Studi Sociali - IX - n. 10 serie II - 16 maggio 1938

2 STUDI SOCIALI --------------- talura che si slabilira definitivamente a guerra iniziata. Di fronte a questa guerra, che é rita1'Clata dalla maravigliosa resistenza spagnola (e ehc da inas-peltati sviluppi di questa resi– stenza potrebbe ancora essere evitata) la nòstra po•sizione non é sostanzialmente di– versa da quella che s-empre abbiam preso. C'é staJto un momento in -cui abbiam creduto che Ja realta ci mett0Sse in conflitto con noi stessi; la rea\<ta ilwece non ha fatto c-he confermare le nostr-e idee e le nostre previsioni. Un governo ~a meno che 11011 vi sia paradossalmente costreHo come quel– lo spagnolo- non resiste contro il fascismo, ;;e la sua resistenza pu6 aprire la strada alla 1 ivoluzione, a quella vera, a quella del– Ll JiL,crLa. Il governo spagnolo ha resistito perché era prigionie1 o del popolo; ed a,ichc ora non domina la situazione se non in quanto dice di voler far servire tnlte le for– ze alla difesa contro lo ·s•traniero. Ma qnesla é l'eccezione e non la regola. Se, com'é assai probabile, avremo la guer– ra, l'avremo quando sembrera scomparso il pericolo che essa sbocchi in una rivoluzio– ne, anzi quando si prevedera di poter ca– nalizzare nell'organismo militare eù ,esau– ril:e nelle trincee quelle energie che si sono andate accumulando 0 per un'azione rivolu– zionaria. Cioé av1·emo la guerra quando i metodi fascisti ·stiano pe1· prevalere o siano preva'lsi da per tutto, sotto le etichette più diverse. Almeno a questo tendono gli ,sforzi cli tutti o quasi tutti coloro che, finché i popoli dormono, nmovono ·secondo i loro interes-si le pedine della pace e della '·guer– ra, della politica interna e della diplomazia. Pu6 rlarsi che il caso elica la sua pa1•0Ja e che un fiammifero qualsiasi sbagli strada e metta ftl'oco alle polveri. Quel fiammifero potre•bbe cascare in Cecoslovacchia o in qualsiasi altra polve1,iera. Certo n·on bi·so– gna dimenticare che parecchi ne sono ca– scaJti in Austria senza conseguenze. Ma in– somma quel <,.\le.non. i .. successa.. poti:ebbe succe ere. oro, g1i avvenimenti di q1IBS'ti ultimi mesi ci provano che la cosa non é affatto probabile e che, se avvenisse, la cau– sa della r,ivoluzion,e spagnola non ne trar– rebbe al'Cun vantaggio, almeno finché le mas,se non si ·sfogassero dall'unione sacra con queUe forze che fatalmente preferisco– no una vittoria del fascismo a un trionfo autenticamente popolare. In ,questo caso poco probabile, come in quello più verosimile d'una guerra riman– data a vitboria avvenuta del fascismo in Spagna (,ipocesi che si pu6 prospettare ,se11- za disfattismo, perché tutte le -ev,entualita sono possibili) il nostro posto é in mezzo --'. ali-e masse, il nostro lavoro é l'agitazione e la preparazione .1,ivoluzionaria cowtro il fascismo interno ed •esterno, contro la guer– ra, per la ,solidarieta costruttiva dei popoli contro tutto questo vecchiume che ci sof– foca e vuol trascinarci con sé all'abisso. Certo, ques,to non ·esclude l'elasticita, tatti– ca necessaria neHe situazioni ,impreviste. Quel che si gioca é troppo importante p-er– ché ci s,i pos·sa prefiggere cli ri-solvere tutte le difficolta con principi di oarattere gene– rale, i quali principi sono ,poi fatti per es– ser-e applicati ed i'll'terpr·etati caso per caso a seconda dei fini da raggiungere. L'impor– tante é non perdere di visba il fine ultimo e non prendere (come a volte succede quan– do si vuol ess·ere macchiavellici) la strada che invece conduce agli antipodi. Ma, tornando al .tema, pare orma,i assi– curato che non avremo degli all-eati imba– razzanti e che i nostri nemici cli ieri e cli oggi ,saranno i nostri nemici di domani. Tut– ti, e per una ragione molto semplice: siamo l'imasti in pochi ad ·essere rivoluzionari, in pochi ad essere socialisti ed a volere, sopra tutte le cose, la liberta. Eppure il vero in– cubo, il problema ,che -sta nel fondo di tutti i problemi non é per gli uni il fascism0. per gli altri l'antifascismo; é, per tutti, la trasformazione sociale ormai inevitabile. Che avvenga nella liberta o che serva cli strumento a nuove forme di schiavitù, que– sto é il vero dilemma, E cli questo, a cui tutti pensano, si pa1·Ja ·sempre meno, Se il prolelariato (dando a questa parola un senso molto ampio) p.otra prendere in mano il controllo cli questa trasformazione, cadra ogni ragi-onc di guerra. Per que-sto non ·aibbiamo nessuna ragione di mutare il metodo della nostra lotta: com– battere la guerra con la rivoluzione. La Lecnica si, bisogna cambiarla. E qui ha ragione Gigi Damiani in un suo lungo articolo pubblicato a puntate sull"'Acluna– ta" (la cui tesi principale mi ,pare un po' pericolosa). La rivoluzione non é una gner- 1a, ma va combattuta come una guerra ed ha bl·sogno dell'amlo (che d'altra parte tut– te le rivoluzioni hanno avuto) d'una parte dell'esercito. Lo sluclio della tecnica mi– litare e l'infillrazi·one nell'esercito sono quindi indispensabili. E la difesa della ri– voluzione avra p, obabilmente bi•sogno cl'a– datta1 si come in S,pa-gna a quelle necessita della gue1 ra moderna che per la rivoluzione stessa souo micidiali. Non per niente diceva Mala.Lesta che la rivoluzione che ci portera all'anarchia sa1a uu ultimo gradino e il meno violento, i-11 nna -successione di avve– nimenti rivoluzionari. Ridotti, come siamo, a dover prevedere la guerra per ogni passo avanti sulla via della liberazione, bisognerà che ci contentiamo per ora del primo passo, purché sia nel uostro senso. In Spagna ab– biam visto eh-e non tutti gli aspetti della 111ilitarizzazionc sono necessari alla guerra. Ve ne sono molti che hanno origine e scopo politico. E non é dello che la rivoluzione non possa creare, nell'ambito della tecnica moderna, un suo metodo militare, come lo creo la Rivoluzione Francese. Ma su que– sto é bene che parlino solo i competenti; e dovrebbero farlo i pochissimi che sono fra noi. Ma se é un errore rima11ere estranei ad un eventuale conflilto, praticando solo il sabottaggio, la resistenza passiva, la ribel– lione individuale ·seguita dal martirio, erro– re peggiore sarebbe collaborare. La guèrra é tale un orrore, che un'opposizione siste– matica, a1·m-at:a,riv-oluz.ionai·ia, ~non potreb– be, oggi, rimanere isolata e, in ogni modo, terminato il confli'lto, le masse star-ebbero con chi, nella tempesta, abbia avuto il co– raggio cli non farsi trascinare dalla cor– rente. Molti pensano alla guerra con una confusa e a volte incoscente speranza. Da cosa nasce cosa ... Ebbene (lo dice in for– ma chiara Malatesta nel vecchio attualis– simo articolo che in "Studi Sociali" si sta ripubblicando), -l'unico vantaggio che pu6 portare una guerra sta nella ribellione che pu6 suscitare. Ma s-e ne pu6 trarre qual– cosa di buono solo a ·condizione d'agire contro ·e non a favore della guerra stessa. Ormai stiamo scendendo la china. Il di– fendere, in una guerra, le vecchie posizioni democratiche, oltre ad ,essere una finzione (in una guerra 0 borghese sparire·bbe la de– mocrazia, •chiunque rimanesse vincitore), sarebbe un terribile fattore cli debolezza. Per non lasciarci trascinare all'ingiù biso– gna risalire. E che cosa ci pu6 dar la forza cli risalire se non la speranza d'una tra– sformazione, a cui la realta obiettiva é gia più ohe p-reparata e che ci porterebbe fuori dal groviglio cli contraddizioni suicide in cui il mondo -si dibatte? La paura che tutti i privilegiati hanno proV'a'to di fronte al movi-mento spagnolo, la paura che ancora provano di fronte al ricordo degli avveni– menti del '17 in Russia -ricordo ormai cosi bene imba1samato da perdere ogni vi– rulenza- ci prova che il socialismo, anche semisoffocato da ,una schiacci:mte congiun– zione di forze esterne •ed -interne all'am– biente in cui é nato, anche disperso e sen– z'armi, anche rinnegato da tanti suoi mi– liti, ha in sé, nella stes·sa evidenz·a della sua necessita, un'en·ergia espansiva che gli promette l'avvenire. Una volta era cli moda parlare cl'iclee– forze. Ora non se ne parla più. Eppure, cli fronte al fascismo, oggi, non c'é altra forza che queste idee: li-berta, socialismo. E vin– ceranno contro di lui solo le armi animate da queste idee. Che resistenza hanno pre– sentato finora al fascismo i settori demo– cratico - borghesi? E si pu6 pensare che questa blanda e benevola opposizione pren- da vigore da un momento all'altro? Po– trebbe si -in nome d'un nazionalismo ver– niciato d'antifascismo-, diventare improv– visamente energica in una lotta eventuale contro gli stati totalitari, ma per e-edere immediatamente cli fronte al fascismo in– terno. Impostata com'é la lotta su 1111 terreno falso, bisogna combatterla su molti fronti occulti e palesi, nella maggior parte dei quali il nemico ha posizioni vantaggiosis– sime. Solo la rivoluzione pu6 riportarla snl suo vero terreno e mettere di fronte i ver; avversari. Oertamente ci sono dei momenti speciali in cui un tentativo inconsiderato potrebbe avvantaggiare il fascismo. Bisogna tirare forte, ma bisogna anche mirare giusto. Que– ste sono considerazioni elementari. Per e– sempio, nella Spagna isolata ed abbando– nata, intorno a cui si stringe sempre più il cerchio 'Cli fuoco, il momento sarebbe evidentemente male scelto. La Spagna ha eletto la sua parola eroica nell'ora oppor– tuna. Gli altri hanno taciuto. Non si pu6 pretendere da lei, in mezzo alle rappresa– glie terribili che per quella pai ola sta sof– frendo per opera di tutti i potenti, un altro sforzo nello stesso senso. Ma gli altri? Se non fosse la Spagna ·sola, se quello sforzo si moltiplicasse, quella sarebbe la nostra guerra. Lo stesso intervento massiccio ,, apparentemente sproporzionato cli tre 111- zioni su un piccolo territorio, contro un piccolo popolo in anni, ci da il grado di potenza reale dell'idea - forza, che, malgra– do i vari Prieto, anima la Spagna. Musso– lini non temera mai Ohamberlain, Dalaclier o Blum, come ha temuto le milizie confe– derali che l'hanno sconfitl o a Guaclalajara. E un'occupazione seria, definitiva e radi– cale delle fabbriche in Francia lo preoccu– perebbe cli più che l'accordo militare fran– co - inglese. I,i1 realta la lotta si com balte su un piano orizzontale, che é quello che separa i popoli dalle caste al governo in tutt.o il m.ondo. E' una lotta latente, ma eon infinite manifestazioll'i sporadiche. Anche in caso cli guerra, quello sarebbe il nostro campo cli lotta. Sarebbe impossi– bile una propaganda clandestina antimili– tari-sta e rivoluzionaria 'in Italia e in Ger– mania ,senza un'azione nello stesso senso in Francia o in Inghilterra. In mezzo al– l'ubriacatura nazionali sta inevitabil·e du– rante ogni guerra non si pu6 chiedere ai soldati cli deporre il fucile davanti a un altro nazionalismo, per quanto si chiami antifascista. Il fascismo p·u6 essere vinto solo dalla fraternizzazione degli eserciti contro la guerra e contro i padroni dell'u– no e dell'altro bando, o dalla lotta fra i paesi fas'Cisti e una rivoluzione in atto che dia la terra ai contadini, le fabbriche agli oper:ai, la liberta a tutti. LUCIA FERRAR!. AI COlUPAGNI Vone,mmo dedicare u.na parte del .nostro numeTo di giugno a ,studiar<> le ideo, l'o,pera e la vita del fòn-daito-redi q.uoota rivista. Per .questo ci ,·ivolgiamo a quei oo,mpagui che so,no eta-ti in co·tTia, p-on-den.za con Luigi Fabbri e che non Jrnn vi.sto o !han dimen– ticato il noBtro appello di due anni fa, per pregarli dJ mandarci, se le cons.arvano, le lettiere pili signi• ficative e ilnporlanti da lui scritte (nell'originale o ill una copia c.hiara). Se i mittenti lo desiderano, saranno subito res.Htui.te. Sa·renuno an'Cl1e g,rali a quei compagni che ci for– niranno -dati o Ticordi personali sulla vita di Luigi FaObri. Sara una contribuzione pnòzioaa a quella biografia che prima o ,poi si s•crivera e che rimarrii.. come doClunento d'un 'r?,pocadella nostra lotta e. llill ancora, come docu,rnento d'"anarchia viSl3uta··. La redazione. Q1ielli clie ci mandano dana,1·0 usino il co– n,odo P pùt conveniente mezzo degli chéques bancari. anclw per le pi·u. piccole somme. e "110n quello dei vaglia postali", i qiiali dall'ammini– ,trazione q;ostale sono pagati sempre al cam.bio cirna 1r.n terzo meno del loro valo1·e del g·iorno.

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