La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 8 - ottobre 1995

denti, gli insegnanti, i presidi, gli operatori scolastici? Non mi risulta. Gli sguardi restano muti. Alla scuola - viene di dire - è concesso parlare solo se interrogata. E le domande sono sem.ere le stesse. Retoriche, banali e grossolane. (2uel che interessa all'ol'inione pubblica e al giornalismo riguardo agli studenti è, tutt'al più, il loro livello di teppismo, quali abusi di droghe e sesso abbiano praticato nelle scuole occupate, di quali strafalcioni, enormità, bestialità siano capaci nell'abisso della loro abbrutita ignoranza. Degli insegnanti ci si ricorda invece soltanto quando qualche frangia sindacale minoritaria minaccia di scioperare (a rischio di pesanti sanzioni) in occasione di scrutini o esami. E allora comincia il tiro a bersa~lio, il repertorio canagliesco dei più triti luoghi comuni. Docenti e discenti sono i due poli di uno stesso dileggio consumato dai mass-media. L'obiettivo di questa continua messa alla berlina della scuola è evidentemente lo smantellamento dell'istruzione pubblica. Si vuole dimostrare che la scuola di tutti non funziona, non può funzionare, non funzionerà mai. Che allo studente inebetito corrisponde l'insegnante squalificato. Il binomio maestro-discepolo - la loro antica simbiosi emotiva e cognitiva - deve essere da un lato spezzato e dall'altro ricomJ?OStocome scellerato connubio di inettitudim complementari. Sotto i ferri di questa vivisezione, la scuola spira, dissanguata, estenuata, mentre qualche insegnante si parla addosso, quasi crogiolandosi tra le angustie del suo incompreso mestiere, e .qualche luminare analizza la situazione dall'alto, da lontano, con spirito strategico, ma senza indugiare sugli aspetti tattici. Inutile dire che la battaglia, in tal modo, la perderemo, la stiamo perdendo. Domenico Starnone utilizza spesso nelle sue lezioni il racconto Giro di vite di Henry James. Mette conto - per capire alcune delle questioni che qui sono state affrontate - di analizzarne un altro dello stesso autore: Lo scolaro (1891). Vi si narra di un precettore privato, il giovane Pemberton, a cui viene affidato un ragazzo umbratile e geniale, Morgan Moreen. Il loro rapporto è all'inizio un po' conflittuale. L'allievo manifesta una sarcast1ca, difensiva diffidenza. Pian piano però il sodalizio s'irrobustisce, diventa sempre più intenso e proficuo. Ne nasce una cameratesca amicizia, una "fratellanza democratica". Più difficile è invece il rapporto tra l'insegnante e la famiglia Moreen. All'apparenza benestanti, i Moreen conducono una vita dispendiosa e futile in continui viaggi, sempre nello spasmodico ed inane tentativo di essere accolti in seno al bel mondo europeo. In realtà ·i Moreen sono dei ciarlatani, degli impostori che millantano un prestigio e un'opulenza meramente di facciata, e di spreco in spreco si riducono praticamente in miseria. Non in tutto, però, sono stati degli scialacquatori. Allo sfortunato Pemberton non hanno dato quasi mai un soldo. Dapprincipio l'aio, entusiasta dei successi del suo lavoro, non ci fa neanche caso: "il nostro giovane sentì che gli si chi<!deva di trovare soddisfacente, circa l'educazione di Morgan, che, per quanto dovesse essere delle migliori, non fosse troppo dispendiosa. E dopo qualche tempo ne fu soddisfatto davvero, dimenticando a volte i suoi propri biso&ni,preso dall'interesse che suscitavano in lui 11 carattere e la cultura del ragazzo e il piacere di aver fatto per lui delle condizio- .ni tutt'altro che ~ravose". Ma nel prosieguo l'inganno e il ricatto si fanno evidenti. Sempre peggio pagato e infine non pagato del tutto, Pemberton minaccia di abbandonare l'incarico, ma la signora Moreen gli risponde cinicamente: "Non lo farete, sapete benissimo che non lo farete; il ragazzo v'interessa troppo". E così è, infatti. Pemberton resta al suo posto, accanto al mortificatissimo e depresso allievo/amico, che anzi cerca di rassicurare ("Che bisogno ho io di denaro?"). Di questo legame affettivo, i pragmatici Moreen approfittano sempre più spavaldamente. Perché remunerare le prestazioni di Pemberton? "Non era soprattutto pagato dal dolce raf porto che aveva stabilito con Morgan? ". I giovane soccombe al ricatto. Deve completare la sua opera. Infine eerò deve cedere. Accetta di impartire leziom a un alunno ricco ma poco dotato (che tuttavia non ricava gran giovamento dai suoi insegnamenti, tanto che viene respinto). Nel mentre con un inganno Pemberton viene fatto tornare dai Moreen. Gli si dice che Morgan è malato. Il ragazzo invero è di salute cagionevole. Questa volta però· le condizioni sono diverse: Pemberton porterà via il suo pupillo con sé, lontano dalla famiglia. Il sogno di libertà, di fuga, di indipendenza di Morgan sta per ·realizzarsi per una inaspettata svolta della fortuna. Ma è la felicità di un attimo. Un'improvvisa crisi dovuta all'emozione stronca la fragile vita di Morgan. Henry James avverte che il racconto morale è "irritante". Ma da insegnante non posso tralasciare, didascalicamente, di trarre una morale, un ammaestramento. Ricavo dunque da questo bel racconto qualche pretestuosa annotazione: non illudiamoci di potere insegnare senza amore per i nostri ragazzi; ricordiamoci però (attraverso le vicissitudini di Pemberton) che questo amore ci verrà ritorto contro, e lo Stato (come ha già fatto per bocca del ministro Lombardi), proprio come i Moreen, ci dirà che siamo già abbastanza coml?ensati dall'elevata funzione sociale che svolgiamo; ma smettiamola di inalberare corporativamente il nostro malcontento salariale e facciamoci carico con più convinzione anche del malessere dei nostri ragazzi; ricordiamoci anche (sempre grazie agli insuccessi di Pemberton) che è facile far crescere gli alunni bravi, mentre la nostra capacità si misura con quelli più bisognosi; cerchiamo infine di non farci morire la scuola fra le braccia, per sfinimento e crepacuore. Quest'ultima cosa, però, non dipende esclusivamente da noi, ma in misura preponderante dalla protervia sfruttatrice, dall'ottuso utilitarismq dei Moreen. I quali nel mentre hanno fatto carriera. Politica, naturalmente. ♦

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