AX/t. t. l'AXII:. Un teatro impietoso. La "Societas Raffaello Sanzio" Fabrizio Orlandi Un male strisciante attraversa il teatro di questi anni Novanta. Una vena di inutilità che dilaga anche nello spettacolo e a poco a poco si ritorce contro lo spettatore accompagnandolo verso la noia e l'indifferenza. Una sorta di qualunquismo manierista rende molto teatro uguale a se stesso e proiettato vers? _la_co_nquista di una popolanta indifferenziata. Rare le eccezioni, rare le emozioni, rari la compostezza e il rigore, tanto che viene da domandarsi quale sia il contratto sociale che lega, i_n questo momento, attore, regista e spettatore. Societas Raffaello Sanzio è una di queste rarità, una perla di grande teatro che ancora si aggira per i territori dell'arte italiana. Scansati, abitudinario del teatro, qui non ci sono immagini per te. (Dal programma di sala di Santa Sofia - Teatro Khmer, 1985) Nata nel 1981 intorno alle colline di Cesena dalla volontà di due coppie di fratelli: Claudia e Romeo Castellucci, Chiara e Paolo Guidi, la Raffaello ha attraversato indenne la decimazione e la perdita di identità degli anni Ottanta. Non solo non ha riportato ferite di rilievo poetico, ma ha approfondito, radicalizzato il proprio intervento; percorrendo una strada di scandaglio del linguaggio teatrale fino a portarlo a una cristallinità assoluta. Questo gruppo, oggi allargato e non più soltanto familiare, si è fatto interprete, fin dalle origini, di un teatro talmente particolare da superare qualsiasi catalogazi<;>n~_preesistente. Tanto era d1ff1cileall'esordio collocarlo all'interno delle correnti del postmoderno, assimilarlo ali' estetica urbana, portatore com'era di una natura e di un mondo contadino, tanto oggi questi teatranti restano degli outsider rispetto all'ufficialità, alla mondanità dello spettacolo ciarliero e fatuo. Non ci sono cose da vedere per essere com':'entate dal.punto di vista estetico. Scansati faccia del mondo, qui non si dicono cose biografiche tradizionali. (Idem) La Raffaello San zio ha obliterato dal proprio percorso le facili tentazioni, le digressioni ben pagate, i compromessi gestionali e coprodu tti vi a prezzo dell'estromissione dalle liste dei finanziamenti ministeriali destinati alla ricerca teatrale nel 1993. L'evento venne poi festeggiato con una vitale Festa Plebea e con un convegno sulla censura, nei quali si esplicitava l'intero e radicale dissenso dai meccanismi clientelari legati al denaro pubblico. La Festa fu propiziatoria tanto che il teatro della Raffaello, a dispetto di coloro c),e li volevano silenziosi, 'accade' ogni volta come un evento che resta impresso nelle coscienz_e_degli~pettatori, offrendo v1s10111d1 teatro e non adattamenti e messe in scena. Senza curarsi di mode, di giovanilismi servili, di accattonaggi del consenso, la Raffaello è giunta a eliminare cfa! proprio orizzonte i linguaggi dominanti, le parole del potere, ~he t~nta ambig~ità_ portan_o 1n se, da guals1as1 parte giungano. Il suo linguaggio, nella vita e nel teatro, non è mai indifferenziato, le parole giungono precise e taglienti, impietose metafore d1 una realtà che costruisce istante dopo istante. Le immagini si susseguono negli spettacoli con 1~ fluidità del pensiero, memon certo di una derivazione dalle cosiddette arti visive, dall'arte povera, ma anche da approfonditi studi sull'iconografia, mostrando allo spettatore una bellezza estrema, una strada per non accettare la resa del pensiero all'overdose di normalizzazione sociale. Vieni tu che vuoi combattere il /atto di essere nato, e il fatto di trovarti qui, e il fa.tto di usare questi strumenti di qui. (Idem) I Raffaello sono fini arti~ giani del pensiero, costruttori di parole e di segni che conflu1scono !n grandi _affresc_hi multicolon o m antn oscun e cupi, gonfi di disagio, di malesseri, mai consolatori. Da Santa Sofia - Teatro Khmer (spettacolo - manifesto del teatro iconoclasta 85) le loro opere si sono fatte vieppiù complesse, articolate e, al contempo, nitide, quasi trasparenti nel loro non essere conformi, nel tracciare un solco incolmabile tra la spettacolarità 'carina' e una visione cosmogonica cha mal si adatta ad adesioni superficiali e richiede allo spettatore una disponibilità alla rivelazione, un abbandono vigile, attento a_captare le più piccole vibrazioni. Provocatori 'malgré soi' sono stati spesso amati o detestati proprio in funzione di una ·trasgressione che non s~ alimenta dello choc ad og111 costo e fine a se stesso, quanto piuttosto di un cammino pre~ ciso verso l'individuazione d1 una lingua del teatro e della rappresenta~ione, di una scri~- tura coragg10sa, ma anche rispettosa delle rego_led~lla na~- razione e della regia, d1 una ritualità religiosa che conduce l'atto del fare alla levatura eccelsa dell'artigiano-artista. Tutt'altro che depoliticizzati (pur senza dichiararlo apertamente negli spettacoli) hanno raccolto un'eredità "rivoluzionaria" che non conosce riflussi o cedimenti, che non è vento che passa, ma terra che resta. Restano i ricordi di Amleto - la veemente esteriorità della morte di un mollusco (spettacolo ~el '92). n~l quale un protagonista aut1suco si dibatte scalciando nella sua identità, nell'impossibilità di vivere una tragedia diversa da quella del vivere stesso. Resta l'insopportabile bellezza della stanza rosa e infernale di Gilgamesh (spettacolo del '90), la dolorosa morte di Enkidu suo amico e fratello mentre gli attori (peraltro non attori) svelano la loro non-finzione chiamandosi per nome di battesimo e
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