Lo Stato Moderno - anno V - n.5-6 - 5-20 marzo 1948

126 LO STATO MODERNO buti assicurativi e vari, che attuando la riforma vi sa. rebbero poi stati impiegati in soprannumero, i quali non si potevano licenziare, Questi impiegati, potreb– bero essere destinati nd una più efficiente e rigorosa organizzazione dei servizi per i sussidi di disoccupa. zione, anche con frequenti controlli a domicilio dei sus. sidiati. Ma in Italia si mira ad un pubblico impiego, e possibilmente con inamovibilità. anche se si debba ri. .. manere durante l'intero orario d'ufficio seduti su una sedia ... Per la giustizia si deve però avvertire che l'Ispe,tto– rato per il lavoro si accinge ad accrescere la propria efficenza, proprio in questo servizio che provvede ad uno dei più necessari interventi nel campo dell'assi. stenza sociale. GUSTAVO PREDAVAL Illusioni e delusioni della ricostruzione edilizia Tra le molte· illusioni che ci sorrisero nei primi mesi dopo la liberazione, quelle sulla ricostruzione edilizia presero campo a più libero volo. Ci pareva di vedere le antiche nostre città, rapida· mente sanate le loro ferite, coprirsi come nell'anno mille di nuova veste, non marmorea per carità, ma sobriamente linda; e lungo le vie aperte ai risorti traffici, irraggianti dai centri delle regioni sorgere per l'industre accresciuta popolazione numerosi abitati con casette occhieggianti tranquille fra orto e giardino. Attraver· so l'assetto edilizio, ciascuno di noi sperò anche di vedere attuato l'ordinamento sociale cui aspirava, con una di quelle rivoluzioni che senza~fracasso e senza spargimento di sangue cambiano i destini dell'umanità. Le illusioni sono cadute, questi due anni hanno mostrato come, acc;.rezzandole, ubbidivamo ad un impulso sentimentale, senza il controllo della ragione. Nulla o quasi nulla si è fatto, e il gra· vissimo problema è stato, per disperazione, messo da parte. Al fallimento hanno condotto i contrasti ideologici, le dispersioni di mezzi e di forze che hanno fatto cadere altre illusioni più ampia– mente politiche. D'altra parte il problema di un'abitazione de– cente per tutti conserva la sua tragica urgenza morale e sociale, si è fatto anzi più acuto che mai man mano che la vita civile si è venuta riorganizzando e i rapporti umani hanno ripreso una lvro stabilità. E' problema politico e non soltanto tecnico ed eco– nomico ; e la ricerca, alla -luce dell'esperienza fallimentare com· piuta, dei mezzi e dei modi praticamente possibili per soddisfarlo, riconduèe a una impostazione politica generale, quindi a direttive e ·programmi che, attuandosi, non potranno non influire sul futuro 3ssette>della società. Il problema in cifre Po:he cifre bastano per fissare i termini essenziali entro cui il discors,~ si dovrà svolgere. Nel 1939 si avevano in Italia 34 milioni di locali di abitazione (di cui circa 2 milioni vuoti per la rotazione degli occupanti), con una densità media di affollamento di 1,4 persone per camera: da 1,2 al settentrione a 1,8 al mezzogiorno. Di codesti vani, circa 1.430.000 furono, secondo i dati ufficiali, interamente distrutti, e 3 milioni danneggiati più o meno grave• mente; in cifra tonda, il danno si può uguagliare alla distruzione totale di 2 milioni e un quarto di vani, ossia del 6½ % del valore edilizio soprassuolo. Particolarmente colpite furono, 9ltre le regioni m cui si guer• reggiò, molte grandi città. Milano ha, tra i capoluoghi di regione, un doloroso primato, con la distruzione del 15 % del suo patrimo· riio edilizi<1. Il valore economico del danno, al costo attuale di ricostruzio– ne, ridotto in proporzione al grado di vetustà degli edifici distrutti, raggiunge i 900 miliardi. Nel ventennio· ·anteguerra si costruivano circa '300 mila locali all'anno, appena sufficienti a non peggiorare l'indice di affollamento. La stasi nelle costruzioni per circa sei anni ha raddoppiato quasi la carenza dovuta alle distruzioni: essa tuttavia si può ritener com• pensata dall'occupazione totale dei vani, compresi cioè quei due milioni che servivano alla indispensabile rotazione .. Se la nostra aspirazione dev'essere quella di migliorare l'indice di affollamento (l'incremento della i:,opolazione raggiunge 400 mi• la unità all'anno), è neces~ario sorpassare il ritmo di costruzione di anteguerra. Con un programma che vogliamo supporre (per ab• bracciare più di quel che possiamo strinirere) di 500 mila vani , annui, quell'indice medio scenderebbe, in dieci anni, ritenuto co– stante l'aumento demografico, da r,4 a 1,3 persone per vano. Non è molto, davanti agli indici dei paesi più ricchi, ma è un passo verso il meglio. Per quel programma occorrono, tenuto conto anche delle spese dei servizi pubblici, 350 miliardi all'anno. Il reddito nazionale è sceso ai tre quarti dell'anteguerra; di que– sto reddito l'erario vuole, secondo Einaudi, il 25%; un altro 55% almeno va ai bisogni alimentari. Non si vede come di quello scar• so 20'% (supponiamo 850 miliardi) che rimane, e· che deve servirr a tutte le altre necessità del vivere ed alla ricostruzione industriale, si possa avviarne quasi la metà all'edificazione di case. Il costo delle costruzioni, tradotto in lire attuali, sarebbe più di 65 volte quello del 1940; nella realtà è alquanto minore, per– chè - solo vantaggio dell'inflazione - gli alti prezzi nominali inducono all'economia. Della spesa della costruzione una frazione - da 1/8 a 1/12 - è assorbita da materiali di cui l'Italia è scarsa o priva: legname, carbone, metalli vari, nonchè gomma e petroli per i trasporti ; in complesso dunque, su quei 350 miliardi, circa 35 devono essère annualmente spesi all'estero, salvo anticipi dello stesso risparmio dei paesi fornitori. Nel regno delle illusioni Pur davanti alla brutale eloquenza delle cifre, che tutti dove– vano conoscere, si fecero programmi vastissimi, totali. E poichè si partiva da uno staio d'animo passionale, e la parola è il naturale sfogo della passione, miliardi e bilioni di parole, scritte dette gri• date, si· abbatterono sugli italiani. Chi poi aveva una ricetta mi– racolosa in tasca - « il mio piano > - fu loquacissimo nel ban– dirla, e sordo a tutto il resto. Tutto un gruppo di proposte tendeva a far risolvere la questio• ne dallo Stato. Lo Stato; i suoi doveri, il suo carattere etico, sono di moda da qualche decennio, espressione di una realtà storica mutata: inoltre il semplicismo delle soluzioni totalitarie è gradito alle nuove forze venute alla ribalta, le «masse>. Si disse: l'abitazione è una esigenza elementare dell'uomo; in tempi civili (si chiamano civili i t~mpi delle deportazioni dei popoli, dei lavori forzati, delle torture, delle camere a gas, delle bombe atomiche, ecc.) tocca alla collettività il soddisfarla. E le propo– ste più immaginose vennero sul tavolo: per esempio, l'esproprio dei fabbricati sinistrati a metà del valore (per dare una lezione a quegli sciocchi che si erano lasciati bombardare la proprietà), e la conseguente formazione di grandi demani civici con le aree li– bere; oppure l'espropriazione di tutto - aree e case - contro ob· bligazioni, da svalutare successi~amente con l'inflazione - al fine di rimediare all'ingiusto privilegio dei beni immobili che non hanno subito la svalutazione - e la formazione di un immenso demanio statale; oppure l'istituzione di speciali monete, la lira-lavoro, la lira-casa, ecc., ecc.. Un altro gruppo di proposte, meno rivoluzionarie, era basato sul permanere dell'istituto della proprietà privata. Per lo più queste proposte prevedevano un parziale risarcimento, con l'obbligo di impiegarlo nella ricostruzione; stabilivano inoltre piani mutualistici tra tutte le proprietà, in modo che quelle indenni venissero in soc– corso a quelle sidstrate; e insieme un programma di sblocco gra· duale degli affitti, in modo che l'aumentato reddito incr-ementasse le imposte e andasse così non a vantagirio dei proprietari, ma • finanziare risarcimenti e ricostruzioni.

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