Lo Stato Moderno - anno IV - n.14 - 20 luglio 1947

318 LO.STATO MODERNO che volessero affermare un certo reale patriottismo, come fa– ceva il radicalsocialismo di una volta. Con la Russia non può esserci un grande accordo: e a un destino socialista autonomo pianifìcatore dell'Europa non so quanto questi nostri ,radical– socialisti ~arebbero favorevoli nella parte repubblicana (si veda il voto dei repubblicani alla Costih1ente contro la pianifica– zione inserita nella Costituzione). C'è un fatto ancorn più decisi<vo.L'Italia ha un grandis– simo passato, e non può che tendersi a un grande avvenire, con una profondità etica, sociale, religiosa, a cui nell'insieme le forze di quella « Piccola Intesa » non sembrano i()reparate. Vi sono soltanto alcuni che vanno oltre, tra •gli azionisti e il P.S.L.I. Nel resto si sono viste anche gravF incertezze: per es. nei riguardi del governo De Gasperi, come se lo possibile pre· senza in esso di qualche elemento della « Piccola Intesa » potesse modificarne la so.5tonza. Sono queste, debolezze sin– tomatiche. E j socialisti del P.S.L.I. non tutti entrerebbero in uno ,c'hiernmento radicalsocialista: essi si sentono più vicini a un Lombardo, a un Pertini, anche a un Nenni e perfino a un Basso e anche a comunisti, che non a certi repubblicani o de. molaburisti. Se si guarda poi nella mo:titudine italiana essa, aequi– stando •progressivamente coscienza, o s'impegnerebbe per una posizione comunistica, anche antitetica violentemente all'Oc– ci<lente, o ,per una posizione socialistica mediatrice tra i libe– ral-repubblicani progressisti e i comunisti, capace di portare entrambi ad un lavoro democratico vigoroso, socialista, pia– nificatore. Il resto è più il passato che l'avvenire. Passato, s'intende in assoluto, perchè in un'Italia ancora piena di residpi me– dioevali anohe un radicalsocialismo modernizza in qua·lche modo e può •essere utile. Ma bisogna volere e tentar di fare molto di più, almeno per muoversi e ottenere qualche cosa. Ad essere « moderati » in Italia c'è il pericolo di restare quello che si è, benestanti in atto o in desiderio, e fors'anche cattolici in punto di morte. ALDO CAPITINI Una politica e un partito di cen:tro Nel necrologio più psicologico che veramente critico de– dicato al partito d'azione Ange!o Magliano sul Corriere Lom– bardo del 6 luglio scorso ha enumerato tra le ragioni del suo fallimento la « ricerca, tra destra e sinistra, di fantomatici ed irraggiungibili centri ». Lo stesso giorno Pietro Nenni sul- 1' Avanti! credeva di poter dimostrare in maniera incontro– vertibile l'inanità di ogni posizione centrista. Ora, per debito di verità storica prima ancora che per speranza di un avvenire che è sulle ginocchia di Giove, si vuole qui dimostrare come in realtà il partito d'azione non sia mai stato un partito di eentro, se non nelle speranze della cosiddetta ala destra. · · La direzione politica prima della liberazione del Nord fu, nell'Italia già liberata, più nelle mani di Lussu, sedicente " socialista •non marxista •, che in quelle di La Malfa; nel Nord, fino alla liberazione e nei mesi successivi fino alla fu. · sione in un solo dei due esecutivi, la maggioranza, schiac– ciante maggioranza, fu di elementi sedicenti di sinistra, so– gnanti ad occhi aperti catartiche rivoluzioni. Mito prediletto della sinistra fu particolarmente la rivoluzione ciellenista, che doveva realizzare una quantità di cose contraddittorie e stra– ordinarie: nascita dal basso delle autonomie locali; autogo– verno delle fabbriche, delle scuole, ecc.; liquidazione senza appello di collaborazionisti e gerarchi fascisti; improvvisazione rivoluzionaria di una nuova élité dirigente. Uno sguardo alle pubblicazioni della maggioranza (I,talia libef'a) e della mino– ranza (Stato Moderno) mostra come la minoranza abbia visto in quella auspicata rivoluzione una rottura del!' equilibrio in– terno ,del C.L.N.: inattuabile, oltre che per la defezione ine– vitabile di democristiani e di liberali, anche per ragioni d' or– dine internazionale. Quanto all'epurazione, che costituii il se– condo grande motivo del fallimento delle sinistre, anche su di essa la minoranza .ave.vaobiettivi limitati. sui quali era però intransigente: liquidazione politica di pochi grandi responsa– bili, con generale oblìo dei piccoli e piccolissimi, secondo una impostazione realistica della situazione del paese in cui il fascismo aveva imperversato per oltre vent'anni. Circa il pro– blema della pace, il gruppo di Stato Moderno, pur consen– tendo all'inevitabilità di qualche mutilazione territoriale corno conseguenza della guerra perduta, non rinunciò mai a difen– dere i nostri vitali interessi per correr dietro al miraggio di una federazione europea da realizzarsi solo a prezzo dell"ita– lianità di Trieste e di Gorizia. In politica economica anche il nostro gruppo si fece o suo tempo sostenitore della nazionalizzazione di quelle indu· strie che per il fatto di essere monopolistiche avevano ormai abbandonato il terreno dell'economia di mercato; ma il fatto stesso di non avere mai idoleggiato la nazionalizzazione comr panacea e di averla sottoposta al criterio inderogabile di una economia produttivistica, ci indusse a guerra ·finita a non insistere su tale punto. trattenuti come eravamo dallo spetta– colo di uno Stato che non sapeva più, o non risapeva ancora gestire neppure il gioco del lotto o produrre e distribuire i generi di monopolio. La direzione politica del partito d'azione battè invece circa ognuno di qncsti punti tutt'altra strada: neppure l'as– sunzione di Farri a presidente del Consiglio, che pure in sè stessa sembrava dover ammonire sulla posizione reale del par– tito nello schieramento politico italiano, potè veramente ri– chiamare alla concretezza dei problemi uomini ai quali una esoerienza 111 tta libresca di condannati politici -o di solitari coltivatClridel proprio giardino o tutta straniera di esuli aveva tolto il contatto con la realtà delle cose d'Italia. In particolare essi si erano illusi che l'Italia fosse pronta per una grande ri– voluzione sociale, di cui il proletariato operaio doveva esser il promotore ed il centro; di qui gran parte dei loro errori: il massimalismo istituzionale, l'intransigenza moralistica che fi– nirà ri.sibilmente nell'amnistia generale. l'insuperahile operai– smo <li borghesi intel:ettual i delle grandi città che vedevano nascere un grande partito di massa dall'accorrere dietro la ros~a bandiera ·di G. L. dei lavoratori delle grandi industrie. In quesle condizioni 1 a scissione del febbraio 1946 ap– pare anche troppo logica; senonchè, in politica, la logica è troppo spesso cattiva consigliera. Destra e sinistra del partito d'azione avevano infatti tra loro, nonostante h1tto, più punti in comune di quanto non ne avessero con qualsiasi altro par– !it,> po:itico italiano. La separazione che· rese entrambe irn· potenti ebbe per risultato di chiarire ad entrambe le ragioni e le illusioni dell'altra parte, tanto che paradossalmente i mpporti personali. nnzichè inasprirsi, si fecero più cordiali, come suole avvenire tra persone che sanno di doversi tro· vare ancora affiancate in un giorno non lontano. E' giusto dire che fu soprattutto la sinistra che incominciò ad apprez– znre l'intrinseca verità di certe valutazioni della realtà ita· liana ritenute a suo tempo troppo pessimistiche e quasi na– scenti d::i un'intima volontà conservatrice. Se nonostabte que•

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