Lo Stato Moderno - anno VI - n.3 - 5 febbraio 1949

LO STATO MODERNO 69 La malattia • II. Crisi dell'autorità Al tempo del grande sciopero dei minatori, il giorno dopo i sanguinosi scontri di Firminy, un noto giorna– lista della destra, Gabriel Robine!, intitolava un suo breve articolo sul «Figaro>: D'abord rétablir l'ordre. In quel titolo, prima ancora che nel testo, era l'invocazione cli tutta la borghesia francese all'ordine ed all'autorità scossi violentemente, e quella paura che non si sentiva più pla– cata e rassicurala dalla < surété > cli ;\foch. Fu ben facile, allora, pronosticare le elezioni della seconda domenica di novembre. E allora mi venn.ero anche alla memoria, per un gusto dei contrasti, certi passi di un famoso pamphlet: < L':m– torilà, signori, ecco la grande parola della Francia. Al– trove si dice la legge, qui l'auloritù >. Quell'autorità, che faceva essere amare, in quel lontano 1816, le parole di Paul Louis Courier, è stata volta a volta il bersaglio e l'invocazione dei francesi. Non è for~c vero che sulla forza di essa, forse non meno che sulla forza della li– bertà, si è costruita la storia della Francia degli ultimi cenlocinquan.t'anni? Ma la Quarla Repubblica è nata con la crisi dell'au– torità. E questo ci pare voglia dire molle cose: vuol dire crisi delle classi dirigenti, crisi dell'esecutivo incapace - sollo la pressione di forze che non. sa più controllare e che non è riuscilo ad assorbire - della tutela della li– bertà mantenendo il suo prestigio e la dignità dei suoi compiti e delle sue funzioni; vuol dire quindi anche crisi della libertà: insomma, se l'espressione non fosse logora ormai e inespressiva, crisi della democrazia. Ora, quando sentiamo la borghesia francese invocare l'autorità per < rétablir l'ordre >, dobbiamo trascurare la motivazione indubbiamente reazionaria e spaurila del suo .pensiero, e cercare di renderci conto delle risultanze po– litiche che questa ,crisi dell'autorità può generare e di fatto genera. Intanto, già qualche tempo dopo la liberazione, ap– pena la crisi si manifestò se pur con non chiari se– gni, potendo anche apparire come una conseguenza sol– tanto della sconfitta del '40, non sarebbe stato rlifficile intuire che, per passaggi d'una logica semplicistica ma impeccabile, muovendo da un sentimento i[ldistinto di pau– ra, di protesta, di scontento verso l'autorità dello Stato, la borghesia facilmente avrebbe trasfel'ito la sua sfiducia nella democrazia che quello Staio non riusciva a tene-re in pie– di; anzi, vedendo intorno a sè un mondo, il suo mondo, in pericolo, e il suo < ordin.e > minacciato, avrebbe ele– rnto - come sempre accade nelle situazioni di crisi - quell'« ordine> a mito. Cioè, per moto di reazione (non importa se logico o illogico), I« ordine> ad un certo pun- (•) Nella sua lettera da Parigi pubbllcaln nel numero scorso, G. Morpurgo Togllobue, riprendendo con lo stesso titolo 11 mio or– tkolo precedente (Stato Moderno, 5 nov.-5 dic. '48), dice cose inte– ressanti su quella che s'è chiamata la malatUa della Francia. Cose interessanti, anclle se non sarei disposto a sottoscriverle tutte: in primls, non .sarei disposto a consentire che la situazione <'f"Onomicue finanziario è confortante, perchè io chiamo contortante uno situazione con un bilancio assestato, con uno moneto. sana, con un •potere di ucqulsto da porle del consumatori che consento un tenore di vita non sempre minacciato dalla salita ci.'el prezzi, con d~lle industrie non costrett:! a pompare miliardi e miliardi aJJo Stato per poter mettere una ugual cifra el dare e a1Pavere nella chiusura del conti cli fJne d'anno. In altri punti consentirei con la tesi dell'amico Tagliabue i mn <1urllo che soprattutto ml preme qui di dire (caso mal non avessi saputo esprimermi con sufficiente chlarezza nel mio primo articolo), è che sono ben d'accordo nel riconoscere che la crisi economica e flnnndaria è solo alla base e solo un aspetto di un ,piil vasto stato di malattia. 01 un altro aspetto, che mi pare assai Interessante, trnto qui di fare una breve diagnosi. della Francia lo non ha più importanza se sarà democratico o no, libe– rale o no; ma diviene l'< ordine> tout courl, e la riscon– trata debolezza dello Staio non ha più importanza se si risolverà nel ristabilimento dcli'< autorità> nell'ambito di una concezione liberale o d'una concezione totalitaria. Il discorso varrebbe bene anche per l'Italia, e sareb– be facile e sempHce il rkhiamo a nostre situazioni pas– sate e recenti: per la Francia illustra e compendia il mo– vimento politico che sul sentimen.to di scontento e di paura ha saputo far leva, sul movimento cioè che è stato il misuratore di quel passaggio, di cui si diceva prima, dalla sfiducia al mito. Su De Gaulle una grossa parte dell'opi– nione pubblica francese ha ripiegalo mollo più con spi– ri lo di rassegnazione che con slanci di en lusiasmo; ed in altre occasioni chiamammo il successo del R.P.F. il suc– cesso dei mécolltents. Ma è evidente che un raggrupJ,a– mento politico del peso del R.P.F. non si basa più, oggi, su un sentimento di rassegnazione, cioè su uno spirito inerte. De Gaulle ha avuto l'abilità e la forza di organiz– zare questo fluido, calandolo ed elettrizzandolo nel milo. Già nel '45 un acuto e colto scrittore nostro, sempre attento al1e cose di Francia, il Burzio, si chiedeva di fronte a Dc Gaulle: sarà Washinglon. o Bonaparte? Ora la do– manda ha la sua risposta, o almeno si è in grado di de– finire con sicurezza il temperamento politico del e brave général », tutl'a'llro che vicino ad un Washington e ben pronto a fare il Bonaparte, magari < le pétit >, qu,ùora la situazione glielo permetta. Ma questo è il punto: se la situazione permetterà a De Gaulle il suo 18 brumaio (cd è staia vicina a permet– terglielo n.on una ma dieci volte fin dal tempo della crisi Ramadicr), la responsabilità, qualunque possa essere la causa immediata, sarà senza dubbio e sOJlrnttutto di quei democratici che non inlesero con chiarezza - ed era pur faci'le intenderlo - che l'esigenza prima del tempo nostro e della democrazia moderna è nell'« autorità>, cioè nella efficienza e stabilità clcll'csecutivo. La prima battaglia cli De Gaulle, dopo il suo ritiro dal Governo, fu contro la Costituzione della TV Repubblica, e per poco il nuovo R.P.F. non raggiunse la villoria, pro– prio grazie ad un punto che, ben chiaro e preciso, si ri– trovava nel suo confusissimo programma politico: la ri– chiesta di un esecutivo forte perchè non vi sia, al vertice costituzionale dello Stato, quella dcbo1ezza che trascina con sè la crisi dello Stato stesso. Dopo d'allora l'evoluzione dél R.P.F. è stata motivala da infinite altre circostanze, aiutata da infiniti allri er– rori della classe dirigente democratica, quasi so1lecitala e sospin.ta da quell'irrigidimento delle posizioni dell'estre– ma sinistra che è stato il maggior perno su cui la propa– ganda di Soustelle e di Malraux ha potuto far muovere il partito gollista .. L'estrema sinistra comunista, per un gioco ormai an– che troppo noto e scoperto, in questa crisi e nei suoi svi– luppi può sempre ve-ciere, come sempre ha visto, la chance più opportuna e valida per la conquista del potere; Kerenski continua ad essere i-I più como<lo alleato delle rivoluzioni d'ottobre_ Spettava, e spetta, dunque ai democràtici, non essere nè Kerenski nè Facta. La situazione di oggi - solo ap– parentemente rasserenala - nasce da quella cecità che proibl, già pochi mesi dopo la creazione della 'IV Repub– blica, di vedere che la democrazia era attesa ad un bivio: da un.a parte da De Gaulle e dall'altra da Thorez, gli unici dur. uomini ,ÌJl grado di ristabilire, agli opposti, l'auto– rità dello Stato. Solo una politica decisa, una classe diri– gente che abbia il senso dello Stato, può ristabilire !'equi- , librio fra ordrne l' democrazia, fra autorità e libertà. Oggi il paradosso è che i democratici stanno organizzando una democrazia che fa comodo alle mire di De Gaulle e di Tborez. FRANCO CINGANO

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