Lo Stato Moderno - anno V - n.7 - 5-15 aprile 1948

156 LO STATO MODERNO questo non voglia dire necessariamente afflusso di merci ameri– cane verso il Continente europeo : potrebbe bastare che questi maggiori quantitativi di merci venissero acquistati dagli altri paesi del mondo che hanno diretti rapporti di scambio con i paesi europei. Questo in linea generale ed economica; ma è altrettanto chiaro che oltre a una considerazione economica a lungo raggio, quale è quella fatta dagli uomini di Stato americani, vi è anche una considerazione politica, e anche questa suggerita direttamente dal– l'esperienza della nostra generazione. E' evidente, infatti, che una situa1.ione di crisi economica comporta, a non lungo andare, una crisi di natura politica; in altri termini è chiaro che una situa– zione cli disagio economico dei paesi europei comporta, qualora non intervengano i raffinati metodi degli Stati di polizia a oscu– rarla e a celarla, una situazione di disagio politico, -la quale può esprimersi con rivolgimenti politici e sociali interni, ma anche con guerre e con complicazioni internazionali. Sembrò quindi evidente agli uomini di Stato americani che un programma di aiuti, quale quello generoso che essi hanno deli– neato e che stanno mettendo in atto, fosse l'unico mezzo per ga– rantire la pace; ed issi, con il loro parlare senza troppi peli sulla lingua, hanno appunto definito il complesso degli aiuti, che va sotto il nome di programma di ricostruzione europea, come un in– vestimento per la pace. Si tratta ora di vedere quale senso posso– no avere le critiche che finora sono state rivolte al piano anche da gente estranea alla politica militante, ma con preoccupazione di sottighezza mentale, circa i presunti inconvenienti del piano di aiuti sulla situazione delle varie economie. Un'esigenza fondamentale Queste "tritiche, finora affiorate a dire il vero in modo assai im– preciso e piuttosto tortuoso, fanno immaginare il pericolo di una distorsione innaturale e anormale dei modi di approvvigionamento dei paesi europei, ciò che in sostanza è un modo come un altro per esprimere l'osservazione volgare che gli americani, attraverso il piano Marshall, abbiano voluto garantirsi puramente e sempli– cemente riserva di caccia su taluni mercati d'Europa. Anche qui per rispondere si potrebbe invocare la memoria, tanto più che si tratta di memoria di cose recenti, che non hanno an– cora un anno di vita. Bisognerebbe cioè ricordare che gli aiuti che gli americani andranno consentendo nei prossimi quattro anni, non sono stati decisi dagli americani, ma sono stati richiesti dai 16 paesi d'Europa, convenuti a Parigi nell'estate del 1947. E' stato cioè a Parigi che è stata redatta quella che un alto fun– zionario americano in un momento di dispetto ha definito « la lista della spesa>, sulla quale, caso mai, gli americani non hanno fatto delle integrazioni, ma hanno portato delle riduzioni, là dove fu evidente una certa esagerazione di richieste per fini tutti parti– colari ed egoistici. E fu a Parigi che vennero esaminate le deficien– ze particolari delle varie economie dei paesi partecipanti, furono illustrate le cause vicine di tali deficienze e delineati i modi per farvi fronte. La bilancia dei pagamenti dei 16 paesi europei per gli anni scorsi, è ormai un dato di fatto sul quale ognuno può discutere; ed è pure un dato di fatto la constatazione, da parte dei governi inte– ressati, della impossibilità di far fronte alle esigenze presunte di quest'anno e dei prossimi con metodi normali, a meno che, come è stato di recente osservato nell'< Economie Survey > per il 1948 dal Governo inglese, non si voglia accettare la previsione di un pauro– so abbassamento del tenore di vita, di una diffusione della disaç_cu– pazione, della miseria, di grossi spostamenti industriali e così via. Il complesso degli aiuti, quindi, che i 16 paesi hanno richiesto agli Stati Uniti, dovrebbe servire a far fronte a queste esigenze fondamentali dei vari paesi, a garantire loro l'equilibrio delle bi– lance dei pagamenti, senza la necessità di misure straordinarie di carattere economico, interno ed esterno. Ma, come abbiamo detto in principio, questa garanzia pura e semplice di una soluzione dei problemi immediati di approvvigionamento e di finanziamento, non è che uno degli obbiettivi del piano di aiuti. Esso ha ambizioni più vaste e nello stesso tempo più ragionevoli, perchè, come ha osser– vato recentemente lo scrittore francese Bertrand de Jouvenel, se il sistema degli aiuti previsto può essere considerato come un modo cli respirazione artificiale per l'Europa, la pratica della respira. zione artificiale non può durare a lungo. Cioè, in altri termini, bisogna che l'organismo europeo trovi in sè stesso la forza di ri– prendersi. A Parigi è stato appunto delineato un abbozzo di ripre– sa generale'; ma questa ripresa dovrebbe sostanzialmente essere il risultato delle riprese particolari ai 16 ])aesi partecipanti, ed è stato appunto stabilito l'ammontare dell'aiuto esterno straordinario al fine della realizzazione della ripresa medesima. I paesi, cioè, che hanno partecipato alla Conferenza di Parigi, hanno delineato un certo programma " hanno stabilito degli obbiettivi di produzione: conseguendo i quali si può ritenere accertato e sicuro il funziona– mento delle singole economie, la loro ripresa di condizioni normali di vita, e quindi la loro capacità a far fronte, con i metodi tradi– zionali, eventualmente alle deficienze di carattere finanziario che dovessero sussistere nel momento finale del piano. Sono stati quin– di delineati schemi di massima per la ripresa della produzione agricola ed alimentare, per la ripresa dell'industria carbonifera, de– gli approvvigionamenti di prodotti petroliferi, per l'espansione della produzione elettrica e soprattutto idroelettrica, per la sistemazio– ne della rete di trasporti, sia interni, sia marittimi, per la siste– mazione e l'espansione dell'industria siderurgica e per la ripresa di settori particolari. Attraverso gli aiuti del piano Marshall, e attraverso una conse– guente politica da parte dei singoli paesi europei, tali obbiettivi di produzione dovrebbero essere raggunti; questa maggior produ– zione dovrebbe rimettere in sesto gli scambi internazionali e quin– di i paesi dell'Europa dovrebbero potere, attraverso le loro espor– tazioni, procurarsi le materie prime e le derrate alimentari cli cui essi continueranno ad essere deficitari. Ma in questo modo si risolve solamente una parte degli obbiet– tivi del piano: rimane aperto il problema della necessità di una intima collaborazione tra i 16 paesi per la risistemazione strut– turale dell'economia europea, quale. il piano comporta e quale essi hanno liberamente accettato; e quindi il r,roblema degli impegni e degli obblighi ai quali dovranno onestamente sottostare. Impe– gni che non sono di natura politica, e non riguardano le limita– zioni sulle quali fantasticano gli avversari del piano; si trat– ta di qualche cosa <li più profondo, si tratta della possibilità di far scaturire dai vari paesi d'Europa le energie indispensabili per il riassestamento dell'economia europea, con la volontà e con la determinazione di superare gli ostacoli di natura tradizionale, che a una tale soluzione inevitabilmente si oppongono. Ed è qui, in questo settore, che deve rivelarsi un serio atteggia– mento di terza forza, il quale non solo deve diversificarsi dal di– sappunto di coloro che scontano i benefici politici di un eventua– le caos economico, ma anche da coloro che sperano che il piano non comporti nessuna modificazione di posizioni, ciò che in defini– tiva vuol dire che sperano che le cose rimangano quelle che sono, soltanto perchè essi temono che ne vengano danneggiate posizioni di vantaggio tradizionalmente precostituite. Gli impegni che i 16 paesi europei si sono liberamente assunti con la redazione del rapporto generale della Conferenza di Parigi ri– guardano le loro promesse di cooperazione reciproca e la definizione di obbiettivi particolari di politica economica, che essi dovrebbero via via realizzare. Per quanto riguarda gli impegni di collaborazione economica, a Parigi i 16 paesi sono stati terribilmente sul generico, in quanto l'idea di una unione doganale fra di essi era stata allora con– siderata soprattutto come una trovata teorica e un pochino reto· rica; mentre un qualche cosa di più era stato detto per quanto ri– guardava un'azione comune per la stabilizzazione monetaria e la eventuale formazione di un clearing multilaterale europeo. Si è poi in seguito riscontrato che su questa strada si sarebbe potuto fare qualche cosa di più, e l'esempio lo hanno dato l'Italia e la Francia con la firma del protocollo per la realizzazione dell'unione doga– nale fra i due paesi. Avviamenti sono stati pure fatti nel senso di una collaborazione per la stabilizzazione monetaria e per il clea– ri11g multilaterale; ma finora le cose non sono anc!ate molto in· nanzi, ed è forse con il primo attuarsi deg!i aiuti che si potrà co– minciare a snerare. Si potrebbe poi dire, soprattutto per quanto riguarda i problemi di stabilizzazione monetaria, che non è da escludere un intervento del governo americano al di fuori del piano Marshall con un fondo speciale - si è appunto parlato di un fondo di 3 miliardi di dol– lari per· l'attuazione dei piani di stabilizzazione monetaria -; e

RkJQdWJsaXNoZXIy