Lo Stato Moderno - anno IV - n.24 - 20 dicembre 1947

566 LO STATO MODERNO mitati di coord:namento dei consigli di gestione, comitati di coord'namento dei comitati de:la terra) della vita pubb:ica, una natura sui generis, che non è que::a de: partito po:it:co nè quella di organismi sindaca:i, nè quel:a de: Parlamento, nè que::a de: Governo. Chi :e compone non è eletto da nessu– no, perchè si tratta unicamente di a:cuni uomini che si sono autoproclamati comitato di in:ziativa, e che sono qualcuno, nella vita pubblica, solo perchè hanno avuto dal popolo un consenso e:ettorale come deputati. Un consenso che però non li elevava ad alcun comitato d'iniziativa. La nuova natura di questi comitati è quel:a di uno ,stato popo:are al:o stato na– scente a::'interno di uno Stato istituzionale, !egalmente conso– lidato, e contro ta:e Stato istituzionale. Nei comitati suddetti di coordinamento, non si distingue più i: Partito Comunista da quel:o socialista, l'U.D.l. da:I'A.N.P.I., il fronte de:Ia Gio– ventù da:J'Associazione ragazze d'Ita'.ia. Qui è l'asso:uta no– vità della tattica: si srad:cano i programmi dei partiti, si presentano cot1'e programmi de: popolo, si creano, per la :oro esecuz:one organi immediati che nascono daJ:a base (o che •i fanno artif'ciosamente apparire come nati da:Ia base): l'e:et– tore, il cittadino, non ha più di fronte questo o que: partito, ma il Paese, tutto i! Paese in fermento. Vuole fermarsi a ri– flettere? Tentazione reazionaria: vuo:e arrestare il movimento? ecco i! fascista. Questo nuovo gioco ci sembra mo:to perico'.oso. Perico– ;oso in più sensi. Anzitutto ne::a sua obbiettiva inconcludenza. La situazione economica internazioria:e (non parliamo di quel– la po:itica) vieta ogni colpo di testa e ogni politica impre– vidente come que:Ja bandita da Bologna. Non so:o: ta:e po:i– tica, incapace di raggiungere obbiettivi risU:tati, non consegue a'.tro fine che quel:o di tenere in un continuo stato di ribol:i– mento le campagne e la città. Se accadesse che i'. popolo, in nome del quale si agisce, volesse tornare a pensare sul serio prima di lanc:arsi a:J'avventura, i partiti di sinistra, che già in questa nuova fase det:a :oro po:itica si sono immersi e come nu::ificati ne['entità popolo, finirebbero con :o scomparire. Certo rimarrebbero gruppi disperati di spartach:ani. I no– stri giovani deputati comunisti, g:ovani con dieci o quindici anni di galera fascista sul:e spa::e, sono di tale fede (più che di tale pensiero) eia non arrendersi. Ma prima che il b:occhi– smo e :•avventura dei comitati rivo'.uz:onari, in una congiun– tura economico-po:itica sfavorevole, ;i sommerga, non po– trebbe essere presa ancora una volta in considerazione que:Ja via democratica che Lenin considerava come una tappa op– portuna, prima de::a repubblica soviet:ca? Diranno i ,nostri cand:dati a::o spartach:smo: que.;la tappa :'abbiamo percorsa ed esaurita: oggi comincia la tappa nuova.· Il fatto è invece che essi non l'hanno affatto esaurita; che il ceto medio che cre– devano di aver pro:etarizzato è risorto, ne'. suo bene e ne: suo ma:e. e non si lascia affatto sedurre, anche se ricusa di inqua– drarsi in partito, e se si· accontenta di costituire da so'.o un vastissimo settore de['opinione pubblica non asservita del tutto neppure da::a fame e da::e promesse. Che i: ceto medio potesse risorgere, questo non era forse stato abbastanza cal– colato. I comitati de:la terra :o sfidano, ne:le prossime ele– zioni. C"è rischio che, se dovessero soccombere, essi trascinino seco, in una terribi:e invo:uzione, delle rich'este mature ed urgentemente '.egittime, e che un ceto med:o resp'nto a[a estrema destra sarebbe portato a constetare in una nuova pe- rico:osa vio:enta cecità. SANDRO MAURI COMUNISMOE RIFORMA AGRARIA La questione meridionale è generalmente !!!".'h,:, !!!~! =· nosciu:a; e se ne parla rimasticando romanticherie folkloristi– che o scetticismi dispregiativi, le une e gli altri frutto di mala fede o di ignoranza. Oggi, torna alia ribalta della storia e della vita non certo nuova nè rinnovata, e tutti sono concordi nel riconoscerle grande importanza anche nazionale: ma si continua a discu– terne con superficialità colpevole. L'Italia meridionale è pravalentemente agricola, e questa è verità non contrastata. Si crede perù da molti - da troppi - che sia tuttora una vasta regione retta da istituzioni feu– dali, dominata dal latifondo, abitata solo da servi delle gleba e da signorotti. Le cose stanno sostanzia:mente in modo di– verso; ma da questo esistere e persistere di errori, di lacune, di luoghi comuni der,iva una concezione economico-sociale inattuab:le, perchè pretende di risolvere i secolari problemi del Sud con i metodi applicati o applicabili per i saìariati in– dustriali del Nord, ed anzi di guidare la lotta dei contadini e dei braccianti meridionali dalle centrali propagandistiche di Milano, Genova o Torino. Ad altri il trattare il complesso argomento in sede pro– priamente tecnica: io mi limito a porre in risalto alcune fra le p:ù stridenti contraddizioni, e l'assoluta irrealizzabilità della soluzione comunista· Non è più vero che il Tavoliere o le Murge, la Calabria o l'interno della Sicilia siano dominio di baroni. Sarebbe qui troppo lungo rifare la stor.ia della proprietà terriera nell'Italia meridionale: basterà citare una fonte non sospetta, il recente libro del comunista Sereni (1), che riconosce non essere più il latifondo prevalentemente in mano della nobiltà. L'aura di fosca leggenda che ammanta di soprusi, di pr@– potenze, di sangue, il mito contemporaneo del fe1.1do,si dis– solve così al vento della realtà. Quanto al latifondo, è necessario intendersi anzitutto sul sign:ficato economico da attribuirgli. Se si tratta di vaste esten– sioni incolte, o :asciate a pascolo, o co:tivate solo estensiva– mente a cereali, la statistica ci ,insegna che su 8.6000.000 ettari di superficie totale dell'Italia meridionale ed insulare so:o 113 è costituito da poderi aventi più di 100 ettari di estensione, ed appena rs % da grandi possedimenti con superficie supe– riore a 1000 ettari. Se poi, com~ è più giusto, il termine lati– fondo sta a designare più che l'amp:ezza del terreno, la sua scarsa produttività, dovuta a deficiente coltivazione, latifondi sono - purtroppo - migliaia e mig;iaia di poderi, di media piccola e piccolissima estensione, in proprietà così di nobili che di borghesi o di coltivatori diretti (2). Il latifondo, nella sua accezione trad;zionale, si è andato contraendo, come queste cifre dimostrano. La più gran parte della terra oggi è suddivisa, frazionata, polverizzata tra una miriade di soggetti (circa 3·500·000, stando ai dati forniti dal Rapporto del:a Commissione Economica, 1947, da cui tolgo anche le altre notizie riportate in questo scritto); ma questo non elimina nè riduce gÌi inconvenienti della economia agra– ria meridionale, inconvenienti che non consistono solo nella latitudine delle singole proprietà. Per il proletariato agricolo occorrerebbe un discorso che converrà rimandare, eccetto che per qua:che conc:usione. Vero è che su una popolazione residente di quasi 12 mi– lioni e 500 mila, considerata « attiva » per 4.350,000, si con– tano 2.300.000 addetti all'agricoltura, di cui intorno al milione sono salariati a giornata, in ragione cioè del 42 o/o dei clas– sificati agricoltori; è vero altresì che questi braccianti, ricchi solo della loro disperazione, si trovano ali'ult:mo stadio so- ll) EMILIO S'ERENI. La questione agraria, E!naudJ. p. 93, (2) Confr. su oi.1.c-sta stesse. rivista. fase. 20·21: G. FRlSELLA \"ELLA. La trasfOTmazi.one agrar;a net Mezzogiorno,

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