ste; le albanesi, che hanno invaso il mercato, sono quelle a minor prezzo. Non corre buon sangue tra loro. Solo adesso capisco perché Anna prendeva in giro Nicole, per via delle caramelle, dandole del!' albanese: "Albanese, lei è un'albanese" diceva ridendo. Mentre torniamo verso l'Usi Franco mi chiede le mie impressioni. Non ho molto da dire, o forse non mi riesce di dire molto: mi sento spaesato, fuori luogo. Puttane (così le si chiama di solito) ce ne sono tante a Milano, non è la prima volta che penso che essere costrette a vendere il proprio corpo per vivere sia terribile. Stanotte tutto si confonde: Tania, Anna, Marika, Nicole ... Ho bevuto aranciata e mangiato caramelle con loro, siamo quasi coetanei: loro sono femmine, slave e albanesi; io sono maschio, e italiano. Qualcuno grida, Franco si ferma, mette la retromarcia e indietreggia. "Beh?! È così che si fa? Adesso non si saluta più?" È Lisa, una ragazza nigeriana. Era nascosta dietro un cespug\io p_er_ripararsi dal freddo. Beviamo la solita birra insieme. "L'estate è quasi' finita - ci dice - la prossima volta portate qualcosa di caldo da bere. Ciao, a presto. Grazie, buonanotte". SAN GIORGIO IONICO ZINGARESCA. LA COOPERATIVA ROBERTOWEN Giancarlo Mola Giancarlo Mola collabora a "! siciliani" ♦ ♦ Io non ho patria e reclamo il diritto di dividere i mondo in diseredati ed oppressi da un . lato e privilegiati ed oppressori dall'altro. Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri. Don Lorenzo Milani · In provincia si respira sempre un'atmosfera più rarefatta. La campagna pugliese, poi, ammantata di ulivi, irta di fich1dindia, gravida di vigna, non è di quelle che lasciano indifferenti. Eppure l'Ilva, il più grande complesso siderurgico europeo, con i suoi fumi e le sue ciminiere, dista appena 15 chilometri. Sembrano, forse sono, due mondi diversi. Taranto è la città di Giancarlo Cito, il sindaco eletto a furor di popolo grazie alle cannonate antipartitiche sparate dalla sua tv locale Antenna Taranto 6, espressione di quella destra che, dismesso il doppiopetto, è rimasta in canottiera. Il sindaco che sgombra personalmente i centri sociali e che avrebbe voluto dotare i vigili urbani di manganello extracomunitario. La cooperativa "Robert Owen", che ha sede in una ex casei:ma in agro di San Giorgio Jonico, si occupa invece di integrazione sociale e lavorativa di giovani disabili, di pacifismo e cooperazione internazionale. "Esiste una sola razza, l'umanità", c'è scritto sulla facciata dello stabile. Loro, quelli della "Robert Owen", gli stranieri li ospitano. Da quest'estate hanno offerto parte del terreno avuto in concessione dal demanio dello Stato, a una comunità di nomadi "Korakhanè", di origine montenegrina: Li hanno aiutati a costruire delle baracche in legno per risparmiargli di dormire ammassati in dieci rer ogni roulotte, gli hanno messo a disposizione i servizi igienici, hanno avviato i bambini nelle scuole materne ed elementari di San Giorgio, tengono corsi pomeridiani di prima alfabetizzazione per i giovani e gli adulti. Tutto gratis, s'intende, sebbene la cooperativa non navighi certo nell'oro. Nell'ex caserma dell'aeronautica, ristrutturata con le loro mani nel 1983, ci abitano ora solo in cinque. Sandro, il fondatore, colui che nel lontano 1979 l'aveva, insieme ad alcuni suoi amici, occupata, si muove tra la falegnameria e la sala sociale con incredibile agilità, a dispetto dei suoi gravi problemi di vista. Stazza robusta, barba fricchettona, lavora come centralinista al Comune e, come tutti coloro che hanno un reddito autonomo, lascia alla comunità parte del proprio stipendio. C'è poi Giuseppe, 31 anni, anc;he lui disabile, che ora sta sferragliando intorno a u.r1vecchio Ape. "Avevo sen problemi di inserimento sociale, avevo pochi amici e non riusc;ivo a emanciparmi dalla famiglia", dice, "poi Sandro mi propose, dieci anni fa, di venire ad abitare qui e, come vedi, ci sono rimasto". Antonio e Antonella stanno insieme, e da cinque mesi hanno avuto una bambina, Lucia. "Non mi piace il termine comunità", ci tiene a precisare Antonio, "·perché dà l'idea che esistano operatori e assistiti. Qui tutto è autogestito e ciascuno è soggetto del proprio riscatto". E continua: "non siamo però neanche una comune, ripiegata su se stessa, anzi quasi tutte le nostre attività sono rivolte verso l'esterno". E ricorda i concerti estivi con i Mau-Mau, i Bisca, i 99 Passe, gli Almamegretta, i campi di lavoro organizzati con il Servizio Civile Internazionale, le raccolte di materiali riciclabili da rivendere per poi mandarne il ricavato a padre Zanotelli a Nairobi. La situazione economica è però sempre disastrosa. La coop·erazione sociale, si sa, nel Mezzogiorno non vuole proprio saperne di decollare, a causa del cordone ombelicale con gli Enti Locali mai completamente reciso e della impossibilità di prescindere da questi. Di progetti, alla "Robert Owen" ne hanno tanti, dalla attivazione di un laboratorio multimediale per svantagsiati ed emarginati, al rilancio della falegnameria già in funzione, alla creazione di una bottega artigiana per la lavorazione delle pelli, Ma come reperire le risorse? Come convogliare le energie? Come assicurare un minimo di certezza a chi si spende? Allora meglio puntare al minimo, accontentarsi di tirare a campare con il piccolo artigianato in legno e la coltivazione della vite e dei pomodori. Sono stati forse proprio i nomadi a riportare un soffio di vitalità nella tenuta della "Robert Owen". A impegnare i soci che si erano allontanati nelle attività di inserimento e recupero e a stimolare nuovi progetti. "Vorremmo continuare quest'esperienza", spiega l'inesauribile Sandro, "mettendo su un vero e proprio centro di prima accoglienza per nomadi e im-. migrati, di spazio ne abbiamo tanto".
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