La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 2 - marzo 1995

Bi ge, che sostituiva la vecchia normativa del '57, e che a sua volta è stato "preparato" da una legge dell' '80 (in cui si sottolinea il dovere di produttività del pu blico impiego), si applica appunto, in funzione di razionalizzazione, a quei pubblici dipendenti che non rientrano in categorie particolari, quali docenti universitari, magistrati, diplomatici, ecc., e riguarda assunzioni, ruoli e responsabilità dei dirigenti, modalità della contrattazione, orari di lavoro, possibilità di licenziamento (ad es. per 1'persistente insufficiente rendimento"), vari aspetti giuridici. Con questo decreto si è spezzato per sempre il patto - più o meno scellerato, e vantaggioso per entambi i contraenti - per cui gli impiegati pubblici tolleravano bassi stipendi e dequalificazione del lavoro in cambio di libertà inimmaginabili in altri settori. Ed è proprio nella Finanziaria che si parla esplicitamente di accertamento dell' orario "con controlli obbiettivi e tipo automatico ": dunque, il primo citato orologio , sul cui funzionamento a Roma già circolano alcune leggende metropolitane (rudimentali tecniche di sabotaggio, che sarebbero all'opera in alcuni uffici~come l'inserimento di miele negli ingranaggi; o anche la convinzione diffusa che queste macchine non funzioneranno mai dato che il Comune di Roma utilizza in genere materiali riciclati e scadenti etc.). Ora, senza addentrarmi in una materia sindacale-contrattuale che conosco solo superficialmente, vorrei però cogliere l'occasione di questa nuova normativa per fare alcune considerazioni sugli impiegati pubblici (reazioni soggettive e problemi generali). L'insieme di queste leggi viene interpretato dalla massa dei dipendenti pubblici come atto punitivo . L'inconscio collettivo degli impiegati è infatti ulcerato da terribili sensi di colpa (per i privilegi - anche piccoli - di cui si è fin qui goduto, per l'immagine squalificante che si sa di avere nella società, perché si è ben consapevoli della propria oggettiva corresponsabilità riguardo il d;sserv_izio). Questo ~rea l'attesa, timorosa , ans10sa, ma forse anche segretamente speranzosa (Hegel parlava del bisogno umano di subire una pena per quanto si è commesso), di una punizione finale, di una apocalittica resa dei conti. caGinoBianco VOCI D'altra parte, la necessità di convivere quotidianamente con questi stessi (insostenibili) sensi di c,olpa genera pure una reazione d'orgoglio e di rabbia, un diffuso vittimismo (abbiamo stipendi da fame, lavorare in queste condizioni diventa qualcosa di eroico ...), e anche un certo senso di irrealtà nella percezione sociale di se: ad es. nelle assemblee sindacali degli impiegati pubblici si chiede spesso di far appello alla solidarietà della cittadinanza e delle altre categorie, di farsi sentire a livello di opinione pubblica, ecc., rimuovendo improvvisamente il piccolo dettaglio che gli impiegati sono odiati dal resto della società. Certo, questa modernizzazione e razionalizzazione (ed energica trasformazione) della pubblica amministrazione ci voleva. Va bene, portiamo nel pubblico la luminosa efficienza del privato (e tralascio qui certe inaspettate goffagini dei manager "boe- . . ,, . . . comam e strapagati cm si sono affidati gli enti locali). In fondo l'obbiettivo strategico di tutti questi decreti legislativi è l' auspicabile unificazione normativa di tutto il lavoro (quello pubblico e quello privato) nel nostro paese. Ma davvero basta la clausola sul licenziamento o la moltiplicazione dei premi di produttività o la maggiore autonomia "manag_€riale"concessa ai dirigenti a cambiare una mentalità, dei comportamenti profondamente radicati, perdipiù complicati da trasformazioni antropologiche degli ultimi decenni? E veniamo al dunque (e ai rilievi più autobiografici). Non sarà che la principale stortura attuale nasce dall'immissione nel pubblico impiego della generazione sessantottesca (soprattutto, ma non solo, attraverso le amministrazioni di sinistra e nei servizi culturali), di questa massa alfabetizzata, scolarizzata, ultrarivendicativa con i suoi tumultuosi bisogni di Creatività, di Immaginazione, di Protagonismo (che tra l'altro si trova spesso in collisione con la vecchia e polverosa figura di impiegato?) Penso a individui con una formazione di base magari frettolosa ed eclettica (perlopiù di Scienze Umane), ma molto aggiornati sulle mode culturali, iperconsapevoli dei loro diritti, capaci di parlare senza timore in un'assemblea, abili a fare citazioni_ appropriate, ben addestrati retoricamente a rovesciare sul Potere qualsiasi infamia o iniquità. Di qui il perenne lamento sull'essere sprecati, male utilizzati, non valorizzati pienamente, ecc.. E anche, di qui la giusta ma un pò ossessiva richiesta di riqualificazione del lavoro, di corsi di formazione (cui si viene domandata una funzione miracolosa, quasi utopica ...). Ma davvero, entro questa pubblica amministrazione le diffuse competenze e capacità individuali potranno mai essere realisticamente utilizzate? Davvero i singoli lavori potranno tutti diventare nicolinianinamente "creativi" (mentre, c~is~à p~rché, le attività ammmistrative vengono sprezzatamente condannate da uno squallore intrinseco)? Davvero la struttura pubblica sta lì pronta da decenni (da secoli?) a soddisfare il nostro incontenibile bisogno di autorealizzazione? Forse molte di queste capacità e professionalità semplicemente non servono alla publica amministrazione, almeno nella generosa profusione in cui si ritrovano nella società italiana (e rinviano dunque ad uno squilibrio strutturale, inevitabile, tra istruzione e mercato del lavoro). Non conosco bene la storia dei dipendenti pubblici nel nostro paese, ma ho l'impressione che la mia generazione da una parte disdegna il formalismo giuridico che avevano gli impiegati ancora durante il fascismo (l'astratto ma solido rispetto per la norma, . l'umile etica per il lavoro di origine positivistica) in quanto angusto; dall'altra rifiuta e rruzione e parassitismo del1'era democristiana ma solo in quanto ipocriti (per cui ad es. l'assenteismo di sempre viene ora "nobilitato" come Rifiuto del Lavoro, e ben corredato da sofisticati alibi ideologici). In una situazione del genere l'inserimento dell' orologio viene fatalmente percepito come aggressione da cui difendersi. ♦

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