Lo Stato Moderno - anno VI - n.4-5 - 20 febbraio 1949

LO S'rATO MODERNO duplice carenza della socialdemocrazia nei confronti della rtalld t/– fettuale è il suo limite e il suo destino. Ma se la socialdemocrazia fallirà il suo programma per mancanza di una consistenza quanti– tativa atta a conferirle un adeguato peso nel bilancio delle forze che J.iuocano sulla scena politica ; se perderà il proletariato senza gua– dagnare i ceti mcdi, la sua ironia storica sarà di aver allontanato il primo per l'aspirazione di elevarlo alla funzion(! civile dei secondi, atla dignità dell'autogoverno e alla responsabilità di un compito nazionale, atla grandezza, che fu già di quelli, di creare lo Stato di tutti per tutti, vivificandolo con un apporto tanto più ricco quanto più disinteressato, e distratto i secondi per aver voluto, assimilan– doli nella sorte alle classi lavoratrici, riscattarli dall'inferiorità eco– nomica cui li condanna inesorabilmente il regime capitalista. L'im– maturità dell'uno e l'angustia morale degli altri, o, da un opposto punto di vista, l'inadeguatezza del socialismo democratico a inten– derne le esigenze più profonde volgendole ai proprii fini, nulla to– glieranno tuttavia alla generosità del suo assunto. Interprete di Marx, Engels voleva fare del proletariato, nel proletariato comprendendo anche i ceti medi che la concentrazione monopolistica dei mezzi di produzione avrebbe ridotto al livello delle· masse salariali, l'erede della filosofia classica tedesca: affidandogli, con una destinazione tanto più retorica quanto più investita di un significato prammatistico, l'impegno d'inverarne sul piano detle rtr gtslat il contenuto teoreticamente rivoluzionario. La socialdemocra– zia, temperando il-suo conato innovatore con la sua prudenza con– servatrice, mira a offrirgli, di qua da ogni ambizione messianica e da ogni illusione avvenirista, un compito forse più modesto ma cer– to più positivo cd efficace: la difesa della civiltà moderna nei suoi compimenti storici e nei suoi valori ideali. Compimenti e valori che non sono appannaggio di una classe ma universale patrimonio u– mano, e che non possono considerarsi mai definitivamente acquisiti se attraverso l'intima forza di una cultura tutta spiegata nelle sue sostanziazioni concrete, come verità d'esperienza, non si traducono in un costume politico e in un'etica sociale. GIORGIO CABIBBE L A e L o A e A La contro-repubblica è in marcia, e di qui a non· mol– to, se il Vaticano, il lugubre ex-monarca di Lisbona e il principe Borghese lo vorranno, troveremo scritto su tutti i cantoni; I ladri la fondarono I p3Zzi la esaltarono I saggi la esecrarono I forti la ammazzarono. In questo sol mirabile Carogna non più udita Che non puzza cadavere Ed appestava in vita. Che ci si debba ridurre a citar Cesare Cantù (Mon– ti. e l'età che fu sua, pag. 26) nell'anno di grazia 1949, è doloroso. Ma l'amico Augusto Monti, nell'Unità torine– se del 31 dicembre 1948 malinconicamente rievocando il fiasco delle celebrazioni del 1848, e constatando l'adagiar– si del nostro paese in un regime che tenta di. risuscitare « lo' Stato teocratico assoluto abbattuto nel 1870 e restau– rato nel 1929 » dai patti lateranensi, dimentica una co– succia sola, che cioè proprio i patti lateranensi sono entra– ti nella Costituzione della repubblica italiana grazie al vo– to totalitariamente favorevole del Partito Comunista ita– liano, il quale è rimasto vittima - e sempre più lo sarà - di qJesta monumentale castroneria. Adesso hanno un bel grattarsi, caro Monti, la rogna l'han voluta loro, e se la terranno. Nè credo al rimedio miracoloso che Giorgio Quar– tara ci propone in un violentissimo libro: Viva il Papa o viva il Re? ( ed. Bocca) dove contro le prepotenze e ·le invadenze clericali, e il malg-overno esarchico, tripartiti– co, democristiano e compagnia bella, da lui ampiamente denunciato, il Quartara fa appello a Sua Maestà Umber– to II. Alla larga! Ripetiamo col Carducci: « Quando strin– ge la man Cesare a Piero ... » con quel che se~ue. Vero è che il Carducci avrebbe sputacchiato l'Accademia del– l'Italia fascista a cui vanno invece le nostalgiche tenerezze di Eucardio Momigliano, articolista di fondo del Corriere della Sera neof~scista (in questo, ha ripreso la tradizione albertiniana del 1920-1923): · E badate che neppure in Francia si scherza. Se noi abbiamo Borghese e Graziani, loro hanno Bardèche e Ber– géry (il primo dei quali peraltro, come dimostra il suo bel Stendhal romancier sa scrivere, e il secondo parlare da persona colta, sebbene equivoca). E se noi sguazziamo nel- la « volante rossa», e negli scandali dell'Emilia, la fac– cenduola del ministro André Marie, pugnalato dai comu– nisti e dai gollisti in combutta, e che non era tornato da Biichenwald per questo, li vale. Tutto ili mondo è paese, e le commissioni interne italiane « non collaboranti ,,, ga– regg:ano con le francesi i cui membri, nell'affare Sanrapt– Brice di collaborazionismo economico (quello appunto la cui archiviazione è costata il ministero ad André Marie, olocausto designato della repressione degli scioperi mine- ' rari) prima scrivon spontanee dichiarazioni di lode e sup– plicano indulgenza per chi trafficò e s'impinguò coi tede– schi, poi - a due anni di distanza - confessano il loro « errore> come un qualsiasi primate d'Ungheria.· Se invece di leggere Paul Eluard (chissà come ci riescono) i nostri contemporanei avessero familiare Victor Hugo, ripiglierebbero in mano nei Chatiments l'Egottt de Rome, e scenderebbero, con il poeta là dove non si può distinguere : ... si ces mornes charognes ... ... Sont des chiens crevés ou des césars pourris. Ci siamo, infatti. Dalle banane di Brusasca alle va– lute di monsignor Cippico, dagli enti più o meno parasta– talmente irizzati ai direttori generali che negoziano il loro passaggio dai grossi emolumenti dei ministeri alle più red– ditizie prebende dell'industria privata, con un contentino al Cons'glio di Stato, la corruzione .e l'ignavia ingiganti– scono. Ma avrebbero torto i « reazionari » e i neo-fasci– sti ad imputar la cloaca che a tratti ai nostri sguardi si di– svela, alla repubblica del due giugno. Fatti, episodi, uo– mini consimili, ci furono - e prosperarono - durante il glorioso ventennio fascista (che li occultava sistematica- . mente) e il secolo della monarchia sabauda. Aprano il Diarie di Luigi Farini, i dossaers della Banca Romana, dell'intervento del '15, di Caporetto, della marcia su Ro– ma, dell'assassinio di Matteotti, delle guerre fasciste, e il putridume scolerà a fiotti. Con la coda dell'occhio, come faccio io, contemplino le memorie dei generali e dei gerar– chi, eroi del « dopp'o gioco» : perfino Ciano - ma era proprio alla vigilia.di rimetterci la pelle - scriveva a Chur– chill che nessuna responsabilità gli spettava - a lui, mi– nistro degli esteri firmatario del « patto d'acciaio» con la Germania hitleriana! - per la guerra e il fascismo, di cui sempre era stato nemico. Ah, buffoni! I comunisti, nella loro inenarrabile e ormai quasi fa– tale stupidità, danno agli avversari armi. stupende. Sgom-

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