Lo Stato Moderno - anno IV - n.17 - 5 settembre 1947

396 LO STATO MODERNO avevano contato per oltre un settantennio è stata impedita del successo del prodigioso sviluppo economico d'oltreoceano. Chi ha vinto la seconda guerra mondiale se non l'industria americana? Auguriamoci, dunque, che tutti gli europei si ravvedano. La stessa Russia nove!la arrivata, sappia che col suo nazio– nalismo aberrat; non può vincere la concorrenza mondia:e che caratterizza :a nuova èra de:J'economia dei popoli! E veniamo brevemente all'Italia. Il nostro Paese, più di ogni altro, riuscì a prender posizione nei monopolio europeo dell'Ottocento con l'artificio e le sofferenze. Si appoggiò al tributo fornito dalle entrate delle esportazioni di monopolio e del:'emigrazione, ma fu i; primo ad essere colpito dalla con– correnza. Volle darsi un'industria troppo artificiosa sperando d'avere a disposizione i mezzi per vincere !a guerra di do– minio, ma fu battuto nel suo sogno grandioso. Il nostro Paese, per ciò, è ora in preda ai più gravi prob:emi della revisione politica, economica e sociale. Abbandonato il sogno imperiale e della conquista - cosa a cui oggi nessuno più pensa essendo ormai superata la concezione del diretto dominio co:onia:e -, l'Italia deve fi– nalmente rinunciare alle industrie di guerra. Constatato il crollo delle entrate del monopolio all'esportazione di zolfo, di agrnmi, di prodotti ortofrutticoli, ecc., deve rinunciare al tributo che un tempo alimentava l'artificio industria:e e la– sciare, invece, libere le attività naturali d'affermarsi senza aggravi di costi di produzione. Convinta della necessità di adattarsi alle esigenze della « seconda rivo:uzione industria:e », deve rinunziare alle industrie di limitata produzione e di sbocco esclusivamente nazionale accettando, invece, le orga– nizzazioni più vaste, di ampiezza mondia:e. Rivedere la disfo– cazione territori(lle; rivedere le dimensioni delle imprese; limi– tOf'e con scelta piit aderente alla collaborazi<me mondiale lo produzione nazionale, ecco i compiti che s'impongono a:I'Italia dei nostri giorni!• E' da tempo, del resto, che si chiede all'Italia una tale revisione. I veri economisti si meravig:iarono profondamente quando il nostro Paese, aderendo al sogno egemonico dei te– deschi, volle imporsi il peso smisurato dell'artihéio proteZlo– nista. Taluni uomini di studio e de:la politica ino:tre, non videro di buon occhio il sacrificio imposto alle popolazioni del Mezzogiorno con la privaziqne dell'attivo. commerciale e il conseguente colpo d'arresto al miglioramento de: loro tenore di vita. · on mancarono, infine, le aspre critiche alla dittatura fascista, illusa di poter cl'.>mervafe la vecchia struttura economi– ca dell'Italia dell'Ottocento arirvando a:Ja guerra di conquista. Alla vigilia del fascismo, subito dopo la prima guerra mondiale, molti italiani avevano compreso l'errore d'un cin• quantennio della po:itica italiana, dalla dittatura liberale d1 Cavour alla dittatura parlamentare di Depretis e di Gio:itti, e avevano additato alcune vie d'uscita. Piero Cobetti aveva pensato ad una « rivoluzione liberale » sovvertendo prima di tutto il sistema politico, sociale ed economico deJ:'Italia; i « Gruppi meridionali d'azione economica e culturale», più decisamente avevano iniziato l'azione per svincolare l'econo!f!ia dell'agrico:tura da quella dell'artificio •industriale, affrontando quindi i·'.contrasto fra nord e sud e per il fine di pacificare g;i animi nonchè di consolidare le basi dell'economia e della vita dello Stato italiano. Purtroppo :a cecità degli interessi al potere non comprese :a bontà de:le idee da questi suggerite, e aderì al conservatorismo di Musso'.ini, accettò la prova della guerra e della sconfitta. Che questi interessi testardi si con– vincano ora, dopo tante sciagure, d'essere su falsa strada e sappiano che ormai non è più possibi'.e conse,vare il passato. L'Europa deve rinnovarsi e con essa, più di tutti, l'Italia. GIUSEPPE FRISELLA VELLA Blocco delle sterline Raramente, in quesw rubrica, meetiamo il naso fuori di oasa nos/Jra.Ma questa volta ci >siamotirati per i capelli. La Gran Bretagna, con un provvedimento unilaterale, ha dichia. rat-0, qualche giorno fa, la non convertibilità delle sterline in dol.'ari. Può sembrare, a ·tutta prima, un, provvedimento in/f. ressante soltanto quei due paesi. No, interessa, purtroppo, anche noi italiani, i quali, da questo provvedimento, rischiamo di ricevere una bella legnata. Com'è noto, l'Italia è fortemente esportatrice neJJ,' area della 6'1erli1w'ed è ,nvece forteme11te imiportatrice dall'area del, dollaro. Nell'area della sterlina, quindi, si sono venute aocumulando noteooli disponibilità in sterline che noi possiamo utilizzare soltanto se queste possono essere tramutate in dollari al fine di comperare merci nell'area di questa moneta e portarcele a casa. La Gran Bretagnt1, non sdJtanllo nei· riguardi dell'Italia, ma anche di molti altri paesi che famw parte dello sua area monetaria, aveva promesso agli Stati Uniti la libera conver– tibilità delle sterline in do/Jnri, ad un anno dota, rièevendo il prestito di 3750 milioni di d-Ollari TJeJ lluglio dello 'SCQrso anno. Quinai al 15 di luglio del 1947 la convertwilità delle -sterline in dollari doveva divenire operante. Prima che scadesse il ter– mine concordato con g,1i Stati Uniti, tutwvia, la Gran Bre– tagna aveva intavolato trattative oon i vari paesi della sua area monetaria, in m-Odo da grtUluare nel tem.po il cambio delle skrline in precedenza congelate. Ed anche con l'Italia, nonostante che noi non si faccia parte della sua area, si era gmnti ad un accordo stilato lflell'aprile del 1947. Adesso 111110 va per aria. Tra l'area della sterlina e l'area del dollaro si chiude una paratia che non sappiamo quando sarà riaperta. Intanto il nostro Ministero degli Esteri ha ,reol.amato a Lon– dra e l'ambasciatore Tarcluani ha fatto pressioni a Washing– ton affinchè la questione venga risolta il pitì presto possibile, Si parla del congelamento c~i20 mi./ioni di sterline, cioè di 80 milioni di dollari. Cifra no,i indifferente per la nostra bilancia dei pagamenti. Non v'è ,dubbio che il ,governo di Washington potrà agi;e su quello di Londra ,non solo per l'Italia, ma a11cl1.– per gli altri paesi. 111fin dei conti gli Stati Uniti hanno bi– sogno della convertibilità della ster/in(l in dollari. Tutti ormai sono edotti del/' estrema scarsità deNa nwneta statunitense sui mercati mondiali. Dichiarando J'inconvertibilità, la Gran Bre• gna ha reso a:noorapili ,acuta la penùria di dollari. Ma la Gran Bretagna deve anche considerare il problema dal suo punto di vista interno. Il provvedimento preso qualche giorno fa stranamente assomiglia a quello dt!l $etternbre 19,11: qua,ulo la Gran Bretagna, dopo aver sorretto per parecc/u anni coi denti la sua monew, fu costretta a svalutare quella sterlina che, nel 1925, con drastici provvedimenti defla:::.ioni– stioi, aveva riportato all'ulentico contenu.to aureo che ai;et'a nel 1914. Nel 1931, insomma, la Oran Bretagna si era accorta che la guerra non era passata invano. Si erano modificate st~utture produttive, regime dei prezzi, .s1istem1S(llariO:i.e cosi via. Adesso siamo di fronte a problemi analoghi. La Gran Bretagna vuòl mantenere l'identico rapporto tra sterlina e dollaro che vi era prima <lella guerra. Volontà. ambizioso che probabilmente trae origine dalla necessità che il mercato lon– dinese non abdichi di fron~ a quello di Nuova York. Vano r.iJlusione•Il mercato di Nuova York ha ormai vinto la suo lmttaglia, ed è mutile che Ja Gran Bretagna punti i piedi Pet_ resistere. Per concludere, si può dire che la dichiarazior:e ~, inconvertibilità della sterlina in dollari pw) essere il preludi~ di una svalutazione della moneta ingkse. In questo modo ~ potrebbero forse risolvere, con un procedimento monefano ormai consueto, md,"ti problemi inter11i che assillano l eco· ,wmia inglese. L. L.

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