Lo Stato Moderno - anno IV - n.4 - 20 febbraio 1947

84 LO STATO MODERNO pico in uno stabilimento estero sui 45 kg. a testa, era ante– guerra, da noi, di 38 kg. ed oggi è sceso ad 8 kg. di prodotto. Ma se apro l'ultimo vo:ume del:a Corresponda,ice di Paul Cambon, e leggo le lettere del 1919 e 1920, vedo che quel canto e addestrato osservatore descriveva l'Inghi:terra come prossima aUa rivoluzione, preda del socialismo, per un po' di agitazioni operarie e per gli accenti demagogici di quel terri– bile... conservatore progressista che fu Lloyd George. E nel Proudlwn et notre temps, miscellanea di studi pubblicata ap– punto nel 1920, Aimé Berthod, in un saggio sulla Philcsophie du travail, si scaglia (p. 96) contro l'immense vague de paresse, e il mcnstrueux déchainernent des appétits seguito alla guer– ra e ammonisce i proletari che « l'égalité des appointernents suppose l'égalité des capacités, et que le milleur mcyen d'émancipation n'est pas la force, mais la culture ». Non so che cosa Palmiro Togliatti, e il suo coadiutore Pietro Nenni, pensino dell'anarchico Proudhon, che proba– bilmente li disturba con i lampi di buon senso sprizzanti fra le bizzarrie hegeliane che rendono poco leggibile molta parte delle sue opere, ma certo non possono negare eh' egli sia stato davvero un « proletario •· Se pur non vogliono frequentare Proudhon come ogni tanto facciamo noi vi:i borghesi, deb– bono però aver sentito il cic!one di ma'.edizioni che i mila– nesi hanno mandato loro, per il disservizio dei servizi comu– nali. (Celeste Negarville, sindaco comunista di Torino, pare tuttavia se Ja sia cavata un po' meglio, con la neve, del sa– ragatiano Greppi). L'esasperazione era ta!e, che nei crocchi di pedoni assa!tanti i tram (quando ricomparvero} o traghet– tanti le strade, si sentiva gridare: « Ah, se lei avesse votato come me per la monarchia, le carrozze ci sarebbero! •· Inno– centi illusioni, ma giusti lamenti. La neve, in Alta Ita:ia, è stata un'altra disgrazia per le sinistre, le quali non hanno, na– tura'.mente, capito che la migliore propaganda consisteva nel f..re de!lo stakanovismo, dimostrando di sapere amministrare oJI pugno di ferro, anziché cedere vilmente al riottoso com– i,ortamento del:e svogliate masse. Cos?, se domani si dovesse votare a Milano, il 95% dei suffragi andrebbe ai neofascisti, nella .speranza che sappiano far pu!ire le strade, e funzionare i tram. Il regresso delle sinistre, di cui par!ava nell'ultimo fa. scico:o l'amico Paggi, procede come una lenta erosione. De Gasperi può, è vero, far la figura di Don Abbondio a: Vimi– na!e; ma i socialcomunisti non hanno di che ra!legrarsi. Sa– ragat, se non si affretta a sa'.tare il fosso di una socialdemo– crazia ragionevo!e, è perduto; Nenni è scritturato dai comu– nisti a prezzi ribassati e l'Avanti/ vede liquefarsi di giorno in giorno i suoi lettori; i nostri amici repubblicani provano sem– pre più di essere una razza esausta e non un partito in cre– ~cita; Cattani trova spettatori che gli riempiono il teatro, seppure, dopo la mancata fusione coi qua'.unquisti, non è detto abbia schiere di e'.ettori (ma intanto, è sintomatico il fugace ringalluzzirsi persino dei conservatoriliberalcrociani, i quali pochi mesi or sono sembravano già de:le mummie}}. La bourgecisie a vécu: tirons l,e rideau sur le mort, esclamava Proudhon. Grosso abbag!io, profezia smentita: la borghesia è dura a morire. Chi la conserva• in vita, chi le dà :issigeno (come accadeva all'impero ottomano, l'eterno malato) sono le castronerie del proletariato, che ne inventa una tutti i giorni. Solo la serafica mente del ministro Morandi può .cre– dere che siano i consigli di gestione a far andare avanti le aziende, e non quei quattro dirigenti vecchi e nuovi, a cui i proprietari lasciano vo!ontieri la grave soma. Anche ne'.la politica e ne::a burocrazia, i vecchi quadri tengono ancora il mestolo, con l'ausilio di qua:chc comparsa, o magari, per paradosso, di pochi neo-competenti. La guerra, l'hanno vinta gli anglosassoni, cioè i capitalisti; i russi sono arrivati troppo tardi nel tentativo di far coincidere la fine del fascismo con la rivo!uzione, ammesso che Sta'.in vo:esse davvero la rivo– luzione. Ecco ciò che troppi non hanno ancora capito. Corre voce che la ragione de!le dimissioni di De Gasperl sia stata un'informazione americana, che dava per sicuro un co!po di mano comunista per i primi di febbraio. Se ciò fosse vero, la conc:usione de:la crisi sarebbe di tipo abortivo, dal punto di vista della salvaguardia dei ministeri-chiave, rima– nendo in mani comuniste i Trasporti e le Te:ecomunicazioni. Canards e bobards s'incrociano, e per conto mio non dò :oro mo:to peso. Ma che, piuttosto, si possa già pensare in questi termini, mi pare indizio grave, di una situazione ma!sana. ARRIGO CAJUMI Memoria e Politica Più ripenso al fatto politiro e più mi appare ricco e complesso, lontano da ogni facile schematismo e da ogni semplicistica riduzione. La memoria, ad esempio, e cioè la trasformazione e rielaborazione fantastica del pa88(lto, è senza dubbio u,1 'elemento di valore politico. Vedete come oggi si trasfornrarw ·IJ fascismo e l' antifascisnw, nella nostalgta di tempi più facili per gl.i uni, nel ricorda di tempi più ardui e più eroici per gli altri. Da ciò nasce un comune scontento nel presenCe che è - e ancor più può essere in futuro - fonte di strane combinazi,oni e di accordi, inspiegabili a chi guardi solo al presente, senza tener d'occhio i gwmi che· furono, e sopra tutto la libera rielaboroZione fattane dalla memoria. L'Omodeo ha narrato in proposito un gustoso episodio nella ma « Cui.tura francese neN'età della restaurazione•· Il Ter– rore che nei suoi quattordici mesi di regno aveva oppresso la nazione in uno stupefatto .silenzio, trovò rispondenza in un pathos nuovo, nostalgico, della morte tragica. Lo provavano già i sopravissuti. Il Lasteyrie lo confessava al Michelet gio– vane: « Parlandogli di quei tempi e dr.U'imrpressione che nte provò (lui llSsai esposto, in pericolo) non gli cava che qWJ– sta sd'ki {rOl/e: « Signore, era bellissimo •. - « Ma voi non eravate wpostlo alla morte? Vi rmscondevate? •· - « Io? Niente affatto. lo andavo, erravo per la Francia. Ammiravo. Sì, ero bellissimo •· E l'Omodeo, storico sagace, annotava: « Avvertiva un fatto, frequente anche nell'esperienza indivi– duol,e: gli avvenimenti prendevano più rwca colorazione di pathos nella memoria che non nell'immediata esperienza•· Sarebbe facile esemplificatVJ ricordando il nuovo ful,gare napoleonico dopo la motte dell'Imperatore, e quanto essa ~ontribuì alla fortuna del terzo Bonaparte; ÙJ rivendicazione della « barbarie » fatta dai romantici, e quanto essa influi nel determinare il moto delle 1wziondliità. Ma occorre trasferire qWJste osservazioni dal campo della storia a qiwllo della po– litica. Rendere avvertito l'uomo politico che tra le tante e vanie « realtà » con cu.i egli deve fare i conti c'è anche la «memoria», prodigiosa suscitatrice di miti, presenza effettiva del passato, vita delle cose morte, elaboratrice del futuro, tanto più pericolcsa quanto imeno valutata. Solo quelw che non si ricorda è morto per sempre; mo ciò di cui si ha « memorilJ » continua '<l fruttificare, e ogni stagione può essere la sua primavera. La « merrwria » è per gli uomini quello che i « rrwnu– mentt » sono nella vita dei papali: il segno dii ciò per cui ool la pena di vivere e di morfre. VITTOlt

RkJQdWJsaXNoZXIy