La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 13 - marzo 1996

MEDIA Cinema e soldi. Un film sull'usura Marcello 'Benfante Riguardo ai film cosiddet- • ti di "denuncia", si é sempre indecisi se considerarli il frutto di una autentica sensibilità sociale oppure un tentativo di cavalcare la cronaca nei suoi aspetti più sensazionalistici ed emotivi per far presa sul pubblico. La questione è comunque abbastanza bizantina per essere tralasciata subito: ciò che conta è la tensione morale e la qualità estetica che l' opera riesce ad esprimere. · Vite strozzate di Ricky Tognazzi ha la puntualità di un instant-movie, ma anche la grezza superficialità, l'estemporanea e incompiuta approssimazione dei lavori dettati dall'urgenza del momento (che é cosa diversa dalla mera frettolosità, ed è piuttosto mancanza di riflessione, di distanze, di mediazione artistica). Il suo tema - l'usura, lo strozzinaggio alluso nel titolo - è certamente tra i più attuali. Gli strozzini in Italia sono · circa ottocentomila: un vero e proprio esercito che gestisce un siro di affari da dodicimila miliardi e tiene sotto il proprio controllo ferale (secondo stime della Banca d'Italia) seicento sessantamila famiglie. Questo suo essere un intervento "a caldo", e peraltro su un problema così doloroso che riguarda milioni di persone, è l'aspetto più interessante del nuovo tentativo di Tognazzi di collocarsi nell'ambito di un cinema giornalistico che in Italia annovera pochi capolavori e troppe patacche. E tuttavia, il -proposito fallisce, si perde per strada, s'affloscia miseramente. Il film infatti rinuncia a un taglio sociologico (pur muovendosi da un'inchiesta di Francesco Paurisano che è anche coautore del soggetto) sceglie invece una soluzione intermedia, un ibrido a metà strada tra il reportage e il dramma psicologico (che non decollano entrambi). Così, mentre l'inchiesta glissa velocemente sulle complicità delle banche e sul ruolo della criminalità organizzaY.QQ. ta nel controllo dell'usura, la tragedia, venata di sulfuree ascendenze mefistofeliche, si diluisce nei toni blandi del serial televisivo e in piu punti precipita ai livelli del vecchio melodramma anni '50. Il lato politico e quello privato non si fondono, ma tirano ciascuno dalla propria parte una coperta troppo piccola, e rimane così a nudo un gioco di mélange facile e scontato, con un uso raffinato di una Sabrina Ferilli "oggetto del desiderio" e un bel po' di retorica edificante. Vite strozzate é la storia di un costruttor ( interpretato da Vincent Lindon) che, alla morte del suocero, attraversa un brutto momento finanziario. Avendo pertanto un urgente e assoluto bisogno di liquidità, cade nella trappola tesagli da una criminale (occorre specificarlo?) finanziaria, tramite i loschi.maneggi e la complicità di un direttore di banca corrotto: Il ritratto del seducente, schizofrenico usuraio (interpretato dal bravo Luca Zingaretti) dal cranio rasato e traslucido, é fra le cose più riuscite éd efficaci del film. La sua furbizia, la sua doppiezza, il suo fascino ambiguo e insinuante ne fanno una figura luciferina animata da una spasmodica, inestinguibile volontà di possesso, di esproprio. È il diavolo divoratore dell'immaginario popolare, una sorta di vampiro che non si accontenta di dissanguare le sue vittime, ma ne vuole anche prendere il posto, essere l'ombra, il doppio. Ma sarà proprio questa sua invidia shilockiana per gli affetti della normalità degli altri a perderlo, il desiderio umanissimo, disumano al tempo stesso di ottenere qualcosa di più dell'amore , pagato: l'amore appagante. Vittima dai suoi stessi carnefici, l'usuraio calvo morirà tra le fiamme, trasparente contrappasso dell'inferno in cui ha gettato i suoi debitori. In questo risvolto classico e perfino gotico il film consegue gli esiti migliori e quelli peggiori: va sopra le righe, eccede nella sottolineatura faustina del patto scellerato (gli ostentati primi piani delle firme), mette orpelli a una storia che, sovraccarica di barocchi simbolismi, si appesantisce e perda forza, diventa pretenziosa parabola e si allontana dalla crudezza della realtà. La passione dell'usuraio per gli orologi - che colleziona avidamente e maniacalmente, smontandoli e rimontandoli senza mai riuscire a ripararli - è un rimanda forse eccessivamente didascalico, ma non privo di una sua presa emotiva, alla contraddizione, per dirla con lo storico J acques Le Goff, tra il tempo della Chiesa e il tempo del mercante. L'orologio è il simbolo dell'urbanizzazione del tempo (il "cravattaro" del film è di origine contadina), della sua sottrazione ali' ordine naturale e quindi divino, della sua laicizzazione e razionalizzazione. Ma è anche simbolo del suo sfruttamento blasfemo per iniqui profitti. L'usuraio, in tal caso, è il "grande orologiaio" di una disarmonia prestabilita che sa solo distruggere, annientare, tesaurizzare ricchezza che non dà sviluppo sociale. L'effetto finale è quello di un moralismo senza ·mprale che, inseguendo il'registro epico (laddove sarebbe stata più congrua la sceneggiata), sÌnar~ risca il senso di una società corrotta dall'ideologia del denaro, dal mito e dall'ossessione del possesso, dello status-symbol, del successo economico, che è la vera base (etica e di mercato) del fenomeno usura. Né Tognazzi riesce a colpire con sufficiente energia il ruolo oscuro e nefando del sistema bancario (che non a caso ha ostacolato la legge contro gli strozzini, appetibili clienti più che scomodi concorrenti), le cui connivenze con le finanziarie sono strutturali, fisiologiche ( e non patologiche e oc~asionali come sembra suggerire il film). Un'occasione parzialmente mancata, quindi, per spezzar e davvero la cortina di omertà e di collusione che ha finora consentito all'usura organizzata di riciclare il denaro sporco delle mafie e di strangolare l'economia del nostro paese. ♦

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