Lo Stato Moderno - anno V - n.7 - 5-15 aprile 1948

LO .ST J\ T O :M: O.D.E_R~- Q la sua retta accezione di democrazia, radicale, innovatrice quanto si voglia, ma non oltre, lungi, cioè, da connubi, i quali non hanno nulla a che fare con esso. Un partilo so– cialista atteggiato in questo senso avrà largo successo, evi– terà l'inconveniente, ad esempio, del Partito d'azione che voleva fare del socialismo, sia pure nuovo e rinnovato, senza seguaci, correrà anzi la chance in Italia di dive– nire il partito della maggioranza, riassorbirà nel suo seno altre formazioni politiche a lui vicine. In quel giorno, i democristiani saranno ricondolli nei loro giusti limiti di quel centinaio di deputati, e non più, assicurati loro, anco– ra per molto tempo, dagli irriducibili ultra, dal popolo delle donnette e degli zelatori che gravitano in torno alle varie sagrestie; i comunisti saranno una pattuglia con un compilo utile di pungolo - nella vita anche i seccatori incorreggibili hanno una loro funzione -, di perpetuo memento a non assopirsi sulla dura strada della democra– zia; le destre costituiranno, in posizione affatto margina– le, i campioni di un mondo defunto, la testimonianza di qualcosa che c'era e adesso non esiste più: presso a poco come i superstiti orsi nel Parco nazionale d'Abruzzo pro– tetti da amorosi recinti e da divieti di caccia a ricordare in quei pochi campioni sopravvissuti un'epoca ormai su– perata. Guarderemo allora ai futuri « diciotto aprile > senza timore ed apprensioni, quale sia - s'intende - il partito o gli individui che avranno condotto a termine l'impresa, socialismo o terza forza, repubblicani o azionisti, ed an– che (ad essere modesti ci si rimette sempre), se non altro per la fede che li ha sorretti, gli uomini che fanno capo a questa rivista, a Staio Moderno. ROMANUS Cose vecchie e nuove nel M'ezzogiorno Quali nuove caratteristiche si presentano oggi nel Mezzogiorno agliocchi dello spregiudicato osservatore ·politico? Mentre sul pia– no elettorale il Mezzogiorno ci appare tanto fantasmagorico da far impallidire persino l'arringa salveminia.na contro la piccola bor– ghesia intellettuale, qualcosa è pur mutato sotto i trasformistici dati della lotta (la quale peraltro è tuttora soltanto elettorale e non politica). Prima di vedere questo qualcosa di mutato, è bene mettere ancora wia volta l'accento sul carattere di stagnante immobilità che il Mez– zogiorno presenta in sede politica. Mentre. le vecchie clientele li– berali sono in dissoluzione (chi è diventato senatore di diritto, chi addirittura non è più di questo mondo, chi è emigrato nei grandi schieramenti parrocchiali e cellulari, chi ha visto frantumarsi la suabase nelle spudorate candidature dei proprii ex-galoppini), par– rocie agit~prop si affannano a organizzare i « cafoni >, come sem– pre contro i loro interessi. E la stampa meridionale ha corretto la sua tradizionale intonazione governativa, con una tendenzia– lità demagogica (ahimè quanto in questo agevolata dalla spaven– tosa politica degli agit-prop !) alla correzione dell'asse governativo in senso reazionario: De Gasperi sì, ma con Lucifero e Covelli p;uttosto che con Pacciardi e Saragat. La povertà cli tono di que– sta stampa è veramente deprimente e soffocante! Nessun proble– ma politico viene mai impostato su di essa; e l'opinione pubblica con– tinua ad essere avvelenata dal suo tono di polemica iraconda, che oltrepassa i limiti della stessa volgarità, per sconfinare a volte nella licenza. I partiti, dall'uno all'altro polo dello schieramento, presentano una povertà di quaclri impressionante; i ludi elettorali danno ad essi un crisma di autorevolezza paesana, degno di essere eternato in una pagina letteraria. E se per Guido Dorso il trasformismo era < lo studio di aderire ai successivi detentori del potere per finali– tà circoscritte al dominio locale>, la proporzionale ha partorito ora un'altra forma, anche più mostruosa di trasformismo: l'adesione, per le stesse finalità, degli stessi politicanti, ai grandi partiti detti di massa (Molè e Cerabona insegnano). Per il candidaio del Mezzogiorno il problema politico non è de– mocrazia, piano Marshall, politica economica, libertà doganale, ecc. ecc.; ma è nulla di più e nulla di meno dell'assillante ed arrovel– lante: e se tu voti me, io voto te>. Se il problema europeo è problema di nuova classe dirigente, tsso si presenta nel Mezzogiorno nei termini più disperatamente improrogabili: e abbiamo il dovere di dire ai democratici del Nord chese non terranno conto del Mezzogiorno, la soluzione del dram– nia italiano di questo dopoguerra non sarà una soluzione demo- cratica. 1 Eppure il Mezzogiorno potrebbe essere una grande leva di rin– novamento democratico! 0 AI di sotto della palude pòlitica, qualcosa si comincia a muovere. Abbiamo visto nei recenti convegni per la industrializzazione e per la tecnica agraria, ove i partiti democra– tici di terza forza erano purtroppo assenti, che vi è in alcuni set– tori dirigenti (tecnici, industriali, proprietari fondiarii che· si van– no trasformando, sia pur lentamente, da redditieri in imprenditori) , una nuova consapevolezza delle proprie funzioni. Si tratta di set– tori ancora troppo esigui, e poveri di quel minimo di senso poli– tico che, affiancando e integrando l'acquisita capacità imprendito– riale, la renda socialmente efficace; ma è già un primo passo, e si comincia a far strada la coscienza dell'urgente necessità di una organizzazione delle forze produttive meridionali contro il pre– dominio delle oligarchie protette, padronali ed operaie. Ma qui occorre una direzione politica, e questa manca. E non può certo venire da chi, sui palcoscenici elettorali, con facile re– torica meridionalisteggiante, tende a impostare un problema tanto complesso nei semplicistici termini letterarii di ricchi e poveri ; mentre gli stessi partiti sotto le cui insegne costoro si presentano, si sforzano di consolidare nuovi parassitismi di maestranze pro– tette, i cui interessi sono l'antitesi di quelli dei contadini meridio– nali, sui quali piovono tante profhsioni di amore. Nè può venire da quei giornalisti, altrettanto brillanti quanto incompetenti, o da quegli aspiranti deputati, altrettanto roboanti quanto meschini, che monopolizzano i fogli di stampa e le piazze da comizio, presen– tando soluzioni del problema meridionale escogitate a solo uso e consumo del... suffragio universale. E nemmeno infine può venire dal partito governativo per eccellenza, la D. C., i cui agganci agli interessi dominanti della struttura economica tradizionale dello sta– to italiano sono troppo saldi per poterla rivoluiionare in senso me– ridionalista e quindi democratico. Questa direzione politica I delle forze economiche, che si vanno lentamente mettendo in movimento nel Mezzogiorno del dopoguerra, sferzato dall'inflazione e dal fisco, può venire solo da uno schie– ramento di « terza forza>. Così come uno schieramento di « terza forta > pun tro·,,1re la sua consistente base soprattutto nel Mez– zogiorno. Ma è problema di impiego di uomini e di mezzi. Sappiano i socialisti e i r 1 epubblicani che ~ssi colle loro singole formule politiche non potranno sfondare nel Mezzogiomg, privi co– me sono di una particolare. tradizione; ma colla formula 1>iù am– pia di e terza forza >, ben adoperata da quadri efficienti, possono mobilitare tutte le correnti vive del Mezzogiorno su una posizione di democrazia moderna; perchè quella formula rappresenta, come altrove si è incisivamente detto, il matrimonio di liberalismo e so– cialismo, reso improrogabile dalla realtà imperiosa dei tempi. Le povere e soffocate pattuglie democratiche di quaggiù, impegnate da quattro anni in _una lotta senza aperture, attendono questo atto di saggezza politica. L'adesione che oggi il Mezzogiorno dà alla D. C. è una adesio– ne con riserva, determinata dall'anticomunismo; tanto più che la

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