sume il nome di battaglia di Parsifal. Ultimo afferma che dal padre, anch'egli carabiniere, ha "imparato" a vedere l'Arma come qualcosa che di-· fende e non come qualcosa che opprime". Nel rifiuto dei privilegi e nella difesa degli. umili, che Ultimo così spesso ribadisce, emerge una sorta di rivisitazione moderna del cavaliere errante, della Tavola Rotonda, di cui Crimor è in qualche modo l'epigono tee-• nologico. Ma andando avanti si scorgono tracce di spirito missionario ("bisogna sacrificarsi in umiltà"), di messianismo, per cui gli ultimi saranno i primi, di integralismo più khomeinista che savonaroliano (la caccia di Riina è in codice "la madre di tutte le battaglie"), di esaltazione del pericolo {l'ebbrezza del paracadutismo), di populismo è rozzo egualitarismo che divema elitarismo alla rovescia, di militarismo disarmato, di brigatismo stàtale, di maoismo riçiclato (l'elogio del soldato contadino che usa la telecamera come una zappa, contrapposto ai "laureati e i filosofi"). Insomma, un calderone ribollente in cui si può pescare di tutto sia a livello di ling_uaggi~che di iconografia: la 1;woluz10he permanente, le tigri di carta, l'immagine-icona di Che Guevara e la fotosan tino del Generale Dalla Chiesa, ma anche il "grande Rommel" e Tienaiurien. E in questo bailamme gli µomini di Crimor appaiono ora come i diseredati della Legione Straniera, ora come postremi martiri risorgimentali che inseguono la morte felice; la fatale sirena del quantu è bellu lu murire accisa: "Nei momenti più disperati al Colonnello chiediamo che ci faccia morire tutti insieme come abbiamo iniziato, che ci conceda l'orgoglio di finire tutti insieme". Questa retorica, questa agiografia, questo cocktail di luoghi comuni, possono dare fastidio, ma vengono riscattati dall'autenticità del sacrificio e della dedizione incrollabile di questi uomini la cui stessa vita è una trincea nella guerra di_log_o:ament? contro la cri- .mmalita orgamzzata. Ma vi sono crinali più pericolosi. Laddove ad esempio Ultimo afferma di condividere con la mafia la stessa cultura (a suo dire proveniente dalla terra), ma rivolta verso il bene anziché verso il male. È vnrr una specularità inquietante. Può la stessa cultura servire il bene come il male, la legge come il crimine, lo Stato e l'anti-Stato? Possono due mentalità uguali, giunte al bivio, seguire strade diverse? Non solo io non lo·credo, ma sono preoccupato delle implicazioni che una simile affermazione reca in sé. La conferma mi viene dalla stessa nota finale di Maurizio Torrealta, dove si sottolinea come i meccanismi di appartenenza al gruppo sia all'interno di Crimor che di Cosa No stra risultino molto simili (il tatuaggio che recano alcuni uomini di Ultimo paragonato al rituale mafioso dei "punciuti"). Al dì là di estrinseche similitudini, c'è forse una fatale attrazione dei contrari. Scrive Torrealta, riferendosi ad Ultimo: "Il suo rispetto per Cosa Nostra non è riducibile solo a questo. C'è qualcosa di più, c~è il ·rispetto di un militare per un altra organizzazione militare, una sorta di 'onore delle armi' ". Ma dì quale onore delle armi stiamo parlando? La mafia non può pretenderne alcuno. Ha massacrato vigliaccamente inermi, ucciso donne e bambini, ha colpito sempre nella più assoluta sicurezza di annientare l'obiettivo senza correre rischi militari; ha usato le più vili ed esecrabili tattiche dell'agguato, dell'attentato, del tradimento. Che la mafia abbia un suo codice d'onore, un suo galateo, è una leggenda dura a morire. Un mito, proprio come quelli che Ultimo vagheggia nel suo monologo, che è stato perpetuato non soltanto dai collusi e dai conniventi, ma talvolta anche da coloro che alla mafia hanno opposto un'altra cultura, un'altra mentalità, altri valori. . ♦ La terra vista da Palermo Roberto Alajmo Roberto Alajmo, giornalista e scrittore, lavora alla Rai di Palermo. È autore di Repertorio dei pazzi della città di Palermo, Garzanti, 1994. ♦ Chissà se qualcuno si ricorda di quando gli inviati dei giornali venivano a Palermo per capire cosa succedeva in Italia. È successo per molti anni, con apice dopo la strage di Capaci e fino all'elezione di Orlando, evento a far data dal quale Palermo e il suo Sindaco hanno cominciato a scomparire dalle cronache nazionali. La sparizione di Palermo è tanto più sorprendente in quanto tenere sotto · c.ontrollo la temperatura di Palermo, mettere il termometro sotto le ascelle delfa città, · era diventata una branca della pol1tologia con tanto di opinionisti specializzati. Il presupposto di questa strategia dell'attenzione era che Palermo fosse una esasperazione d'Italia dove le cose tendevano a succedere prima o in maniera più cruenta che nel resto del paese. Capire· che succedeva a Palermo era gettare uno sguardo sul futuro della società italiana. Da qualche tempo, tuttavia, la scienza di capire cosa succede a Palermo ha subito un calo di interesse generale. Si capisce che qualcosa si sta muovendo nella . chiesa palermitana perché ci sono minacce e attentati ai preti. Si capisce che la mafia cerca assetti nuovi perché qualche morto resta sui marciapiedi, ma sono considerate normali scosse di assestamento del tipo addirittura rassicurante, catalogabile come regolamento di conti fra le cosche. Si intuisce qualche dettaglio frammentario, ma il quadro completo rimane nascosto, anche perché lo spazio d'analisi è stato drasticamente ridotto. . È successo che dopo la vittoria di Orlando e la sua eclissi in ·campo nazionale, Palermo è diventata un'eccezione che conferma la regola italiana, quasi una variabile impazzita che rischia di falsare la media generale, e quindi meglio è non tenerne conto. In questo contesto, il viaggio
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