Lo Stato Moderno - anno III - n.20 - 20 ottobre 1946

LO STATO MODERNO 465 Bilancio della Conferenia dei Ventuno La Conferenza del Lussemburgo ha concluso dopo set– tantanove giorni (29 iugno-15 ottobre) i suoi lavori, e i cin– que tralimti tl.i pace hanno così compiuto la seconda delle tapr,e previste dagli accordi di Mosca del dicembre. Resta– no fa terza, quella della stesura del testo finale ,per opera dei Quattro, ormai illuminati circa le opinion · o le pretese \:lei diciassette alleati minori e anche degli altri che non erano stati in <1.Jn primo tem;po invitati, e la quarta, della presmtazione dei testi così elaborati ai singoli paesi « vinti » e delle loro eventuali obbiezioni in extremis, che si conclu– derà con la firma, o - ciò che è poco presumibile - ool rigetto da parte dell'ex-nemico, con tutte le conseguenze che un gesto sirrule potrebbe portare con sè. Le conclusioni che noi possiamo tirare da questi set– tantanove giorni di discussioni e di duro lavoro dei Ventuno - tanto più duro se pensiamo ch'esso si è svolto in una stagione meglio propizia al riposo - sono esattamente le stesse che noi esponevamo in un articolo (• Insegnamenti di una conferenza », pubblicato nel n. 14 di Stato Moderno) scritto a conclusione della fnfe precedente, cioè di;lla ses– sione parigina dei Quattro: riaffermata inconciliabilità delle politiche 11ng·los.assone e sovietica e riconstatata mancanza di una personalità veramente di primo piano, e quindi di una capacità di visione europea o addi-rittura mondiale, nei dirigenti delle maggiori Potenze. Per il primo punto non sarà ripetuto mai abbastanza che . il tono - e la sostanza - dei dibattiti svoltisi in più occasioni al Lussemburgo fra Russi e Anglosassoni mostrarono Gll'evi– denza che fra i tre grandi non esistono, nonchè le condizioni per un'alleanza come quella che lega Gran Bretagna e U.R. R.S., neanche quelle per un concerto di Potenze che possa come che sia dirigere efficacemente un'impresa cgmune, vuoi dei trattati di pace vuoi del:'Organizzazione delle Nazioni Unite. Poichè al Lussemburgo, come in tutti gli incontri pre– cedenti, i dissensi sovietico-anglosassoni non erano dissensi - sempre ammissibili an.che fra alleati - solo su problemi singoli o sul mezzo migliore per arrivare a fini comuni, ma su questioni di principio, indici di mentalità radicalmente op– poste, e il tono non era di discorsi miranti a convincere un amico della maggior fondatezza del proprio punto di vista, ma, di gente che non s'intende e non può intendersi. Se talune orazioni tenute nel corso della conferenza fossero state dimenticate, l'ultimo discorso di Molotov, alla seduta del 14 ottobre, non lascia a:cun dubbio in proposito. Questa posizione reciproca dei quattro grandi qon poteva non generare una serie di compromessi su tutte le questioni litigiose (quelle almeno irer le quali si è potuto raggiungere questa pur illusoria forma di soluzione), favorita dal fatto che è mancata una voce capace di parlare sempre e in modo convincente in nome di principi superiori, di dimostrare ai corresponsabili della pace quale fosse, al di fuori degl'interessi particolari di chic– chessia, la era via da seguire, e di imporre loro la soluzione che rispondesse a tali principi o di denunciare all'opinione pubb:ica mondiale i loro errori e i loro torti, rifiutando di associarvisi. I Dobbiamo tuttavia ricortoscere, tra le manifestazioni di c11rattere particolare, che la rinuncia di Stati Uniti, Gran Bretagna (che dall'intervento dell'Italia e dalle sue azioni di guerra ebbe certamente a patire danni infinitamente più gravi che non l'U.R.S.S.), Dominions, Cina ed altri Stati mi– nori ad esigere dall'Italia riparazioni è un gesto altam 0 ente apprezzabile, al pari dell'offerta degli Stati Uniti di ridurre al 25% - in luogo del 75% stabilito dalla Conferenza - il rimborso dei danni patiti da sudditi americani in Italia; e che la stessa Francia, la quale non seppe resistere alla miseria nazionalistica di Briga, Tenda e Moncenisio - ohe pure avrebbe potuto senza sforzo evitare - ha mostrato tuttavia generalmente nei nostri confronti una moderazione che le fa onore e che ci auguriamo possa preludere a queJ;a politica di stretta intesa fra Italia e Francia che noi riteniamo fonda– mentale per l'avvenire dei due Paesi e della stessa Europa. Tra i rappresentanti dei Paesi minori, una menzione par– ticolare da parte di noi Italiani meritano il primo delegato brasiliano Neves de Fontoura (che il 22 agosto parlò della « evidente ingiustizia» delle decisioni concernenti i: trattato con l'Italia) e gli altri membri della sua delegazione per la solidarietà dimostrataci nella sventura e l'aperta difesa da essi sostenuta del nostro buon diritto. Ma specialmente degna di considerazione appare la posizione assunta dal ministro Evatt (fino a:Ja sua partenza avvenuta il 23 agosto) e dalla de!ega– zione australiana, che seppe elevarsi, essa sì, a una visione superiore delle relazioni internazionali, anche se ciò valse all'Australia di trovarsi il più delle volte sola o in limitatis– sima compagnia. Ma i quattro grandi, che si erano accordati in prece– denza (ciò che costituisce uno degli aspetti più curio~i ?i questa Conferenza della pace « consultiva »), non si sono m generale lasciati influenzare dai richiami alla realtà, al buon senso e alla giustizia loro rivolti da qualche minore o dagli ex-nemici, e hanno col loro peso impedito quasi sempre che pronunce di maggioranza ad essi non gradite si determinas– sero a favore di modifiche di clausole già stabilite (e, dove questo è avvenuto, è ben prevedibile che i Quattro, cui spetta in definitiva la decisione, dopo il voto consultivo dei dicias– sette, manterranno la loro formula primitiva). Un caso tipico può essere quello della Venezia Giulia, per la quale - con– tro la lettera e lo spirito della Carta Atlantica - si è riget– tata la proposta - avanzata l'll settembre da Bonomi - di plebiscito, che era per definizione quello che permetteva - al. di sopra di qualsiasi inchiesta sui cui risultati possono molto sovente gli stessi inquirenti essere discordi - una sicura valutazione della volontà degli abitanti e quindi della loro coscienza nazionale. E il curioso si è poi che la Jugo– sìavia, che ha avuto più di quello che le spettava dal punto di vista etnico, che ha ottenuto che la stessa Trieste non fosse assegnata all'Italia, che ha costantemente respinto l'of– ferta fattale da Roma di negoziati diretti, pretende di consi– derarsi essa ingiustamente danneggiata, rifiuta di .firmare il trattato· di pace se non ne verranno modificate le clausole, minaccia di non evacuare le terre che non le verranno asse– gnate, e intanto fa il gesto teatrale di astenersi dall'ultima seduta della Conferenza. E un caso tipico di insipienza può essere quello della Transilvania, per la quale tutte le circostanze favorivano que– sta volta la soluzione più equa, quella soluzione che non era stata possibile nel 1919-20, quando si era favorita la Romania vittoriosa a danno dell'Ungheria vinta, nè in occasione del– l'arbitrato di Vienna, quando la Germania tendeva ad accon– tentare l'Ungheria a detrimento della Romania. Questa volta le due rivali erano sullo stesso piano, entrambe vinte, e la richiesta modestissima su cui era ultimamente ripiegata la Ungheria, limitata a territori indiscutibilmente ungheresi, of– friva la soluzione più equa e al tempo stesso più atta, in quanto aveva I' ;u;l<lsionedell'Ungheria, a risolvere definitiva- . .

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