacati nazionali, quello che è stato un forte elemento di pressione e conflitto, in difesa dei diritti acquisiti e a favore di nuove riforme, lo strumento che ha contribuito a creare un clima di consenso attorno allo stato sociale, viene anch'esso meno. L'assetto della nostra vita quotidiana, la socialità, il rapporto con la città e con gli altri vengono anch'essi plasmati in peggio dalla forza del mercato globale. · Partiamo dal tema dell'esclusione sociale, prodotto del restringimento dei confini del welfare e del contemporaneo frantumarsi dei legami sociali preesistenti o creat_isicon la modernizzazione. Si pensi innanzitutto alle metropoli e alle loro enormi periferie. Le città si vanno rapidamente trasformando in agglomerati di isole incomunicanti; per alcuni è diventato più facile, rapido e psicologicamente tollerabile prendere il pendolino tra Roma e Milano che non andare di persona nei quartieri della sua città che osserva alla televisione nelle trasmissioni sul sociale. Quando parliamo delle città italiane dobbiamo naturalmente ricordare che alcuni fenomeni si manifestano, per ora, in forme relativamente attenuate rispetto alle metropoli del continente americano o anche delle grandi città di quello europeo. Le città americane come agglomerati di fortificazioni, casa per casa nei quartieri a rischio con le grate alle finestre e i figli nelle gang, isolati dall'esterno ma relativamente aperti al loro interno nelle aree residenziali più tranquille controllate dai vigilantes. A pochi chilometri da San Paolo del Brasile c'è invece Alphaville dove 23mila persone vivono circondate da 50 chilometri di mura e dove dagli anni Settanta a oggi è stato commesso un solo crimine. Le città si vanno tutte trasformando in mostri di questo genere dotate di un centro nel quale trovano posto le attività finanziarie e scintillano le vetrine delle stesse catene globali di negozi, i beni immobili salgono di prezzo e i vecchi abitanti vengono trasferiti per lasciare il posto ad uffici, banche, negozi d1 merci di lusso e luoghi di intrattenimento. Nei centri storici delle nostre città del resto sta diventando difficile trovare cibo che non sia confezionato su misura per giapponesi o americani, _prodotti non industriali ed esercizi utili a chi abita il luogo. Non pare perseguibile, per rendere più vivibile a chi abita le nostre città, la strada di quello che per molti aspetti è un modello mondiale di metropoli: la Parigi della presidenza Mitterrand. La città dei mega-progetti deve fare i conti con una realtà molto più difficile di quella che ci appare quando osserviamo ammirati la piramide del Louvre o scorgiamo in lontananza l'arco della Défense. Le rivolte periodiche dei casseurs delle gigantesche periferie, assolutamente invisibili dalle straricche strade del centro, film come L'odio o i li-
bri di Pennac e, infine, le bombe nei metrò, sono lì a dirci che non serve la biblioteca più grande del mondo ad accrescere il livello di vita culturale di tutta la popolazione ma la ricostruzione di un tessuto sociale e culturale fatto di eventi piccoli, diversificati e che coinvolgano tutti. Le meraviglie dell'architettura apf aio no in realtà come la vetrina della città su mondo, occasione di rilancio turistico, calamita di investimenti, volano del commercio di lusso. I casi di due tentativi del genere parigino (l'evento architettonico e mediatico come strumento di crescita economica) in due luo~hi fuori dalle aree forti ci aiutano forse a capire i problemi per i deboli che devono impegnarsi a sopravvivere su di un mercato nel quale si muovono dei giganti senza grazia. Le Expo colombiane del 1992, tenutesi in città diverse ma entrambe segnate da una pesantissima crisi economica e occupazionale, Genova e Siviglia, vennero presentate come la leva per rigenerare l'economia di quelle città ai margini del nocciolo duro dell'Unione Europea. Oggi i due meravigliosi parchi architettonici sono praticamente chiusi, non hanno creato posti di lavoro e sono per metà affidati ai privati nella gestione redditizia (acquario a Genova, luna park nella capitale andalusa), entrambe prive di prospettive credibili di riuso per le quali mancano soldi, progetti ed entusiasmo. I costi per mantenere questo stato di cose escludente crescono all'impazzata, il numero di poliziotti, vigilantes, vigili e controllori vari cresce in ciascun paese del mondo e se vogliamo possiamo pensare alle ronde nei vicoli di Genova pieni di droga e di immigrati o all'impressione che deve fare Roma con le sue sirene, i suoi posti di blocco e le sue garritte ovunque, a un turista con spirito di osservazione. Centri commerciali, spesa telematica, uniformità dei prodotti di ogni tipo, dai gelati confezionati (gli stessi in tutta Europa) ai vestiti passando per piatti esotici surgelati conf ezionati in Olanda e feta e mozzarella danesi (principale produttore mondiale del formaggio greco-turco) sono il portato di un mercato che genera aspettative enormi ('just do it' e così via) e fornisce risposte monocolori. Uno dei mercati più mondializzati in assoluto sembra oggi quello della produzione e del consumo di cultura di massa e di informazioni. La concentrazione del potere di produrre su scala mondiale questo genere di merce si va facendo schiacciante per qualsiasi nuovo soggetto che volesse tentare di affacciarsi su questo terreno. L'importanza economica assunta da questo tipo di merce immateriale, così facile da trasportare via cavo, ha accentuato, nel corso dell'ultimo anno, il processo di concentrazione creando delle vere superpotenze. I lanci dei film e dei dischi di artisti "mondiali" (tutti rigorosamente anglosassoni) avvengono contemporaneamente in tutta la terra, a seguir~ notizi_e da pri~a p_a~in~~i rileyanza per tutti non c1 sono p1u gli mv1at1 ma 1 rappresentanti di un paio di agenzie giornalistiche e fotografiche e canali globali come la Cnn. Il caso della guerra del Golfo appare in questo senso l'inizio di una nuova era dell'informazione, sotto controllo e ad una sola voce. La realtà locale viene trasformata, nel messaggio mediatico, in oggetto edulcorato, soft, una giungla senza serpenti velenosi né insetti, un Brasile senza bambini di strada, le tradizioni culturali banalizzate e private delle loro asprezze e difficoltà. Pensate a Shag~y, tormentone radio del '95-'96, più copie d1 tutti i dischi prodotti in Jamaica nonostante il disco non sia che una collezione di standard prodotti con molti mezzi e lanciato su scala mondiale dalla bella pubblicità della Levi's. Interessante in questo senso è la modalità attraverso cui si è sviluppata la grande diffusione che hanno avuto negli ultimi anni le opere di musicisti provenienti da ogni angolo del mondo, notorietà che è uno degli elementi arricchenti del processo di globalizzazione. Bene, per poter uscire dal mercato locale questi artisti devono per forza di cose a~ganciarsi a case di distribuzione multinazionali che spesso gestiscono e producono il lavoro artistico in maniera da renderlo appetibile al pubblico dei compratori di compact disc, magari svuotandolo di tutto il valore artistico o della carica innovativa. A questa notorietà non corrisponde quindi un innalzamento del livello di produzione culturale in loco, niente nuovi studi di registrazione, né festival internazionali: il festival più importante (e anche più dignitoso) della world music si tiene a Reading in Inghilterra, non al Cairo, Dakar o ali' Avana. Per ogni Nusrat Fateh Ali Khan o Youssu N'dour ci sono decine di artisti sotto contratto e inutilizzati, la logica è quella del Milan di Berlusconi: comprarli tutti anche se poi non giocano, intanto non giocano per ~li altri. I pochi cittadini del villaggio globale pescano attraverso le multinazionali della cultura ciò che gli piace delle varie tradizioni locali senza nessun contatto reale, come quando vanno al Club Med dove soggiornano in una realtà virtuale che credono essere il paese nel quale sono in visita. Stesso discorso s1può fare sull'editoria e sulla produzione cinematografica. Il caso itali:mo, un duopolio quasi totale di distribuzione cinematografica e proprietà delle sale è tra quelli più significativi in questo senso. L'avvento dell'età post-moderna, teorizzato come un superamento del noioso periodo fordista dei consumi di massa uguali per tutti, nel quale la società e il mercato si scompongono e frammentano in mille rivoli diversi e ciascuno trova risposta ai propri bisogni individuali non sembra per ora mantenere le sue promesse. Anche in questo caso il terzo settore, come strumento di risposta a una domanda per ora espressa solo in parte, ma anche come strumento attraverso il quale soggetti diversi possono produrre e consumare cultura fuori dal meccanismo tritatutto del mercato, si presenta come un'alternativa percorribile. Proviamo a rifare l'elenco dei limiti del mercato globale e cerchiamo di capire se e in che modo il terzo settore può aiutare a trasformare l'orrendo scenario mondiale e le sue manifestazioni fuori e dentro le mura delle nostre case. L'incontro tra stato sociale e cooperative sociali è forse il fronte più avanzato e dagli svilupri possibili più immediati. Per essere estremi si può dire che allo stato attuale lo sviluppo del settore non-profit sembra l'unica alternativa credibile alla demolizione sistematica delle politiche sociali. Questa strada permetterebbe inoltre di restituire all'assistenza un'umanità che questa, se c'è mai stata, sicuramente ha perduto. Nel settore pubblico gli impiegati vengono cambiati di posto e mansione senza aver ricevuto nessuna formazione, la loro motivazione è, per varie ragioni, molto basRICCHIEPOVERI
sa. Le cool?erative sociali che svolgono mansioni di assistenza sono invece formate da persone che quel lavoro scelgono di fare, che si aggiornano su nuove tecniche, che riescono ad instaurare un rapporto con l'assistito. La motivazione, la capacità e la voglia di comunicare sono importanti almeno tanto quanto preparare del cibo o far fare ginnastica. Delle istituzioni che svolgessero un attento monitoraggio e controllo sulla qualità dei servizi appaltati, ma si tenessero fuori dalla gestione diretta di questi, otterrebbero insieme un miglioramento della qualità dell'assistenza e la riduzione dei costi che vanno cercando cancellando diritti. La società che cambia, i tempi che si modificano, il ruolo attivo che le donne vanno assumendo e altro ancora, fanno inoltre presagire la necessità di sviluppare forme di welfare che a tutt'oggi non sono sentite come necessarie. Esempi banali di servizi da approntare o potenziare, ~ià abbondantemente esistenti in molti l?aesi europei, sono quelli delle attività pomeridiane per i bambini o l'offerta di asili nido. Altrimenti le discussioni sull'estinzione degli italiani e lo sgomento per l'assenza di figli nella culla del cattolicesimo resteranno chiacchiere inutili. Il grande pericolo che sta dietro allo sviluppo del terzo settore in chiave assistenziale è la progressiva scomparsa dello Stato come garante di alcuni diritti. Non si tratta di far fare ai volontari il lavoro che non fanno gli infermieri, né di incentivare l'utilizzo di cooperative sociali perché queste costano meno e i loro associati sono disposti a un più alto grado di autosfruttamento pur di tenere in piedi la propria impresa. Questo sarebbe in contraddizione con tutto ciò che si è detto fino a questo punto su una società nella quale tutti dovremmo lavorare meno e dedicarci di più ad attività diverse. Altri pericoli vengono dalla possibile precarizzazione dei lavoratori del RICCHI E POVERI terzo settore, o da appalti dalla breve durata e condizioni di lavoro che magari necessitano di investimenti non ammortizzabili in poco tempo, o ancora dagli scandalosi ritardi con cui le istituzioni tendono a pagare ciò che devono. Per continuare sul terreno dei rischi possiamo citare quello di un mancato intervento statale per quel che riguarda il controllo dei servizi e l'erosazione di fondi. Si conoscono troppi casi di cliniche convenzionate o case di cura per lungodegenti private ma mantenute con soldi pubblici che non garantiscono affatto ciò per cui lo Stato le finanzia per stare totalmente tranquilli in questo senso. Il terzo settore è già ad un bivio: diventare elemento costituente di un sistema globale lontano dai bisogni sociali o rendersi, assieme ad altri soggetti, motore e traino del cambiamento. Affrontiamo adesso il tema dell'organizzazione e della produzione culturale, che mostra una domanda potenziale davvero variegata a cui le grandi imprese mondiali non sanno dare una risposta, rendendolo terreno possibile di attività per imprese non-profit . Di fronte a bisogni culturali che si vanno differenziando e che aumentano quantitativamente (più tempo a disposizione), la capacità di offrire un servizio culturale di massa adeguato è bassissima; molti sono i segnali che ci indicano come iniziative che si collocano sul terreno della proposta culturale originale, spesso autofinanziata o promossa in relazione con le amministrazioni locali, stiano conquistando un ascolto molto più vasto di quello che ci si potrebbe aspettare se ci si basasse sulla quantità di soldi (non energie e tempo) investiti, sullo spazio dedicato a questi eventi sui mass-media o sulla quantità di promozione fatta. Rasse~ne di film impossibili da vedere nelle sale dei magnati della distribuzione o associazioni culturali che hanno ormai una programmazione quotidiana, concerti, spettacoli
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==