Lo Stato Moderno - anno V - n.5-6 - 5-20 marzo 1948

114 LO STATO MODERNO fine. Essi invece fanno un. fme a sè del mezzo, del metodo : quel metod'O di vita politica che chiamano liber– tà è il loro stesso· fine, il loro modo ottimo di vivere. In realtà sono estircmeialla ragion di stata perchè nD'1I pen– sano sec:ond'Ocategorie di mezzi e di fini, ma di condi– zioni e di consegiienze: dalla libertà ricavano l'indipen– denza e la prosperità e tutto il resto. In tal modo tra gi– rondin,i e· gi.acobini nO'Jtc'è compromesso, e il crinale che separa l'uno d-all'altro mod,o di vedere è spesso quello che divide gli Homini di uno stesso partito in dice spioventi opposti. Accade che vivano spalla a spalla, ma sepa,rati e incompatibili, compagni che pure seguono lo stesso pro– grammia. Lo spezzettarsi di tantì partiti italiani in quesro dopoguerra fu dovHto precisamente a questo processo. - Attraverso tante ama.re esperi-enze una e.osadunque do– vrebbe essere venwta in chiaro : che il principio demo– cratico non fa un partito, e wnto meno lo fa il principio liberale ( o, democratico progressista: si può essere de– mocratic_i e reazionari). Può formare ·un club di intelli– genti oppure wn enorme slittamento di op-inione pubblim. Non un partito, che è un sist•ema ideologico fornito di im wganismo disciplinare. A voler considerare il libera– lismo wn sistema si fa della spernlazione o si dà ragione a Lucifero. Il destino dei partiti democratici è di operare come s/'ru– menti di opinione pubblica, non come 'Organizzazioni di interessi (solvo nascondere degli interessi), ossia di la– vorotre n,om per sè ma per,. altri ( e spesso per il re di Prussia). Quamdo ben hanno mobilitato wn'opinione pi{b– blica in senso denwcratico, gettat'O um grido d'allarme e salvato la libertà, il vantaggio pratico ( diciamo pure, elet– torale) andrà a u1i vero partito, OISsiaa im movimento sociale, quello che sembrerà il meno antidemocratico in quel momento. Di questi giorni state pur sicwri che l'opera di discussione e di persuasione dei repubblicani, Unione Socialista, P.S.L.T. etc. va per gran parte a bene– ficio della D. C. E se domnnì un governo democristiano s·i mostrerà troppo papista, di questa difesa democratica il vam.taggio lo ricaveirà un even.tuale m.wvo: « Fronte». Sotto questo aspetto ~ante cose si semplificano. Anche la tendenza di certi «movimenti» (tipico il P. d'A., scop– piato in questo sforzo) a t'l"asfornwrsi in partiti. Non era che l'ones~o egoismo di voler lavorare per sè e non per altri. (Per sè v1tol dire per il Paese). Oggi glì uomini di Giustizia e Liberta lavomno disseminati it1 tutti i partiti. Vo!evan,o f andare il partito democratico. GUIDO MORTAGLIA LA FIGURA DELL'INTELLETTUALE - Non sarà sfuggita l'importanza della lettera indiriz– zata il 6 marzo da Benedetto Croce al direttore di Risor– gimento liberale, per negare ogni validità obbiettiva agli « interventi collettivi di intellettuali in questioni e in oc– casioni politiche»: importanza che sarebbe, mi sembra, anche più incontrastatamente riconosciuta, se il Croce non avesse meno di venti giorni dopo sottoscritto a sua volta un manifesto di intellettuali insigni (da Gaetano de Sanc– tis a Ignazio Silone) che s'impegnano alla difesa di va– lori europei e cristiani, in una dichiarazione di cui sareb– be difficile disconoscere le implicazioni politiche, pensan– do alla parte che oggi nel mJndo tende a rovesciare quei valori, per sostituirvene altri non precisamente europei e non precisamente cristiani.. Ma mentre la seconda firma impegna il Croce e gli a1tri scrittori e studiosi ad un atteggiamento sopratutto morale e pedagogico, la prima ·impegna lui solo, il filosofo che sempre ha risposto con la sua testa e le sue idee ai suoi contemporanei, in un complesso di giudizi teoretici. E' quindi la lettera del 6 marzo che richiede un commento. Dico subito che il Croce mi convince totalmente nel rile– vare il carattere pratico (individuaie: esibizionistico, accu– sa il Croce; comunque utilitario: specificatamente politico, aggiunge il Croce con una seconda spiegazione) dei mani– festi, delle «alleanze», e dei « fronti ». Resta però una terza spiegazione fornita dal Croce, quella di « incons'de– ratezza » di simili atti. E questa si riferisce indubbiamente alla falsa coscienza che a suo parere gl'intellettuali hanno della loro figura. Perchè delle due l'una, ragiona il Cro– ce: in un primo senso, intellettuali sono tutti gli uorni1:i in quanto ragionanti : e qui allora la figura dell'intellettuale estende i suoi contorni a segno da perdere, di fatto. ogni specifico significato; ovvero gl'intellettuali sono qualche cosa di più determinato, « poeti, artisti, filosofi, scie112iati e simili», e allora spetta loro unicamente « servire al bel– lo e al vero, ciascuno conforme alla propria disposizione e ispirazione». Nel primo come nel secondo corno del di– lemma, si cancella il problema della funzione e della figu– ra dell'intellettuale in rapporto alla vita politica:· è come uomini, e non come intellettuali, che incombono agli s.u• diosi, agli scrittori, agli artisti, dei doveri politici. La dialettica dei distinti serve mirabilmente a questa chiarezza di impostazione: resta solo da accertare se pur tra le sue fini maglie non sfugga qualche cosa di esi– stente e reale; che una filosofia razionalistica non deve la- sciar sussistere inesplicato, o semplicemente negare, per– ~hè «inconsiderato», cioè irrazionale. E non si tratta affatto della questione specificamente psicologica e storica del gusto dell'intellettuale italiano per le « carezze» dei me– cenati o delle autorità, secondo le affermazioni di cui Bal– dacci ed Ansaldo hanno rinfrescato la moda. Si 'tratta di sapere se l'intellettuale è in sè qualche cosa, se si può de· limilame la figura, fissarla in un certo essenziale momento della coscienza e del processo formativo della- cultura teo· retica. Questo solo importa, per corlfermare o al contra– rio per limitare la portata del dilemma posto dal Croce. Tutto sta, mi sembra, nel sapere se i vàlori teoretici siano senza residuo identici alla loro realizzazione 'in ope– re storiche, o se il «bello» e il «vero», per restare aJle caiegorie indicate dal Croce, permangano altresì come ca· tegorie che sempre trascendono l'opera realizzata e verso le quali si pone un determinato rapporto della coscienza individuale dei loro cultori. La figura dell'intellettuale si fissa in questo secondo caso come quella della coscienza di questo rapporto; l'opera singolare di verità o di arte assume per lui la funzione di un rito, sia o no comuni– cato agli altri uomini - per sua natura comunque sem· pre .comunicabile. Cht: si tratti proprio di questo. ne è prova la polemica che da un secolo in qua il marxismo, dalle Glosse a Feuerbach alle meditazioni di carcere di Gramsci, conduce contro la filosofia « speculativa 'li, ac· cusa~a di anacronistico vizio contemplativo, di sostituzione

RkJQdWJsaXNoZXIy