La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 15 - maggio 1996

presa è ardua, e richiede "competenze, organizzazione e impegno finanziario" dal quale in Italia siamo molto lontanis. Un punto delicato sarà comunque quello della definizione dei criteri di qualità: sia consentito a un profano suggerire tre "descrittori" - di difficile (forse impossibile) misurabilità - dell'eccellente qualità di una situazione educativa: che le persone che ne sono protagoniste non siano trattate come risorse o mezzi, ma come fini; che le relazioni tra esse non siano ingabbiate entro una rete di valori e modelli di comportamento predeterminati da "trasmettere" e di cui controllare l'acquisizione, ma si sviluppino con libertà, lasciando ampio spazio al conflitto e alla divergenza; e che la scuola non sia considerata come un ingranaggio finalizzato a far meglio funzionare il sistema economico ed ideologico nel quale è inserita ma come una "zona franca", nella quale possono vigere valon anche sensibilmente diversi da quelli dominanti: prima di tutti quello della gratuità. Note M. Revelli, Le due destre, Bollati Boringhieri, 1996. 2 In La scuola che vogliamo. Materiali per la discussione del pro- ~ramma dell'Ulivo su scuola e formazione, pp. 9-32, dicembre 1995. 3 In questa direzione vanno due volumi recenti, entrambi introdotti da prefazioni elogiative·del ministro Lombardi: G. Negro, Qualità totale a scuola, Il sole 24 ore Roma 1995, e U.Vairetti, Fare qualità nella scuola, Le Monnier 1995. 4 N.A Langella, Modello di scheda di valutazione per l'area di progetto, in L 'arr;a di progetto. Materiali organizzati per tutors, Viterbo 1996, pp. 36-48. Aldo Visalberghi, in T. De Mauro, I dee per il governo della scuola, Laterza 1995, p. 110. ♦ La fatica ad aiutare, la presunzione di aiutare Stefano Laffi · Le mille lire della signora compassionevole offerte al barbone di fronte al supermercato si trasformano subito nell'acquisto di pessimo vino in cartone, che va a colpire ulteriormente il corpo di un uomo che ha 40 anni ma ne dimostra 60. L'offerta di un letto in dormitorio da parte del- !' assistente sociale viene snobbata dal vecchio che preferisce non f erdere il sicuro posto sotto i ponte in cambio di una notte al caldo. L'indennità di accompagnamento per l'anziana signora semiparalizzata non viene spesa per sostituire la stampella semirotta, ma finisce in cibo per i suoi numerosi ~atti. Ma anche in Somalia gli aiuti in cibo alla popolazione affamata dalla guerra civile non si trasformano in beneficio per la gente del pos.to, ma diventano occasione di scontro violento, causa di stragi per il loro controllo, e vengono sospesi dal- !' Alto Commissariato di Ginevra. Le relazioni d'aiuto, i tentativi di chi sta meglio di aiutare chi sta peggio sono costellate da episodi del genere. Il gesto d'aiuto si scontra spessissimo con uno scacco, il sorriso riconoscente di un bambino di colore o di un anziano in difficoltà che ringrazia il nostro buon cuore appartiene più alla retorica pubblicitaria, ai nostri fantasmi, che alla realtà dei fatti. L'elemosina al barbone si trasforma in alcol, quella al ragazzo con lo sguardo spento alla stazione non servirà mai a comprare il biglietto di cui lui parla, il sussidio all'anziana immobilizzata non aiuta lei ma alimenta i gatti. Allora è chiaro qual è lo scacco: il no~ stro gesto non è salvifico come noi lo abbiamo immaginato, non disinnesca il dramma ma al contrario lo alimenta (alcol, droga), non smuove la situazione ma al contrario la consolid~ (il sussidio che finisce ai g~tti), e quand~ la proposta d1 mutamento e troppo radicale viene addirittura ri- · fiutata (il posto letto al caldo) o siamo noi stessi costretti a ritirarla perché incapaci di gestire il cambiamento (gli aiuti in Somalia). In una parola, nelle relazioni d'aiuto restiamo spiazzati dalla constatazione che le persone in crisi non fanno quello che noi vorremmo (e riteniamo logico) che loro facessero. Credo che all'origine ci siano due questioni nodali: un problema di identità dell'aiutante e uno scarto forte di razionalità e cultura fra aiutante e aiutato. È difficile, fin quasi innaturale, aiutare senza chieder nulla in cambio. D'altra parte, "si dice grazie!" è uno dei primi imperativi che apprendiamo dalla madre, anche se molto somiglia alle ingiunzioni paradossali ("sii spontaneo!", "dovresti amarmi") di cui parla Watzlawick, cioè quelle che esigono un comportamento specifico, pretendendone l'insorgere naturale a comando. E se nella nostra cultura la riconoscenza è dovuta, anche il dono è ampiamente inscritto e codificato dentro rituali precisi: basta pensare alla nevrosi collettiva dello shopping prenatalizio alla caccia del regalo, che sembra davvero una forma del "disagio della civiltà" freudiano, la fatica di vivere sotto un ingiunzione paradossale che ci vuole generosi a fine dicembre. Dono e riconoscenza sono quindi nella nostra cultura in buona parte ingiunti, cioè parte di un codice morale, regolati da riti, paradossalmente oggetto di prescrizione: da secoli la Chiesa ha istituzionalizzato l'elemosina nella beneficenza, mentre il modello di dono assoluto di San Francesco è rimasto in sostanza eretico. Così credo che l'idea di dono come obbligo ricorYQQ

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