La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 4 - giugno 1995

ne dell'omertà che regna in Calabria dato che non voleva fare il nome del noto mafioso Latella. Una seconda rilevante questione riguarda il diritto al controllo dell'intervista. Questo avviene qualche volta sulla stampa, ma quasi mai in televisione. La fortunata trasmissione di Chiambretti "Il laureato" è una lampante dimostrazione dell'uso che si può fare, attraverso il montaggio, dell'immagine di una persona. Penso, ad esempio, che se Mons. Bettazzi avesse potuto vedere e controllare il montaggio della sua intervista difficilmente avrebbe consentito, pur essendo persona di spirito, a venire ridicolizzato in quel modo. Per non parlare dei tagli che vengono operati e che stravolgono il senso di quello che una persona ha detto. Certo, tutto questo avviene perché c'è una smania crescente e irrefrenabile tra la gente ad apparire comunque in televisione (e una patologia da intervista che porta a mettere in piazza i propri sentimenti, la vita familiare, i momenti più intimi della propria vita). Una corsa all'intervista che coinvolge la gran parte degli intellettuali che di fronte a una telecamera che ti chiede di spiegare in dieci secondi "come si può combattere la fame nel mondo o quali siano le cause della crescente criminalità urbana o dei conflitti interetnici, ecc." in~ vece di mandare tutti a quel paese si sforzano di dare delle · risposte impossibili in quel lasso di tempo. L'uscita da questo sistema d'informazione, che produce una massa crescente di valori d'uso negativi, dipende anche da noi. Solo ritrovando il gusto di quello che il grande Braudel chiamava le "onde lunghe" della storia 3 solo guardano la realtà con il respiro lungo e le contraddizioni che questo comporta, possiamo liberarci da questa trappola infernale della disinformazione di massa che viene spacciata per informazione "'in tempo reale". In questa direzione un grande ruolo possono _giocare tutti gli educatori e i formatori, a partire dalla scuola e andando oltre, puntando a un recupero di quel "gusto della storia", come esclamava compiaciuto l'Enrico IV di Pirandello, che ti fa cogliere i fenomeni (sociali, culturali, istituzionali) nelle loro dinamiche di lungo periodo. Ma:, non ci si può fermare alle buone intenzioni e alla presa di coscienza: bisogna battersi per cambiare il modo di produzione dell'informazione. Come afferma lucidamente· Stefano Rodotà 4 nel suo ultimo saggio "il cittadino deve diventare parte attiva e controllare le informazioni che lo riguardano. Oggi la costruzione di una corretta sfera privata è la grande frontiera della democrazia". Vale a dire: bisogna fissare criteri e regole certe, mettere dei paletti, costruire dei muri di conteni- ~men to per impedire che la mala-informazione avanzi insieme all'arroganza/ strapotere dei media. · Note 1 Intervista apparsa sul "Corriere della Sera" il 25/4/95 2 A. Gilli, Come si fa ricerca , Mondadori, Milano 1973. 3 F. Braudel, La dinamica del capitalismo, Il Mulino, Bologna 1977. 4 S. Rodotà, Tecnologie e diritti, Il Mulino, Bologna 1995. ♦ Come guardare al futuro. Paure e speranze in Enzesberger e Jervis Vittorio Giacopini I:, tutto accadut~,.più o meno. I brani di guerra, in ogni caso, sono abbastanza veri K. Vonnegut. 1 ~ "L'inizio non è sanguinoso, dagli indizi non. tra~ spare_p~ricolo'.' (p. 3?)- Nello stramss1mo sagg10 d1 Enzen- · sberger (Prospettive sulla guerra civile, Einaudi, 1994, pp. 76, lire 15.000), tutto comincia quasi senza niotivo. Siamo sospesi nel batuffolo infinitamente protettivo di un certo benessere. Ci siamo abituati: è tutto in ordine e, come al solito, ci sentiamo a posto. Siamo gente civile e anche educata. E poi siamo prudenti, discreti, razionali. Parva moralia: abbianio imparato - ci sembra - le buone maniere. Così ci fidiamo; ma facciamo male. I primi indizi, naturalmente, ci trovano distratti ..Poi cominciamo a capire. Non accadeva per errore o per distrazione. Immondizia e siringhe e scatoloni sfasciati e bottiglie rotte si sono accumulati lungo le strade; poi sono comparse le prime scritte sui muri, i primi - espliciti - "messaggi": copertoni forati, macchine fuori uso, telefoni guasti. Sono segnali incongrui ma precisi; sono "piccole, mute dichiarazioni di guerra" (p. 37). Abbiamo cominciato ad avere paura. Forse eravamo troppo ottimisti o troppo rilassati. Forse, semplicemente, ci eravamo illusi. Ma il nostro benessere era stupido e marcio; e la pace, invece, fragile e precaria. Hobbes avrebbe detto soltanto, sarcasticamente: ecco le "vere delizie della società". Per Enzensberger, la conclusione è anche più radicale: è un fo' inutile che "osserviamo i mappamondo": la · guerra civile ha già fatto da tempo il suo ingresso nelle metropoli" (p. 11). Siamo in guerra; non ce siamo accorti. Prospettive sulla guerra civile è stato accolto per lo più come una "provocazione". Ma il saggio di Enzensberger è qualcosa di più. Quando ricostruisce gli elementi, i sintomi, i tasselli di quel disperato codice dell'ostilità latente nei cerimoniali bidermeier della nostra vita sociale e "scopre" la guerra, Enzensberger rion parla affatto per metafora. Non vuole - soltanto - provocare. "È tutto accaduto, più o meno", coine dice Vonnegut. La guerra civile, per· Enzensberger, è un fatto reale. Anche da noi. Anche da ques_teparti. "Molecolare", intermittente, perfettamente spontanea ma ancora parziale, la micro-guerra civile urbana contemporanea risponde a una sua logica, a una dinamica limpida e stringente: "le immagini della guerra civile molecolare e di quella macroseopica corrispondono YQQ.

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