La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 9 - novembre 1995

ma di discorso e pratiche organizzate, detta le due condizioni. E i vecchi padroni di casa stanno immobili a vedere come evolverà, tentando i1;1ogni modo di evitare il peggio. Lou1s Farrakhan e la sua maschia utopia di una Black Nation dalle piazze e strade mterdette ai bianchi e alle donne, "uteri sacri", ma non "cittadine"! E le donne, nere e bianche, dovrebbero stare a guardare. La manifestazione indetta dal leader fondamentalista per il 16 ottobre scorso, massmediologico capolavoro di separatismo (o, sinteticamente, di segregazione) sessuale, è la prosecu~ione nea1;1ch~t~nto simbolica del p~ocesso S1mpson, d1 cui s1 pone come vero, dichiarato e trionfante atto conclusivo. Non sono passati neanche dieci giorni dal verdetto e il tempes_tiv? Farrak~an si rreci~ita a chiedere a O. J. d1 sfilare con I fratelli nen e - così almeno c~ auguriamo - di "pentirsi e riconciliarsi" insieme a loro. Perché il problema è di ricompattare il fronte razziale. Servendosi, quando occorre, anche di armi obiettivamente improprie: dalle incursioni nel territorio della religione a quelle nel territorio del privato e del sesuale. Come se l'inesistente e sbriciolata identità del maschio nero americano potesse essere ricostruita solo al negativo (io sono io perché non sono bianco, non sono una donna, non sono un ebreo, ecc.) e contro. Solo che, se il "contro" razziale e religioso può forse creare t~mporanee e tattiche aggregazioni, il "contro" d1sesso e di genere è, per gli uomini, un salto all'indietro nella notte dei tempi, un modo falso e fallimentare di uscire dall'infanzia psicologica e dall'irresponsabilità che sembrano essere la vera malattia dei troppi maschi africanoamericani contemporanei. Se le tappe di questa escalation non mentono, negli Stati Uniti se ne vedranno delle belle. Come del resto è già capitato in Algeria, in Egitt<?_eovun9ue_abbia avuto la meglio ~n pensiero piu autontano che forte. Che oggi I conflitto razziale, etn~co.,religioso, politico o ideologico tout court s1 npropongacon sempre magg10re regolarità attraverso l'asse di genere (si vedano gli stupri etnici nella ex-Yugoslavia) è un segnale di assoluta gravità. Se ne sono accorte le nere americane mobilitatesi contro la piattaforma Farrakhan: Angela Davis, Toni Morrison, Maya Angelou e molte altre attiviste e intellettuali. Le stesse che, ai tempi del processo Thomas/Hill, avevano capito l'importanza di spezzare i vincoli di omertà e complicità che subordinano le donne agli uomini. Senza farsi ricattare dal richiamo della razza e, però, senza tradirla. L'apartheid sessuale, se applicata fuori da quelle situazioni per cui è uno strumento di lavoro temporaneo e liberamente scelto, fuori cioè da quei momenti che solo le donne (tuttora il soggetto sociale più debole, muto ed escluso) possono decidere, è un'arma minacciosa, da guardare con sospetto e da cui prendere le distanze. Ma si tratta d1una materia complessa. Al recente Forum di Pechino una delle contraddizioJ ni più inquietanti e resistenti a ogni dialettica soluzione è stato proprio il rapporto con le donne islamiche. L'ideologia sottesa alle loro scelte di vita ha creato un vuoto di comunicazione e di linguaggio, un'afasia. Negli Stati Uniti, dietro l'arroganza di un Farrakhan, sarebbe ingenuo e improduttivo non voler riconoscere anche il loro misterioso, tacito avallo. ♦ PIANETATERRA STATISTICHE NERE Maria Pace Ottieri Maria Pace Ottieri, antropologa e giornalista freelance, ha pubblicato presso Mondadori, un raccontoreportage sull'Africa, Amore nero. ♦ Ogni paese ha le sue formule, tormentoni ciclici e temporanei che condensano le ossessioni nazionali di quel momento. Possono essere brevi frasi, modi di dire, locuzioni, che suonano le prime volte incongrue o più incomprensibili di altre e a poco a poco, nel giro di due o tre giorni, diventano familiari, onnipresenti, martellanti, pare che il paese non parli d'altro, tanto imperversano sui giornali, alla televisione, nei manifesti attaccati ai muri per le strade o nei frammenti di discorsi della gente per strada e sui treni della metro?olitana. Una delle formule più insistenti di quest'estate americana è "Affirmative action", una vecchia questione che risale agli anni dei "civil rights" di Johnson, tornata di recente al centro del dibattito. Per riparare a tutto il male fatto nei secoli ai neri, il provvedimento noto come affirmative action stabiliva che venissero concesse a loro e alle altre minoranze (comprese le donne) una serie di facilitazioni e privilegi nell'accesso all'istruzione e al lavoro. Due anni fa la Corte Suprema ha riacceso l'attenzione sull' Affirmative action, dichiarando incostituzionale il privilegio fondato sulla razza e sul genere. Suonava la·riscossa della popolazione dei "White males", la specie minacciata dei "maschi bianchi" della working class che dopo essersi sentiti scavalc\ti dai neri per trent'anni, ora, spaventati dai drastici tagli al welfare, chiedono l'abolizione dei programmi previsti dall'affirmative action, con il sostegno di repubblicani e democratici conservatori. Con un smgolare capovolgimento di situazione, ora sono loro a sbraitare contro la discriminazione it: nome della razza e del genere e la questione è d1ve~tat~ una delle sfid_ec~e si pongono a Clinton m vista delle elez1001 del 1996. Convinto che per l'America l' affirmative action continui ad essere una cosa buona, ma attento a non sbila_nciars~t_r?ppo per .°<?nper1ere una larga fetta d1 poss1b1li consensi, 11presidente cerca di cavarsela alla meno peggio con lo slogan "Mend it but don't end it", "agsiustiamola, ma non aboliamola". È facile intuire come dietro l'a{firmative action si nasconda quello che il titofo di un libro di R.W. Shufeldt del 1915 già definiva "America's greatest problem: the Negro". In quegli anni i neri lasciavano gli stati del Sud dove la segregazione sugli autobus, nelle scu?le, negli ospedali doveva durare fino agli anni Sessanta, \'er le città del nord nelle quali le forme d'esclus1one, sia pure altrettanto efficaci, avvenivano in modo meno visibile attraverso i

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