Lo Stato Moderno - anno III - n.19 - 5 ottobre 1946

<J to STATÒ MODEnNò I ,. RASSEGNA BIBLIOGRAFJCA CARLO SFORZA: Gl'Ita!iani quali so– no - Milano, Mondadori 1946; pa– gine 307, L. 300. Quosto libro del Conte Sforza è il ri– sultato e la rifusione di un corso di cul– tura italiana tenuto nel 1942 all'Uni-· versità di California; e lsi può accettare la definizione che ne ha dato Umberto Morra leggendone gli appunti mano– scritti: che è un libro che insegna « co– me far valere il nostro popolo senza aver l'aria di farlo valere». Lo Sforza stesso nella prefazione, prevede alcu– ne obbiezioni più facili: che il-libro con– tiene molte cose comuni, che l'italiano di media cultura sapevà da un pezzo; e che la • testimonianza» dell'autore vi campeggia con un'insistenza costan– te, se non ad ogni pagina ogni due. Lo Sforza non risparmia infatti al lettore la memoria, non dico delle sue cono– scenze ed azioni personali (che hanno quasi sempre, qui, un'interpretazione politica Interessante), ma quella degli zii, dei nonni, fìno al quadrisavolo: è vero che non capita ad ogni italiano di poter citare antenati così illustri. Scontati questi eccessi, altre critiche Si potrebbero avanzare a luoghi co– muni a concetti non raffinati dalla critic~, a raffronti abusati, persino a qualche svarione grossolano (a p. 69 e a p. 75, ad es. la tragedia alfieriana è presentata come un frutto della Ri– voluzione francese); ma ciò non toglie che il libro abbia qualche interesse attuale anche per gl'italiani d'Italia, e non solo per gli americani a•A– merica curiosi delle cose d'Italia. Lo Sforza ha avuto il buon senso di sfuggire alle generalizzazioni preten– zi06e, alle tipizzazioni psicologiche ed inesatte; e in questa sua caratteristica di leltore, di esperimentatore, di spetta– tore diretto, alcune determinazioni non dogmatiche del carattere italiano, na• te da una formazione culturale che cer– ca un su 0 equilibrio politico tra Maz: zini e Cattaneo, diventano indicazioni degne di rilievo. Cosi l'insistenza del• lo Sforza a prospettare come fonda• mentale alla nostra civiltà lo spirito cit. ladino e la storia particolaristica, ma di largo resptro umano, della città; cosi il ricercare la fonte della lenta forma– zione politica italiana· in un universa– lismo costante e inappagato, che solo molto tardi, Si concreta in un senso di nazionalità (Mazzini), aperto però sem– pre ad una Intelligenza più che nazio– nalistica. Cosi ancora la spiegazione della retorica romana come fenomeno, &astanzlalmente, piccolo-borghese, fino al dannunzian~imo; e gli accenni as– sai giusti al carattere dello spirito re– ligioso degl'italianl, assai più .antitem– poralistl che anticlericali; e quelli, più raramente feiici, 15ullo scetticismo po· litico, degli italiani. In complesso quello che si dice un • libro «amabile», e anche meglio che amabile, quando, uscendo da luoghi co– muni che non erano forse fali per il pubblico al quale l'autore si rivolgeva, lo Sforza viene poi a parlare di po– litica, cioè della politica che egli con– sidera adeguata a qurc;to suo pQpolo. In ciò lo Sforza è diplomatico d'ecce– zione· vale la pena di sottolineare in tal s~nso soprattutto il capitolo XIX, « Noi e i nostri vicini slavi». Sarebbe ora facile indicare dissensi particolari; indichiamone uno soltanto. Lo Sforza, parlando della •regione», del dialetto e della sua anima, contrappone questa realtà come la tradizione stessa dell'I– talia alla tradizione storica germani– ca (p. 20). Ha dimenticato Goethe, che in Dichtung 1.md Wahrheit fa un'osser– vazione molto simile alla sua, e proprio su)la Germania, Ja Germania delle cit– tà, delle regioni, e del dialetto, « respi– ro deJl'anima ». GUGLIELMO DI HUMBOLDT: Pagi– ne politiche (dalla libertd di stam– pa alla questione ebraica), a cura di Giovanni Necco - Venezia, Miuc– clo, 1946, pp. 260, L. 200. La scelta del Necco è felice, e viene ad Integrare ed ad avviare una più dif– fusa conoscenza delJo Humboldt, del quale in sostanza non abbiamo, in ita– liano che la raccolta del Marcovaldi degli' Scrritti di éstetica, e il Saggio, a cura del Perticone (una nuova tradu– zione del Saggio è annunziata ora dal– l'editore Garzanti, a cura di uno stu– dioso liberale, Giulio Bruno Bianchi). Che la posizi.one liberale deJlo Hum– boldt cosi severamente limitatrice del– J'inte~ento dello Stato, sia oggi ina– deguata è inutile ri~tere; ma che ,I pr.obJW:a v1sto dallo Humboldt, di una politica che miri a lasciare assoluta– mente libera la sfera dell'autoeduca– zione e quella della formazione di grup– pi politico-culturali sia invece, pur~ spostati i termini di molti rap-port1, tuttora fondamentale, non v'è dubbi,,, Il Necco h,.a avuto cura poi di racco– gliere e tradurre testi che, nonostante la loro distanza nel tempo, hanno ser– bato una strana contemporaneità. Sot– to questa luce è Interessantissima la lettera che raccoglie le « idee sullo sta– to suggerite daJJa costituzione france– se», vero monito a chi si accinge ad un lavoro costituzionale. Lo Humboldt aveva naturalmente sorpassato ogni ra– zionalismo illuministico, ma la dimo– strazione che egli dà della precarietà di ogni costituzione razionalistica, di– mostrazione fondata sull'analisi della struttura dei rapporti interindividuall che costituiscono la politica concreta e che non sono suscettibili di ana– lisi \ntelletualistlca esauriente, con– serva tuttora valore teoretico. Pagi– ne notevolissime sono quelle sulla questione ebraica, che non solo re– spingevano come anl:icr!.stiano ogni raz– zismo ma richiedevano l'Immediata e coraggio'Sa parificazione civile e politi-, ca degli ebrei; così pure q11elle sulla organizzazione universitaria, dove lo Humboldt rivolge aJlo Stato dei moni– ti che potrebbero tuttora essere pro– fittevolmente ascoltati, e sulla libertà di stampa, Indichiamo questi testi per la )oro sopravvissuta freschezza, dato che l'antologia del Necco mira evtden– temente a darci uno Humboldt politi– co, nel senso attuale ed attivo iel ter– mine. u. 8. PIETRO BADOGLIO - L'Italia nella seconda guerra mondiale - Milano, Mondadori, 1946; pagg. 320, L. 350. La parte avuta dall'autore in molte delle vicende della nostra storia recen– te fa si che si sia indotti a leggere questo libro col massimo interesse, nel– la speranza d1 trovarvi la spiegazione di molti fatti ancora misteriosi o con– troversi. Conviene dire subito che si rimane piuttosto delusi, e non tanto per le insufficienze dell'esposizione sto– riografica dell'autore, già note e com– prensibili in un militare di professio– ne, quanto per il silenzio nel quale vengono lasciate proprio alcune delle situazioni che più desidereremmo chia– rite. E' vero che l'autore può addurre a sua giustificazione il proposito ma- .,,. nifestato nella prefazione di non giusti– ficarsi, senonchè ciò non gli impedisce di raccontare tutto quello che gli fa como– do. E si che la prefazione è esplicita: « Ho scritto questo libro perchè sono convinto che· il popolo italiano ha il di– ritto di sapere come si sono svolti I fat– ti che lo portarono a tanta rovina. Un solo scopo non ho inteso perseguire: quello dt una•qualsias! giustificazione. Solo chi opera può errare». Quanto poco l'autore tenga fede al suoi proposi ti lo si può vedere dal fatto stesso che il libro si apre con un breve capitolo di otto pagine In cui si vuol dare una giustificazione a posteriori del– l'impresa etiopica, come si sa brillan– temente condotta dal Badoglio, soste– nendo la tesi assai seippliclstica che e se noi non fossimo eotrati in questa orribile guerra, ed avessimo lavorato seriamente a pacificare ed a mettere in valore quei ricchi ed ampi territori, che avrebbero potuto assorbire nume– rosa popolazione italiana, ed avessimo effettuata un'amministrazione ocul,ata e parsimoniosa ed una politica versò gli indigeni simile a quella sempre praticata con gli eritrei, chi oserebbe ancora lanciare l'anatema contro la conquista etiopica?». Dove ben ai scorge come il Badoglio, che più avan– ti '"parlerà della tirannide mussoliniana e si mostrerà orgoglioso d'aver contrl-

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