La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 5/6 - lug.-ago. 1995

italiani e tedeschi è formula altrettanto violenta quanto vaga. Se si parla dell'università, contestare il potere accademico può tutt'al più voler dire chiedere una partecipazione diretta degli studenti alla discussione e decisione dei problemi che riguardano i loro studi. Se invece si parla della società nel suo insieme - la famosa "società dei consumi" - contestazione globale significa ribellarsi contro tutto e nulla. Infatti, a parte il $intorno assai significativo del rifiuto totale di.ogni tutela dei partiti, quel che gli studenti ammutinati sembrano soprattutto contestare è la guerra nel Vietnam, e quello che invece applaudono sono uomini e fatti che, per cominciare, sono rispetto alla situazione italiana (sia scolastica che politica) affatto estranei come Guevara o Castro, oppure dei dittatori, come Ma~ Tse. Di l'ibertà, dunque, non solo non si parla, ma neppure a stare ai fatti, ci si cura. . D'altro canto, bisogna pur dire, che a parte gli urti violenti (e talvolta da loro deliberatamente cercati) con la polizia, a parte gli interventi penosamente disorientati, ora cautamente cedevoli ora bruscamente autoritari (per poi subito tornare cedevoli) di qualche dignitario accademico, in verità, da un capo all'altro d'Italia, gli studenti hanno fatto e continuano a fare il comodo loro. E si aspetta ancora di sapere quale piega prenderà la loro sommossa e quali scopi effettivamente si proponga, nonché infine, chi ne prenderà la testa per condurla in quale direzione. Comunque', non si tratta, questo è evidente, di libertà, né di ribellione contro un regime oppressivo, bensì, al contrario, di collera contro la mancanza di un'autorità e di un ordine degni di rispetto. Si vedrà che cosa sono capaci di fare, gli studenti italiani, dopo questa gran fiammata di rivolta nella quale bruciavano di uno stesso fuoco l'indignazione per le condizioni scandalose dell'università e in generale della scuola in Italia, quella contro la brutale follia della guerra americana nel Vietnam, il culto (non poco cinematografico e retorico) per la memoria di Che Guevara e l'entusiasmo per Mao Tse Tung, dittatore e pensatore per autorità di comando, non di pensiero. In questa rivolta, poi, è onestamente impossibile non notare l'impulso d_iviolenza che fatalmente accompagna l idea d1 ottenere immediatamente e per via d'azione diretta ciò che - riforma della scuola o riforma della società - immediatamente e per via d'azione diretta ottenere non si può. Tranne che non ci si metta deliberatamente sotto la tutela di un'organizzazione totalitaria, della quale si d9vrebbe pur sapere, ormai, dove conduce. Hanno fatto il comodo loro, gli studenti italiani, ma certo hanno anche usato della licenza a loro lasciata a fini seri, almeno nell'intenzione. I moventi del loro ammutinamento erano, per cominciare, più che solidi; la loro collera e il loro disprezzo per una classe cosiddetta dirigente la quale dirige principalmente e in primissimo luogo gli affari dei partiti in cui si divide e suddivide, più che giustificati. Ma è pur stato finora, il loro, un tumulto di massa, nel quale le voci ragionanti erano quelle che più difficilmente si sentivano, e bisognava andarle a ascoltare una per una, se si voleva capire ciò che v'era di serio nel goliardico tumulto. Ma perché la rivolta degli studenti, così motivata nella realtà dei fatti, così vergognosamente provata dal rifiuto del Parlamento di lasciar passare l'articolo della famosa legge 2314 che aboliva il più scandaloso dei privilegi vigenti nell'attuale università italiana, quello dei deputati, senatori e ministri ai quali il titolo accademico serve da medaglietta aggiunta per far figura di scienziati, perché dunque questa rivolta, così giustificata nei suoi moventi, ha preso l'aspetto di una confusione tumultuosa sia nelle idee (o meglio nelle parole d'ordine) che negli atti? Gioventù? La confusione entusiastica propria della gioventù - si dirà - bisogna capirla e non scoraggiarla, perché scoraggiarla significa · volere che tutto ricada nella corruzione, nell'inerzia e nel sonno. Sì, ma a una condizione: che si rifiuti assolutamente l'idea che i giovani hanno ragione perché sono giovani. Il fascismo si fece su questo principio, e non è detto che da una tal radice non possa nascere un fatto egualmente nefasto, anche se porterà etichette socialistoidi, anarcoidi o comunque umanitarie. Si è invece assistito allo spettacolo inverecondo di professori cinquantenni che sono corsi appresso ai giovani tumultuanti nella certezza che essi marciavano nel senso della Storia e dunque bisognava stare con loro, incitandoli alla "contestazione globale" e·persino alla violenza. Ma le ragioni della rivolta dei giovani sono ben altre, e vanno molto oltre (come essi giustamente dicono) la riforma dell'università. Anzi, è da credere che le condizioni miserabili della scuola italiana, le baronie professorali, il ciarlàtanesimo accademico, l'impossibilità materiale di seguire i corsi e persino di vedere la faccia di un professore altro che all'esame, è da credere, diciamo, che tutte queste siano ragioni secondarie, e quasi pretesti della rivolta, non cause prime. La causa prima è altrove, molto semplice: si tratta del fatto che le giovani generazioni - quelle dei nati dopo il 1940 - si sono trovate a vivere in una società che non impone né merita rispetto, la cui autorità è nulla, di pur.o peso, e quindi autorizza tutte le sregolatezze e tutte le ribellioni, anche quelle esteriori e di maschera. Questo dalle più alte · cime della gerarchia sociale (se pure vi sia ancora una gerarchia altro che di potenza) fino alle forme della vita politica e alle circostanze della vita di ogni giorno. Ma al vertice dell'irresponsabilità, del non diritto al rispetto e della corruzione non noi esiteremmo a mettere, oggi come oggi (in Italia e altrove, ma in Italia molto specialmente) la classe intellettuale: quella che invece di dar l'esempio segue l'andazzo, invece di pensare arzigogola, invece di assu~l:!r~i la par_tedi guida s! aggreg~ a partiti, rumma ideologie mai esammate, e msomma, invece di volersi voce del popolo cui appartiene, fa parte per sé e per il suò "particulare". È contro questa mancanza di autorità darispettare, contro quest'assenza di guida morale che oggi i"giovani si ribellano, da un capo al1' altro del mondo. Questo è il fatto grave, al quale non si risponde né con le cariche di polizia né con le manovre astute. Questo _spiega perché, in mancanza di realtà presenti e attuali da rispettare, in mancanza di un'autorità che si possa rispettare o odiare, ma comunque esista, i giovani italiani, come quelli tedeschi o francesi, si creino i miti esotici di Guevara, di Ho Ci Minh, di Mao Tsè Tung. Tali miti sono poi per natura vacui o totalitai:i: o finiscono nel nulla o portano alla demagogia di massa e, oggi come oggi, all'autoritarismo tecnocratico più o meno bene ammantato di ideologia. Il 1J2J..QJ::!1

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