La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 13 - marzo 1996

La salute. degliimmi_ Zanotelli: Parole nuove Kovalev: ettera aperta a Eltsin Sulla laicità: Gaeta, alias, Giacchè, Rizzi Pianeta Terra: Argentina,Cecenia

Biblioteca L. Antonio Muratori Della pubblica felicità oggetto de' buoni principi a cura di Cesare Mozzarelli pp. 304, L. 45.000 Saggi Francesca Giusti La nascita dell'agricoltura Aree, tipologie e modelli pp. xrv-226, L. 35.000 Alberto Papuzzi Manuale del giornalista Tecniche e regole di un mestiere Nuova edizione riveduta e ampliata pp. 224, L. 35.000 Nicola Bellini Stato e industria nelle economie contemporanee pp. 134, L. 28.000 DONZELLIEDITORE ROMA Aa.Vv. Multiculturalismo e democrazia a cura di Franco Crespi e Roberto Segatori pp. 220, L. 38.000 Aa.Vv. Disuguaglianza e stato sociale Riflessioni sulla crisi del welf are italiano a cura di Enzo Bartocci pp. 156, L. 30.000 Interventi Flavio Baroncelli Il razzismo è una gaffe Eccessi e virtù del «politically correct» pp. XII-108, L.16.000 Giovanni Montroni Gli uomini del re La nobiltà napoletana nell'Ottocento pp. xxvr-198, L.38.000 Libri di idee

LA TERRA VISTA DALLA LUNA Rivista dell'intervento ~ N .13 marzo 1996 VOCI sociale Goffredo Fofi, "La terra": un anno di vita (2), PIANETA TERRA. Sergej Kovalev, Lettera aperta a Boris Eltsin (4), NORD-SUD. Alex Zanotelli, a cura di Federica Bellicanta, Parole nuove contro il degrado (6), Alex Zanotelli, Nigeria la via dello sfruttamento (8), IMMIGRATI. Michele Colucci, Dall'assistenza alla cittadinanza: (10), Donatella Natoli, Palermo: dai Sud del mondo al nostro Sud (11), BAMBINI. Silvana Quadrino, È vietato correre piano (12), MEDIA. Marcello Benfante, Cinema e soldi.Un film sull'usura (14), MODELLI. Federica Bellicanta, Il tempo libero secondo Don Milani (41), Vittorio Giacopini, Paul Goodman, "anarchico conservatore" (43), Susan Sontag, su Paul Goodman (45), LA CITTÀ. Maria Nadotti, Alto e basso a Chicago (46), ARTE E PARTE. Roberto Koch Una foto per un anno (48), Tom Stoddart, a cura di F. Bellicanta, Fotografare la storia (50). LEZIONI CRISTIANESIMO E LAICITÀ Piergiorgio Giacchè, Laici ed eretici (15), Armido Rizzi, Ridefinire la laicità (17), Giancarlo Gaeta, Fede cristiana e appartenenza confessionale (22), Alberto Gallas, Una questione di discernimento (23), · Ernesto Balducci, Non sono che un uomo (27). SALUTE E MALATTIA GLI IMMIGRATI Fabio Capacci, Franco Carnevale, Strategie di intervento (28), N aga, Stranieri in Italia: un bilancio di salute (34), PIANETA TERRA ARGENTINA Miguel Teubal, Modelli economici e crisi politica (52), Norma Giarracca, Tucuman: L'iniziativa delle donne (61). PIANETA TERRA CECENIA Mirella Fanti, Guerra nel Caucaso (65), ]urij Soslambekov, Oltre Dudaev (69), Sergej Kovalev, Le colpe della Russia (71). SUOLE DI VENTO Alessandra Castellani, Giappone, i figli della grande bolla (73), seguito da La foresta adolescente (74), Emiliano Morreale, Piccoli Cyborg crescono. Il primo romanzo di Tiziano Scarpa (77), FrancescoFeola, Cronache universitarie (78), Michele Colucci," Amici" televisivi: l'illusione di significare qualcosa (81), Giuseppe Pollicelli, Città di vetro: genitori e figli m balia del caso (82). IMMAGINI ]ames Nachtwey, Cecenia: la guerra di Eltsin (tra le pagine 42 e 43). In copertina una foto di Antonio Biasiucci. La foto all'interno è di Lucian Perkins/Washington Post (49). I disegni che illustrano questo numero sono di Gabriella Giandelli. Direttore: Goffredo Fofi. Direzùme: Gianfranco Bettin, MarcelloFlores, PiergiorgioGiacchè,Roberto Koch, Giulio Marcon, Marino Sinibaldi. Segretariadi redazione: Alessandra Francioni. Collaboratori: Damiano D. Abeni, Roberto Alajmo, Vinicio Albanesi, Enrico Alleva, Guido Armellini, Lucia Annunziata, Ada Becchi, Marcello Benfante, Stefano Benni, Alfonso Berardinelli, Andrea Beretta, Andrea Berrini, Giorgio Bert, Luigi Bobbio, Giacomo Borella, Marisa Bulgheroni, Massimo Brutti, Mimmo Càndito, Francesco Carchedi, Franco Carnevale, Luciano Carrino, Marco Carsetti, Francesco Ceci, Luigi Ciotti, Giancarlo Consonni, Paolo Crepct, Mirta Da Pra, Zita Dazzi, Giancarlo De Cataldo, Stefano De Matteis, Elena Fantasia, Grazia Fresco, Rachele Furfaro, Giancarlo Gaeta, Fabio Gambaro, Saverio Gazzelloni, Rinaldo Gianola, Vittorio Giacopini, Giorgio Gomel, Bianca Guidetti Serra, Gustavo Herling, Stefano Laffi, Filippo LaPorta, Franco Lorcnzoni, Luigi Manconi, Ambrogio Manenti, Bruno Mari, Roberta Mazzanti, Santina Mobiglia, Giorg10 Morbello, Cesare Moreno, Emiliano Morreale, Marco Mottol~se, Maria Nadotti, Grazia Neri, Monica Nonno, Sandro Onofri, Raffaele Pastore, Nicola Perrone, Giuseppe Pollicelli, Pietro Polito, Georgette Ranucci, Luca Rastello, Angela Regio, Luca Rossomando, Bardo Seeber,Francesco S,sci, Paola Splendore, Andrea Torna, Alessandro Triulzi, Giacomo Vaiarelh, Federico Varese, Pietro Veronese, Tullio Vinay, Emanuele Vinassa de Regny, Paolo Vineis. Grafica: Carlo Fumian. Hanno contribuitoallapreparazione di questo numero: Pina Baglioni, Claudio Buttaroni, Monica Campardo Giuseppe Citino, Pietro D'Amore, Ornella Mastrobuoni, Simona Zanini. I MANOSCRITTI NON VENGONO RESTITUITI La Terra vista dalla Luna iscritta al Tribunale di Roma in data 7.7.'95 al n° 353/95. Direttore responsabile: Goffredo Fofi Edizioni La Terra vista dalla Luna s.r.l. Redazione e amministrazione: via Mentana 2b, 00185 Roma, te!. 06-4467993 (anche fax). Distribuzione in edicola: SO.DI.P. di Angelo Patuzzi spa, via Bettala 18, 20092 Cinisello Balsamo (MI), te!. 02-660301, fax 02-66030320. Stampa/StilGraf della San Paolo Tipografica Editoriale - Via Vigna Jacobini 67/c - Roma Finito di stampare nel mese di gennaio 1995

"La terra": un anno di vita GoffredoFofi Questo numero di "La terra vista dalla luna" sarà distribuito a ridosso delle elezioni, in piena campagna elettorale. Non vogliamo essere disfattisti, e vogliamo riaffermare una collocazione, per quanto generica, all'interno di uno "schieramento" ormai così variegato che comprende di tutto (e che porterà, in caso di una vittoria di centro-sinistra che ovviamente auspichiamo, alla continuazione di un tipo di governo affidato al padronato di sempre, ai potentati finanziari, e in parte secondaria e condizionata a vecchi gruppi politici di una sinistra rinnovata a metà). Tutto è cambiato? Mah. I dati di fondo di una situazione, che prima ancora che politica è sociale e culturale, sono assai preoccupanti e il paese Italia ci appare sempre meno amabile, sempre più amorale nei suoi comportamenti, nelle sue scelte, nelle sue chiacchiere (il cui punto più basso e più risibile è risultato a chi scrive il dialogo tra Scalfari ed Agnelli su una "Repubblica" di qualche settimana fa). Con questo numero "La terra vista dalla luna" entra nel suo secondo anno di vita, e un consuntivo, per quanto provvisorio, si impone. Rileggo il breve scritto con cui introducevo il numero uno nel febbraio dello scorso anno, e mi pare che i compiti che ci eravamo assegnati siano stati in sostanza rispettati. Altri nuovi ne sono insorti nel frattem ~o, e hanno avuto una parziale, iniziale risposta. Prima di tutto occorre però indicare le nostre debolezze, le nostre fragilità. Non vorremmo essere piagnoni e lamentosi - direttori, redattori, collaboratori - e riversare sul "pubblico" quelle che possono essere state e forse sono state le nostre inadeguatezze e mancanze (organizzative, per cominciare, ma anY.QQ che di chiarezza di propositi e di "tattica" dei comportamenti), ma certamente la risposta che la rivista ha avuto, trovando i lettori cui aspirava e ai cui bisogni - espressi o inespressi, coscienti o non - intendeva rispondere, è stata relativamente scarsa. I lettori che, agenti nel "sociale" come operatori o volontari, siano davvero interessati al "sociale" altro che il loro e si dimostrino bisognosi di riflessioni, informazioni, conoscenze che non appartengono solo al loro settore di intervento, sembrano essere poco numerosi - anche se è consistente la minoranza che ci ha seguito in questo primo anno di vita. Abbiamo constatato più in generale, entrando in contatto anche con "mondi" che non conoscevamo, con settori di intervento con i quali prima non avevamo rapporti diretti, che il "sociale", se così si può dire, esprime ahinoi lo stesso tipo di difetti che il "f olitico", l' "assistenziale", i "privato": molta presunzione, molta autodifesa dei propri spazi (e in alcuni casi dei propri privilegi), molta paura di doversi mettere in discussione assieme ad altri d'altri campi che pure condividono le loro medesime istanze di fondo, molta approssimazione teorica e metodologica, una esasperata e trista autoreferenzialità. Il "protagonismo di massa" degli anni Settanta si è rovesciato dunque, anche nel "sociale", nel "narcisismo di massa"? Sembrerebbe proprio di sì. Il vecchio e il "normale" (cioè i difetti abituali della nostra società che sappiamo accresciuti a dismisura dalla corruzione e dalle complicità degli anni Ottanta) nelle organizzazioni del sociale, istituzionali, istituzionalizzate, nazionali, locali, volontaristiche, eccetera, sembrano essere altrettanto presenti che in ogni altro settore, e i membri di questo "sociale" non sempre sembrano essere particolarmente migliori degli altri comuni cittadini. Anche nella minoranza attiva che si dedica all'intervento sociale esistono dunque, è una conclusione a cui è plausibile arrivare, una maggioranza e una minoranza, esistono logiche simili a quelle di tutta la società italiana di oggi e logiche che invece ne sfuggono e che riguardano però una parte ridotta di questa vasta, e crescente, minoranza attiva che forse, nella sua massa, va rapidamente perdendo la sua connotazione di minoranza, e aspira decisamente a inglobarsi nel resto, a diventare come il resto. È altresì evidente che noi, con le nostre miserrime forze (nessuno di noi, salvo una segretaria a metà tempo, è pagato per fare questa rivista: lo diciamo senza particolari orgogli, ma va tuttavia detto, perché anche questa è una differenza), non siamo in grado di raggiungere quella parte delle minoranze che più ci interessa, e che potrebbe trovare nella rivista un referente serio, un luogo di confronti e magari di scoperte, e una più vasta "cassa di risonanza" per i p_ropr_i~r<;>blemi,per le pr<?- pne m1z1at1ve,per le proprie idee. Per farlo occorrono, ci si dice, denari, e cioè pubblicità; o passaggi televisivi di qual-· cuno di noi, per esempio, e amicizie e solidarietà nei grandi media - e sono cose che ci mancano tutte, in gran parte per nostre specifiche incapacità, in gran parte perché i grandi mezzi di comunicazione non sono interessati a noi, mentre lo sono, magari, per ovvie consonanze, a riviste che si proclamano e di fatto sono molto più "liberal" di noi, ostinati "radicals" vuoi un po' "stupidi" (non ingenui, proprio stupidi, e questo può essere una colpa), vuoi un po' "aristocratici". Noi non siamo stati in grado di far circolare di più la rivista e di farla conoscere di più, per ragioni obiettive e per ragioni soggettive. Dall'altra parte, se non sono arrivati lettori in numero sufficiente a garantire la vita "normale" della rivista (stipendi, pubblicità eccetera) è davvero soltanto per nostra incapacità a farci conoscere, o non è anche per una opacità e ottusità

della nostra società, anche nelle sue minoranze e, diciamola tutta, per una sorta di pigrizia dei potenziali lettori, di assenza in loro di stimoli interni che li spingano a cercare, di insoddisfazioni più profonde che quelle di una (faticata) sopravvivenza ciascuno nel proprio guscio? La verità sta probabilmente nel mezzo, e per quello che ci compete cercheremo di rimediare come possibile ai nostri difetti - facendoci, ma voi certo non ignorate cari lettori che questo è più facile a dirsi che a farsi, più vicini al consiglio del "candidi come colombe, astuti come serpenti". Istintivamente, senza calcolo di sorta, è successo nel frattempo che alla parte che riguarda il "sociale" (la scuola, l'immigrazione, il volontariato, l'emarginazione, l'handicap, la salute, il carcere, la devianza, la sofferenza ...) si siano venuti affiancando con sempre maggior consistenza e, ci pare, qualità: - interventi di analisi e studio su questioni internazionali ("Pianeta Terra") che ci sembra coprano un vuoto che nessuno, a questo livello di approfondimento, oggi nella stampa italiana copre, di conoscenza responsabile di ciò che accade in altre parti del mondo che non la nostra squallida Italia; - interventi e notizie che riguardano il mondo giovanile e le sue espressioni sociali e culturali più vive ("Suole di vento"); - interventi, confronti, riflessioni sulla produzione artistica italiana e straniera più interessante, e cioè meno dozzinale, non solo spettacolare e soprattutto non solo quella alla moda che viene sponsorizzata dai media e dai vari oligopoli e semi-monopoli che almeno in Italia ne controllano lo sviluppo ("Arte e parte"). In questi settori la nostra ricerca di nuovi collaboratori è stata assai fruttuosa e di essa possiamo andare orgogliosi: attorno alla rivista va crescendo un numero di collaboratori molto consistente, che è scientificamente, moralmente, umanamente adeguato al suo progetto. E che molti di loro siano arrivati direttamente dalle file dei nostri pur scarsi lettori è motivo di soddisfazione e di conforto. Poiché noi pensiamo che oggi sarebbe vile e nefasto arrendersi di fronte alla miseria dei tempi, della politica e della cultura che essi esprimono nel nostro paese, delle sue logiche maggioritarie e conformiste e omologatrici, quello che ci ripromettiamo e vi promettiamo non è di "scendere a patti" con questa realtà, ma di essere in essa più determinati e più presenti. Stiamo preparando delle trasformazioni consistenti, anche grafiche, e delle precisazioni nella "formula" della rivista, da attuare ovviamente con le nostre scarse forze ma usufruendo della collaborazione amicale di molti "specialisti". ~on è detto che no1'.~i rossa giungere, pur povens1m1 come siamo, nel giro di qualche mese anche a una diversa periodicità. Intendiamo tener fede al nostro impegno di rivista aperta, radicata, radicale (di "minori, minorati e minoritari", la definiscono alcuni amici); ma abbiamo più che mai bisogno del sostegno dei lettori: soprattutto per trovarne altri. La nostra ambizione è di crescere assieme ai nostri lettori, e di individuarne di nuovi non rubandone ad altri, ma formandoci assieme a loro. Vi chiediamo insistentemente e con sentimenti di autentica amicizia e solidarietà (e anche riconoscenza, ·ma ritenendo che questa riconoscenza debba andare nelle due direzioni: anche da voi a noi per quanto siamo riusciti a fare e vi abbiamo dato in quest'anno) che non possono essere che reciproci, vi chiediamo di tollerare ancora le nostre mancanze e le nostre approssimazioni tecniche e organi_zzative, e vi chiediamo di abbonarvi, di procurarci abbonamenti, di farci propaganda all'interno dei luoghi del vostro intervento tra i vostri colleghi e amici migliori, di farvi vivi con noi per suggerirci. m~glioramen~i e per suggenrc1 argomenti, e per discutere con noi e i nostri collaboratori le nostre idee, avanzando proposte. Se ritenete che questa rivista abbia un senso, che essa vi serve, che deve continuare a esistere e anzi deve crescere in quest'epoca e luogo così poco confortanti, questo non può avvenire che grazie alla vostra partecipazione e al vostro aiuto. Vi ringraziamo per averci segui ti e assisti ti sin qui, vi preghiamo di continuare a farlo, ma soprattutto vi preghiamo di fare, al pari di noi, di più. ♦ YQQ..

PIANETA TERRA Lettera aperta a Boris Eltsin Sergej Kovaliiv · (traauzione di Raffaella Belletti) Sergej Kovaliiv è deputato della Duma russa.Da sempre dissidente, è uno dei maggiori attivisti russi in materia di diritti umani. Per la sua aperta disapprovazione nei confronti della politica russa in Cecenia e per la sua denuncia della manipolazione dell'informazione da parte del governo russonel corsodel conflitto è stato rimosso dalle cariche di membro della Commissione presidenziale sui diritti umani e di commissario per i diritti umani della Duma. ♦ Al presidente della Federazione Russa B. N. Eltsin Signor presidente! Nel corso degli ultimi sei anni ho ritenuto mio dovere sostenere in tutti i modi quella che, pur tra mille riserve, si poteva definire la politica della "trasformazione democratica della Russia". Politica che è stata a lungo saldamente legata al Suo nome. Trovandosi a capo di uno stato che procedeva sulla via della democrazia, in un primo tempo Lei è stato addirittura considerato leader dei democratici. Finché è rimasto all'interno di tale orientamento mi sono reputato Suo alleato e, nei casi in cui i Suoi atti si distaccavano dall'indirizzo generale del movimento o ne rallentavano bruscamente il ritmo, un leale oppositore. Il cammino della Russia verso la libertà non si presentava certo agevole. Se molte difficoltà apparivano evidenti fin dall'imzio, molte erano quelle che sorgevano inaspettatamente. Per superarle noi tutti (autorità, società e singoli individui) dovevamo prendere decisioni ardue o addirittura tragiche. La cosa fondamentale che il paese si attendeva da Lei era la volontà di cambiamento e di onestà. Soprattutto di onestà. Nello scegliere Lei, la Russia vedeva innanzi a sé non solo un politico pronto a spezzare il vecchio ordinamento statale, ma anche un uomo che aspirava sinceramente a cambiare se stesso, le proprie opinioni, i pregiudizi, nonché le abitudini legate al potere. Lei ha convinto molti, me compreso, che i valori umanitari e democratici potevano diventare il fondamento della Sua vita, del Suo lavoro, della Sua politica. Non eravamo ciechi: vedevamo tutti gli stereotipi della vecchia vita di partito insiti nella Sua condotta. Ma in fin dei conti l'intera Russia era come un uomo che, schiavo di un grave vizio, lottasse contro se stesso. Pur non amandola, La capivamo. Tuttavia negli ultimi anni, pur continuando in ogni dichiarazione pubblica ad assicurare gli ascoltatori della Sua incrollabile fedeltà agli ideali democratici, Lei ha cominciato a modificare dapprima lentamente, quindi m maniera sempre più energica, il corso della politica statale cui sovrintende. Attualmente la Sua amministrazione cerca di imprimere al paese una svolta diametralmente opposta a quella proclamata nell'agosto 1991. Ciò mi obbliga a manifest~r.e pubblicamente la mia pos1z10ne. Non starò a ricordare tutti i Suoi innumerevoli errori e pronostici sbagliati: si troverà certo una marea di persone disposte a farlo. Il problema non sta nei fallimenti concreti, bensì nelle loro cause: in primo luogo nella scelta scorretta delle priorità e dei criteri da seguire nella politica statale. A partire almeno dalla fine del 1993 Lei ha preso di volta in volta non le decisioni che avrebbero rinsaldato la forza del diritto di una società democratica, ma quelle che hanno ridato vita a un potere ottuso e disumano di una macchina statale al di sopra del diritto, della leg&e, della gente. I Suoi nemici sostengono che l'abbia fatto per rafforzare il Suo potere personale. Ma anche se così non fosse, la sostanza della cosa non cambierebbe. Nei tragici giorni dell'autunno 1993 ho deciso di sostenerla, non senza seri dubbi interiori; non declino la responsabilità del mio appoggio. Supponevo che in quel frangente, di fronte a una guerra civile che minacciava di scoppiare da un momento all'altro, l'uso della forza fosse una fatale necessità. Ero già allora consapevole di come, in conseguenza dei fatti di ottobre,· il potere avrebbe potuto cominciare a considerare la violenza uno strumento comodo e abituale per risolvere i problemi politici. Ma accarezzavo un'altra speranza: che, superata la crisi di legittimità e creata una base di partenza giuridica per la Russia, il presidente e il governo avrebbero fatto tutto il r,ossibile per lo sviluppo pacifico e libero del paese. Nella scelta dell'alternativa molto dipendeva personalmente da Lei, Boris Nikolaevic. Credevo che avrebbe scelto la seconda via. Mi sono sbagliato. La costituzione del 1993 assegna al presidente poteri enormi, ma lo investe altresì di un'enorme responsabilità, e precisamente, essere garante dei diritti e delle libertà dei cittadini, tutelarne la sicurezza, mantenere la legge e l'ordine nel paese. Come ha disposto di tali poteri? Come si è comportato nei confronti della responsabilità di cui era stato investito? Lei ha di fatto arrestato una riforma giudiziaria destinata a rendere la giustizia davvero autonoma dagli altri rami del potere. Si è messo a predicare apertamente il seguente erincipio: "soffrano pure gli mnocenti, a patto che vengano puniti i colpevoli". Ha annunciato a gran voce al paese l'apertura delle ostilità contro la criminalità organizzata. A tal fine ha concesso alle strutture preposte alla sicurezza poteri enormi, che travalicano i limiti del diritto e della legge. Risultato? I criminali sono come prima a piede libero, mentre i cittadini obbedienti alla legge non solo non hanno acquistato maggiore sicurezza, ma sono oltretutto obbligati a sopporta~e. l_apr~potenza degli uomm1m umforme. Lei ha dichiarato che Suo obbiettivo era mantenere e rafforzare l'integrità territoriale della federazione. Risultato Una guerra civile vergognosa e inutile, che divampa

ormai da più di un anno nel Caucaso del Nord. Con il pretesto di rafforzare il potenziale difensivo russo Lei ha stroncato tutti i tentativi di una riforma militare che avrebbe dato al paese forze armate efficienti e moderne. Risultato? Aumentano le spese destinate all'esercito, mentre il numero dei generali ha ormai raggiunto l'indecenza; per giustificare la loro esistenza se ne aumentano gli anni di servizio e si annullano i rinvii della chiamata alle armi. Soldati e ufficiali sono miseri, laceri e affamati. La tradizione di umiliazione, illegalità e corruzione è salda come un tempo. Perché stupirsi che decine di migliaia di giovani si sottraggono come alla peggiore delle disgrazie a una coscrizione medioevale? Lei parla di politica aperta, di glasnost' e trasparenza, e contemporaneamente firma in segreto decreti riguardanti importantissimi affari di stato, crea istituzioni occulte, rende segreto un numero sempre maggiore di informazioni sull'attività delle strutture di potere e sulla situazione del paese. Il meccanismo di promulgazione delle decisioni presidenziali è divenuto quasi altrettanto recondito che al tempo del Politbjuro del Cc del Pcus. Non è un segreto che nella Sua attività Lei faccia sempre più affidamento sui servizi segreti, sul loro sistema di informazioni riservate. Non Le è ancora chiaro quanto esso sia inattendibile e tendenzioso? La Sua politica dei quadri si fa di giorno in giorno più chiara. In un primo tempo al suo fianco si incontravano parecchie persone competenti e disinteressate, ma era accolto più che volentieri anche chi aveva l'unico merito di esserle personalmente devoto. Gradualmente quest'ultimo principio di selezione dei collaboratori (tipicamente sovietico, di partito) è diventato quello fondamentale: gli individui che non possedevano in debita misura tale requisito venivano allontanati dalla sua amministrazione e dalle altre strutture di governo. Ma la cosa peggiore è che perfino nella cerchia ristretta dei "devoti senza piaggeria" avveniva una_selezione natt~rale sui generis: aveva maggiore successo nella carriera chi, davanti agli occhi del paese, perseguiva il proprio interesse personale, ed è tanto se non era criminale. Risultato? Guardi in faccia i suoi attuali compagni, e smetterà di stupirsi del perché il paese non ha fiducia nei Suoi fav.oriti e, di conseguenza, anche in lei. Del resto né Lei né le massime cariche dello stato vi preoccupate minimamente dell'opinione pubblica. Nei momenti di crisi, invece di spiegazioni franche e oneste Lei e i capi dei dicasteri statali . da lei nominati ci propinate menzogne così deboli e smaccate, da lasciare semplicemente sconcertati. Il frasile ponte della fiducia tra società e potere, faticosamente gettato a dispetto di una tradizione secolare, è di nuovo crollato. A poco più di un anno dai fatti di ottobre a Mosca Lei ha scatenato la guerra cecena. Il disprezzo del diritto, la violazione della Costituzione, la demoralizzazione e lo sbando dell'esercito, l'ignominiosa incompetenza dei servizi segreti, l'inetto carrierismo dei vertici dei dicasteri preposti alla sicurezza, la menzogna goffa e cinica a cui hanno dato voce le prime personalità dello stato, tutto ciò si è espresso al massimo. Ma in questa crisi si è manifestata in maniera spaventosa anche un'altra caratteristica del regime politico da Lei creato: il completo disprezzo della vita umana in quanto tale. Sono morte due-tre-quattro decine di migliaia di persone: e allora? Non sappiamo neanche con precisione il loro numero e chi fossero: pacifici cittadini, soldati russi, rivoltosi. Il sangue è stato sempre stimato a buon mercato in Russia, in particolare sotto i bolscevichi. In questa vergognosa tradizione nostrana Lei ha però introdotto una nuova corrente, "democratica" e "umanistica". Per un intero anno in Cecenia sono stati ristabiliti l' "ordine costituzionale" e i "diritti dei cittadini" a suon di bombe e missili; La farsa delle "libere elezioni" ha condotto (e non _poteva fare altrimenti) al crollo delle già vacillanti speranze di pace nella regione. Nello stesso identico modo, all'insegna della liberazione degli ostaggi, Lei ha condotto a Pervoma j skoe una feroce azione punitiva (per di più fallita), il cui reale scopo non era affatto il salvataggio degli innocenti nelle mani dei terroristi. Lei ha sulla coscienza sia la violenza in sé che gli ipocriti tentativi di dissimularla con belle parole. Lei e sii sciocchi che L'hanno spmta alla guerra cecena avete capito che dal sangue versato germoglieranno intolleranza, vendetta, menzogna, violenza? E che questo malefico germoglio soffocherà anche quel tanto di utile che Lei ha fatto per la Russia? Lungi da me l'idea di far ricadere la colpa solo su di Lei. Il regime totalitario, a cui è stato assestato un colpo grave ma forse non mortale, si difende con gli strumenti che gli sono propri: generando crisi, corrom_pendo la popolazione, rovesciando i valori sociali. La Sua colpa personale sta non solo nel non aver ostacolato queste tendenze, ma nell'averle anzi favorite. Pensa forse di costruire una Grande Russia per il bene dei cittadini? No, la Sua attuale politica è capace soltanto di ricostruire in tempi stretti uno stato aperto all'illegalità. In altre parole, Lei sta ricostruendo il vecchio pantano bolscevico, con l'unica differenza che per ora alla fraseologia comunista si sostituisce la retorica anticomunista. I Suoi potenziali successori colmeranno anche questa lacuna. Lei ha iniziato la sua carriera di democratico combattendo con tenacia ed energia contro le menzogne ufficiali e il dispotismo di partito, e la termina da obbediente esecuY.QQ.

tore della volontà dei cinici arrivisti di cui si circonda. Ha giurato di costruire lo stato del popolo per il popolo e invece ha edificato una piramide burocratica sul popolo e contro di esso. Nel far ciò, rigettando i valori e i principi democratici, ha fatto continuamente appello alla democrazia, cosicché qualche ingenuo può tuttora pensare che al potere del Cremlino si trovino i "democratici". La parola stessa è stata compromessa dalla Sua politica, e se in Russia la democrazia è destinata a sopravvivere (cosa di cui sono convinto), essa vivrà certo non grazie a Lei, ma Suo malgrado. Personalmente sono amareggiato dal fatto che lei abbia smarrito se stesso, non sia stato capace di trasformarsi da segretario di comitato regi o nal e a uomo. Eppure avrebbe potuto. Ha fatto la Sua scelta. Presto sce~lieremo anche noi. Oggi Lei si propone come l'unica alternativa a Zjuganov e a Zirinovskij. Invano: tra voi sono più le affinità che le differenze. E se ci toccherà scegliere tra di voi, la libera espressione della nostra volontà assomiglierà più di ogni altra cosa alla scelta di una "cricca" criminale. Molti daranno a malincuore il proprio voto a colui dal quale si aspetteranno un briciolo di angherie e di pericoli in meno. Io non sosterrò organicamente né i "rossi" né i "bruni". Ma non voterò neanche per Lei. E consiglierò ad altre persone oneste di non farlo. Consideravo mio dovere rimanere sia pure su "basi sociali" nella Sua amministrazione, finché il mio status mi permettesse almeno in casi isolati di oppormi alle tendenze illegali e antiumanitarie della politica statale. Forse queste possibilità non sono ancora del tutto esaurite. Ma non posso continuare a lavorare con un presidente che non considero un fautore della democrazia., né un garante dei diritti e delle libertà dei cittadini del mio paese. La informo dunque che da oggi non sono più né presidente della Commissione per i diritti umani presso la presidenza della federazione Russa, né membro del Consiglio e delle altre strutture presidenziali. Non credo che si rammaricherà del mio abbandono. Neanch'io. ♦ YQQ. NORD-SUD Parole nuove contro il degrado Alex Zanotelli a cura di Federica Bellicanta Da quando è tornato da Korogocho, infernale periferia di Nairobi, padre Alex Zanotelli non ha mai smesso di girare l'Italia, di incontrare gruppi, associazioni, vecchi e nuovi amici per dialogare e tentare di "mettere in rete" quello che lui chiama il "sommerso" della società italiana. Allontanato dalla direzione di Nigrizia più un decennio fa per le sue scomode denunce sull'intreccio tra traffico di armi e cooperazione, ha trascorso gli ultimi cinque anni nella baraccopoli della capitale del Kenia. Ad Alex Zanotelli abbiamo chiesto di dare un giudizio sul nostro paese e sull'Europa proprio dalla prospettiva di Korogocho, con gli occhi di chi ha condiviso miseria e disperazione dei più poveri tra i poveri della terra. Naturalmente nelle parole di Zanotelli, oltre a una diagnosi e a una fotografia appassionata del Nord del mondo, ci sono anche consigli e provocazioni, c'è un'esortazione al coraggio del cambiamento e anche un invito a disfarci del vecchio e ormai sp~nto voca_bolarioper riscoprire, tramite parole nuove, quei valori di cui oggi si sente più che mai il bisogno. Lo abbiamo incontrato alla periferia di Piombino, nella parrocchia del Cotone, quartiere grigio e fuligginoso ai margini delle acciaierie, tristemente illuminato dai bagliori delle fiamme che escono dalle ciminiere degli stabilimenti. Era impegnato in un'appassionata discussione con alcuni giovani - cattolici e non - che, seppure in modo diverso, sono a contatto con quel campo vasto che oggi, sbrigativamente, viene definito "sociale". Prima del testo dell'intervista che Zanotelli ci ha rilasciato, riportiamo alcune battute dell'interessante scambio di idee a cui abbiamo assistito. Zanotelli non è il protagonista del dibattito: si è piuttosto limitato a fare da "levatrice", a stimolare la riflessione e a incoraggiare i giovani a prendersi 9uegli spazi - di parola, di azione - che, proprio perché sistelT'.aticamente negati alle voci controcorrente, non possono essere trascurati né considerati inessenziali. I protagonisti di questa discussione rimangono anonimi. Zanotelli: "Quando sono arrivato in Italia ho sentito le sparate sugli immigraci del senatore Boso. Lui e nessun altro, nessuna voce autorevole che intervenisse con forza per prendere posizione contro quelle bestialità. Come pure nessuno ha colto l'occasione per farsi sentire quando il senato, poco tempo fa, ha discusso sulla possibilità di rivedere la legge 185 che disciplina il commercio delle armi. Niente campagne, niente dichiarazioni. E invece bisogna parlare, dobbiamo tradurre l'incredibile ricchezza dell'associazionismo italiano in peso politico. Tanto più che la politica dei partiti ormai è solo un fantoccio dell'economia". Primo giovane: "Ma parlare non significa confonderci nella babele di voci che circolano in giro? A me sembra che il nostro specifico sia un altro e che sia questo che dobbiamo preservare". Secondo giovane: "Non sono d'accordo. Non possiamo più coltivare il nostro particolare, dobbiamo riversare il nostro bagaglio esperienziale nel politico, nella promozione di una coscienza civile. Non possiamo farci convincere da chi, per tenerci buoni, ci ripete continuamente: 'Prima cambiamo noi stessi, poi guardiamo alla società'. Non è vero, il ragionamento non funziona, perché le due cose devono andare parallelamente". Terzo giovane: "Secondo me bisogna riscoprire la cultura della contrapposizione,

pur nella tradizione non violenta che da sempre ci contraddistingue. Invece, all'interno della chiesa, si tende ad essere ecumenici e ad aver paura delle divisioni. Ma con quegli italiani che condividono le parole del senatore Boso biso~na decidere con fermezza d1 non voler averci nulla a che fare". Zanotelli: "Per don Ciotti il peccato grave della Chiesa italiana è proprio la neutralità". \ Quarto giovane: "Il fatto è che ci manca una chiara percezion_edi cosa s~a"giustizia", per cm non sappiamo neppure da che parte metterci. Quinto giovane: "Sono d'accordo. Oggi i due mali da sconfiggere sono l'indifferenza per la giustizia e la legalità e, di conseguenza, l'impossibilità di prendere posizione, di schierarsi. N e1 tre mesi passati in Brasile come volontario, mi sono reso conto che, se non ti schieri dalla loro parte - dalla parte di chi sta male, di chi sta peggio - sei comunque contro e fai una scelta di potere, la scelta di poter avere in tasca quanti soldi vuoi da spendere come meglio credi". Tornando in Italia che impressione hai avuto? Esiste o meglio resiste ancora una cultura della solidarietà o non stiamo piuttosto vivendo un clima di restaurazione, di chiusura e difesa corporativa di interessi egoistici? A dire il vero già dai tempi di Nigrizia guardavamo con preoccupazione alla realtà italiana. Il degrado, credo, è cominciato già molto tempo fa e ora che sono di ritorno dai sotterranei della storia di Korogocho, risulta ancora più evidente. Quello che mi ha lasciato sconcertato è che ora non si tratta più solo di un clima generale che coinvolge quella cosa indefinita che chiamiamo società: il degrado ha intaccato anche i rapporti personali, disgrega i legami, coinvolge i singoli individui. Per non parlare poi del degrado politico. La classe politica precedente era corrotta all'ennesima potenza però era nata e cresciuta nella politica. Non nutrivo certo stima nei suoi confronti, eppure temo che i politici attuali siano anche peggiori di quelli vecchi. Neppure i sindacati si salvano da questo quadro desolante perché anche loro sono parte integrante del sistema. La verità è che il problema non è più la destra o la sinistra: si tratta di una questione più grande e complessa legata al fatto che ormai le persone non sono altro che prodotti economici. L'economia è onnipervasiva e omologa tutto e tutti. Quando dirigevi Nigrizia hai denunciato i guasti della cooperazione internazionale e anche una certa cultura della cooperazione. Adesso ci troviamo nellaparadossalesituazione per cui non c'èpiù nulla da criticare, perché la cooperazione non esiste quasi più. Non è anche questo un sintomo preoccupante? Sì, senza dubbio, anche se è difficile giudicare. Quando ero a Nigrizia un po' di sensibilità c'era, forse perché c'era ancora una sinistra, c'erano i radicali, c'erano certe campagne ... Oggi tutto questo non esiste più. Per colpa del crollo della sinistra? No, la questione sta più a monte. È che sono scomparsi gli ideali, le passioni. È vero che anche prima tanta cooperazione internazionale altro non era se non affari e mercato, ma per lo meno c'era una certa apparenza. Ora manca anche quella. Anche le parole del passato sono ormai del tutto inservibili. La stessa parola cooperazione dovrebbe essere abolita, perché si è macchiata di troppe colpe per poter essere ancora credibile, per potere coagulare intorno a sé impegno e entusiasmo. Ed è più o meno lo stesso anche per la parola solidarietà. Bisognerebbe riscoprire altri termini, come "giustizia", per esempio, o come "restituzione", introdotto e poi purtroppo lasciato cadere dal Papa qualche anno fa. Al sinodo africano aveva parlato di "restituzione" all'Africa: il termine era im.Ji:>ortan:epe_rché implicava g1a UP gmdiz10, una presa di posizione ben precisa. Come valuti il lavoro delle Ong? Qual è la tua idea di cooperazione? ~ mi<?rapporto con le ?rgaruzzaz1om non governative è stato travagliato, perché loro sostengono che io sono statQ troppo duro nei loro confronti. Però oggi bisogna ammettere che Nigrizia aveva ragione. Nel marzo dell'85 avevamo pubblicato un articolo dal titolo "Semaforo giallo" che aveva scatenato il putiferio. In sostanza dicevamo alle Ong e al volontariato: «Attenzione, rischiate grosso, perché state diventando troppo dipendenti dallo Stato e vi impegnate con dei progetti immensi che sono ingestibili dai paesi in via di sviluppo. Va a finire che buttate via i soldi, innescate processi mentali pericolosi, alimentate un tipo di sviluppo insostenibile e correte il rischio di diventare la testa di ponte dell'affari- -smo italiano». Il risultato di questo articolo? Decine di lettere di insulti. In verità io non ho mai detto a nessuno di tagliare completamente con il Ministero degli esteri, perché abbiamo sempre bisogno del suo aiuto, se non altro a livello di burocrazia e di diplomazia. Il mio consiglio era solo quello di non dipendere dal Ministero al 100 per cento ma solo al 30 o al 40 o al 50. Il resto dei soldi bisognava trovarli da soli. Allora si sarebbe seguita la politica dei piccoli progetti, della collaborazione con le associazioni locali, della sensibilizzazione della gente in Italia. Si trattava anche di un problema di coerenza culturale tra il merito e il metodo della propria azione. Oggi, finiti i soldi del Ministero, la gran parte delle Ong è in crisi. Allora bisogna imporsi di ripartire dal basso anche per relazionarsi in modo diverso con il Sud del mondo. In questo periodo si parla tanto di terzo settore, di banca etica, di risparmio etico. Questo interesse per l'economia da parte del volontariato e delle Ong ribadisce ancora una volta quella centralità e quel potere del denaro che tu prima denunciavi o non si tratta piuttosto di un tentativo di sottrarsia questo pericolo mortale e di percorrere strade diverse?. Penso che tutte queste iniziative - comprese le mag e il commercio equo-solidale - non siano la soluzione di tutto. Sono piuttosto degli strumenti, dei tentativi per coniugare etica ed economia. Noi depositavamo i nostri soldi in banche che magari li utilizzavano per il narcotraffico o il commercio di armi e credevamo di non poter fare altrimenti. La banca etica invece garantisce anche l'eticità dell'investimento, fa capire alla gente .che è possibile controllare la destinazione dei propri soldi e che talvolta il senso di VOCI

impotenza dietro cui ci si nasconde è del tutto ingiustificato. Pur dentro al sistema è possibile tenere dei comportamenti che sono contrari al sistema. Queste iniziative allora sono impor~anti per far nascere una coscienza nuova, anzi, quell'uomo geneticamente nuovo, planetario, di cui parlava Balducci. A questo proposito la Chiesa ha delle responsabilità enormi. Quando enfatizza solo la morale sessuale elaborando oltretutto una casistica incredibile, quando non si pronuncia sull'utilizzo che le banche fanno dei soldi o sulla liceità delle lotterie, allora la Chiesa non fa altro che prendere in giro se stessa e diventa funzionale al sistema. Se il quadro è fosco, quasi disperato, da dove ricominciare? Che consigli daresti a chi è impegnato o vuole impegnarsi o non si rassegna a questo stato di cose? Da dove cominciare? Non è facile rispondere. In giro per l'Italia ho incontrato mille gruppi grandi e piccoli di · persone che si danno da fare. Però questa ricchezza rimane sommersa e non si traduce in una presa di posizione politica. Invece bisogna parlare, far sentire delle voci alternative, pur con i nostri poveri mezzi, bisogna fare venire alla luce questo sommerso e renderlo visibile a livello di of inione pubblica: è questo i primo passo da compiere. È importante che nasca dal basso un movimento che spinga i politici a fare discorsi nuovi; cosa che in Italia non è avvenuta neppure sull'onda di Mani pulite. L'occasione, purtroppo, è stata perduta. In secondo luogo bisogna far capire alla gente che il cambiamento non lo dobbiamo fare per aiutare chissà chi in Africa o in America Latina, lo dobbiamo fare per noi. Bisogna capire e far capire che o la storia fa un salto, una svolta - ma in fretta, _senz~perdere tempo - o c1 avvieremo verso un'immane tragedia. E, di questi tempi, non si sa a cosa possano condurre le tragedie. È su questi argomenti che dobbiamo far leva, perché nessun uomo ha istinti suicidi, a meno che non sia traumatizzato o non si trovi in situazioni disperate. Sono convinto che sarà la logica stessa di questo sistema che ci porterà a scelte radicali, perché 'LQQ. ormai siamo arrivati alla fine di questo ciclo e anche gli scienziati amerciani ci danno al massimo 80 anni per correggere la rotta. La gente deve avere ben chiaro in mente che non si chiede a nessuno di fare l'asceta. Magari almeno il 20 per cento dell'umanità fosse veramente felice!Ma non è Nigeria: così, perché ci si sente oggetti, non si hanno speranze e non si sa per cosa si vive. E allora, se questo benessere non solo non ci rende felici ma oltretutto ammazza milioni di persone, significa proprio che siamo alla fine della corsa. ♦ la via dello sfruttamento Alex Zanotelli , Alex Zanotelli è missionario comboniano, già direttore di "Nigrizia". Il testo che pubblichiamo è apparso sul n.2, febbraio 1996, di "Aspe". ♦ L'impiccagi~ne dello scrittore Ken Sara Wiwa avvenuta il 1 Onovembre .1995 è emblematica per chi vuol capire quali legami esistono fra lo sfruttamento delle multinazionali e la distruzione ambientale e culturale. Lo scrittore è stato impiccato dal regime militare di Sani Abacha che governa con pugno di ferro la Nigeria. Ken era diventato, negli anni, l'esponente più ascoltato del popolo ogoni, un'etnia di 500.000 persone che vive nel delta del fiume Niger. In Nigeria si parla degli ogoni in tono di disprezzo forse perché si tratta di un gruppo economicamente arretrato, che ha vissuto in relativo isolamento. Le terre degli ogoni sono devastate dall'industria petrolifera, ma gli alti redditi prodotti da quest'industria non si sono materializzati sul delta, bensì in territorio hausa a nord. Lo scrittore nigeriano denuncia va lo sviluppo delle multinazionali del petrolio e sottolineava come il denaro proveniente dal petrolio venisse ingoiato dalla classe corrotta aei militari e dei politici. Per questo si è dedicato all'organizzazione della resistenza giungendo fino a bloccare nel 1993 il progetto di sviluppo del Meng, il cui principale azionista è la Shell con il 24%, mentre l'Agip ne detiene il 10%. Saro Wiwa ha visto con estrema chiarezza quello che il progetto di sviluppo petrolifero avrebbe prodotto sia in chiave ambientale sia in chiave di destrutturazione culturale! "I danni ambientali sono devàstanti", afferma Komenee Famaa, attivista nigeriano. "Il nostro è un piccolo territorio sul quale si intrecciano oleodotti, non interrati ma esposti al s.ole e alle intemperie. Così arrugginiscono (anche per la totale mancanza di manutenzione) e s'incrinano. L'inguinamento idrico e atmosferico (per via degli impianti che vengono usati ininterrottamente giorno e notte) ha raggiunto livelli tali che le piante muoiono e la terra risulta non più coltivabile. I pesci muoiono o fuggono in mare... Le lamiere ondulate che ricoprono i tetti sono corrose dallepiogge acide." Ken aveva reclamato una quota degli introiti petroliferi come compenso dell'abbassamento del livello di vita. Introiti che finiscono in buona parte nelle tasche dei militar~. Di g_1;1lai reazione del regime miluare. L'altro aspetto della denuncia di Saro Wiwa è il legame esistente fra distruzione ambientale e distruzione culturale. E il nesso fra i due è molto stretto. Quello che ci dimentichiamo in tutta questa storia sono le nostre responsabilità. Infatti dietro alla Shell ci sta l'Agip ... La Nigeria è il paese del1' Africa nera da cui l'Italia importa più petrolio. Ma guarda caso, è anche il paese

verso il quale più attiva è stata la vendita d'armi da parte dell'Italia. Che connessione c'è fra questo petrolio che importiamo e le armi che esportiamo? È una questione questa che deve essere studiata mplto seriamente. Ma questo della Nigeria è solo un esempio. Sono centinaia gli episodi di distruzioni operate dalle multinazionali sia in campo ambientale che culturale. Un esempio classico è il Sudan dove appare altrettanto chiaro che c1sono le multinazionali del petrolio dietro la spaventosa guerra tra il governo di Khartoum e le popolazioni nere di quella immensa nazione. È sicuro che dietro al governo di Khartoum si muove la Total, francese, che stava costruendo il grande oleodotto per portare il petrolio dal più grande, sembra, giacimento petrolifero mondiale fino a Pon-Sudan. Ma anche dall'altra parte del conflitto, dalla parte di John Garani;, leader dello Spla, il movimento di resistenza del sud del Sudan, ci sono state grosse pressioni da parte di multinazionali. Fra queste la Lonrho ha giocato un ruolo non indifferente anche nella spaccatura tra le parti che costituiscono la resistenza del Sud del Paese. Anche qui chi paga le consegu enze di questa guerra atroce sono proprio la gente, l'ambiente. L'ambiente del Sud Sudan, forse uno dei meglio conservati dell'Africa, è stato letteralmente distrutto in questi anni di guerra. Ma lo scempio era già iniziato prima con la costruzione dell'oleodotto. E mentre si consuma questa immane tragedia, un'altra di altro tenore nasce: il caso Mozambico. Questa nazione esce ora da una lunga e spaventosa guerra civile: è noto che le grandi compagnie stanno guardando con estremo interesse alla splendida terra del Mozambico. Le multinazionali hanno già comprato enormi appezzamenti di terra. Si profila la "brasilianizzazione" del Mozambico ... La ~ente, persa la terra, sarà utilizzata e usata come mano d'opera a basso prezzo per lavorare nei grandi appezzamenti delle multinazionali. Questo costituirà un altro disastro ecologico e soprar.tutto un ancor più grande disastro culturale. Tutto questo è reso possibile dalla classe dirigente africana che, con poche eccezioni, si vende ai grandi complessi economici internazionali. La classe dirigente africana è funzionale in tutto e per tutto all'Impero del Denaro. Unico miraggio di queste classi dirigenti è lo sviluppo all'occidentale ... E per raggiungere questo sogno impossibile esse sono disposte a vendere le loro anime e i loro popoli. ♦ YQQ

IMMIGRATI Dall'assistenza alla cittadinanza: gli immigrati al consiglio comunale Michele Colucci Il mese scorso il consiglio comunale di Roma ha approvato, dopo discussioni, risse e polemiche, la delibera che prevede l'ingresso in consiglio comunale di quattro consiglieri aggiunti e di un consigliere in ogni circoscrizione, tutti stranieri e tutti eletti dalla numerosa comunità di immigrati presente nella città. L'importanza dell'iniziativa e il suo significato sono stati sottovalutati e messi in secondo piano dagli organi di informazione, che ne hanno privilegiato gli aspetti più folkloristici e sensazionalisti. Vediamo quindi gli elementi fondamentali della delibera, la sua storia e il suo futuro. Da circa tre ~nn! p~esso numerose associazioni era emersa la necessità di pensare ed elaborare un sistema per allargare la partecipazione alla vita democratica della città ai circa duecentomila stranieri residenti, perfettamente assimilati agli italiani sul piano dei doveri ma ancora notevolmente emarginati nei diritti e privati, tra gli altri, del diritto civile fondamentale, il voto. Raggiunto con Rutelli un impegno prima della sua elezione a sindaco, è iniziata una mobilitazione piuttosto ampia, diretta principalmente alla collaborazione con l'amministrazione comunale e al contatto con gli immigrati romani. L'adesione al progetto si è andata via via allargando e le diecimila firme necessarie per la presentazione della delibera sono state raccolte rapidamente e consegnate al sindaco alla fine dello scorso mese di giugno. Approvata la deli~er~ l'ult~m~ tappa burocratica e costituita dal Coreco (organo giuridico di controllo), il cui eronunciamento è previsto a fine marzo, orgarto particolarmente temuto perché ha già bocciato analoghe proposte preparate a Firenze e Venezia. Dopo l'eventuale approvazione del Coreco ci saranno sessanta giorni per preparare lo svolgimento delle elezioni, un periodo che sarà fondamentale per definire il regolamento elettorale e organizzare e strutturare la consultazione. I problemi da risolvere sono parecchi: occorre infatti garantire rappresentatività alle grandi aree continentali e a tutte le comunità senza degenerare in una votazione puramente etnica, bisogna diffondere e pubblicizzare l'iniziativa presso tutte le realtà dell'immigrazione presenti a Roma, spesso sommerse e isolate, stabilire le modalità relative alla presentazione delle liste e i luoghi dove si voterà. Su queste e altre questioni il dibattito, anche all'interno delle singole associazioni, è ancora aperto. L'eperienza della delibera costituisce sicuramente un rp.omento molto importante nel rapporto tra istituzioni e immigrati e rappresenta il superamento dell'ottica emergenziale-assistenziale e il tentativo di "affrontare il nodo della cittadinanza", come lo ha defmito Silvio Di Francia, consigliere comunale dei Ver- ~ di tra i più impegnati per l'approvazione della delibera. Se quindi si può registrare un salto di qualità nella· gestione del fenomeno dell'immigrazione, possiamo registrare anche una preoccupante evoluzione nell'ambito dell'intolleranza: la proposta avanzata in consiglio comunale di una consulta sull'immigrazione separata e indipendente dal consiglio stesso rappresenta un tentativo dei gruppi che si sono opposti all'istituzione dei consiglieri a~giunti {tra cui spicca AN) di passare da un razzismo urlato e rozzo a una forma di razzismo legalitario e "perbenista" che "Senzaconfine", una delle associazioni più impegnate nella promozione della delibera, ha identificato efficacemente come "razzismo differenziale". Il progetto dell'allargamento della partecipazione politica degli immigrati alle amministrazioni locali si inserisce nell'ampia questione dell'integrazione e nella costruzione di una società realmente aperta e multiculturale, che ha nella diffusione della partecipazione democratica una delle sue basi. In altri stati europei (Olanda, Danimarca, Svezia, Norvegia, Irlanda) è stato introdotto da alcuni anni il diritto di voto alle elezioni locali per i cittadini extracomunitari, diritto stabilito in una convenzione del Consiglio d'Europa del 1992, gravemente non ratificata dal governo italiano. Per ottenere il diritto_di voto sarà quindi necessana una nuova legge nazionale, e l'istituzione dei consiglieri aggiunti rappresenta sicuramente un notevole passo avanti in questa direzione. Per ora quindi a Roma i consiglieri stranieri aggiunti potranno presentare proposte, mozioni, interrogazioni, faranno parte delle Commissioni consigliari permanenti, disporranno di uffici propri ma, in sede di Consiglio comunale, ancora non potranno votare. La piena cittadinanza di tutti i loro abitatori è lontana dalle nostre città ma si avvicina timidamente. Chissà come verrà accolta. •

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