La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 5/6 - lug.-ago. 1995

e sloveni, ungheresi e istriani. Bisognerà quiridi considerare: ,:-Ristabilire il valore del diritto: non deve stupire l'insistenza di tanti cittadini del1' ex-Jugoslavia sul Tribunale internazionale per i crimini contro l'umanità! La separazione delle responsabilità individuali dalle generalizzazioni etniche o politiche e la supremazia del diritto contro l'arbitrio (e quindi la possibile tutela dei deboli contro i forti) è di cruciale importanza. Come può altrimenti rinascere la fiducia i'ri un ordinamento giusto? Quante volte nell'est europeo si chiede "quali sono le norme europee, quali sono gli standards europei?" per affrontare questo o quel problema! Si vuole una legge che· non sia fatta e imposta semplicemente dal più forte. ,:-La politica di pace più efficace è oggi l'offerta di integrazione: più che qualunque proposta o piano di pace, funziona il semplice invito "vieni con noi, unitevi a noi". La smania degli europei del1 'Est di entrare a far parte della Nato_ si spieg~ f~cilmente come ncerca d1 sicurezza (e in fondo la Nato è riuscita. contemporaneamente a contenere greci e turchi!). Se si vuole promu.overe pace in una -regione nella quale la precedente casa comune si è dissolta, l'offerta più credibile è quella di entrare sotto un tetto comune più ampio e meno condizionato dai rispettivi nemici preferiti. Ecco perché a tutti i paesi successori dell'ex-Jugoslavia bisogna aprire le porte dell'Euro~ pa, a condizione che scelgano la convivenza, al posto dell'esclusivismo etnico, lo stato democratico invece che etnico. (Naturalmente questa prospettiva implica che si lavori forte alla costruzione · della casa comune europea, e che l'Unione europea come tale evolva rapìdamente in tal senso.) ,:-Offrire il massimo sostegno a chi decide di dialogare, a chi sa reintegrare: tutte le cosiddette trattative di pace hanno, in realtà, rafforzato i . signori della guerra, legittimando la loro leadership, consolidando il loro potere, emarginando i loro avversari democratici. Niente o quasi è stato fatto, invece, per sostenere le forze del dialogo, della reintegrazione, della ricer~ \IO('/ ca di soluzioni comuni. Bisognerebbe definire dei veri e propri "premi o incentivi di reintegrazione" (bonus) e sanzioni all'esclusione etnica (malus); sostenere, per esempio, quei comuni che permettono il rientro dei profughi o qut::!i.gruppi che organizzano iniziative pluri-.etniche o pluri-confessionali o quei mezzi d'informazione che ospitano anche voci degli "altri", eccetera. Anche il sostegno ai disertori del conflitto, a coloro che sottraggono la loro forza personale alla guerra (e per questo meriterebbero l'asilo politico), dovrebbe far parte di questa strategia. Bisogna che il dialogo paghi e porti riconoscimenti e sostegni, e che l'esclusione etnica invece si attiri sanzioni e conseguenze negative. . ,:-Massimo sostegno quindi alle diverse reti organizzate che ricostruiscono legami: dai networks di studenti e professori ai gemellaggi tra città, dai comitati per i diritti umani alle organizzazioni degli operatori dell'informazione. Molto potrebbe e.ssere fatto anche tra l'emigrazione ex-jugoslava. · · ,:-Il ruolo della prevenzione del conflitto: ci sono oggi situazioni di pre-guèrra, dove l'esplosione violenta del conflitto può essere, forse, ancora evitata (Kosovo, Macedonia, Vojv:odina ... ), ma dove occorre concentrare grande attenzione, forte presenza internazionale, intensa opera · politica e civile. In questi casi si tratta di influenzare l'evoluzione delle cose in un senso o nell'altro, e nulla dovrebbe essere troppo complicato o troppo "costoso" per non essere tentato, visto che in ogni caso un conflitto armato comporterebbe costi umani, politici, economici e matenali assài più alti. Sostenere in queste regioni le forze della possibile convivenza e scoraggiare l'esclusivismo etnico, dovrebbe avere oggi un'alta priorità . nell'opera di pace. ,:-Perché non organizzare almeno una parte del volontariato in corpo civile europeo di pace? Esistono oggi•decine · di migliaia di volontari della solidarietà con l'ex-Jugoslavia, che in questi anni hanno accumulato conoscenze ed esperienza. Molti di loro sono frustrati dall'essere un po' come la Croce rossa che può solo assistere le vittime, senza fare nulla per fermare la guerra. Oggi c'è una forte domanda politica· nel volontariato, molti non si accontentano della funzione di tampone che oggettivamente ricoprono. Perché non trasformare questa straordinaria esperienza in un "corpo europeo civile di pace", adeguatamente riconosciuto e organizzato e assunto da parte dell'Unione europea per svolgere - sotto una precisa responsabilità politica - compiti civili di· prevenzione, mitigazione e mediazione dei conflitti, attraverso opera di monitoraggio, dialogo, dispiegamento sul territorio, promozione di riconciliazione o almeno di ripresa di contatti o negoziati eccetera? Il Parlamento europèo si è recentemente (18-5-1995) pronunciato in favore di un simile "corpo civile europeo di pace", e nulla potrebbe meglio assomigliargli che la ricca e diversificatissima esperienza del volontariato europeo per la exJugoslavia, che in quasi tutti ì paesi ha sviluppato straordinarie capacità, iniziative, competenze e generosità. Ma... Resta tuttavia un "ma" ed è quel "ma" da cui prende l'avvio l'appello di Cannes. Se, infatti, non arriva qualche segnale chiaro che l'aggressione non . paga e che a nessuno può essere lecito partire per le proprie conquiste territoriali e conseguenti omogei:ieizzazioni etniche, allora ogni altro sforzo civile si. sgretola o si logora. A Sarajevo la parola Europa è ormai associata alla parola cetnik, e nulla nella politica europea lascia pensare che davvero si preferiscano stati democratici piuttosto che etnici. · Chi non vuole prendere atto di questa realtà, continua a mettère sullo stesso piano Karadzic e lzetbegovic (come fa ormai "Il manifesto") e sveni:ola il pur assai promettente inizio di dialogo tra moderati bosniaci e serbi moderati di Palè come dimostra- . zione che esisté un'alternativa a ciò che viene chiamata la militarizzazione del conflitto: Con che faccia continueremo a blaterare di Onu e Osce come futura architettura di pace e di sicurezza, se poi i soldati dell'Onu diventano ostaggi e il loro mandato consente loro solo la forza necessaria per proteggere se stessi e i loro compagni? •

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