iell'inizio del 1995. In altre parole, in assenza di move cure risolutive, i casi di Aids attesi nei xossimi cinque anni si verificheranno comunque, anche se fossimo in grado di fermare comletamente l'epidemia di infezioni da Hiv oggi. Le persone con Aids vive in Italia nel corso del 1993 erano circa 7500 (delle 22.000 circa dianosticate entro la fine di quell'anno) e si prevede che divengano oltre 11.000 nel 1997, e che rimangano su quell'ordine di grandezza per almeno una decina d'anni. Nonostante siano trascorsi più di dieci anni dalla diagnosi del primo caso di Aids in Italia, finora si è dunque verificata soltanto una piccola parte dei casi di Aids che ci si deve attendere a causa della diffusione di Hiv: la necessità di attuare gli interventi da tempo previsti per i posti letto di malattie infettive negli ospedali è urgente. A•Hostesso tempo, è forse ancora più urgente pianificare il potenziamento di forme di assistenza alternative, quali il trattamento a domicilio (o l'accoglienza in casa-famiglia, per chi non abbia una casa o una famiglia che possa ospitarlo) in modo organico e di concerto con le strutture di ricovero e cura pubbliche, secondo un modello già attivo nel Lazio. Abbiamo fatto notare, all'inizio del nostro discorso sull'interazione tra le diverse modalità di trasmissione, che ancora oggi le statistiche nazionali sull' Aids prodotte dal ministero della sanità forniscono un'immagine dopo tutto rassicurante - per quanto obsoleta rispetto alle dinamiche di trasmissione di Hiv attive al momento attuale - per il pubblico generale, dell'epidemia in Italia: oltre il 60% dei casi del 1994 sono stati diagnosticati in tossicodipendenti a fronte del 15% di eterosessuali non tossicodipendenti. Per il pubblico generale l'Aids è ancora una questione di "tossici", ma non solo per il pubblico generale. Solo recentemente la stampa ha iniziato a parlare sporadicamente, timidamente, genericamente, di "aumentato rischio per le donne". I dati dell'Osservatorio Epidemiologico del Lazio, resi ampiamente disponibili alla stampa quotidiana, non sono usciti dalla cronaca locale e non hanno stimolato alcun dibattito al di fuori della ristretta cerchia degli epidemiologi dell' Aids. Questo processo di negazione del rischio, supportato dalle informazioni che relegano il rischio maggiore in comportamenti estranei alla popolazione generale, avrà conseguenze che si potranno meglio valutare in futuro. Intanto, comunque, indicazioni sulle priorità degli interventi per la prevenzione dell'ulteriore diffondersi dell'epidemia vanno stabilite e discusse. Dinamiche epidemiche e priorità di prevenzione Si dice che il destino degli epidemiologi sia quello di "camminare sulle rovine della fase di- . scendente della curva epidemica". Se ciò si è rivelato tristemente vero per quanto riguarda la popolazione dei tossicodipendenti, è però altrettanto vero che per quanto riguarda i nontossicodipendenti ci troviamo ancora nella fase ascendente della curva epidemica. E' evidente che la situazione dell'epidemia in Italia indica di attuare campagne di prevenzione per la popolazione generale, in particolar modo rivolte ai giovani e alle donne. Ma si tratta davvero una priorità assoluta? Per meglio indirizzare l'uso di risorse economiche sempre più scarse e sempre meno BibliotecaGinoBianco to a una sorta di fuori campo dell'emergenza Aids, confinata fin qui - salvo sporadiche eccezioni - alla sfera della medicina, dell'assistenza, di·un volontariato generoso eppure incapace di produrre discorso, critica culturale, pensiero politico e nuovi linguaggi? Cosa si nasconde dietro la sbandierata e incosciente pretesa di "normalità" e conseguente "inesistenza del rischio" dei più e la tacita corrz.plicitàdi intellettuali, artisti, uomini e donne di cultura? Perché- per metterla in termini banali - se in tanta parte del mondo occidentale, in Francia, Germania, Olanda, Inghilterra, Stati Uniti - ormai da anni la crisi dell'Aids ha prodotto un solido corpus di pratiche e discorsi a cavallo tra teoria culturale e elaborazione artistica, da noi solo ora comincia a circolare qualcosa che sta in bilico tra coscienza del problema e desiderio di fare e una meno nobile rincorsa all"'oggetto culturale emergente" o al "dovere culturale non più eludibile"? A misurare le cose in termini quantitativi è innegabile che - _di_ciamodal giugno del '94 a oggi - qualcosasi sia mosso. Facciamo degli esempi, anche un po' personali. Dopo una piccola e artigianale rassegna di letture di testi teatrali nordamericani dedicati al tema dell'Aids organizzata presso il Teatro Greco di Milano dall'ottobre del '93 al marzo del '941 e l'uscita di Silenzio = Morte: gli Usa nel tempo dell'Aids 2 , un'antologia di testi critici e creativi e di interviste a intellettuali e artisti statunitensi, a chi scrive è capitato di essere avvicinata da svariate persone - insegnanti, operatori culturali, artisti, giovani e meno giovani attivi nell'estesissima rete del volontariato e dell'associazionismo Aids. La richiesta di tutti: essere aiutati a reperire materiali e indirizzati, quando non assistiti, nell'organizzazione e realizzazione di eventi culturali, rassegne teatrali, film, video, mostre, giornate di dibattito, convegni e altro ancora sulla questione Aids. Un 'incredibile dimostrazione di interesse e di disponibilità a fare, su un piano che non intende più essere solo quello dell'informazione sanitaria e della prevenzione o dell'affiancamento e supplenza a servizi assistenzialz carenti e inadeguati. Unr:,manifestazione di co7:.sapevolezzae generoszta accompagnata pero da una paurosa mancanza di idee; informazioni, immaginazione, e da una preoccupante tendenza all'imitazione, alla ripetizione, all'acquisto di "pacchetti Aids" già confezionati, sempre gli stessi, buoni per tutti gli usi. Quando invece l'esperienza di altri paesi ha insegnato con forza che le pratiche culturali locali tanto meglio funzionano quanto più sanno legarsi a esigenze reali, specifiche, uniche. Quanto più il Discorso sa sbriciolarsi in piccoli discorsi e trovare le parole giuste per Jarsi capire lì. Magari, modestamente, proprio e solo lì. Eccoperché, a quei giovani artisti che tentano il Film o l'Opera Teatrale o il Romanzo sull'Aids e che, forse senza. accorgersene e certo senza i mezzi e gli strumenti necessari,adottano modalità da indust,:ia culturale più che da attivismo politico, viene da suggerire di pensarci sopra due volte e di. chiarire bene a se stessi quali siano i loro moverj.'iie obiettivi, nonché chi siano i destinatari del loro eventuale prodotto. Un secondo esempio, più indiretto. Il Patalogo3, intelligente e attenta sintesi annuale di quanto le arti sceniche vanno producendo soprattutto ma non solo in Italia, dedica quest'anno una trentina abbondante di pagine al cosiddetto teatro dell'Aids, dando però - curiosamente - quasi tutto lo spazio a un'opera interessan-
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==