La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 4 - giugno 1995

VIOLENZA E GUERRA NEL PENSIERO DI BONHOEFFER Alberto Gallas Il giudizio di Bonhoeffer sulla guerra Sebbene la distariza che· ci separa da Bonhoeffer sia relativamente ridotta rispetto all'arco che dovrebbe coprire un'ipotetica storia dei giudizi sulla pace e sulla guerra, non ci si può rivolgere a lui sperando di trovare indicazioni direttamente trasferibili alla nostra situazione attuale, ma piuttosto per trovare un contributo alla migliore formazione del nostro giudizio. Q~esta, che è una premessa quasi ovvia, acquista una pertinenza specifica per il fatto che il legame tra risposte ai problemi etici e situazione è uno dei punti di forza che caratterizza la riflessione bonhoefferiana rispetto a· gran parte della tradizione etico-teologica. E poiché questo legame non è solo sostenuto in teoria , ma anche rispettato nella pratica, troveremo che il giudizio di Bonhoeffer sulla guerra si modifica, e anche sostanzialmente, nel tempo, sia a causa della sua maturazione personale, e dell'acquisizione di nuovi materiali e strumenti per il giudizio, sia, e soprattutto, per il variare della situazione. Non c'è dunque un giudizio di Bonhoeff er sull'uso della forza e sulla guerra, ma c'è l'elaborazione di una serie di criteri per formulare nel modo più adeguato questo giudizio. Perciò procederemo cronologicamente, distinguendo, nel suo itinerario, tre fasi: I - la guerra come possibilità teorica II - il rischio di una guerra imminente . III - la guerra in corso La guerra come possibilità teorica La soluzione etico-teologica al problema dell'uso della forza e della guerra sembra essere una soluzione che si pone tipicamente a livello dei principi; una soluzione, inoltre, che può essere individuata senza incertezze, se si assume come criterio di riferimento la Scrittura e non la tradizione o la ragione. La Scrittura infatti propone testi inequivocabili e cioè: nel- !' Antico Testamento, il V comandamento, "non uccidere"; nel Nuovo Ìestamento, il Discorso della montagna , dove l'atteggiamento dellà mitezza e della non resistenza al male viene ulteriormente radicalizzato: "avete inteso che fu detto agli antichi: non uccidere ... Ma io vi dico questo: chiunque si adira con il proprio fratello sarà sottoposto a giudizio" (Mt 5, 21-22). Non solo, ma la non-resistenza al male viene nel Nuovo Testamento resa univoca, perché, come notava Erasmo; se è vero che le Scritture d'Israele e ancor più , le leggi pomificie, non condannano la guerra indiscriminatamente, è vero che il Nuovo Testamento insegna ovunque che essa deve essere assolutamente bandita. Da ciò lo scandalo di un cristianesimo che, pur derivando il suo nome da Cristo, non è riuscito a bandire la guerra nella storia, neppure la guerra tra cristiani. Ma Bonhoeffer, nel primo testo in cui affronta il problema che ci interessa, che risale al 1928-29, obietta che l'apparente univocità di una soluzione fondata su questi dati della scrittura soffre di un vizio fondamentale, e cioè della mancanza di concretezza. E che cos'è "concretezza"? È misurarsi con la distretta della decisione in una situazione data, che può essere drammatica come nel caso in cui si debba decidere se lasciare i propri cari e il proprio popolo indifesi davanti all'aggressione del nemico o alzare la mano armata contro di esso. È il caso classico, l'obiezione comunemente mossa contro il "pacifismo", già utilizzata da Lutero per sostenere che jl discorso della montagna insegna sì che non si deve resistere al male \nflitto alla nòs~ra persona? ma non che non s1 possa e non s1 debba resistere al male che i malvagi, infliggono al nostro prossimo. Anzi Lutero dice che, in favore degli altri, il cristiano "può e deve cercare vendetta, giustizia, protezione e aiuto". Rispetto a questa posizione tradizionale, Bonhoeffer si differenzia però perché lega la decisione all'istante in cui essa deve essere presa. Solo infatti nell'istante concreto, non prima, mi è possibile discernere chi è il mio prossimo e se l'uso della forza e delle armi in suo favore vada o non vada contro il comandamento di non uccidere. La chiesa stessa non deve predicare principi, che sono veri sempre, ma comandamenti, che sono veri qui e oggi. Il comandamento, nel suo senso biblico piu pieno non è uno dei dieci ordini-divieti contenuti nel decalogo, non è una legge in senso occidentale moderno (cioè una norma universalizzabile), ma è un appello di Dio all'uomo, è un "discorso rivolto a": a un interlocutore determinato, oggi e qui. Il principio vale invece in astratto e sempre: ma, osserva Bonhoeffer, ciò che è vero sempre è, appunto per questo, non vero oggi. Questa prospettiva viene poi fondata cristologicamente: Cristo non è idea che abbia valore al di là dello spazio e del tempo, ma è l'interpellante, è persona, è parola viva: la sua verità non è perciò verità atemporale ma verità detta nell'istante concreto (Gs, III, 185). Si intravede sullo sfondo di questo modo di pensare, la tesi di Lutero; per cui il cristiano - e in particolare chi ha una responsabilità politica - ubbidisce ai comandamenti non rispettando la lettera del decalogo, bensì creando nuovi decaloghi; impostazione che può avere esiti ambivalenti; se si pensa alla tesi di Ca! Schmitt per cui il Fiihrer- nel momento dell'emergenza può creare il diritto. Ma ora dobbiamo porre in termini più precisi la domanda appena accennata sopra e cioè: se la situazione-modello è quella che mi vede scegliere tra i miei cari e il mio popolo da una parte, e lo straniero-nemico dall'altra, la decisione è lasciata veramente all'istante, o non è già pregiudicata in anticipo? La risposta non è forse cioè già ipotecata per il fatto che il mio prossimo è determinato per sangue, per natura, per storia (i miei cari, il mio popolo), in modo che non resta più uno spazio reale alla domanda: "chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?" (MT 12, 48). LEZIONI

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