Lo Stato Moderno - anno V - n.7 - 5-15 aprile 1948

152 LO STA'l'O MODERNO 11 campo d'azione E veniamo al tempa della unificazione europea. La brevità del tempo mi obbliga ad attenermi a considerazioni sommarie. So, del resto, di non aver nulla da dire che riesca nuovo ad un uditorio perfettamente preparato. Mi limiterò a rias– sumere alcune cose note per desumerne una obbiettiva constatazio– ne delle prospettive che ancora oggi si aprono all'intervento di una < terza forza> sul piano internazionale. Per la stessa natura dei suoi fini, un movimento di « terza for– ta > dev~ ispirarsi alla visione realistica, integrale delle necessità di una vita sociale e di una convivenza internazionale che sono strettamente interdipendenti. Deve quindi orientarsi ed agire aven– do l'occhio al grande scacchiere su cui si gioca la partita europea ed intercontinentale di cui la gara di forza che si sta svolgendo in Italia non è che un elemento ed un riflesso. La profonda incrinatura che divide il mondo, spezza a metà l'~– ropa e si ramifica insinuandosi nella vita interna dei paesi iu cui la libertà democratica consente il diverso orientamento delle opinioni. Sono questi i paesi che non vogliono essere coinvolti nella sopraffazione di una metà del genere umano sull'altra, che vivendo nella libertà e nel lavoro entro i loro confini non rinun• ciano a stendete la mano al di sopra delle frontiere ai loro vicini per ristabilire una tollerante convivenza attorno allo sconvolto ma non spento focolare della civiltà europea. Noi abbiamo intanto imparato che, non vi è possibilità di acco• modamento nella vita italiana se questa non si inserisce e non si rinfranca 'in una ricomposta -vita europea, come non vi è possibi– lità di suscitare una unità europea se il profondo travaglio del no– stro continente non si sana in una distensione di rapporti fra oriente e occidente. Il e mondo unico>, lontano ancora dall'af– fnmarsi in una realtà positiva, si manifesta in questa interdi– pendenza negativa che si ripercuote di grado in grado dai rapporti dei continenti a quelli degli individui. Così stando le cose, un movimento di e terza alternativa> non può localizzarsi in uno dei settori di questo sistema di interferen– •c, deve muovere dall'interno dei singoli paesi posti alla frontiera fra i due blocchi, deve risalire ai rapporti fra le nazioni, deve sconfinare nel campo continentale ed intercontinentale, per diven– tare la spina dorsale di un sistema politico, economico, sociale che sostenga e coordini tutti i gradi della convivenza umana. Noi vo· \(l,iamo una e terza forza> in Italia perchè l'Italia diventi un ele– mento di < terza forza> in Europa, perchè l'Europa si risollevi rome < terza forza > nel mondo. Questo disegno può sembrare ambizioso e illusorio, ma la po– ~ta in gioco è tale da richiamare le n~stre forze spirituali alla niù ,lta ispirazione. Quella ispirazione che gli uomini hanno sempre trovato nelle più gravi traversie della loro storia ed a cui hanno ubbidito senza misurare in partenza la lontananza della meta, la dimensione degli ostacoli e dei sacrifici. , In questi giorni in cui pare che tutto congiuri a preparare i mo– tivi di un ultimo pauroso conflitto, noi dobbiamo restare fermi nella serena affermazione di quel diritto alla pace che costituisce il orimo compenso a cui aspira una generazione di uomini troppo orovati dalla sofferenza e dal timore. E quando dico pace intendo liberazione e dalla sopraffazione politica e dalla minaccia mili– tare. In questi torbidi tre anni le occasioni di un nuovo conflitto si sono susseguite ed aggravate in tutti i più sensibili settori del mondo. Ma la guerra è stata finora evitata, il che dimostra che nè America nè Inghilterra nè Russia hanno, fino agli estremi limiti del possibile, la volontà di ricorrere a mezzi di forza. Oc· corre che questi limiti non siano superati ed ogni nazione piccola o grande, armata o disarmata, ha il dovere di non buttare olio sul fuoco ma di comportarsi nella responsabile convinzione che la pace è salvabile e deve essere salvata. Questo è il supremo dovere delle nazioni europee perchè, in caso di conflitto, il centro di distruzione/ la vittima designata sarà l'Europa intera. E' in errore chi considera come introduzione alla guerra i forti atteggiamenti assunti, dopo tanta condiscendenza, nel campo oc– cidentale. Le ferme dichiarazioni anglo-americane sono in realtà il miglior antidoto contro l'incertezza che incoraggia gli eccessi inconsiderati. Se eguali avvertimenti fossero partiti da Londra nel Luglio 1914 la prima guerra mondiale sarebbe stata evitata. Se gli americani avessero accettato sotto Wilson le responsabilità che hanno ora accettate, se gli accordi di difesa collettiva che sono ora virtualmente in vigore fra Stati Uniti, Inghilterra e Francia si fossero conclusi quando erano vanamente invocati da Clemenceau nel 1918/19, se ai tempi di Monaco si fossero date le stesse dif– fide che oggi partono da Washington e da Londra, la seconda guerra mondiale avrebbe potuto essere evitata. Ognuna delle controparti sa oggi esattamente quali siano le conseguenze di un passo falso e mediterà prima di compierlo. Fra tutte le apparenti smentite resta il fatto essenziale che nè l'una nè l'altra parte in contesa vuole deliberatamente la guerra, resta il fatto essenziale che il mondo non è nemmeno in grado di sopportare l'ulteriore protrarsi di questo assurdo stato dì pace i,ierreggiata. Di qui la possibilità logica di una conciliazione e la 'necessità improrogabile di predisporne le condizioni e lo strumento. Per la riconciliazione europea Questa è l'impresa che sta davanti a noi nei limiti della no– stra influenza. Siamo nell'utopia? Un proverbio cinese dice: « I pesci che percorrono il fiume igno· rano la direzione in cui il fiume cammina>. Noi chiusi nella im– :11cc!lata visione degli eventi, riesciarno con difficoltà a renderci cJnto della direzione in cni siamo trascinati, e disperiamo di una sal·,ezza che può stare davanti a noi. Pensare che siamo fatal– mente giunti al punto di rottura in cui la libertà dello spirito, la collaborazione del lavoro, la pace del vivere devono ceder luogo 'li rinnovato scatenarsi della violenza, è accettare passivamente um res!>< 11sabilità che peserà come un crimine imperdonabile ,mila no· stra generazione. Noi non sappiamo dove realmente volge, in tanta confusione e pericolo, il corso della storia, ma nessuna nostra ar– bitraria o rassegnata interpretazione può assolverci dal dovere di credere nella sopravvivenza della più nobile fra le civiltà e di pre ervarne la sede ed il carattere Europeo. Gli ostili ed i tiepidi apprezzatori di una « terza forza» Euro– pea tengono in nullo o scarso conto la possibilità di una sua me· diazione. Ma qui bisogna intendersi: quello che l'Europa può pro· durre non è un accomodamento di ripiego, ma una iniziativa chia– rificatrice e moderatrice che sottragga al metodo della violenza i motivi della reciproca paura e del sospetto, l'avversione e l'irri– gidimento difensivo che li accompagnano. Non siamo soli a credere nel valore di una simile iniziativa. li Primo Ministro Sudafricano, il Maresciallo Smuts, uno dei più esperimentati ed ascoltati uomini di stato nei consigli internazionali, così si è espresso il 19 marzo davanti al Senato: « Le grandi potenze devono finalmente parlarsi da uomo a uomo. <Nessuno conosce quali siano le intenzioni della Russia. La Russia < dice di essere altrettanto al buio circa le intenzioni delle nazioni < occidentali. Essa dice di doversi difendere da queste nazioni, que– < ste nazioni dicono che devono difendersi dal comunismo. Gli uo– « mini di stato del mondo devono chiarire questa incomprensione « in modo che noi possiamo sapere dove stiamo. Se delle assicu· e razioni devono essere date alla Russia diamogliele e se la Ru,– « sia è richiesta di darci delle spiegazioni ce le dia >. Ognuno di noi, respingendo gli allarmismi coltivati in una atmo• sfera di violente passioni e di panico, deve contribuire a questa chiarificazione moderatrice che può essere insieme premessa e con· seguenza della riconciliazione europea. Ma è in realtà la riunificazione dell'Europa una prospettiva po~sibile? · Io penso che nel segreto del processo storico che stiamo subendo, 'l'li stessi motivi che determinano oggi la divisione europea, pon•

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