La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 15 - maggio 1996

L. 9.000 n. 15/ maggio 1996 LA TERRA VISTA DALLA LUNA --• MENSILEDIRETTODA GOFFREDOFOFI --- RaCCOlltare l'Italia Bernardo Bertolucci Paolo Virzì

Arturo Carlo J emolo Che cos'è la Costituzione Introduzione di Gustavo Zagrebelsky pp. 64, L. 16.000 J. M. Coetzee Pornografia e censura Traduzione di Maria Baiocchi pp. 112, L. 18.000 Max Charlesworth L'etica della vita I dilemmi della bioetica in una società liberale Traduzione di Giovanni Gozzini pp. XIV-140, L. 30.000 I centauri Aldo Masullo Metafisica Storia di un 'idea pp. VIII-316, L. 38.000 DONZELU EòlTORE ROMA Salvatore Lupo Andreotti, la mafia, la storia d'Italia pp. 96, L. 16.000 Alfredo Macchiati Privatizzazioni Tra economia epolitica pp. XIII-162, L. 18.000 Domenico Cersosimo Lavoro e non lavoro Analisi, controversie e questioni aperte Presentazione di Giuseppe Pierino Con sei lezioni di A. Graziani, C. Leccardi, G. Lunghini, G. Mazzetti, E. Pugliese, G. Sivini pp. XII-132, L. 30.000 Simona Laudani La Sicilia della seta Economia, società epolitica pp. 192, L. 35.000 Libri di idee

LA TERRA VISTA DALLA LUNA Rivista dell'intervento ABlb.. N. 15 maggio 19.96 VOCI sociale VinicioAlbanesi, Domande alla Repubblica (2), MarinoSinibaldi, Piccoli segni di speranza (4), Raffaele Pastore, L'ipocrisia della virtù (6), · GuidoArmellini, La qualità della scuola è la qualità totale? (9), Stefano Laffi, La fatica ad aiutare (11), GoffredoFofi, Da trent'anni Capodarco (14). PIANETA TERRA. FrancescoEsposito, Il nuovo disordine mondiale secondo LeBot (27), Giorgio Trentin, Dalla Cina: il sistema del dragone (28). ARTE E PARTE. CINEMA. BernardoBertolucci, a cura di G. Fofi, "Io ballo da sola", generazioni a confronto (56), PaolaMalanga, Su Bertolucci: Grande freddo in Toscana (58), A. G. Mancino, Su Bertolucci: Un paese visto da lontano (59), Paolo Virzì, a cura di G. Fofi, Ferie di destra, ferie di sinistra (61), MariaNadotti, Su Virzì: Uomini e donne, in ferie (64). TEATRO. PiergiorgioGiacchè, "Ravenna-Dakar" (66). BUONI E CATTIVI GLI IMMIGRATI Raffaele Nogaro, a cura di NicolaAlfiero e G. Fofi, Ruolo dello Stato, ruolo della Chiesa (16), FrancescoCarchedi, Cosa ci aspettiamo dal nuovo governo (20), Luigi Di Liegro, L'invasione che non c'è (23), Nicola Ferrone, Da manovali a manager (24), Silvio Verri, L'esperimento di Aversa (25). PIANETA TERRA MESSICO. 2 FedericoCampbell, Narcotrafficanti (34), Aura MarinaArriola, L'immigrazione dal Centro-America al Chiapas (38), Magdalena G6mez, Per un nuovo ordine giuridico della diversità (43), AlejandraMoreno Toscano, Chiapas: i colloqui di San Crist6bal (46), fohn Berger, Subcomandante insurgente (54). SUOLE DI VENTO GLI SCOUT FedericaBellicanta, Vecchio contenitore, nuovi contenuti? (68), Michele Colucci, Gli scout in Italia: 80 anni di storia (72), GiampaoloCelani, Interessiamoci degli altri (74), M. Colucci, Un giornale (79). LIBRI. Alfonso Geraci, I giovani trucidi di Ammanniti e Carrara (80). FUMETTI. GiuseppePollicelli, "Mano", una rivista (82). IMMAGINI In copertina, il Messico visto da Henri Cartier-Bresson (Magnum/Contrasto, da MexicanNotebook, Motta 1996). I disegni che illustrano questo numero sono di GiorgioCarpinteri. Direttore: Goffredo Fofi. Comitatodirettivo: DamianoD. Abcni,Guido Armcllini,MarcelloBcnfantc, Giorgio Cingolani,GiancarloDe Cataldo,GiancarloGaeta,PiergiorgioGiacchè,Vittorio Giacopini,RinaldoGianola, Roberto Koch, StefanoLaffi,Franco Lorcnzoni, GiulioMarcon,Roberta Mazzanti,MariaNadotti, Marino Sinibaldi. Collaboratori: Roberto Alajmo, Vinicio Albanesi, Ada Becchi, Federica Bcllicanta, Stefano Bcnni, GianfrancoBcttin,Alfonso Berardinclli, Andrea Berctta, Andrea Bcrrini, Giacomo Borclla, Marisa Bulghcroni, Massimo Brutti, Mimmo Càndito, Francesco Carchcdi, Franco Carnevale, Francesco Ccci, Luigi Ciotti, Giancarlo Consonni, Paolo Crcpct, Mirta Da Pra, Zita Dazzi, StefanoDc Mattcis, MarcelloFlorcs,Grazia Fresco, Rachele Furfaro, Alberto Gallas, Fabio Gambaro, Saverio Gazzclloni, Bianca Guidctti Serra, Gustavo Hcrling, Filippo LaPorta, Daanicla Lcpore, Luigi Manconi, Ambrogio Mancnri, Bruno Mari, Paolo Mercghctti, Santina Mobiglia, Giancarlo Mola, Giorgio Morbcllo,Ccsare Moreno, Emiliano Morrcalc, Marco Mottolcsc, Grazia Neri, Monica Nonno, Sandro 0nofri, RaffaelePastore, Nicola Pcrrone, Giuseppe Pollicclli, SilvanaQuadrino, Georgene Ranucci, Luca Rastello, Angela Regio, Luca Rossomando, Bardo Sccbcr, Francesco S1sci,Paola Splendore, Andrea Torna, Alessandro Triulzi,Giacomo Vaiarclli, Federico Varese, Tullio Vinay, Emanuele Vinassa dc Rcgny, Paolo Vincis. Grafica: Carlo Fumian. Redazione: Alessandra Francioni (segretaria), Claudio Buttaroni, Monica Campardo, Marco Carsctti, Michele Colucci, Elena Fantasia, Carola Proto. I MANOSCRITfl NON VENGONO RESTITUITI,DEI TESTI STRANIERIIli CUI LA RIVISTANON t STATAIN GRADO DI RINTRACCIAREGLI AVENTI DIRITrD, Cl DICIIIARIAMO PRONTI A O'l'fEMPERARE AGI.I OBBLIGIII REI.ATIVI. La Terra vista dalla Luna iscritta al Tribunale di Roma in data 7.7.'95 al 11° 353/95. Direttore responsabile: Goffredo Fofi Edizioni La Terra vista dalla Luna s.r.l. Redazione e amministrazione: via Mcntana 26, 00185 Roma, tcl. 06-4467993(anche fax). Distribuzione in edicola: S0.DJ.P. di Angelo Patuzzi spa, via Bcttala 18, 20092Cinisello Balsamo (MI), tel. 02-660301, fax 02-66030320. Stampa/StilGraf della San Paolo Tipografica Editoriale- Via VignaJacobini 67/c- Roma Finito di stampare nel mese di maggio 1996 , I , 1 , • r, I , L'l

Per la Repubblica: il volontariato e il sogno politico Vinicio Albanesi La situazione del Paese ci chiede impegno. Lo stesso impegno che coinvolge tutti i cittadini e le cittadine italiane. È una situazione seria, come seria è la vita della collettività, sempre e comunque, la nostra come quella di mille altre collettività del mondo. Siamo impegnati prima di tutto come singoli soggetti. È dovere di ognuno interessarsi alle cose comuni, per il proprio e l'altrui benessere. Ogni forma di democrazia chiede la partecipazione di tutti: per questo ci impegnamo per le vicende economiche, sociali, politiche e morali, della nostra Italia. Ci impegnamo anche come persone associate. Riunirsi per motivi nobili è certamente vantaggioso per sé e per gli altri: si scambiano opinioni, si offrono azioni gratuite, si partecipa alle risposte possibili. Ci impegnamo come associ azioni del sociale, in quanto direttamente coinvolti nelle risposte al disagio e alle sofferenze. Siamo coinvolti, perché questa è la nostra storia: una storia bella, senza alcun nostro merito. Avere sensibilità alla sofferenza, avere tempo e intelligenza per le ris_poste, fa del volontariato sociale una forma alta di partecipazione democratica. Il nostro impegno è per la repubblica: non amiamo la distinzione tra Prima e Seconda repubblica. Lasciamo ad altri colpe da farsi perdonare e meriti da farsi riconoscere. La repubblica che conosciamo è certamente solid al e e nobile; fondata su principi di uguaglianza, di rappresentanza e di solidarietà: ancora da realizzare nella sua completezza; da aggiornare per le situazioni cambiate, ma lasciata al contributo' di tutti perché garantisca pace, benessere e sicurezza. La partecipazione Il nostro impegno è simile a quello di molti altri cittadini e cittadine che sentono la necessità della vita democratica, con impegno più prolungato e consistente della semplice espressione del consenso, espresso con il voto. La nostra partecipazione vuole essere simile e 9uindi considerata alla pan di quella di quanti esprimono rappresentanza. Non da oggi siamo impegnati sul versante del sociale e da esso troviamo motivazioni profonde per contribuire al benessere di ciascuno. Ciò che ci offende è il considerarci una specie di "buoni a tutto", dediti alla fraternità, ma senza idee; capaci di impegno etico, ma senza proposte politiche. Abbiamo invece compreso e non da oggi che la risposta ai bisogni è efficace in proporzione di come la rete dei sistemi di convivenza di una nazione, in tutta la loro complessità, ris_ponde ai bisogni della collemvità. La tutela di tutti L'unica cosa che ci distingue da altre organizzazioni e altri volontariati è che parliamo a nome di altri più sfortunati. A nome nostro perché anche i più fortunati tra noi hanno paure, insicurezze, bisogni per i quali sono necessarie risposte. A nome di altri perché molti non parlerebbero, perché non sanno parlare, perché non possono parlare: non sono in grado di esigere risposte necessarie, della stessa necessità di chi ne riceve. Pur nel progresso civile e morale della nostra Italia sono molte, anzi troppe, le persone non in grado di far valere i propri diritti, o almeno tutti i propri diritti. L'obbiettivo che ci prefiggiamo con la nostra azione non è, come spesso ci viene attribuito, la tutela di alcuni a svantaggio di altri, ma semplicemente la tutela di tutti. La salute, l'istruzione, l'occupazione, la comunicazione, la mobilità sono beni universali. La distinzione tra diritti fruibili e diritti negati non è accettabile in una società civile. Insopportabili disuguaglianze Per non dire cose generiche e inutili, dall'osservatorio che ci è l?roprio, denunciamo la forte, msopJ?Ortabile, disuguaglianza tra I cittadini e cittadine del nostro Paese. Le chiavi di lettura _per leggere questa disuguaglianza sono molto numerose: etiche, econo miche, sociali, culturali, territoriali. Due dati soltanto. Il primo riguarda le povertà. La Banca d'Italia dice che il 30% della popolazione italiana, soprattutto collocata al Sud, "non consuma", non può permettersi cioè alcuna spesa che non sia destinata alla sopravvivenza. In questo trenta per cento, dicono altri c'è da annoverare 1 milione di anziani poveri e 1 milione di bambini poveri. Il secondo dato: la distanza tra retribuzioni da lavoro dipendente più basse e quelle più alte è di 1 a 12 milioni; per le pensioni di 1 a 6. Non occorre molta intelligenza per capire che questi divari non sono "giustificabili" da nessuna legge di mercato e da nessuna storia legata ai meriti. Sono i privilegi di alcuni, costruiti su ingiustizie per altri. Artefici del proprio benessere Il mito che "ciascuno è artefice del proprio benessere" non esiste. È stato inventato dai ricchi i quali sono diventati tali per loro merito e per i vantaggi che altri non ricchi hanno loro concesso. Una persona intelligente, laboriosa, onesta, in tutta la propria vita non può che costruirsi una casa e mettere da parte qualche risparmio. Il di più è garantito da una rete di protezione inventata con il mito "fai da te" e strappata ad altri: clienti, consumatori, lavoratori, istituzioni. Inseguire questo mito è pericoloso e ingannevole. Sono di esperienza comune gli esempi di improvvise povertà in persone e famiglie che pure vivevano discretamente, ma che d'un tratto si sono ritrovate in gravi difficoltà _per una crisi di settore. Un rnganno subìto,

un credito non riscosso, una dissrazia non desiderata. È logico invocare nelle ci reostanze sfortunate la solidarietà privata e quella statale: ma se questa solidarietà non è alimentata, da chi potrà essere garantita? Risorse limitate Per mascherare questa mancanza di solidarietà, irivoca ta nel momento del bisogno, ma dimenticata nella prosperità, recentemente si dice che le risorse sono limitate, che lo stato sociale non può garantire tutto a tutti. E u_na rispo~ta inganne~ole: le nsorse esistono se e 111 proporzione di come tutti sono disposti ad esprimere concretamente solidarietà. I privilegi, sempre più invadenti e insaziabili dei più forti permettono ormai residue risorse per le risposte. Privilegi di chi è esentato - a vario titolo - a fare il proprio dovere, di chi, pur operando in settori cosiddetti produttivi, gode di assistenza, di chi è addetto a inutilità o peggio ancora a dannosità. Se tutti hanno diritti, se le risorse sono limitate, se la situazione rimane tale, la conseguenza ovvia è la non risposta ai bisogni. È quanto sta avvenendo: chi sta male, insomma, è costretto ad arrangiarsi. Ma questa logica è terribile, 12erché ~pi~g~ alla ricerca di magg10n sicurezze con il rischio di palesi ingiustizie, senza d'altra parte essere esenti da povertà possibili. I deboli ,t,/ Una nazione improntata alla solidarietà esige che l'attenzione sia diretta, prima fra tutti, agli elementi più deboli della grande famiglia di una nazione. Oggi essi hanno un nome e un volto: anziani, giovani a rischio, disoccupati, categorie, territori deboli. Non scommettere sul loro riscatto e sulle loro residue risorse, significa costruire una società fatta di forti che sopporta a mala pena chi non è tale. Non prevenire disagi, non ricorrere a tutte le risorse disponibili, non fare appello alla cittadinanza crea rischi enormi di invivibilità per troppi. Con chi staremo A scanso di ogni equivoco nell'immediata consultazione elettorale_ c<?nq1:1elliche verranno 1101 c1 schiereremo con chi darà ma$giori garanzie per le categorie deboli. Conosciamo molto bene i trucchi dei rinvii: "ora dobbiamo rafforzare l'economia, ora dobbiamo consolidarla, domani vedremo". La storia d'Italia è piena di rinvii che non sono solo legislativi, ma strutturali, radicati, ripetitivi: non sono bastati novant'anni per mettere mano alla riforma dell'assistenza. Oggi addirittura nessuno più ne parla. La miopia arriva al punto da lasciare in piedi servizi e apparati che succhiano risorse, senza fornire risposte. Nessun elenco della spesa Potremmo fare un lungo elenco della spesa da presentare ai candidati al futuro Parlamento. Ma a che e a chi servirebbe? Ad ogni richiesta si potrebbero contrapporre mille obiezioni possibili e altrettante priorità, che impedirebbero una ragionevole risposta. Il mondo di chi è meno fortunato, dei poveri senza voce chiede per tutti - sottolineiamo per tutti - cose sostanziali: la ridefinizione di criteri di attribuzione delle risorse, sia in termine di reddito da lavoro, che di capitale; la soppressione dell'odierna burocrazia, dimostratasi inefficace e parassita; la ridefinizione dei protagonisti e dei modi della gestione delle cose pubbliche; la garanzia di risposte sicure per tutti; riposte necessarie ad un benessere diffuso, anche se non spavaldo e spendaccione. Salute, istruzione, comunicazione, abitazione, trasporti, ambiente, previdenza e assistenza. Il sogno di una democrazia moderna che procura benessere diffuso e stabilisce obbiettivi di sicurezza, con servizi efficienti, dotati delle necessarie nsorse. I poteri Non spetta a noi entrare nel dettaglio delle riforme istituzionali dei poteri. Enucleando i principi ispiratori di una riforma, è doveroso far riferimento ai criteri di equilibrio tra vincitori e sconfitti, di controllo sufficiente e stabile degli ae,parati dello Stato, di possibilità di ricambio nella gestione delle cose pubbliche. Non si tratta di sostanza della democrazia, ma certamente delle condizioni di democrazia. Ogni forma, per quanto complessa, si ispira sempre a principi di fondo. Crediamo nel1' alternanza delle proposte, ma esi$iamo anche lo spirito di servizio che solo può giustificare la gestione del potere. Lo Stato Sociale Siamo convinti anche noi di trovarci in momenti difficili di redifinizione delle risposte sociali. Ma proprio perché siamo in difficoltà è indispensabile: ridefinire ciò di cui nessuno può essere privato; con la sicurezza di risposte uguali per tutti; con risorse certe e efficaci; con professionalità che garantisca risultati. Siamo disponibili ad una discussione approfondita a partire dalle esigenze dei bisogni per risalire ali' organizzazione, alle competenze,allerisorse.Non è più pensabileun percorso inverso che tu teli gli addetti ai lavori, che fissi precanamente risorse, che distingua lerisposteper cetio per censi. '

Sprechi e inutilità Sognamo servizi alla metà dei costi attuali. Non è così difficile come appare. Basterebbe applicare quattro direttive: unitarietà tèrritoriale delle risposte; sussidiarietà dei servizi rispetto alle risorse reperibili; globalità delle funzioni nelle riposte; professionalità a servizio dei bisogni. Partendo dalle effettive esigenze del territorio, fornendo servizi "necessari" alle famiglie e al territorio, con la disponibilità della propria professione e delle capacità si è in $rado di rispondere ai bisogm di un territorio. Il servizio sarebbe pensato e progettato sulle esigenze richieste e non - come ogsi avviene - sulla tutela degli operatori e sulle esigenze dei servizi. Cittadini del mondo Pur preoccupati per le povertà del nostro paese, non possiamo essere insensibili alle povertà del mondo. Noi stessi siamo stati poveri. La solidarietà non può esser chiusa nella dimensione della cittadinanza nazionale. Siamo cittadini del mondo: la capacità di accoglienza si tramuterà in investimento. Già oggi per i problemi dell'ambiente, dei mari, delle risorse siamo costretti a dialogare non solo con chi ci è vicino, ma con tutti i popoli e i governi del pianeta. Tale dialogo può tramutarsi in capacità di progettazione e di accoglienza. Un mondo positivo di valori Sognamo un mondo positivo nel quale la vita è gioia. Siamo chiamati a liberare e a liberarci dalle paure, dalle violenze, dalle prevaricazioni. Solo in clima costruttivo e fatto di attenzione e di rispetto può abbassarsi la violenza, attivarsi l'attenzione agli altri, aumentare la sensibilità verso chi è in difficoltà. E un sogno che investe noi per gli altri, ma che ci ritorna in termini positivi. È il clima che può recuperare senza scambi economici, la gratuità, la vicinanza, la prevenzione del disa&io. Non è un sogno impossibile; è un sogno infinito, perché in continuo sviluppo. ♦ Piccoli segni di speranza MarinoSinibaldi Placate euforie e stupori, è il momento di ragionare sulle novità e i problemi rappresentati dalla vittoria elettorale della sinistra e dal suo approdo al governo dell'Italia. Sulla novità, veramente, c'è poco da dire se non per ricordare che l'anomalia di un paese progredito e civile che non conosceva alternanze politiche derivava, secondo le interpretazioni più diffuse, da cause profonde e antiche. Sono scomparse? Si sono trasformate? Che cosa, insomma, può dirci questa vittoria polittca sui mutamenti in corso nella cultura di questo paese? E che cosa, innanzitutto, ci dice sulla sinistra, il suo presente e il suo futuro? Ecco la novità maggiore che ci offre l'esito elettorale: oggi queste due questioni - il futuro del paese e quello della sinistra - si presentano perfino istituzionalmente intrecciate. Una novità positiva, perfino entusiasmante, che per ora però pone più problemi di quanti non ne risolva. Il problema di cosa sia ogsi la sinistra italiana, innanzitutto. In questa rivista e altrove non sono mancate certo le critiche alla sua cultura, e tra qualche riga torneremo a farne. Ma prima va ammesso che il cammino che essa ha percorso in questi anni è notevole. Per la prima volta nella nostra storia, la parte prevalente della sinistra presenta una cultura non settaria e intollerante, aperta al confronto, perfino curiosa di altre figure e altre esperienze. Questa insicurezza sulle proprie ragioni può perfino apparire eccessiva, rischia in ogni momento di smarrire valori e identità o viceversa di rianimare grotteschi rigurgiti ideologici, ma è il frutto di una salutare revisione, di una riconsi-. derazione della propria storia e delle proprie responsabilità che è lungi dall'essere terminata, ma che è un risultato formidabile delle tempeste degli ultimi anni. E quando ci si interroga sulle ragioni della vittoria elettorale, bisognerebbe considerare questo elemento. Bastava assistere a un dibattito elettorale, J?artecipare a un volantina gg10, accendere per qualche minuto Italia radio per accorgersi che in campo c'era davvero la parte migliore del paese, ossia, detto in modo meno astratto, le sue energie e persone migliori. Al di là delle liste, dei simboli e dei candidati, frutto spesso di scelte verticistiche e discutibili. Ma ora tutto questo non basta. Ora questa sinistra si trova di fronte a un passaggio epocale, in cui la piccola dote accumulata in questi anni difficili deve essere spesa integralmente; e ciononostante non è sufficiente. Questa verifica sconvolgerà il paesaggio politico e culturale della sinistra come finora si è configurato. Probabilmente, sperabilmente, cambierà qualcosa di più ampio; ma non c'è dubbio che la sinistra uscirà radicalmente trasformata da questa esperienza. Tutti i nodi e le ambig\lità che si trascina dietro verranno infatti al pettine. Non solo perché in tempi di crisi economica ogni scelta, per esempio ogni legge finanziaria, comporterà decisioni difficili e variamente impopolari, ma più in generale perché chi governa deve oggi immaginare e precostituire un futuro possibile. Pronunciarsi cioè su un terreno difficile, che spaventa, divide e richiederebbe ben altra tensione ideale, ben altra solidità culturale da quelle che la politica attuale è in grado di esibire. Qui dunque novità e problemi si intrecciano indissolubilmente. E da questo punto di vista, prima ancora dei suoi limiti culturali, il problema della sinistra è che la sua è una vittoria elettorale. Non ha comportato, cioè, uno spostamento dei consensi che rovesci le tendenze profonde

della nostra società, quelle su cui da anni ci interroghiamo e ci inquietiamo. Con un gesto per metà maturo e per metà disperato, una risicata maggioranza degli italiani hanno deciso di dare fiducia alla coalizione di centrosinistra al di là, pe~ co_sìdire, delle rrop~ie opinioni, forse perfino 111 contraddizione con esse. Questo dato costituirà ragione di una difficoltà politica permanente per Prodi e i suoi ministri. Ma in primo luogo rappresenta il cuore del problema della cultura di sinistra oggi. Ad essa non basterà cioè conservare il consenso che ha attirato - e gli interessi, le energie che è già in grado di • rappresentare. Essa dovrà spostare consensi e culture governando, con tutti i rischi di tatticismo e di giacobinismo che questa impresa comporta. Saprà resistere la sinistra italiana a queste tentazioni? È davvero vaccinata contro questi pericoli tradizionali che la complessità delle nostre società rende ancora più minacciosi? La risposta non sta più soltanto nelle scelte ideali e nella revisione del proprio bagaglio politico-culturale. Da questo punto di vista c'è per tutta la sinistra un ampio cammino da fare, infinite lezioni da riscoprire e da accettare; ma intanto, se si scorrono giornali e riviste di questa area, si incontrano ormai da anni molti di quei nomi, da Hannah Arend t a Simone Weil, da cui possiamo imparare molto di più che dai santini ingialliti - o insanguinati - della tradizione canonica della sinistra, quella marxista. Il problema sta nelle scelte concrete che si faranno, naturalmente, e nelle divisioni che faranno riemergere. Ma ancora prima sarà nelle energie che si coinvolgeranno, nelle risorse che si valorizzeranno, nel metodo con cui le decisioni saranno prese e realizzate. Il vero segnale di rottura che la sinistra deve dare non sta tanto nello spostare porzioni di ricchezza o nel difendere ceti finora indifesi. Certo, tutti ci aspettiamo maggiore eguaglianza fiscale, più attenzione al lavoro e al non lavoro, una politica dell'inclusione che riduca le situazioni di marginalità e di svantaggio. Abbiamo votato per queste cose e faremo bene a pretenderle. Ma la discontinuità vera rispetto al passato di destra e di sinistra - vale a dire rispetto alla storia del nostro paese - sta altrove. Sta nel non accettare il destino di una società frantumata e prostrata, frammentata da interessi diversi, impaurita dal proprio futuro. Sta dunque nella capacità - a partire dal governo e non più, non solo dal basso - di creare un terreno di confronto, di comunicazione, di fiducia, di cooperazione. Le esperienze cresciute affermando questi valori ai margini della affluente ed I:. ~~~~~~1 ................ ----- ~~~~~~~~ ~~~~~~~~ "ffff ~-~-ff~ .... -.... - ---....... egoista Italia postmoderna rappresentano naturalmente un punto di riferimento fondamentale, ma occorre molto di più, occorre l'invenzione di una nuova socialità che esalti le risorse e non le imprigioni, che valorizzi la creatività e l'impegno ma che agli individui e ai ceti sempre più atomizzati ricordi quale ricchezza, quale risorsa rappresentino la comunità, la società, lo stato. Sebbene la sinistra governerà con l'incubo di Maastricht, dei conti pubblici e del separatismo le$hista, è questo il segnale decisivo che deve dare. Anche perché altrimenti la sua sarà vittoria di corto respiro; e gli italiani proseguiranno il loro lento riaggregarsi intorno a un'idea meschina ed egoista di società. Siamo pronti per questo compito? E inevitabile dubitarne. Intanto, come è noto, non ha vinto solo la sinistra; e anzi, essa ha convinto anche per le scelte di alleanza non solo elettorale che ha proposto. Qui però il pluralismo che la coalizione dell'Ulivo e gli alleati "desistenti" hanno esibito (e che è una grande risorsa, non solo elettorale), sarà ragione di difficoltà a meno che non prosegua il processo di confronto, di trasformazione, di rimescolamento reale delle culture e delle appartenenze. Solo la continuità di questo processo, che ben al di là della vittoria è il frutto più prezioso della recente campagna elettorale, può permettere alla sinistra di operare un salto decisivo nel suo cammino, di rivitalizzare e reinventare i propri valori, di sperimentare nuovi approdi culturali e organizzativi. Messo in questi termini, tutto appare i:nolto difficile e, temo, meno entusiasmante. A torto, però, perché invece l'occasione è straordinaria e merita uno sforzo di attenzione ma anche di partecipazione. Per la sinistra og$i governare significa infatti non solo provare a cambiare il paese, ma dover cambiare se stessa. Del resto è quello che è già accaduto coi sindaci democratici, anch'essi portati al successo da un intreccio inedito e a volte accidentale di ragioni. E forse sarebbe bene riflettere meglio su quelle esperienze, capire dove e come hanno funzionato, dove e come hanno favorito quella trasformazione di metodi e culture politiche che sola può salvare quel sentimento comune, quel sentirsi parte di una comunità e di una società senza il quale la politica e la sinistra finiranno prima o poi sconfitte. Abbiamo dunque di fronte a noi una possibilità, piccola ma preziosa. Nonostante appaia limitata, striminzita, perfino casuale, questa vittoria elettorale ha infatti da sola un grande significato culturale. Smentendo tutte le tesi - banali, acide, mistificatorie - sul tramonto delle differenze

tra destra e sinistra, la campagna elettorale ha messo in campo un'alternativa trasparente e vistosa. Non solo (e non tanto, forse) sul piano dei programmi o su quello delle persone. Ma su alcune limpide questioni di fondo e ben più decisive, di metodo e di stile politico-culturale. Proprio da questo punto di vista le conseguenze di una minima vittoria elettorale potrebbero rivelarsi molto grandi. Basta pensare all'importanza che può avere un ridimensionamento della Tv come luogo di formazione delle opinioni e del consenso proprio nel momento in cui questo media si avvia a un mutamento tecnologico di enorme portata. O all'affermarsi, dentro un frontale scontro elettorale, di un linguaggio che privilegia il confronto, che con qualche tatticismo e qualche ipocrisia si è comunque imposto una sorta di sdrammatizzante tolleranza, di nonviolenza verbale i cui risvolti "buonisti" possono irritare ma che costituisce una risorsa importante davanti ai conflitti in corso e futuri. E ancora l'accettazione di un pluralismo, anch'esso in parte obbligato e spesso maldigerito nelle zone più ideologiche della sinistra (nient'affatto marginali, tra l'altro), ma che è la precondizione con cui la sinistra può continuare a cambiare se stes- . . . sa e comrnc1are a capire - e cambiare - il paese. O più in generale quella sensazione di razionalità e mitezza sparsa a piene mani nelle apparizioni pubbliche dell'Ulivo, con il continuo richiamarsi alla legalità, alle regole, alla moderazione, che naturalmente rischia di generare politiche modeste e mediocri, ma che rappresenta l'antitesi più radicale agli umori rabbiosi e cinici che dominano il panorama antropologico italiano contemporaneo. Dentro questa sorprendente vicenda elettorale sono insomma affriorati segnali piccoli e forse ambigui che però devono indurre all'ottimismo. Nel momento in cui la sinistra affronta il compito più difficile e disperato della sua storia, bisogna difendere e coltivare questi piccoli segni di speranza. ♦ Italiani, gente onesta. L'ipocrisia della virtù secondo un'indagine Censis Raffaele Pastore A 6.500 italiani, proporzionati per sesso, età e distribuzione geografica come l'universo reale della popolazione, è stato presentato, in una recente indagine del Censis, un elenco di trenta (ben trenta) virtù e gli è stato chiesto di indicare quali fossero, a loro avviso, le tre virtù "indispensabili per la crescita del paese". Nel folto paniere di virtù sottoposto al giudizio degli intervistati, l'onestà si è distinta da tutte le altre in maniera molto netta, tanto da rappresentare una sorta di virtù superiore, a sé stante. In maniera non del tutto prevedibile, infatti, l'onestà è stata indicata come una virtù "indispensabile per la crescita del paese" dal 61,9% del campione ed è stata collocata in asso1 u to al primo posto. Al secondo posto c'è la laboriosità, ma il grado di consenso è già nettamente inferiore dato che di tale parere sono poco più del 20% degli intervistati. Al terzo posto viene la giustizia, con una percentuale ancora sensibilmente inferiore (19,2%). Volendo considerare (tab. 1) solo le virtù che hanno raccolto una percentuale di consensi superiore al 10% se ne possono contare sei, di cui, oltre a quelle già citate: la solidarietà collettiva (16,3 % ), la responsabilità (14 %) e l 'organizzazione (10,8%).Se si prendessero alla lettera le in- .dicazioni e le implicazioni derivanti da questo solido elenco di virtù ritenute, così diffusamente, "indispensabili alla crescita del paese", (onestà, laboriosità, giustizia, solidarietà collettiva, ecc.), potrebbe anche venire il sospetto di avere sbagliato paese o di avere costantemente sbagliato ad interpretarlo. Ma è sufficiente un minimo di senso critico per capire che, innanzitutto, un paese non può essere interpretato a fondo sulle fragili basi dei sondaggi e, in secondo luogo, che l'immagine degli italiani riflessa da questi dati non è affatto falsa in sé bensì costituisce semplicemente un lato, del resto tutt'altro che trascurabile, dell'intero poliedro interpretativo che può individuare il carattere medio degli italiani, la sua evoluzione nel tempo e le sue dirette implicazioni sul modello di sviluppo di questo paese. Scavando un po' più a fondo su questo lato di limpidezza etica e solidarismo morale non si possono non notare, ad esempio, le tracce ancora vistose del vento scardinatore di tangentopoli, ormai QùfSTA MATTINADECIDO D\ FARE UNA SORPRESA AD ALEX (GùfSTO E' IL 5LX) NOME) PREPARANOOGLI IL CAFFE' ... t1A. E' Lùl A SORPRENDERMI..

acquietato. Quasi tre anni passati davanti alle televisioni a scrutare i volti tragici o strafottenti dei potenti (o ex) aggiogati alle precise, semplici domande dei giudici non possono non aver lasciato segni nella memoria collettiva (è difficile dire ancora per quanto). In quegli anni è stato sceneggiato, grazie alla solerzia delle televisioni, un avvincente romanzo popolare su scala nazionale, dentro il quale una straordinaria occasione di moralizzazione della vità pubblica è stata lentamente affogata nel facile conformismo di un'onestà senza contenuti.Ed oltre ad un probabile "effetto tangentopoli", di ori$ine recente, per valutare la lista delle virtù considerate indispensabili dagli italiani, bisognerebbe senz'altro tener conto anche di un aspetto del carattere nazionale di origine tutt'altro che recente, ossia la doppiezza fra virtù pubbliche e virtù private. Apparentemente, infatti, non c'è alcun motivo per mettere in dubbio l'aspirazione collettiva ad un "paese che cresce" grazie ali' onestà, alla laboriosità, alla solidarietà e al senso di responsabilità dei singoli, se non fosse altrettanto vero che l'esperienza individuale di cittadini nei luoghi di lavoro o negli uffici pubblici suggerisca quasi sempre che l'agire individuale si incardina quotidianamente a tutta un'altra serie di virtù (come emerge chiaramente da altri studi).! risultati dell'indagine sono, pertanto, abbastanza sorprendenti ma non mancano le ragioni per un certo scetticismo di fondo, nonché per cercare di interpretarli più a fondo. Ad esempio si evidenziano degli spunti interessanti di riflessione nella distribuzione dei dati in base al livello socio-occupazionale degli intervistati (calcolato in base al titolo di studio e al tipo di occupazione). Vi è una differenziazione marcata fra il livello più basso e il livello più alto, nei due strati socio-occupazionali vengono accentuate due liste diverse, se non antitetiche, di virtù (tab. 2). Nello strato più alto: la responsabilità (15,2%), l'organizzazione (10,5%), la serietà (10,3%) e l'efficienza (10,1 %). Nello strato più basso: la solidarietà collettiva (21,2), il rispetto (21,2 % ), l'educazione (13,3%), la semplicità (7%) e la prudenza (8,4% ). Questo risultato sembra prodotto davvero da due diverse visioni delle cose del mondo: l' efficientismo manageriale delle classi alte che vede poco oltre se stesso e l'umiltà latente, la mitezza, i valori fuori moda (l'educazione, il rispetto) delle classi basse. A tal proposito, con Christopher Lasch si può convenire nella considerazione che "la persistenza della morale all'antica tra le classi meno colte" e "la resistenza popolare alla religione della critica" costituiscano un motivo per sperare (La ribellione delle élite, Feltrinelli). Forse "un altro motivo per sperare" deriva anche dalla risposta del campione alla domanda: da chi si sente maggiormente rappresentato? Governo (3,5%), partiti • (4,3%), Parlamento (4,4%) e Associazioni di categoria (4,9%) sono tutti agli ultimi posti, con una percentuale di consensi inferiore al 5%. Come a dire che i reali soggetti di rappresentanza non potrebbero essere più in crisi rispetto alla loro stessa ragion d'essere. E' evidente che anche su questo scenario di risposte deve aver influito in maniera significativa il confuso affastellarsi di schieramenti elettorali e parlamentari degli ultimi tre anni, nonché l'incerto passaggio di ciclo politico e istituzionali che stiamo vivendo.Tuttavia, ciò che colpisce di più sono due dati: il primo è quello per cui la maggioranza degli intervistati, pari a circa il 24%, dichiara di non sentirsi rappresentata semplicemente da nessuno; l'altro è 'che al primo posto fra i soggetti di rappresentanza vengono indicate le associazioni di volontariato (22,8%) e subito dopo la Chiesa (19,1%) (tab. 3). Se si mettono in relazione questi dati con la lista di virtù utili per far crescere il paese (oneTab. 1 - Le virtù ritenute indispensabili per la crescita del paese (val. %) (':•) Modalità di risposta 1. Onestà 2. Laboriosità 3. Giustizia 4. Solidarietà collettiva 5. Responsabilità 6. Or$anizzazione 7. Serietà 8. Competenza 9. Civiltà 10. Rispetto 11. Efficienza 12. Educazione 13. Coerenza 14. Cultura 15. Razionalità 16. Creatività e fantasia 17. Coraggio 18. Generosità 19. Non sa, non risponde 20. Entusiasmo 21. Capacità di rischiare 22. Tolleranza 23. Parsimonia 24. Adattamento 25. Flessibilità 26. Semplicità 27. Prudenza 28. Cortesia 29. Passione 30. Speranza 31. Furbizia 32. Altro % 61,9 20,7 19,2 16,3 14,0 10,8 8,7 7,5 7,2 7,0 7,0 6,8 6,6 5,7 5,3 5,2 5,1 4,6 4,6 4,1 3,5 3,4 2,9 2,3 2,1 1,9 1,9 1,5 1,1 1,0 1,0 0,6 C): Il totale non è uguale a 100 perché la domanda prevedeva tre possibilità di risposta Fonte: indagine Censis, 1996 YQQ.

Tab. 3 - Da chi si sente maggiormente rappresentato? (val.%)(*) Modalità di risposta Nessuno Associazioni volontariato Chiesa Forze dell'ordine Non sa/non risponde Magistratura Sindacati Televisione Stampa Associazioni di categoria Parlamento Partiti Governo % 23,7 22,8 19,1 12,4 10,6 9,8 6,9 6,3 5,4 4,9 4,4 4,3 3,5 C) Il totale non è uguale a 100 perché la domanda prevedeva due possibilità di risposta Fonte: indagine Censis, 1996 stà, laboriosità, giustizia, ecc.) si può notare una notevole coerenza, se non fosse lecito, anche in questo caso, nutrire qualche ragionevole dubbio sul carattere solo superficiale, non falso ma solo superficiale, di questa aspirazione diffusa alla rettitudine morale, tale da produrre anche un sentimento di appartenenza e di rappresentanza dei propri interessi, verso soggetti sociali, per così dire, anomali rispetto a tale scopo. E come coniugare tali aspirazioni con il fatto che gli stessi italiani messi di fronte alla scelta secca se avere più tempo libero o un miglioramento del reddito, per oltre il 76% dei casi hanno risposto che preferìrebbero ottenere quest'ultimo? E quindi solo una minoranza (23,2%) preferirebbe avere più tempo libero (magari per dedicarsi attivamente ad opere di volontariato). Se ci fossero state delle differenze significative fra gli strati socio-occupazionali si sarebbe potuto dire, semplicisticamente, che chi non ne ha abbastanza vorrebbe più soldi, ma così non è, perché la voglia di avere più soldi è omogeneamente distribuita (a parte qualche spiegabile picco fra i pensionati e le donne) e quindi l'incremento del reddito disponibile è un obiettivo in sé, non dipendente dalla base di partenza.Diventa così più chiara quella doppiezza, quella sensazione di ambiguità emerse sin dall'inizio: certamente l'onestà al primo posto e la giustizia e la solidarietà, e certamente è giusto dedicarsi agli altri e basare la stessa rappresentanza degli interessi su organismi o istituzioni solidaristiche, ma certamente anche tanti soldi in più (tanto consumo in più) e per tutti, anche a scapito del proprio tempo, già risorsa piuttosto limitata e comunque precondizione fondamentale per obiettivi solidaristici. Qualcosa non quadra. ♦ Tab. 2 - Le virtù ritenute indispensabili per la crescita del paese in base al livello sociooccupazionale degli intervistati (val. %) Livello socio-occupazionale Virtù: Medio Basso Medio basso Medio alto Onestà 63,1 59,3 58,3 63,6 Laboriosità 20,4 17,6 17,1 24,2 Giustizia 19,0 12,8 22,7 17,7 Solidarietà collettiva 15,3 21,2 11,6 18,2 Responsabilità 15,8 7,6 10,6 15,2 Organizzazione 10,5 7,8 10,8 10,5 Cortesia 1,2 8,8 2,0 1,0 Serietà 8,9 4,7 12,1 10,3 Efficienza 8,7 0,7 4,4 10,1 Rispetto 8,3 21,2 6,7 5,5 Educazione 5,7 13,3 5,6 4,9 Flessibilità 2,5 1,7 0,4 3,0 Semticità 2,5 7,0 1,9 1,7 Pru enza 2,1 8,4 1,5 1,4 I totali non sono uguali a 100 perché la domanda prevedeva tre possibilità di risposta Fonte: indagine Censis, 1996

La qualità della scuola è la qualità totale? Guido Arme/lini La tesi di Marco Revelli1 secondo la quale lo scontro politico in Italia non si svolgerebbe tra due schieramenti politico-sociali radicalmente contrapposti ma fra due "destre", una populista e l'altra tecnocratica, può essere sottoposta a una verifica, sia pure parziale, attraverso un'analisi dell'idea di scuola e di educazione che la coalizione dell'Ulivo ha posto con enfasi tra i punti qualificanti del suo programma. Se ci si limita alla lettura delle scarne "tesi programmatiche", l'impressione è di sconcertante sbrigatività; a parte gli enunciati relativi alla formazione professionale, in particolare quella post-secondaria, non si notano grandi differenze rispetto a quanto propone il programma del Polo: parole d'ordine come innalzamento dell'obbligo, autonomia scolastica, decentramento organizzativo e amministrativo, limitazione degli accessi all'università ritornano in entrambi i programmi senza che si delineino divergenze sostanziali; e anche sul tema scabroso della parificazione fra scuole statali e non statali le convergenze appaiono decisamente più forti delle divergenze, grazie anche alla genericità delle formulazioni. Più interessante è la lettura dei materiali di discussione, di illustrazione e di supporto alle tesi. È il caso di un testo che, a giudicare dalla collocazione che occupa nei documenti distribuiti dall'Ulivo nel corso della campa~na elettorale, ha il carattere d1 una dichiarazione di principi, e si pone come una cornice concettuale all'interno della quale collocare il tema della formazione: Una politica delle risorseumane, di Stefano Zamagni 2 : più che sulle specifiche proposte, corrispondenti all'incirca a quelle delle "tesi", vale la pena di soffermarsi sulla "filosofia" della scuola e della formazione che se ne può desumere. Il documento si apre con un'analisi della rivoluzione tecnologica in atto, della conseguente ~lobalizzazione dell'economia e dei suoi effetti sul mercato in genere e sul mercato del lavoro in particolare: su questo sfondo, in campo produttivo "le risorse che contano oggi sono soprattutto le risorse umane", quelle che più di ogni altra "creano valore aggiunto e aiutano il se~tore pro~uttivo dell'economia a funz10nare e a prosperare". Di qui la necessità di "investire sulla risorsa uomo". Compito precipuo della scuola sarebbe appunto plasmare questo tipo part1colanss1mo di risorsa, in modo da rendere l'Italia economicamente e produttivamente competitiva sul piano internazionale. L'inserimento della funzione della formazione scolastica entro questa cornice pone subito qualche problema; primo fra tutti quale possa essere il ruolo riservato nell'ambito della scuola a quelle persone che non l?romettono di essere efficienti "risorse"; in secondo luogo quale rapporto occorra instaurare, in campo educativo, fra la crescita autonoma dei bambini e delle bambine e l'inevitabile eteronomia derivante dall'assunzione delle leggi del mercato e delle produzione come criterio regolativo della formazione. Sul primo tema il documento non si pronuncia. Sul secondo invece è ambivalente: da un lato sembra fuoriuscire dalla cornice economicistica iniziale facendo riferimento alla "tramissione" dei valori della democrazia e della convivenza civile sanciti dalla Costituzione, e riconoscendo che il compito primario della scuola non è "la preparazione di risorse specifiche per il mondo del lavoro, ma la formazione culturale dei giovani»; dall'altro tende ad assimilare le due cose, sotto il segno delle «competenze critiche, interpretative, relazionali e progettuali» che sarebbero richieste dall'attuale organizzazione del lavoro. La tendenza a identificare la sfera etico-psicologica-sociale con la sfera economica viene pienamente esplicitata nel consistente capitolo dedicato alla formazione professionale, nel quale si motiva la necessità che la scuola non si limiti a trasmettere «skills tecnicoprofessionali» ma fornisca ai giovani più impegnativi «skills socialie relazionali». Nella nuova organizzazione del lavoro - spiega il documento - «diventano sempre più importanti quegli aspetti della prestazione che non sono specificati né specificabili nei contratti di lavoro e che possono essere realizzati soltanto da dipendenti motivati, cioè da dipendenti che partecipano". In altre parole, per inserirsi efficacemente nella nuova organizzazione dell'azienda, i lavoratori (ma, non a caso, il testo preferisce usare l'espressione "dipendenti") "devono condividere le strategie, ~li obiettivi e le politiche aziendali". Così la strategia della "Qualità Totale", secondo la quale in campo lavorativo il conflitto dovrebbe essere sostanzialmente abolito, e sostituito dall'interiorizzazione dell'ideolo$ia aziendale da parte di tutti i lavoratori, ad "alto" come a "basso" livello, entra come un'ideaforza anche nel campo dell'educazione3, e la figura del "buon cittadino" che dovrebbe uscire dalla scuola tende a identificarsi con quella del "dipendente" flessibile, creativo, collaborativo, disposto a far propri gli interessi, gli scopi, le strategie del suo datore di lavoro. Il documento lascia irrisolto il non irrilevante problema "di come tali qualità si possano insegnare e trasmettere e di quali siano, in generale, le istituzioni facilitative o ostacolanti", ma l'impressione del lettore è che il modo più efficace per educare i ragazzi e le ragazze alla assimilazione convinta dei valori delle imprese nelle quali lavoreranno consista nel far loro sperimentare una tale assimilazione fin dagli anni della scuola: se il traguardo è l'azienda in interiore homine, la sua premessa necessaria è la scuolaazienda in interiorepuero. YQQ.

Questa inquietante prospettiva pedagogica sembra raccordarsi con una mentalità assai diffusa, negli ultimi tempi, presso ìl ceto buro-pedagog1co che governa la vita della scuola intervenendo sui meccanismi quotidiani della programmazione, della valutazione, dell'organizzazione dell'attività didattica. La terra vista dalla luna ha già segnalato come nella scuola media ed elementare siano entrati in funzione strumenti valutativi che estendono, con pretesa di scientificità, la misurazione e la classificazione delle capacità degli alunni agli aspetti affettivi, etici, relazionali, presumendo che la scuola possa e debba "trasmettere" ai ragazzi e alle ragazze un repertorio di modelli di comportamento predeterminati, e controllarne passo passo l'acquisizione. Altri segnali in questa direzione vengono da svariate iniziative provenienti dal Ministero, o da esso sponsorizzate. Nei recenti corsi tenuti a livello nazionale sull"'area di pro~etto", un'innovazione didattica in via di realizzazione in tutti gli istituti tecnici della penisola, ai docenti-tutor ingaggiati per trasmettere ai loro colleghi il verbo ministeriale è stata consegnata tra l'altro una scheda4 orientata a valutare, per ogni alunno o alunna, «il suo comportamento nel lavoro e nel sociale, l'evoluzione del suo modo di rapportarsi con i docenti, la famiglia e i compagni, i valori indotti dai modelli educativi della scuola, della famiglia e della società, la sua visione del mondo, la concezione che l'alunno ha di sé, degli altri, dei compiti che deve affrontare, ecc.». Secondo la scheda gli insegnanti dovrebbero classificare ogni alunno, su una scala di cinque livelli, in relazione a un numero impressionante di "indicatori", scaturiti da un disinvolto accostamento di categorie relative ali' efficienza lavorativa, alle caratteristiche psicologiche, alle propensioni morali: «Impe~no, Attenzione, Organizzaz10ne, Tranquillità, Responsabilità, Flessibilità, Aurono mia, Intraprendenza, Rapporti con gli altri, Solidarietà, Moderazione, Conoscenza di sé, Rispetto dell'ambiente, Altro (!)». Secondo le più scientifiche teorie della valutazione, gli indicatori sono dotati di "descrittori metacognitivi e temperamentali", che dovrebbero consentire ali' inse$nante di riconoscere inequivocabilmente a quale gradino della scala classificatoria appartenga lo studente valutato. Così, per prendere il voto più basso in "Solidarietà" bisogna essere più d meno cattivi come Franti: "Non offre spontaneamente la sua collaborazione; è eccessivamente geloso degli strumenti e dei prodotti del suo lavoro; ha un atteggiamento di distacco, se non di ostilità, nei confronti dei deboli e dei "diversi"; il punteggio massimo spetta invece allo studente che sappia coniugare le doti di San Francesco con quelle di Monsignor Della Casa: «Ha uno spiccato senso di altruismo; prende a cuore le sorti dei suoi simili; ha un atteggiamento di squisita gradevolezza negli scambi interpersonali». Gli altri descrittori, che rispamio ai l~ttori, non sono meno esilaranti, a conferma dei risultati catastrofici prodotti dalla presunzione di classificare "oggettivamente" le caratteristiche morali e psicologiche di un essere umano. Un altro segnale significativo viene dalla rivista "Studenti & C. Mensile del Ministero della pubblica istruzione per i giovani e viceversa", inviata dal Ministero agli studenti di tutte le scuole superiori della penisola, della quale si è già occupato, sulle pagine di questa rivista, Emiliano Morreale. Nel secondo numero si riporta come esemplare l'esperienza di un Istituto tecnico di Crema dove, a quanto dice la studentessa autrice dell'articolo, l'operazione "Qualità Totale" sembra pienamente riuscita: "noi studenti (... ) ci identifichiamo con la nostra scuola e siamo pure contenti quando gli altri ci invidiano". Questa situazione di straordinario benessere ha le sue radici nel "Corso di formazione per Rappresentanti degli Studenti": "Tutti gli anni, da cinque anni a questa parte, una volta fatte le elezioni, i rappresentanti degli studenti vengono portati a frequentare un corso in cui si insegna a fare i "dirigenti"", condotto da "una é9..uipe che di solito lavora per "formare i quadri" delle aziende". Dopo quest'esperienza - conclude l'articolo - "anche noi ci sentiamo un po' "quadri dell'azienda Pacioli". E allora, lavo riamo volentieri per mi- . gliorare la scuola, la sentiamo un po' nostra, in poche parole: ci piace!». Il fatto che un ragazzo o una ragazza partecipi volentieri alla vita scolastica non può che allietare chi ama i giovani e la scuola. Ciò che inquieta è il processo di integrazione da cui nasce la sua (scriteriata?) allegria: se anche i leaders degli studenti - o coloro che sono reputati tali - sviluppano un senso di appartenenza tutto filtrato attraverso le gerarchie, i valori, i modelli relazionali dell'azienda, e vivono in beata sinergia con i docenti, il preside, il ministro, quale spazio resterà per il conflitto e per la divergenza? Tra i punti che ritornano con insistenza nei materiali programmatici dell'Ulivo un posto di rilievo va assegnato al tema della «valutazione dell'efficienza quantitativa e qualitativa del sistema scolastico», da affidarsi a un Servizio Nazionale di Valutazione. Chi ha studiato seriamente il problema sostiene cl'ie l'im-

presa è ardua, e richiede "competenze, organizzazione e impegno finanziario" dal quale in Italia siamo molto lontanis. Un punto delicato sarà comunque quello della definizione dei criteri di qualità: sia consentito a un profano suggerire tre "descrittori" - di difficile (forse impossibile) misurabilità - dell'eccellente qualità di una situazione educativa: che le persone che ne sono protagoniste non siano trattate come risorse o mezzi, ma come fini; che le relazioni tra esse non siano ingabbiate entro una rete di valori e modelli di comportamento predeterminati da "trasmettere" e di cui controllare l'acquisizione, ma si sviluppino con libertà, lasciando ampio spazio al conflitto e alla divergenza; e che la scuola non sia considerata come un ingranaggio finalizzato a far meglio funzionare il sistema economico ed ideologico nel quale è inserita ma come una "zona franca", nella quale possono vigere valon anche sensibilmente diversi da quelli dominanti: prima di tutti quello della gratuità. Note M. Revelli, Le due destre, Bollati Boringhieri, 1996. 2 In La scuola che vogliamo. Materiali per la discussione del pro- ~ramma dell'Ulivo su scuola e formazione, pp. 9-32, dicembre 1995. 3 In questa direzione vanno due volumi recenti, entrambi introdotti da prefazioni elogiative·del ministro Lombardi: G. Negro, Qualità totale a scuola, Il sole 24 ore Roma 1995, e U.Vairetti, Fare qualità nella scuola, Le Monnier 1995. 4 N.A Langella, Modello di scheda di valutazione per l'area di progetto, in L 'arr;a di progetto. Materiali organizzati per tutors, Viterbo 1996, pp. 36-48. Aldo Visalberghi, in T. De Mauro, I dee per il governo della scuola, Laterza 1995, p. 110. ♦ La fatica ad aiutare, la presunzione di aiutare Stefano Laffi · Le mille lire della signora compassionevole offerte al barbone di fronte al supermercato si trasformano subito nell'acquisto di pessimo vino in cartone, che va a colpire ulteriormente il corpo di un uomo che ha 40 anni ma ne dimostra 60. L'offerta di un letto in dormitorio da parte del- !' assistente sociale viene snobbata dal vecchio che preferisce non f erdere il sicuro posto sotto i ponte in cambio di una notte al caldo. L'indennità di accompagnamento per l'anziana signora semiparalizzata non viene spesa per sostituire la stampella semirotta, ma finisce in cibo per i suoi numerosi ~atti. Ma anche in Somalia gli aiuti in cibo alla popolazione affamata dalla guerra civile non si trasformano in beneficio per la gente del pos.to, ma diventano occasione di scontro violento, causa di stragi per il loro controllo, e vengono sospesi dal- !' Alto Commissariato di Ginevra. Le relazioni d'aiuto, i tentativi di chi sta meglio di aiutare chi sta peggio sono costellate da episodi del genere. Il gesto d'aiuto si scontra spessissimo con uno scacco, il sorriso riconoscente di un bambino di colore o di un anziano in difficoltà che ringrazia il nostro buon cuore appartiene più alla retorica pubblicitaria, ai nostri fantasmi, che alla realtà dei fatti. L'elemosina al barbone si trasforma in alcol, quella al ragazzo con lo sguardo spento alla stazione non servirà mai a comprare il biglietto di cui lui parla, il sussidio all'anziana immobilizzata non aiuta lei ma alimenta i gatti. Allora è chiaro qual è lo scacco: il no~ stro gesto non è salvifico come noi lo abbiamo immaginato, non disinnesca il dramma ma al contrario lo alimenta (alcol, droga), non smuove la situazione ma al contrario la consolid~ (il sussidio che finisce ai g~tti), e quand~ la proposta d1 mutamento e troppo radicale viene addirittura ri- · fiutata (il posto letto al caldo) o siamo noi stessi costretti a ritirarla perché incapaci di gestire il cambiamento (gli aiuti in Somalia). In una parola, nelle relazioni d'aiuto restiamo spiazzati dalla constatazione che le persone in crisi non fanno quello che noi vorremmo (e riteniamo logico) che loro facessero. Credo che all'origine ci siano due questioni nodali: un problema di identità dell'aiutante e uno scarto forte di razionalità e cultura fra aiutante e aiutato. È difficile, fin quasi innaturale, aiutare senza chieder nulla in cambio. D'altra parte, "si dice grazie!" è uno dei primi imperativi che apprendiamo dalla madre, anche se molto somiglia alle ingiunzioni paradossali ("sii spontaneo!", "dovresti amarmi") di cui parla Watzlawick, cioè quelle che esigono un comportamento specifico, pretendendone l'insorgere naturale a comando. E se nella nostra cultura la riconoscenza è dovuta, anche il dono è ampiamente inscritto e codificato dentro rituali precisi: basta pensare alla nevrosi collettiva dello shopping prenatalizio alla caccia del regalo, che sembra davvero una forma del "disagio della civiltà" freudiano, la fatica di vivere sotto un ingiunzione paradossale che ci vuole generosi a fine dicembre. Dono e riconoscenza sono quindi nella nostra cultura in buona parte ingiunti, cioè parte di un codice morale, regolati da riti, paradossalmente oggetto di prescrizione: da secoli la Chiesa ha istituzionalizzato l'elemosina nella beneficenza, mentre il modello di dono assoluto di San Francesco è rimasto in sostanza eretico. Così credo che l'idea di dono come obbligo ricorYQQ

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